DA - LA REPUBBLICA Oggi la
mobilitazione generale di otto ore: previste 120
manifestazioni
Epifani a Torino: "La Finanziaria non fa niente per
lo sviluppo"
Lo sciopero
della Cgil
contro la manovra
di RICCARDO DE GENNARO
ROMA - Oggi l'Italia che sta con
la Cgil si ferma. È l'Italia che protesta contro le
modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori,
contro il "Patto" firmato da governo,
Confindustria, Cisl, Uil e Ugl perché "costruito su
previsioni immediatamente smentite dalla realtà dei
fatti", contro i tagli ai servizi pubblici e ai
trasferimenti agli enti locali e alle Regioni previsti in
Finanziaria, contro il piano dei licenziamenti e della
"cassa" a zero ore presentato da una Fiat in
crisi da tempo. Non è un caso che - prima ancora che
uscissero le notizie sui tagli - la Cgil avesse scelto
Torino come "centro di gravità" della
protesta.
E' qui, in piazza San Carlo, che il segretario generale,
Guglielmo Epifani, terrà il primo comizio dopo il suo
insediamento. Ed è con i cortei di Torino (uno partirà
da corso Marconi, l'ex simbolo del gruppo dirigente Fiat)
che hanno scelto di sfilare i leader dei Ds, Piero
Fassino, e di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti
(Di Pietro sarà a Milano).
Uno sciopero generale di otto ore della sola Cgil (con
dei distinguo, a partire dal "no alla
concertazione", aderiscono anche i sindacati di
base) non accadeva da 40 anni (quello del '68 era di
quattro ore). Il più grande sindacato italiano, che il
23 marzo è riuscito a portare a Roma tre milioni di
persone, rilancia la sua sfida e nelle 120 manifestazioni
provinciali avrà al suo fianco anche studenti e "no
global".
Epifani è ottimista: "Lo sciopero riuscirà, la
Finanziaria ci porta alla crescita zero". E non ha
esitazioni nel delineare il percorso della Cgil a partire
da domani, un percorso che avrà come prime tappe "i
problemi dello sviluppo del Mezzogiorno, della scuola e
della formazione, della sanità e della politica
industriale". E' difficile prevedere le proporzioni
dell'adesione, ma non è impossibile immaginare che gli
operai della grande industria, Fiat in testa, i
lavoratori del settore dei trasporti pubblici (Alitalia
ha cancellato 275 voli tra le 10 e le 18, le Fs dicono
che tra le 9 e le 17 circolerà il 60 per cento dei treni
a media e lunga percorrenza), i dipendenti pubblici, in
particolare della scuola, metteranno a segno i risultati
più significativi e visibili. Cisl e Uil accusano la
Cgil di aver proclamato uno sciopero con fini
squisitamente politici, ma è lo stesso Epifani che
sottolinea una volta per tutte: "Non esiste il
partito della Cgil, non esisteva con Cofferati, non
esiste con me".
E' certo che al termine della giornata di sciopero si
scontreranno perlomeno quattro bollettini diversi targati
risprettivamente: Cgil, Cisl-Uil, Fiat-Confindustria,
Berlusconi. La Cgil ieri ha incassato un punto a suo
favore: a Ventimiglia (Imperia) 50 lavoratori del settore
pulizie iscritti alla Uil hanno restituito la tessera a
Luigi Angeletti e hanno chiesto l'iscrizione alla Cgil
"contro la firma del Patto per l'Italia e la mancata
presa di posizione contro la Finanziaria".
Per martedì prossimo, poi, la Uil commercio (Uiltucs) ha
organizzato una manifestazione nazionale, sempre a
Torino, alla quale ha invitato cinque segretari
confederali Uil, ma non il leader Angeletti. Un segnale?
A Cisl e Uil che giudicano "sbagliato" e
"proclamato preventivamente" lo sciopero
generale, la Cgil ricorda che le ragioni dello sciopero
si sono moltiplicate negli ultimi mesi e che lo sciopero
stesso è lo sbocco sindacale di un percorso nel quale la
Cgil ha mantenuto "la massima coerenza".
Alla denuncia contro il ministro dell'Istruzione, Letizia
Moratti, per comportamento antisindacale, il sindacato di
Epifani ieri è stato costretto ad affiancare un esposto
contro l'Enichem di Porto Torres (Sassari), che ha
"comandato" i lavoratori turnisti allo
sciopero: "Un fatto gravissimo, mai accaduto prima,
una prova di regime", dice la Filcea-Cgil, che
invita i lavoratori a partecipare senza problemi allo
sciopero generale e alla manifestazione in piazza
d'Italia a Sassari.
(18 ottobre 2002)
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DA - LA REPUBBLICA IL COMMENTO
Chiusa una stagione
si torni all'unità
di MASSIMO GIANNINI
LA SINISTRA sindacale in
piazza: Cofferati a Milano, Epifani a Torino. La sinistra
politica in corteo: quella convinta, da Diliberto a
Bertinotti, e anche quella perplessa, da Fassino a
D'Alema. Lo sciopero generale è un rito identitario e
consolatorio. Ma se vuole andare oltre la ritualità, e
soprattutto evitare l'inutilità, la protesta di oggi
deve essere "conclusiva". Serve se è l'epilogo
di una fase che si chiude: la Cgil arroccata in splendida
solitudine, a combattere contro il governo del Polo,
contro una metà dell'Ulivo e contro un pezzo della sua
storia. Serve se è il prologo di un ciclo nuovo che si
apre: il ricongiungimento con Cisl e Uil, in nome di una
politica economica rigorosamente alternativa ma
compiutamente riformista.
Uno sciopero separato non si vedeva in Italia da 34 anni.
E' l'ultimo tributo che la Cgil paga al suo ex segretario
generale. Lo ha voluto e deciso a maggio Sergio
Cofferati, con ostinata coerenza, al culmine di un
braccio di ferro contro Berlusconi iniziato per difendere
l'istituto della giusta causa nei licenziamenti e poi
esteso al Dpef. Lo hanno rifiutato Savino Pezzotta e
Luigi Angeletti, con lieve incoerenza, al termine di una
trattativa tortuosa che prima li aveva portati a
scioperare il 16 aprile insieme con l'alleato maggiore,
poi li ha spinti a fare pace con il Cavaliere e a firmare
con lui il Patto per l'Italia. Ora procedono tutti in
ordine sparso. Ognuno con la segreta coscienza della
propria debolezza. C'è qualcosa di innaturale, in quello
che sta capitando.
E' stata innaturale la scelta fatta dal governo, che
espugnata l'opposizione politica ha scientemente
"investito" sulla diaspora sindacale per
conquistare il consenso degli industriali e mettere
all'angolo il suo più insidioso oppositore sociale. E'
stata innaturale la risposta massimalista di un
"moderato" come Cofferati, che ha contrastato
una manovra ideologica del premier armando il suo
sindacato con uno strumento altrettanto ideologico. E'
stata innaturale la soggezione culturale e il trasporto
fideistico col quale Cisl e Uil hanno appoggiato l'azione
del centrodestra, confusa, inefficace e palesemente
velleitaria.
Guglielmo Epifani ha "ereditato" la protesta, e
la difende come sa e come può. Il merito sta dando
ragione a Cofferati: Berlusconi ha sbagliato e continua a
sbagliare tutto. Il metodo gli dà torto: lo sciopero
separato divide, e non riesce ad unire. Per cerchi
concentrici, trasferisce la spaccatura dentro il
centrosinistra. E scivola da giorni su un piano inclinato
che nessuno sembra in grado di fermare. Tutti i
protagonisti della vicenda la "subiscono", con
un misto di ineluttabilità e di rassegnazione.
Prigionieri di un ruolo predefinito, imbozzolati in un
contesto cristallizzato a cinque mesi fa, che ora è
stato dolorosamente spazzato via dall'enormità degli
eventi.
Questo, forse, è l'aspetto più surreale sul quale i
dirigenti sindacali devono riflettere. Oggi l'agenda del
Paese non vive sui dubbi di Epifani, sugli umori di
Pezzotta e sugli scarti di Angeletti. Oggi ci sono due
fatti nuovi e clamorosi, che impongono immediatamente
l'abbandono degli ideologismi e la pragmatica riscrittura
delle priorità e delle responsabilità: la spaventosa
crisi della Fiat e la recessione economica.
Di fronte a questi fatti nuovi è politicamente
impensabile e sindacalmente suicida che Cgil, Cisl e Uil
continuino a marciare da sole. Da domani, l'impegno del
sindacato deve diventare uno solo: riaprire una fase
unitaria. Sarebbe troppo semplicistico arrivarci
attraverso un'abiura unilaterale di Epifani, che nessuno
può e deve chiedergli. Serve piuttosto un reciproco
riavvicinamento delle singole posizioni e un mutuo
riconoscimento dei rispettivi errori. Il primo nasce
dalla ritrovata consapevolezza dell'orizzonte comune, che
vede ammassate sulla stessa barca le migliaia di
lavoratori di Termini Imerese a un passo dalla mobilità
e di impiegati in esubero nelle banche, ma anche le
migliaia di operai licenziati in tronco nelle piccole
imprese, di "collaboratori coordinati e
continuativi" assoldati senza statuti né contributi
dai padroncini del Nord e di "sommersi" privi
di tutela nelle micro-aziende del Mezzogiorno.
Il secondo nasce dalla drammatica asprezza di questo
autunno, che dovrebbe costringere i leader sindacali a un
esame di coscienza. La Cgil dovrebbe riconoscere di aver
sbagliato a impostare in chiave difensiva e quasi
resistenziale una campagna di opposizione sociale,
strenua e solitaria, di cui si fa ormai qualche fatica a
cogliere il contenuto preciso. E' partita dall'articolo
18, si è allargata alle deleghe sul fisco e sulla
previdenza, poi ha convogliato le proteste sulla sanità
e sul pubblico impiego, contro la Finanziaria e contro il
piano Moratti per la scuola. Uno sciopero generale, per
definizione, contesta la generalità di una politica.
Quella del centrodestra si sta rivelando per quello che
è: un totale fallimento. Ma non per le ragioni invocate
a suo tempo da Cofferati, e cioè la thatcheriana
"macelleria sociale" che comporta.
Semmai per i motivi opposti, cioè il doroteistico nulla
che contiene. Il misto di pauperismo demagogico e di
corporativismo populista che la ispira, e che produce
solo galleggiamento politico e declino economico. Di
fronte a tanta pochezza - che i riformisti
dell'opposizione hanno denunciato per tempo e che solo i
ciechi e i complici hanno voluto ignorare - un
radicalismo antagonista imperniato sugli scioperi a
oltranza sa davvero troppo di vecchio. E condanna la Cgil
al ruolo di una "Solidarnosc" italiana,
testimoniale ma sterile. Epifani lo riconosca, e passi
dalla fase della lotta sistematica alla fase della
proposta programmatica. Questo è riformismo.
La Cisl e la Uil dovrebbero riconoscere di aver commesso
un errore madornale, a fidarsi di un falso premier
operaio, di un superministro prestigiatore e di un leader
industriale furbo e un po' opportunista. Dovrebbero avere
il coraggio di un outing coraggioso, ma doveroso.
Dovrebbero dire che, loro malgrado, il Patto per l'Italia
enfaticamente firmato a luglio con Berlusconi, Tremonti e
D'Amato è stato solo un bluff propagandistico. Oggi, un
po' come il famoso "contratto con gli italiani"
della vigilia elettorale del maggio 2001, è carta
straccia. Nessuno si ricorda più a cosa serviva, né
cosa c'era scritto.
Dovrebbero aggiungere che non è valsa la pena
sacrificare il bene attuale dell'unità del sindacato, in
nome di un bene futuro che quell'accordicchio (modesto
nei contenuti e strumentale negli obiettivi) non poteva e
non può garantire. La concertazione è un metodo, un
sistema di governo dell'economia che si sceglie e che
implica regole condivise. Cisl e Uil non hanno capito (o
hanno finto di non capire) che questa maggioranza non
vuole concertare politiche dei redditi o strategie
anti-inflattive con le parti sociali, ma ha puntato
esclusivamente a isolarne una, per lasciarla fuori dal
tavolo e impartirgli una lezione definitiva. Pezzotta e
Angeletti lo confessino. Rinuncino al modello di
sindacato gregario e para-statale e ritornino alla
"via alta della rappresentanza", autonoma e
collettiva, che è iscritta nella migliore tradizione del
sindacalismo confederale. Questo è riformismo.
L'unità sindacale, come non si è fatta in trent'anni,
non si recupera in tre giorni. Ma in questa stagione di
emergenze un sindacato responsabile ha il dovere
etico-morale di ricercare un fronte comune. Di superare
quelle che Amato chiama le "verità
incomponibili" di ciascuno, di sintetizzarle e
rimetterle in fase con la minacciosa involuzione dei
tempi. Non servono irrealistici proclami strategici, né
finte aperture tattiche. Ma c'è un vasto e concreto
terreno negoziale, che va dalla legge sulla
rappresentanza ai rinnovi contrattuali, sul quale è
possibile riannodare i fili del dialogo. Ne ha bisogno il
sindacato. Ne ha bisogno anche l'Ulivo, che chiede alle
confederazioni non certo di essere "cinghia di
trasmissione", ma leva di un processo di
riaggregazione sociale che facilita la ricomposizione
politica del centrosinistra.
L'impulso può partire dal basso. Ieri i metalmeccanici
delle tre sigle hanno annunciato uno sciopero unitario,
entro il 10 novembre, contro le chiusure degli
stabilimenti Fiat. È un primo segnale, da raccogliere e
da valorizzare. Negli anni '80, nelle fasi più dure
della vertenza a Mirafiori, con i 61 licenziati in odore
di terrorismo, la crisi dei 35 giorni e poi la marcia dei
40 mila, la mitica Flm diventò l'emblema di una
sconfitta ma anche il luogo fisico che consentì al
sindacato "buono" di rinascere dalle sue
ceneri, e di proporsi come laboratorio dell'unità
confederale. Oggi Fiom, Fim e Uilm possono ritentare
quell'esperienza, fino a imporre quello sforzo a tutti i
gruppi dirigenti. Uno sciopero separato è una iattura,
uguale e contraria a un accordo separato. Da domani, i
tre leader dovranno dimostrarsi capaci di rinchiuderli
entrambi, una volta per tutte, nell'armadio degli errori
e degli orrori di questo decennio.
(18 ottobre 2002)
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DA LA REPUBBLICA LA SCHEDA
L'articolo 18,
ma non solo
ecco i motivi dello sciopero
QUELLO del 18 ottobre sarà uno
"sciopero per l'Italia", come lo ha definito il
segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Uno
sciopero contro il "Patto per l'Italia"
raggiunto dal governo con Cisl, Uil, Confindustria e
tutte le altre parti sociali. Nel mirino del sindacato la
modifica all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e
la riforma del mercato del lavoro. Ma anche le linee di
politica economica del governo, la Finanziaria, le
proposte di palazzo Chigi in materia di politica
sanitaria e scolastica. Lo sciopero è anche a sostegno
delle vertenze per i rinnovi contrattuali. Ecco i punti
caldi.
ARTICOLO 18
La Cgil continua a definirlo un diritto indisponibile e
contesta la modifica allo Statuto dei lavoratori
introdotta con il Patto per l'Italia, firmato da Cisl e
Uil. Nuovi istituti contrattuali, sostiene la Cgil, hanno
reso più precario il lavoro e più debole il lavoratore.
In particolare la normativa sul trasferimento del diritto
d'azienda consente la frantumazione di imprese che, in
questo modo, potranno non applicare più l'articolo 18.
MERCATO DEL LAVORO
Le misure contenute nella Finanziaria, secondo Epifani,
"nel quadro di un rallentamento dell'economia e in
presenza di gravi crisi settoriali, mettono a rischio tra
i 260.000 e i 280.000 posti di lavoro".
PENSIONI
La Cgil attacca la legge delega ferma in Parlamento che,
se approvata, "affosserebbe" il sistema
previdenziale.
SANITA'
Secondo la Cgil il taglio dei trasferimenti aumenta i
ticket e riduce le prestazioni del sistema sanitario
pubblico.
SCUOLA
La Finanziaria prevede, spiega la Cgil, tagli e riduzione
del personale e penalizza la scuola pubblica a favore di
quella privata.
FISCO, MEZZOGIORNO E FEDERALISMO
Per spiegare le sue ragioni in tema fiscale la Cgil
ricorre ad uno slogan: "Con una mano danno e con due
tolgono". Giudizio critico anche nei confronti delle
politiche per il Sud ("il governo ha ridotto gli
stanziamenti e annullato gli incentivi per il
Mezzogiorno"). Infine il federalismo. Per la Cgil,
il governo mira a ridurre il ruolo delle autonomie locali
con un nuovo centralismo.
(16 ottobre 2002)
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DA - IL MANIFESTO «Il lavoronon è un intralcio»
«Mi spiace e mi sorprende che a sinistra ci sia chi non
vede l'ora di liberarsi di questo sciopero. Non è un
intralcio, ma un'opportunità». Intervista a Guglielmo
Epifani. Il segretario generale della Cgil manda un
messaggio al governo in difficoltà sull'economia, sulla
Fiat e sui conti pubblici: «Nessuno pensi in primavera,
quando i nodi verranno al pettine, di chiamare la Cgil in
soccorso, come garante del sacrificio dei lavoratori.
Trattare si può sempre, ma alle condizioni della Cgil e
dei lavoratori occupati e disoccupati che rappresenta»
VALENTINO PARLATO
Lo conoscevo da tempo, ma questo è il mio primo incontro
con Guglielmo Epifani segretario generale della Cgil. La
conversazione è cordiale, ci si intende e c'è anche una
sorta di impegno a continuare. Non parliamo di Sergio
Cofferati, ma c'è una linea della Cgil, con radici
antiche e che continua. Nella stanza c'è un ritratto di
Di Vittorio, quello di Carlo Levi, ed Epifani mi ricorda
che la Cgil di Di Vittorio era il sindacato degli
occupati e dei disoccupati, cioè il rifiuto
dell'associazione corporativa. Poi, sorridendo, aggiunge
che quando andrà in pensione quel ritratto se lo
porterà a casa, fa parte della sua personalità, anche
se il legale proprietario è la Cgil.
Domani (oggi per il giornale) c'è lo sciopero
generale. Dovremmo concentrare la nostra attenzione su
due temi: i fondamenti di questo sciopero (è tantissimo
tempo che non c'è uno sciopero generale proclamato dalla
sola Cgil) e il dopo sciopero. Molti, anche a sinistra,
pensano che questo sciopero sia un ingombro e che
toglierselo di mezzo sarebbe una liberazione.
Provo a rispondere sul primo punto. Abbiamo detto e
confermiamo che questo è uno sciopero per l'Italia,
cioè uno sciopero politico nel senso più alto del
termine. Questo anno e mezzo che sta alle nostre spalle
conferma che il paese è entrato in una spirale di
declino e divisione. Declino economico e sociale e tra
nord e sud, tra poteri locali e potere centrale. Si
tratta di un mix assai pericoloso per la democrazia
italiana. Il sostanziale populismo di questo governo
produce individualismo, massificazione e rassegnazione:
la negazione della politica e della democrazia. Lo
sciopero di domani è per il futuro degli italiani, è
diretto a coniugare diritti, interessi e sviluppo non
solo economico, ma anche sociale e culturale e, lo
sottolineo, la componente culturale è importantissima.
Scusa, in che senso?
Alle origini del nostro attuale declino c'è il declino
della scuola. Non dico della ricerca che sta agli
stracci, ma della scuola, del luogo di formazione dei
lavoratori e dei cittadini. Per questo è importante che
lo sciopero abbia successo nei luoghi di lavoro e nelle
scuole. E penso che nelle piazze i giovani prevarranno
sui capelli grigi e questo dovrebbe insegnare qualcosa a
quelli che ci accusano di essere conservatori, solo
perché disturberemmo i loro astuti giochetti.
Ma c'è anche in ballo la cultura del lavoro.
Certamente. La malintesa e miope modernizzazione, che fa
adepti anche a sinistra, celebra la fine del lavoro. Non
solo non ci sarebbero più le classi, ma il lavoro
sarebbe ridotto a entità trascurabile. Tutto questo
secondo noi è assurdo e antistorico e su questo terreno
c'è un'intesa, fino a ieri inimmaginabile, con il mondo
cattolico, che continua a considerare il lavoro fondativo
della personalità umana. Lo sai quante parrocchie si
sono schierate a sostegno dello sciopero?
Ma tutto questo non porta, e forse sarebbe pericoloso,
a una supplenza politica della Cgil.
No, la Cgil è un sindacato e resta sindacato, non ha e
non deve avere ambizioni di egemonia, ma è suo dovere
costitutivo essere un punto di riferimento e questo sarà
confermato dallo sciopero. Chi si illude, e magari spera,
che si possa ripetere il vecchio detto, «passata la
festa, gabbato lo santo» si sbaglia di grosso. Vedi, a
me dispiace e preoccupa pure, che ci siano dei compagni
che valutino questo sciopero come un intralcio e non come
un'opportunità. Un'opportunità anche per l'unità
sindacale che non si fa su accordi mediocri, direi
contabili, ma sulla condivisione dei valori della cultura
del lavoro, dell'importanza del lavoro anche nel nostro
nuovo secolo. E questa condivisione di valori è la base
di pluralismo e unità.
Bene, ma dopo lo sciopero generale?
Vedremo, non credo in una ripetizione a catena di
scioperi, ma certamente la Cgil si impegnerà, è già
impegnata, in qualcosa che sia la replica, trasformata e
adeguata al presente, del non dimenticato Piano del
Lavoro di Giuseppe Di Vittorio. Le questioni centrali,
posso elencarti i titoli, sono: Sud, politica industriale
(la Thatcher demolì, ma con un progetto di ricostruzione
alternativa, tant'è che l'Inghilterra è ancora in
piedi, invece in Italia si demolisce e si balbetta),
scuola, informazione, sanità. Si tratta di ridefinire le
condizioni di un nuovo contratto sociale. Abbiamo
conquistato il welfare, ma ora non possiamo
rimanere in tiepida difesa del vecchio stato sociale e
farci anche accusare di conservatorismo. L'obiettivo è
un nuovo contratto sociale che rilanci diritti e
sviluppo. E mi pare che questo orientamento cominci a
percorrere anche l'Europa, dove i sindacati sono in
ripresa.
Ma oltre il mondo del lavoro e, forse, la scuola, chi
c'è con voi?
Se mi consenti un po' di retorica ti dirò che c'è buona
parte dell'Italia. Lavoratori, insegnanti, studenti,
alcune parrocchie e anche tutti i poteri locali di
centrosinistra; sindaci, presidenti di regione e di
provincia hanno aderito allo sciopero generale. E hanno
aderito non solo per condivisione dei valori, ma anche
perché il cosiddetto decentramento sta portando a un
arbitrio centralistico. Molte di quelle che erano regole
automatiche (per questa iniziativa c'è questo
contributo) dipendono ora da una decisione del centro e
ancora, va aggiunto, che i tagli di spesa agli enti
locali non sono stati cosa da poco. Penso che uno
sciopero al quale aderiscono tanti eletti del popolo con
responsabilità di governo locale sia abbastanza una
novità e una novità positiva.
Previsioni per il prossimo avvenire?
Le cose dell'economia non vanno bene e non parlo solo
della Fiat. Ma soprattutto non vanno bene i conti dello
stato: il documento della Corte dei Conti è
pesantissimo. Il concordato fiscale non darà quel che
Tremonti annuncia e ci sarà una caduta delle entrate
fiscali ordinarie. Con tutta probabilità tra marzo e
aprile il governo (sempre più rissoso al suo interno)
verrà, anche dalla Cgil, per dire che siamo al rischio
di fallimento e che i lavoratori debbono pagare il loro
obolo per la salvezza del paese. Ci riproporranno anche
la concertazione. Ebbene sia chiaro fin da oggi che la
Cgil non sarà il garante del sacrificio dei lavoratori,
dei tagli alla sanità e a tutto il resto. Questo,
governanti e parlamentari se lo debbono togliere dalla
testa: non ci sarà governo istituzionale, di salute
pubblica o di unità nazionale che ci convincerà.
Trattare si può sempre, il sindacato e la Cgil in
particolare non sono «massimalisti»: trattare si può,
ma alle condizioni della Cgil e dei lavoratori occupati e
disoccupati che rappresenta.
E domani, cioè oggi per i nostri lettori?
Sarà una grande giornata, una giornata da osservare e
studiare con passione e freddezza. Ci saranno centoventi
manifestazioni e cortei in tutti i capoluoghi di
provincia e in ogni posto ci sarà una diversità, un
segno da individuare per cogliere il filo rosso che
percorre tutto il paese. Di un paese che le stesse
difficoltà inducono al risveglio, alla riacquisizione
della propria soggettività. E la nostra Cgil vuole
essere una buona levatrice, come lo è stata in anni più
bui, pensiamo al 1955, quando una precedente modernizzazione
riteneva (e appariva vincente) di poter ridurre il lavoro
a poco più di zero.
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DA IL MANIFESTO SCONTRO SUI GIORNALI
Aspro confronto ieri tra la Fieg, associazione degli
editori italiani, e la Fnsi, sindacato unitario dei
giornalisti. La Fieg ha attaccato dicendo che il
sindacato «ha assunto una posizione grave invitando i
giornalisti a partecipare allo sciopero proclamato dalla
Cgil, ledendo così la propria autonomia». Inoltre, gli
editori hanno anche criticato l'invito rivolto dalla Fnsi
ai cdr e ai giornalisti di attivarsi per evitare la
pubblicazione di giornali che risultino qualitativamente
insufficienti a causa dello sciopero. La Fnsi ha risposto
all'attacco dicendo che «non ha invitato i propri
iscritti a partecipare allo sciopero della Cgil, ma, su
richiesta di strutture di base e di singoli giornalisti,
ha ritenuto di precisare che i giornalisti possono
collettivamente decidere di proclamare uno sciopero di
solidarietà con la Cgil, o individualmente aderire ad
astensioni proclamate dalla stessa confederazione,
partecipazione consentita dalla Costituzione, che
riconosce il diritto di sciopero». Inoltre, la Fnsi
ribadisce «la necessità di difendere con ogni mezzo
lecito la qualità, la completezza e l'identità dei
giornali, cosa che alla Fieg sembra non interessare,
perché, come è stato dimostrato in molteplici
circostanze, l'unico interesse degli editori è vendere
copie anche di prodotti ampiamente dequalificati sui
quali veicolare la pubblicità».
ACCENDI RADIO
LIBERA
Le radio di informazione libera si scateneranno oggi per
dare voce ai lavoratori. Radio Gap seguirà in diretta
tutta la giornata di sciopero, con collegamenti da
diverse città. Le interviste audio realizzate si
potranno ascoltare anche sul sito www.radiogap.net/it.
Da Napoli, indymedia trasmetterà sul web un programma
radio: a partire dalle ore 20, «Radio Barrio Maradona»,
con interviste e notizie sullo sciopero e omaggi al Diego
(http://radio.uk1.indymedia.org:8100/napoli)
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DA IL - MANIFESTO La finanziaria emendata
L'Udc presenta le sue proposte. Berlusconi: «Necessaria
la riforma delle pensioni»
PAOLO ANDRUCCIOLI
No, in questa finanziaria la riforma delle pensioni non
ci sarà. Però arriverà presto. Dopo mille ambiguità
Berlusconi lo afferma infine chiaramente, dal podio del
congresso del Ppe a Estoril, in Spagna. «La riforma
previdenziale - dice - è difficile, perché va contro
gli interessi dei lavoratori, ma è fondamentale».
Berlusconi lancia un appello all'Europa, perché gli
offra la copertura che il suo governo invoca da mesi,
quella che gli permetterà di dire che è la Ue, non la
destra italiana, a imporre la riforma. «L'Europa -
prosegue infatti - deve darci una mano. Si era detto che
nel 2006 si sarebbe lavorato fino a 65 anni. Poi un
premier socialista ci ha negato quella decisione, che
certamente sarebbe stata un passo avanti. Serve una
riforma che prolunghi l'età lavorativa». E' un impegno
minaccioso per il futuro quello che assume il Cavaliere,
proprio mentre la finanziaria del presente fa riemergere
la spaccatura nella sua maggioranza, Gli emendamenti alla
finanziaria dell'Udc saranno presentati questa mattina
con una conferenza stampa alla camera. Da quanto si è
capito ieri pomeriggio, le proposte dell'Udc tendono a
modificare a fondo il testo della finanziaria soprattutto
nella parte che riguarda il Mezzogiorno. L'Udc sarebbe
intenzionata a salvare la legge 488, il credito di
imposta, e a rivedere magari anche gli interventi sulla
Dit. Un cambiamento di 360 gradi rispetto
all'impostazione del ministro dell'economia, Giulio
Tremonti, che ha bloccato il credito di imposta e
trasformato gli incentivi e gli stanziamenti pubblici in
prestiti alle imprese. L'Udc è intervenuta anche sul
decreto legge blocca spesa del ministro Tremonti e ieri
il percorso dello stesso dl è stato temporaneamente
bloccato al senato. Una questione molto delicata, forse
ancora di più della stessa finanziaria, dato che
originariamente il decreto di Tremonti autoassegnava allo
stesso ministro un potere straordinario e inedito nel
controllo delle spese di tutti i ministeri.
Nonostante lo scontro duro con la Lega di Umberto Bossi
che non vuole toccare nulla del testo di Tremonti (Bossi
ha definito la finanziaria «ottima»), l'Udc ha
intenzione di andare fino in fondo nella sua battaglia
per un Sud che altrimenti uscirebbe distrutto dalla
finanziaria. E nel senso di una disponibilità a
«trattare» qualche modifica, ci sono stati ieri due
segnali: le dichiarazioni di Berlusconi e un lunghissimo
incontro fra Tremonti e i rappresentanti della
Confindustria. «Stiamo discutendo - ha detto Berlusconi
- degli emendamenti dell'Udc sulla conferma della 488 e
sulla limitazione del bonus per l'occupazione al Sud
all'area obiettivo 1». Il solo problema, dice poi
Berlusconi «è che bisogna trovare un'altra copertura:
ne ho suggerita una che sta per essere esaminata».
Intanto ieri sera alle 20 è scaduto il termine ultimo
per la presentazione degli emendamenti alla finanziaria e
sempre ieri si è chiuso il lavoro della commissione
bilancio della camera che ha analizzato, attraverso
decine di audizioni, tutto l'impianto della legge
finanziaria per il 2003. Sul testo del ministro Tremonti
è piovuta una valanga di emendamenti. Ieri la riunione
fra Tremonti e D'Amato è durata circa quattro ore e si
è chiusa senza dichiarazioni ufficiali né della
Confindustria, né del governo. Tremonti si è però
mostrato per la prima volta disponibile a mettere in
discussione alcuni punti, soprattutto le norme sugli
incentivi alle imprese, dalla 488 al bonus per
l'occupazione, passando per la Dit. Si tratterà ora di
vedere quanto potrà fare il governo per venire incontro
alla Confindustria. E per tentare di recuperare un
qualche consenso. «In pochi mesi - commenta Giorgio
Benvenuto - il governo è riuscito a disperdere tutto il
consenso che aveva ottenuto. La finanziaria andrà
radicalmente cambiata visto che non è in grado di
togliere il paese dalle sabbie mobili».
Intanto critiche ed emendamenti arrivano anche dal
volontariato e dal non profit, sia laico che cattolico.
«Abbiamo chiesto - dice Sergio Marelli, presidente delle
Ong italiane - che venga modificato l'articolo 42 che
fissa le risorse per la cooperazione. Dallo 0,13% dovrà
essere portato allo 0,33% del Pil come negli altri paesi
europei».
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DAL CORRIERE DELLA SERA CRONACHE Previsti disagi
nei trasporti Cgil sciopera da sola,
cortei in 120 città Fini: una
mobilitazione politica. Manifestazione ieri degli operai
di Termini Imerese a Roma
ROMA - È il giorno della
verità per la Cgil. Che da sola, senza la Cisl e la Uil,
chiama oggi i lavoratori a uno sciopero generale di 8 ore
contro le modifiche dellarticolo 18 dello statuto
(licenziamenti), il Patto per lItalia e la
Finanziaria. Sono previste 120 manifestazioni, da Nord a
Sud.
La più importante a Torino, città simbolo della crisi
Fiat, dove parlerà il leader della Cgil, Guglielmo
Epifani. Il suo predecessore, Sergio Cofferati, come
dipendente della Pirelli, sarà invece tra i lavoratori
che manifesteranno a Milano. In piazza anche i leader dei
Ds: Piero Fassino a Torino, Massimo DAlema a
Napoli. A Torino ci sarà anche il segretario di
Rifondazione Fausto Bertinotti. Tra i lavoratori anche i
leader del Pdci e quelli dei Verdi. A Milano, Antonio Di
Pietro.
PROBLEMI NEI SERVIZI - Lo sciopero causerà disagi nei
trasporti. Aerei a rischio dalle 10 alle 18. Nelle
ferrovie lo sciopero ci sarà dalle 9 alle 17. Secondo
Trenitalia circolerà il 60% dei treni. Problemi anche
per chi deve prendere tram, bus e metro, che si
fermeranno secondo modalità locali. Difficoltà potranno
esserci anche nelle scuole e agli sportelli postali e
bancari, secondo il livello di partecipazione allo
sciopero. In piazza, ci sarà anche il movimento dei
girotondi. Scioperano anche i Cobas: contro la guerra e
la concertazione. La Cgil è sicura che lo sciopero sarà
un successo. Il termine di paragone è lultimo
sciopero generale di Cgil, Cisl e Uil, dello scorso 16
aprile. Allora, secondo i sindacati, si fermarono 13
milioni di lavoratori, il 90% dei lavoratori dipendenti.
Il 60%, secondo la Confindustria. «UNO SCIOPERO
POLITICO» - Per il vicepresidente del Consiglio,
Gianfranco Fini: «È uno sciopero politico contro il
governo». Cisl e Uil non scioperano perché difendono il
Patto per lItalia firmato col governo e le imprese
a luglio. Dopo lo sciopero però, Cgil, Cisl e Uil
potrebbero riavvicinarsi. Sulla Fiat, sul pubblico
impiego e sul Mezzogiorno le tre confederazioni già
marciano abbastanza unite. Ieri i sindacati dei
metalmeccanici hanno proclamato uno sciopero della
categoria, a sostegno della vertenza Fiat, entro il 10
dicembre in una data da definirsi. La manifestazione di
ieri a Roma degli operai dello stabilimento Fiat di
Termini Imerese (Palermo) ha anticipato uno dei temi
centrali dello sciopero generale di oggi. OPERAI FIAT A
ROMA - Più di 1.500 lavoratori dello stabilimento
siciliano che rischia la chiusura hanno bloccato a più
riprese il centro di Roma e hanno tentato di rompere il
cordone delle forze dellordine attorno a Palazzo
Chigi. Alla fine una delegazione è stata ricevuta dal
sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni
Letta, ma i lavoratori sono rimasti insoddisfatti. Con
gli operai di Termini è arrivato a Roma anche il
presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro (Forza
Italia) che, col cappellino rosso e la giacca azzurra dei
lavoratori dello stabilimento Fiat ha voluto partecipare
alla protesta. Fini ha detto che il governo «è accanto
ai lavoratori», aggiungendo che cè «la volontà
piena dellesecutivo di garantire che lo
stabilimento non venga chiuso». In serata, il segretario
della Cisl, Savino Pezzotta, è andato a Piazza Venezia,
ancora bloccata dalla manifestazione, e ha incontrato gli
operai. Contemporaneamente, a Termini Imerese, dove lo
stabilimento e rimasto presidiato dalle mogli e dai figli
degli operai, si è svolta una fiaccolata durante la
quale larciprete don Francesco Anfuso ha definito
«grave» il comportamento delle forze dellordine
che a Roma hanno impedito ai manifestanti di raggiungere
Palazzo Chigi. Enrico Marro
18 ottobre 2002
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DAL CORRIERE DELLA SERAI
pacifisti pensanti... e quelli incoscienti IL MONDO IRREALE DEI
«CIECOPACISTI»
Chi vuole la guerra è un demente
che vuole una cosa orribile. E dopo gli spaventosi bagni
di sangue delle ultime guerre mondiali, in Europa la
guerra non la vuole più nessuno. Pertanto chi oggi
distingue tra pacifisti e guerrafondai disegna una
distinzione fuorviante. La distinzione che ci divide è
tra pacifisti incoscienti - che dirò «cieco-pacisti» -
e pacifisti pensanti. Il cieco-pacista non sente ragioni,
è tutto cuore e niente cervello. Il guru pacifista del
momento, Gino Strada, scrive così: «Può darsi che il
movimento per la pace non sia in grado di far cadere un
dittatore, ma una cosa è assolutamente certa, che... non
ne ha mai creati né aiutati a imporsi». Purtroppo no.
Purtroppo Strada è assolutamente certo di cose
assolutamente false. I pacifisti degli anni 30
hanno aiutato Hitler a imporsi, così come i pacifisti
della guerra fredda - gridando better
red than dead , meglio rossi che
morti - invitavano lUnione Sovietica a invadere una
Europa che non si sarebbe difesa. Il Paternostro recita:
«Non indurci in tentazione». Lo recitano ancora, il
Paternostro, i nostri pacifisti chiesastici? E se lo
recitano, perché non si chiedono se il loro pacifismo
assoluto - che è in sostanza un pacifismo di resa - non
induca in tentazione i malintenzionati non ancora
convertiti in agnelli? Quanto ai nostri cieco-pacisti
laici, a loro ricordo il detto che è loccasione
che fa luomo ladro. Non ci credono? Provino a
lasciare spalancate le porte delle loro case. Saranno
svaligiate anche e proprio da ladri creati
dalloccasione.
Fortuna vuole che ai pacifisti incoscienti si
contrappongano i pacifisti pensanti che rifiutano la
guerra offensiva ma approvano la guerra difensiva, che
distinguono tra guerra ingiusta e guerra giusta e che
fanno sapere che si difenderanno se attaccati. Il mondo
libero deve la sua libertà a questo pacifista con la
testa sul collo. Ma anche lui si trova a disagio al
cospetto della nuova idea della guerra preventiva.
Mi si dirà che la guerra preventiva è sempre esistita.
Sì; ma no. No nel senso che oggi la dottrina della
guerra preventiva si fonda su una nuova ragion
dessere che si inserisce in un nuovo contesto: il
contesto di quella guerra che Umberto Eco ha battezzato
«guerra diffusa». Nelle guerre del passato esistevano
due (o più) nemici ben riconoscibili i cui eserciti si
fronteggiavano lungo una frontiera che era il limite da
superare. Queste guerre erano dunque caratterizzate da
una frontalità territoriale. Nella nuova guerra
lattaccante è un terrorismo globale ispirato da un
fanatismo religioso - e quindi senza precisa patria - che
non si lascia localizzare, che è dappertutto, e che
opera nascondendosi. In questa guerra diffusa, latente,
ma per ciò stesso sempre pronta a colpire,
lattaccato non sa più chi contrattaccare. O
meglio: può solo attaccare le infrastrutture dove
vengono prodotte le armi dei terroristi e gli Stati che
li «supportano».
Laltro aspetto del problema è che la guerra
terroristica dispone di nuove armi chimiche e
batteriologiche. Qui la novità è tecnologica. E il
fatto è che oggi disponiamo di una tecnologia facilmente
nascondibile il cui potenziale distruttivo è
terrificante. Prima cera il cannone e cera la
corazza. Oggi la corazza non cè quasi più, e il
cannone è diventato gigantesco. Una sola persona può
avvelenare lacqua potabile di un milione di
persone. Il cieco-pacista non lo vede, ma il problema è
questo.
Si sarà notato che non ho mai menzionato lIraq.
Difatti qui interessa capire quale sia la ragion
dessere di una guerra preventiva. Se questo nuovo
diritto di guerra si applichi o no (e con quali
procedure) ai vari casi concreti, e oggi al caso di
Saddam Hussein, è una questione a parte. Una cosa alla
volta. E questa volta il punto è che, a fronte della
altissima vulnerabilità e facile «uccidibilità» delle
società industriali avanzate, il pacifista di oggi è
ancor più cieco e malconsigliante di quello del passato.
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DALL'UNITA' 17.10.2002
Piazza
del lavoro
di Guglielmo Epifani
Quella di oggi è una giornata importante. Per la Cgil,
per le lavoratrici e i lavoratori, per tanti giovani e
anziani, per lItalia. Centoventi manifestazioni
nelle città capoluogo e otto ore di astensione dal
lavoro in tutti i settori. Il nostro sciopero - quello
che abbiamo voluto chiamare «uno sciopero per
lItalia» - è oggi in campo. In molti hanno
lavorato perché questo sciopero non riuscisse, molti
media hanno cercato di mettere la sordina alle ragioni
della nostra mobilitazione. A tutti costoro oggi
risponderanno moltissime persone in tutta Italia. Lo
faranno con determinazione e con serenità a sostegno
delle motivazioni che abbiamo messo alla base della
nostra iniziativa di lotta.
Motivazioni che partono da
lontano e che legano questa giornata al grande movimento
che nel corso del 2002 ha portato più volte in piazza
milioni e milioni di persone contro la modifica
dellarticolo 18 e contro le deleghe sul mercato del
lavoro, sul fisco e sulla previdenza.
Contro la linea del governo e di Confindustria di puntare
su una competitività bassa, basata solo sui costi,
calpestando diritti e aspettative delle persone. Di chi
oggi ha un lavoro e di chi lo vorrebbe. Contro la linea
che ha portato a luglio a un Patto per lItalia non
solo sbagliato, perché modificava larticolo 18, ma
anche drammaticamente insufficiente, basato comera
su previsioni campate in aria (si parlava per il 2003 di
una crescita del 2,9 per cento!), a risolvere i veri
problemi che il Paese ha di fronte.
Motivazioni che oggi, con
questa Finanziaria e con la difficile situazione che
abbiamo di fronte, vengono drammaticamente confermate e
ampliate.
Il nostro sciopero è generale non soltanto perché
riguarda tutti ma perché ha al suo centro problemi
concreti e generali che oggi sono resi ancor più urgenti
dalle ultime emergenze. Dal Mezzogiorno al caso Fiat, ai
problemi occupazionali allorizzonte in un Paese che
è ormai vicinissimo a una vera e propria recessione: il
prodotto interno lordo questanno crescerà, se
crescerà, al massimo dello 0,3 per cento.
Oggi, per leffetto
combinato delle misure sbagliate della Finanziaria, del
rallentamento delleconomia, di crisi settoriali e
locali sono a rischio quasi 300 mila posti di lavoro. Ma
invece di porre mano a strumenti anticiclici, la politica
del governo - niente per il Mezzogiorno, tagli nei
trasferimenti agli enti locali e in settori chiave come
scuola e ricerca - rischia di spingere il Paese lungo la
china di un declino che va avanti da troppo tempo.
In questo quadro il governo è
riuscito a presentare una legge finanziaria perfino
peggiore di quanto il Dpef facesse prevedere. Una
Finanziaria regressiva e populista, che non fa sviluppo,
non fa equità, non fa rigore. Una manovra economica che,
se non cambiata profondamente, rischia di far arretrare
le condizioni generali del nostro Paese.
Questo governo ha sbagliato
tutte le previsioni negli ultimi mesi (e in questo, va
ricordato, era in buona compagnia, assieme al governatore
della banca dItalia e al presidente di
Confindustria). Oggi, invece di ammettere gli errori e
cambiare strada, continua a sbagliare: la manovra infatti
consta di tagli iniqui e insieme difficili da
concretizzare e di entrate del tutto aleatorie (che per
di più, con i condoni che premiano i disonesti, danno
anche un segnale sbagliato al Paese). Cosicché anche tra
le previsioni di oggi e i saldi di domani rischia di
esserci un divario insopportabile. Non vorremmo che a
marzo, con la prima Trimestrale di cassa e la scoperta di
una situazione ben più grave di quella che oggi si
ammette, la soluzione proposta dal governo fosse la
solita: tagli alle pensioni e alla spesa sociale. Oggi
per allora la Cgil dice al governo (a questo come a
qualsiasi altro governo) che a questa ricetta non ci sta.
Oggi per allora è lItalia a dire il suo no, chiaro
e forte, nelle piazze e con lo sciopero. Ci hanno
accusato in questi mesi di avere opinioni insieme
preconcette e catastrofiste. I fatti si sono incaricati
di confermare la giustezza delle nostre analisi, su cui
oggi concorda anche chi ieri ha dato troppo credito al
governo. Ma noi a quel declino non vogliamo rassegnarci.
Per questo diciamo al governo che è ora di voltare
pagina, di fare quello che si deve fare per rilanciare
leconomia, di ripristinare, per fare solo un
esempio, gli strumenti per il Mezzogiorno che hanno
funzionato, anzi di potenziarli, di dare insomma il segno
di una svolta.
La Cgil comunque continuerà
nella sua iniziativa anche dopo il 18 ottobre. Sono molti
i terreni sui quali vogliamo incalzare governo e
Confindustria nella nostra battaglia per la coesione, per
i diritti, per unItalia migliore: Mezzogiorno,
politica industriale (a partire dal caso Fiat), scuola e
formazione, sanità e salute, informazione.
Su questi terreni, o almeno su
alcuni di essi, crediamo sia possibile riaprire confronti
unitari con Cisl e Uil (come del resto sta avvenendo sul
fronte dei contratti pubblici e su quello della Fiat).
Senza fughe in avanti, con la consapevolezza che ci
dividono molte cose e tante scelte fatte, ma anche con la
consapevolezza delle molte elaborazioni comuni che già
esistono, sulle quali, se esiste la volontà da ambo le
parti e se si trovano punti di merito condivisibili, può
partire una fase di lavoro comune sui temi più
drammatici, occupazione e Mezzogiorno in testa.
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DALL'UNITA' 17.10.2002
Ds
e un pezzo di Ulivo a fianco della Cgil
di a.f.
«Mi auguro che lo sciopero abbia successo, perché è
uno sciopero contro il governo. Da un minuto dopo, però,
mi auguro che per il sindacato ricominci il processo di
ricomposizione unitaria». Anche lex ministro della
Sanità, Rosi Bindi, oggi «farà la sua parte». E
probabilmente parteciperà ad una delle due
manifestazioni provinciali in programma a Siena o ad
Arezzo.
Non sarà sola, però, Rosi Bindi. Dopo le polemiche e i
distinguo dei giorni scorsi - nellUlivo e nella
Quercia - sullopportunità dello sciopero generale
proclamato dalla Cgil con lostilità dichiarata di
Cisl e Uil, saranno molti i leader diessini ed ulivisti a
scendere in piazza a fianco di Guglielmo Epifani. Piero
Fassino sarà a Torino dove, insieme a Luciano Violante e
a Livia Turco, prenderà parte al corteo che partirà
alle 10.30 da piazza Statuto. Sempre a Torino, ma nel
corteo che prenderà le mosse da corso Marconi, ci sarà
anche il leader di Rifonsazione comunista Fausto
Bertinotti. Il presidente dei Democratici di sinistra,
Massimo DAlema, invece, sarà a Napoli, insieme al
responsabile del partito per il Mezzogiorno, Roberto
Barbieri. A Firenze manifesteranno il coordinatore della
segretria nazionale, Vannino Chiti, e Fabio Mussi. Cesare
Salvi, Pietro Folena, Luciano Pettinari, Gavino Angius e
il responsabile Lavoro, Cesare Damiano, saranno a Roma.
Mentre Anna Finocchiaro parteciperà alla manifestazione
di Catania.
Non solo. Allo sciopero di oggi
aderisce anche lItalia dei Valori di Antonio Di
Pietro. E lo stesso Di Pietro interverrà alla
manifestazione di Milano con Sergio Cofferati. «La
difesa dei diritti assunta dalla Cgil - dice lex
magistrato simbolo di Mani Pulite - è un fatto che
nobilita il mero ruolo di rivendicazione salariale del
sindacato. È necessario che questa attività di difesa
sia svolta in sinergia tra partiti e movimento dei
lavoratori». Piena adesione alle ragioni della protesta
è stata espressa anche dai Verdi. «È importante -
afferma il presidente del partito, Alfonso Pecoraro
Scanio - sostenere lo sciopero contro le politiche
economiche e sociali del governo». In piazza ci sarà
anche lo stato maggiore dei Comunisti italiani. Armando
Cossutta parteciperà alla manifestazione di Milano,
mentre il segretario del partito, Oliviero Diliberto,
sarà a Roma. «Questo sciopero - afferma Diliberto -
valeva dieci essendo in discussione la questione dei
diritti. Oggi, dopo la Finanziaria, vale cento».
Dal leader dei socialisti italiani, Enrico Boselli, e da
quello dellarea liberal dei Ds, Enrico Morando,
viene intanto un auspicio. Che quello di oggi, tra Cgil,
Cisl e Uil, sia lultimo atto di divisione. Mentre
in Toscana la Margherita invierà migliaia di Sms via
cellulare. Per ricordare a tutti che è lora
dellunità. Contro la Finanziaria, tanto per
cominciare.
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DALL'UNITA' 17.10.2002
Questo sindacato
«isolato», assieme a milioni di cittadini
di Bruno
Ugolini
Cera una volta la Cgil
«isolata», come una tragica vestale nel deserto.
Intenta a additare scenari giudicati «catastrofici»,
frutto solo dossessivi paraocchi politici, incapace
di vedere il radioso futuro, i coloriti orizzonti. Sola a
proclamare lo sciopero generale, per un giorno non ancora
precisato, convinta delle proprie analisi e delle proprie
proposte. Eravamo ancora prima dellestate. Quel
giorno è venuto. E oggi. Staremo a vedere come
risponderà allappello il popolo del lavoro, dei
mille lavori. Una cosa però si può dire subito. La
Cgil, semmai è stata sola, oggi non lo è più. Non
intendiamo tirare in ballo i vari movimenti che stanno
dalla sua parte, magari guardati con sospetto da
benpensanti anche di sinistra. Alludiamo ad associazioni
al di sopra dogni sospetto, care a chi è
ossessionato dalla voglia di coccolare i cosiddetti ceti
moderati. Qualche nome? La Confindustria, la
Confcommercio. Sono venute dal loro seno, per ragioni
diverse, voci aspre di condanna e di preoccupazione.
Spesso suggerite dal documento più importante emanato
dal governo onde incidere sulla realtà economico
sociale: la Legge Finanziaria. E la peggiore del
dopoguerra ha sostenuto Antonio DAmato,
infrangendo, magari a malincuore, perché assediato da
imprenditori incattiviti, quel patto di Parma.
E poi hanno parlato i fatti. A
cominciare dalla messa in discussione dellimpero
Fiat con tutte le conseguenze che rischiano di buttar
fuori lItalia dal Club dei Paesi più
industrializzati. Un tracollo a cui il governo
rispondicchia, cercando di trarne qualche vantaggio, e
lasciando fuori dai suoi negoziati, più o meno
sotterranei, addirittura quello che dovrebbe essere il
suo maggior esperto, il responsabile delle cosiddette
attività produttive.
E uno scenario che
dimostra come la Cgil avesse ragione a proclamare quello
sciopero e a mantener fede alla parola data. Ed è un
vero peccato che oggi debbano mancare
allappuntamento la Cisl e la Uil. Anche se siamo
convinti che in qualche modo saranno presenti. Lo saranno
con molti dirigenti e lavoratori delle due organizzazioni
che non saranno assenti dallimpegno, non faranno i
crumiri. Questo soprattutto per un fatto: nello sciopero
generale non ci saranno le loro sigle, ma ci saranno
molte delle loro ragioni, molti motivi delle proteste
spesso riproposte in questi giorni.
Le ragioni del Sud, del
Mezzogiorno dimenticato, le ragioni dei contratti da fare
e che fanno a pugni con le cifre della Finanziaria, le
ragioni dei lavoratori della Fiat e di una politica
industriale sgangherata, le ragioni dei professori, degli
studenti. Non cè, certo, in campo, la difesa di
quel patto con lItalia che Cisl e Uil hanno
firmato. C da chiedersi però, oggi, che cosa
sarebbe accaduto se anche la Cgil, paradossalmente,
avesse firmato quellintesa e si fosse legata le
mani. Quali contraccolpi si sarebbero avuti, ad esempio,
per le forze politiche dopposizione, a cominciare
dallUlivo? E oltretutto quel Patto - con le
briciole che dava per gli ammortizzatori sociali e quel
tanto che chiedeva per il mercato del lavoro, a
cominciare dalle ipoteche sullarticolo diciotto -
sembra sparito. Nessuno lo considera più la panacea di
tutti i mali.
Sciopero generale, dunque, con
motivazioni concrete, forti. Non mancano però coloro che
sostengono, anche in queste ore, scuotendo la testa, che
è uno sciopero inutile. Lo fa, buon ultimo, il mio amico
Antonio Polito, inaugurando il numero zero del suo nuovo
giornale, , uscito in Internet proprio ieri, qualche
giorno prima della prevista apparizione nelle edicole.
Una cantilena già sentita, sempre sentita. Perché
scioperare? A che cosa serve? Che cosa cambia? Devono
averla ascoltata, nel secolo che ci sta alle spalle,
anche tutti quei lavoratori che hanno scioperato,
lottato, magari per ottenere otto ore di lavoro, magari
per ottenere il diritto ad ammalarsi, il diritto a
riunirsi in fabbrica, il diritto a fare un sindacato.
E sempre stato così. Loro scioperavano,
chiedevano, spesso ottenevano. E sempre cera
qualcuno che diceva: . Invece no, sono sempre serviti,
magari a volte solo per dare la sveglia, hanno
accompagnato la vera crescita moderna di un Paese, quella
vera, non quella fasulla. Hanno dato fiato e speranze a
chi non si accontenta di guardare, aspettare e votare
ogni quattro anni. Oggi, in fondo, il sindacato torna a
fare il suo mestiere. Non il mestiere di una
corporazione, ma di un soggetto politico autonomo. Torna
ad avanzare possibili vie duscita alla crisi che
mette in gioco i destini di tante persone e a dire la
verità: il re è nudo, urgono rimedi.
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