La sinistra
e lantiamericanismo
I
PACIFISTI VERI (E I MOLTI FALSI)
Secondo
Piero Sansonetti ( lUnità ,
5 ottobre), con il no di Ds, Verdi, Rifondatori,
eccetera allinvio degli alpini in Afghanistan
«un pezzo consistente della società italiana ha
trovato rappresentanza in Parlamento», quella parte
di società che, a dire di Sansonetti, coinvolge
milioni di persone e che si riconosce nel
«pacifismo». Se così è, del «pacifismo»
conviene occuparsi. Coloro che si definiscono
pacifisti per lo più si adontano quando i loro
avversari li accusano di essere, in realtà, degli
antiamericani mascherati. Dovrebbero riflettere sul
fatto che il richiamo allantiamericanismo non
è solo un espediente polemico: è anche un modo per
ricondurre la loro posizione alla politica, renderla
suscettibile di lettura attraverso categorie
politiche. E questa la differenza fra
lantiamericanismo e il pacifismo. Il primo è
una posizione politica che, in quanto tale, si
colloca dentro la storia e i suoi conflitti, è
opinabile e contestabile come lo è qualsiasi
posizione politica ma possiede anche una sua
riconoscibile «razionalità». Il pacifismo, invece,
se davvero autentico, non possiede alcuno di questi
caratteri, si colloca fuori dalla storia, rappresenta
una fuga dal principio di realtà.
Lantiamericanismo è espressione di una
radicale ostilità alla società americana e alla sua
posizione nel mondo. Là dove gli altri vedono
«valori» (quelli della civiltà liberale di cui
lAmerica è il Paese-leader) gli antiamericani
vedono «disvalori». A quei «disvalori»
contrappongono altri, diversi, «valori». Non
cè nulla di impolitico in tutto ciò. La
storia è precisamente fatta di conflitti fra
proponenti di valori mutualmente alternativi, di
visioni contrapposte dellordine politico
«equo». Essendo una posizione che sta ben dentro la
storia, lantiamericanismo non è contrario in
ogni circostanza alluso della forza, della
violenza. Combatte le guerre «della» America, ma
non le guerre «alla» America o ai suoi alleati (ha
applaudito e plaude ai vietcong, ai palestinesi,
eccetera) e pensa che con lattentato alle Twin
Towers gli Stati Uniti abbiano cominciato a pagare
per i loro crimini.
Di tuttaltra pasta è il pacifismo. Si badi che
per «pacifismo» non si intende qui lamore per
la pace che è proprio di qualsiasi persona possieda
il ben dellintelletto. Per pacifismo si intende
il cosiddetto «pacifismo assoluto», il rifiuto
delluso della forza, sempre, in qualunque
circostanza. Quando non è la testimonianza, in
questo caso eroica, di un singolo individuo pronto
anche a farsi uccidere in nome del suo rifiuto
delluso della forza, quando pretende di
diventare posizione «pubblica», di incidere sulla
politica degli Stati, il pacifismo rivela la sua
inconsistenza intellettuale, dalla quale discende
lincapacità di fare i conti con le
responsabilità che la storia impone. Peggio ancora,
da posizione moralmente ammirabile quando è
limpolitica testimonianza del singolo pronto a
pagare di persona, senza coinvolgere nessun altro nel
suo sacrificio, diventa una posizione moralmente
perversa quando pretende che siano gli altri a
subirne le conseguenze. Nel 1936 i pacifisti
applaudirono al mancato intervento militare francese
contro la decisione di Hitler di militarizzare la
Renania in violazione degli accordi di pace. Ma
quellintervento, se ci fosse stato, avrebbe
ritardato lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
E opportuno chiedere oggi allAmerica di
non procedere unilateralmente contro lIraq, di
continuare ad operare attraverso una vasta alleanza
internazionale. E certo però che se Saddam
Hussein accoglierà le richieste dellOnu ciò
mostrerà, ancora una volta, linconsistenza
politica del pacifismo. Poiché, se egli cederà, lo
farà solo perché posto di fronte a una credibile
minaccia di guerra. Fuga dalla realtà,
impoliticità, ambiguità morale, caratterizzano il
pacifismo assoluto. Ciò spiega perché siano così
rari i pacifisti autentici e così numerosi quelli
fasulli.
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Una folla di
giovani, nel centro di Torino dalla mattina ...
Una folla
di giovani, nel centro di Torino dalla mattina alla
sera e poi ancora oggi, per tutta la giornata.
«Cinquantamila persone - dice Ernesto Olivero,
fondatore del Sermig (Servizio missionario giovani),
promotore delliniziativa -. Per il 90% ragazzi
e ragazze: partecipi, attenti, sereni, senza neanche
il bisogno di un servizio dordine». Sono
arrivati dal Piemonte, da tutta Italia, ma anche da
Africa, Medio Oriente, America latina, per il primo
appuntamento mondiale Giovani della Pace. Presenti
anche delegazioni della Juventus e del Torino. Ai
giocatori Alessandro Del Piero e Luca Bucci venerdì
era stata affidata una bandiera della pace perché
oggi la portino in campo. «Da quattro anni lavoriamo
a questo appuntamento - spiega Olivero -, nella
convinzione che gli adulti debbano imparare ad
ascoltare i giovani. Altrimenti non cè
futuro».
Musica, cibo multietnico, interventi. Sul palco
allestito in piazza San Carlo salgono
larcivescovo di Torino, Severino Poletto, il
sindaco della città, Sergio Chiamparino, lo stesso
Olivero: «Siamo una minima parte rispetto
alluniverso dei giovani, ma siamo decisi a non
lasciare le cose come le abbiamo trovate». La parola
va a otto ragazzi, per una volta al posto di otto
grandi, che raccontato «il mondo che vorremmo».
Senza conflitti. Inevitabile il riferimento alle
attuali vicende irachene.
«Già qualche settimana fa - aggiunge Olivero -
abbiamo proposto un documento per dire: mai più
guerra. E sostenere il potenziamento dellOnu».
In questa due giorni è stato simbolicamente
«adottato» il conflitto arabo-israeliano. E
per questo che il presidente palestinese Yasser
Arafat e quello israeliano Moshe Katzav saranno i
primi a ricevere il «Mondo che vorrei», documento
finale di questo appuntamento, che sarà stilato oggi
da 40 delegazioni di ragazzi di tutto il pianeta.
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Timori per
il futuro del partito alla manifestazione di Firenze
contro la guerra
Quercia
in piazza, sfilano i fedelissimi del segretario
DAL NOSTRO
INVIATO
FIRENZE - Cè un rassicurante quantitativo di
bandiere rosse, ci sono certi che lo salutano alla
vecchia maniera, con il pugno chiuso, e altri che
invece battono le mani e fischiano. Ma sono fischi di
festa, affettuosi. Non si capisce bene dove arrivi la
coda del corteo, però lui, Piero Fassino, che è
pure il più alto di tutti, capisce subito che la
gente è venuta, che i militanti hanno risposto. E
che, insomma, non è solo.
Manifestazione indetta dai Ds per protestare contro
ogni guerra ben prima che lUlivo andasse in
frantumi alla Camera, dividendosi sul voto che
consentirà agli alpini di partire per
lAfghanistan. «Ma, proprio per questo,
manifestazione importante per misurare subito, a
caldo, lumore della base», dicono, un po
spavaldi, gli uomini del Botteghino. In verità,
tutti avrebbero fatto a meno di questa uscita
pubblica, sebbene si riveli, dopo pochi passi, un
piccolo grande successo personale del segretario. Al
quale la maggior parte dei manifestanti rende omaggio
«per il coraggio avuto nel prendere una decisione
difficile, perché di questi tempi ci vuole coraggio
per dire sì all'Onu e no alla guerra preventiva».
Quando parlano, non sono tuttavia pochi i militanti
che chinano la testa. Un po è il rammarico per
lUlivo «che, a questo punto, praticamente non
cè più». Un po, come dice Alessandro
Lo Presti, segretario cittadino del partito, «è per
la posizione di Fassino, che è sì, corretta, ma
anche assai rischiosa». Assai. «E sì, perché il
poveretto non deve solo guardarsi da Rutelli, ma
anche dai nostri dirigenti più importanti, tutta
gente che invece di stargli accanto, e dargli forza,
sè messa a fare distinguo, a prendere
posizione, a farsi venire le crisi di coscienza».
La sensazione precisa, entrati sfilando in piazza
Duomo, è che bene abbia fatto la dirigenza del
partito a non venire: quelli che escono dai bar, che
si affacciano alle finestre, la signora che lascia la
carrozzina e va a chiedere - «è il mio segretario,
o no?» - un autografo, ecco tutti sembrano nutrire
per Fassino, ora più di prima, qualcosa che se non
è affetto, almeno è solidarietà. «Ma come fa a
comandare in un partito dove ci sono i
"riformisti di centro", quelli del
"Correntone" e dove adesso spuntano fuori
pure quelli che dicono di essersi messi
daccordo in un albergo?». E un altro: «Ma
sì, camminerà pure un po storto, ma
lunico a tenere politicamente la schiena
diritta è lui». Lui se ne accorge. «Guarda la
faccia: quando Piero si mette quella faccia, vuol
dire che è contento», dice a bassa voce uno del suo
staff.
Se comunque si escludono le smorfie di «pura
soddisfazione» sfoggiate da Fassino, il corteo
procede piuttosto mestamente. Non un coro si alza,
non un canto, fino in piazza della Repubblica. Qui
migliaia di persone e il palco. Comizio conclusivo e
facce note. Dietro al sindaco Leonardo Domenici,
cè lo scrittore Tiziano Terzani. Poi
lattore Paolo Hendel, poi ancora il vignettista
Sergio Staino. Daria Colombo, storica organizzatrice
dei «girotondi» milanesi, si avvicina a Fassino:
«Tieni duro». Lui va verso il microfono con i suoi
passi un po ciondolanti, ma sereno. E comincia
a parlare, con un tono nemmeno troppo da comizio, da
segretario che urla la linea. Piuttosto, usa toni
pacati, quasi cerchi di spiegarsi.
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Invito degli
Usa agli americani in Italia: evitare i cortei
sullIraq, sono a rischio
Evitare le
manifestazioni di piazza sullIraq, possono
degenerare. Linvito, rivolto dalle autorità di
Washington agli americani che si trovano in Italia,
«rientra nel regime di cautela e prudenza
raccomandato ai cittadini allestero». La
raccomandazione è stata diramata attraverso un
«sistema di avviso» che sfrutta, per lo più, la
posta elettronica e lambasciata degli Stati
Uniti di via Veneto a Roma ha precisato che non ha
«alcun legame» con larresto dei tre egiziani
ad Anzio che avevano in casa due chili di tritolo e
la cartina del cimitero anglo-americano di Nettuno.
In America hanno suscitato allarme anche le lettere,
inviate ad alcuni corrispondenti stranieri a Roma,
firmate con la stella a cinque punte delle Brigate
Rosse. La Digos ritiene però che siano state scritte
da mitomani.
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global,
Firenze «impacchettata» Monumenti
«blindati» per il Social Forum. I Servizi: altissima
possibilità di scontri
DAL
NOSTRO INVIATO FIRENZE - Latmosfera non sarà
certamente quella di Porto Alegre, ma lobiettivo è
che non si trasformi in una nuova Genova.
Lappuntamento in Brasile del febbraio scorso non
prevedeva manifestazioni di dissenso, ma «costruzione di
un percorso di pace». Qui a Firenze è già stato
organizzato un corteo contro la guerra e le previsioni
parlano di almeno 80.000 persone che il 9 novembre
sfileranno per le strade. «Dimenticare il G8», è la
parola dordine di chi sta pianificando le misure di
prevenzione in vista del Forum europeo che si terrà dal
6 al 10 novembre in una delle città darte più
importanti del mondo, che ha già messo a punto un
sistema per proteggere, fra laltro, i suoi
monumenti. Per adesso si cerca il dialogo, la mediazione
con chi sarà in piazza, affinché si riesca a non
militarizzare la città. Non lo vuole il prefetto Achille
Serra e soprattutto non lo vuole il ministro
dellInterno Giuseppe Pisanu «perché Firenze sarà
per quattro giorni sotto i riflettori mondiali». I
rischi di una guerriglia urbana ci sono, lo ammettono
anche i leader dei No global. Pericoli che arrivano da
alcuni gruppi stranieri e da quelle formazioni autonome
che hanno deciso di «essere contro sempre e comunque»,
ma non solo. Schiacciati dal peso delle indagini e dalle
accuse di voler criminalizzare il movimento, i
responsabili dellordine pubblico cambiano regole e
metodi. A coordinare gli agenti antisommossa non saranno
i capi dei reparti mobili, ma un unico funzionario con il
compito di gestire i circa 1.000 uomini che con scudi e
caschi «blinderanno» il corteo. Resterà a Roma
Vincenzo Canterini, il dirigente della Celere della
capitale sospettato di aver guidato la spedizione
punitiva nella scuola Diaz di Genova. Resteranno nei loro
uffici tutti quei comandanti delle strutture di polizia
giudiziaria che hanno dimostrato di non saper gestire la
piazza in caso di scontri e incidenti. I calcoli precisi
saranno fatti martedì, durante il comitato nazionale
convocato da Pisanu, ma si stima che a Firenze saranno
inviati non meno di 5.000 uomini. Bisogna garantire «il
corretto svolgimento della manifestazione», ma bisogna
rassicurare soprattutto quei cittadini terrorizzati
allidea che la loro città possa essere
«saccheggiata e poi devastata». Perché non basta che
alcuni leader giurino sulle proprie intenzioni pacifiche.
Cè chi ha già annunciato (vedi Casarini) «azioni
violente e assalti alle banche». Cè chi, come i
famigerati Black bloc, si muove in piccoli gruppi con
lunica intenzione di «sfasciare». «Ma qui non
siamo a Genova - avverte Serra - e anche un piccolo
sfregio su un monumento può provocare danni
irreparabili». I monumenti: ecco la nota dolente. Se non
si vuole militarizzare la città facendoli proteggere da
transenne e uomini armati, lunica possibilità - ed
è la prima volta che accade - resta quella di
«impacchettarli». Lidea è venuta ad alcuni
funzionari delle Belle Arti ed è già stata accettata.
Molti «tesori» verranno tutelati con teli e ponteggi,
come se fossero in attesa di restauro. Una misura che
anche il sindaco e il presidente della Regione, grandi
sponsor di questo raduno fiorentino, hanno ritenuto utile
per salvaguardare un patrimonio di valore inestimabile.
Non ci sarà alcuna zona rossa ,
ma i responsabili dellordine pubblico escludono di
poter consentire manifestazioni nel centro storico. E
così il Forum sarà ospitato allinterno della
Fortezza, al Palacongressi e al Palaffari mentre il
corteo dovrebbe attraversare i «viali» per snodarsi
verso le zone di Novoli e delle Cascine. Altro problema
è quello dei negozi. Alcuni commercianti, quelli di
Ponte Vecchio in testa, avevano minacciato quattro giorni
di serrata. «Saremo sotto gli occhi del mondo»,
ripetono al Viminale e per cercare di convincerli ad
aprire regolarmente hanno promesso la vigilanza giorno e
notte, oltre alla «chiusura» di alcune strade e vicoli
dove uneventuale assalto potrebbe provocare una
tragedia. Manca un mese allappuntamento, ma la
macchina organizzativa è già in grande fermento. Mentre
le Ferrovie stilano lelenco dei treni speciali e
del raddoppio dei collegamenti, i consolati precettano il
personale per il sabato e la domenica. Mentre gli
alberghi fanno i conti delle stanze disponibili, Comune e
Regione cercano strutture anche nelle città vicine.
Finora i numeri dellaccoglienza parlano di 7.000
posti letto a pagamento e 2.500 gratis, ma
questultimo numero dovrebbe quantomeno triplicare.
Capitolo a parte resta quello di segnalazioni e
informative che da mesi si accumulano sui tavoli di 007 e
agenti della prevenzione. Così come avvenne prima di
Genova, tutte lanciano allarmi di ogni tipo e di ogni
natura. Tutte paventano «altissimi rischi di scontri e
incidenti». Il vero pericolo sembra comunque
rappresentato da greci e spagnoli: i primi sono anarchici
che si muovono in ordine sparso, gli altri sostengono il
partito basco Batasuna appena disciolto dal governo di
Madrid e al vertice di Porto Alegre hanno deciso di non
firmare il «manifesto per la non violenza». «Vanno
segnalati - avvertono i servizi segreti dei Paesi alleati
- anche i canadesi che non hanno ancora deciso quale
posizione assumere rispetto al raduno europeo». In vista
del G8 genovese i tentativi di bloccare gli stranieri
prima che entrassero in città sono quasi tutti falliti.
Adesso si tenterà di tenerli sotto controllo prima
delleventuale partenza, bloccarli alla frontiera e
respingerli come «indesiderati». Stesso modello di
intervento per gli appartenenti ai centri sociali
italiani che si pongono nellala estrema del
movimento No global: Pinelli e Inmensa di Genova,
Askatasuna di Torino, Officina 99 di Napoli, Cpa di
Firenze collegato a gruppi autonomi di Genova e Napoli
che ha già annunciato di non aderire al Forum europeo.
«Complessivamente - avvertono gli analisti - non saranno
più di 1.000, ma se decideranno di essere davvero contro
le manifestazioni pacifiche organizzate dal movimento, il
loro dissenso rischia di trasformarsi in disastro».
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BOLZANO -
Piazza della Vittoria o piazza della Pace? Oggi ...
BOLZANO -
Piazza della Vittoria o piazza della Pace? Oggi
ottantaduemila bolzanini decidono con un referendum
su un tema che risveglia i fantasmi del nazionalismo.
Ma alla vigilia del voto Forza Italia si è sfilata
dal fronte di piazza Vittoria con il ministro Enrico
La Loggia. «E una questione troppo interna
allAlto Adige perché il ministro esprima una
sua opinione», ha detto La Loggia prendendo così le
distanze, pur senza nominarlo, dal vic presidente del
Consiglio Fini che invece a Bolzano ha tenuto un
affollatissimo comizio in difesa di piazza della
Vittoria ed esponendosi allaccusa di fomentare
il nazionalismo. La Loggia, intervistato dal
quotidiano Alto Adige ,
al giornalista che gli chiedeva di Forza Italia che
si è schierata con An e del rischio di prestarsi
così a «mai sopiti odi etnici», ha risposto con un
«sì, ma proprio per questo la mia opinione è che
bisogna andare oltre queste vecchie questioni, che
pure hanno la loro importanza storica». Insomma, ha
aggiunto il ministro, bisogna «seguire quello che ha
detto il capo dello Stato Ciampi che ha additato il
Trentino Alto Adige a modello di pacifica convivenza,
di ricchezza di civiltà, di capacità di stare
insieme». Così, nel rush finale, Fini è rimasto il
solo rappresentante del governo a battersi a Bolzano
per il monumento alla Vittoria. I ministri di Forza
Italia non si sono fatti vedere nonostante iniziali
annunci che volevano in città Frattini, Urbani, lo
stesso La Loggia per le ultime fasi della campagna
referendaria. «Impegni di governo», hanno spiegato
i dirigenti azzurri locali. Proprio Frattini, che è
il leader locale di Forza Italia, aveva tentato da
Roma, ma fuori tempo massimo, una mediazione. Poi,
con in tasca un sondaggio che dava il successo al
sì, era venuto a Bolzano per dire che Forza Italia
era con An per piazza Della Vittoria. «Abbiamo
lavorato da soli. Alcuni dei partiti del centrodestra
non hanno fatto niente», ha commentato Giorgio
Holzmann, presidente provinciale di An.
Chi vincerà? Ulivo e Svp sono fiduciosi nel successo
di piazza della Pace. An ha invaso i quartieri
popolari italiani di volantini per dire che
lSvp, nonostante le smentite, non si fermerà a
piazza Vittoria. Vuol cambiare altri nomi. Così,
dicono i volantini, via Dante, via Milano, via Roma
sono «le prossime della lista».
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Casarini e
Caruso, blitz a Venezia e in Campania. I radicali:
fermateli
Disobbedienti,
occupati consolato e sede Nato
Una
trentina di disobbedienti guidati da Luca Casarini
che arrivano dal Canal Grande a bordo di
imbarcazioni, entrano con una scala nel consolato
britannico e lo occupano per un paio di ore. Mentre a
mille chilometri di distanza, i «Disobbedienti della
Campania» di Francesco Caruso superano la rete di
recinzione e fanno irruzione nella struttura dismessa
della Nato a Montevergine, in Irpinia. Non solo
cortei e slogan nella giornata contro la guerra
organizzata in tutta in Italia e in Europa dai Social
Forum. A Venezia e in Campania vanno in scena due
esempi di quelle che proprio Casarini, lo scorso
luglio, aveva chiamato «azioni di conflitto» da
affiancare a convegni e dibattiti («Occupazioni,
azioni contro le banche della guerra, organizzazione
di reti di sovversione sociale»).
E ieri Casarini ha così spiegato il blitz al
consolato britannico: «Abbiamo violato leggi di
guerra per far rispettare le leggi
dellumanità. Abbiamo il diritto e il dovere di
rischiare, di metterci in gioco, di disobbedire
perché la testimonianza è importante ma non è
sufficiente». Dopo larrivo del console i
manifestanti hanno lasciato ledificio.
Allinterno della base Nato di Montevergine,
invece, i no global hanno attaccato striscioni e
scritto con la vernice slogan contro la guerra.
Allesterno della base sono rimasti altri
manifestanti insieme al parlamentare di Rifondazione
Giovanni Russo Spena e don Vitaliano Della Sala.
Dura la reazione del segretario radicale Daniele
Capezzone allazione di Casarini: «Ora basta».
Mentre il leader verde Alfonso Pecoraro Scanio, che
in un primo momento aveva detto che Casarini «va
neutralizzato», dopo aver avuto notizie più precise
sulla manifestazione veneziana, ha precisato che «si
conferma, fortunatamente, la vocazione non violenta
del movimento».
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IRAQ
Al vaglio la proposta francese che dilata i tempi di un
intervento armato
Gli
Usa cercano un compromesso
al Consiglio di sicurezza dell'Onu
NEW YORK, 5.
Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno cercando un
compromesso con gli altri membri del Consiglio di
sicurezza dell'Onu sulla risoluzione che dovrebbe
autorizzare un attacco militare in Iraq. Il punto di
incontro potrebbe essere la proposta francese, che
prevede una prima risoluzione che imponga un nuovo regime
per le ispezioni, ed un eventuale secondo testo che
autorizzi all'uso della forza se Bagdad dovesse mostrarsi
inadempiente.
Il Segretario di Stato Usa, Colin Powell, ha detto di
"continuare a ritenere che una sola
risoluzione", sull'invio degli ispettori e sul
ricorso alla forza sia "la soluzione migliore".
Tuttavia, ha aggiunto, "comprendiamo la posizione di
chi preferisce due risoluzioni e siamo in contatto con
loro". Le parole di Powell, che ha avuto contatti
telefonici con il Segretario generale delle Nazioni
Unite, Kofi Annan, con il Ministro degli esteri
britannico, Jack Straw, e con il Capo della diplomazia
russa, Igor Ivanov, secondo alcuni osservatori sarebbero
la indiretta conferma di una disponibilità americana a
cambiare rotta.
Ieri intanto il Capo degli esperti Onu sul disarmo, Hans
Blix, si è recato a Washington per colloqui al
Dipartimento di Stato. Al termine degli incontri Blix ha
sottolineato che "c'è ampio sostegno a favore di
una nuova risoluzione sull'invio degli ispettori in
Iraq". Da parte sua Annan ha rilevato che gli
esperti dovrebbero partire dopo una nuova
"dura" risoluzione, come chiesto da Bush, ma
non "unica", come auspicato dalla Francia.
Meno disponibile sembra invece la Russia, secondo la
quale una nuova risoluzione non serve, tanto meno un
testo dai toni ultimativi. La posizione di Mosca è stata
ribadita ieri in termini espliciti dal Viceministro degli
esteri Iuri Fedotov. "Non è necessaria una nuova
risoluzione per l'Iraq poiché quelle esistenti sono
sufficienti" a garantire l'efficacia del lavoro
degli ispettori dell'Onu, ha detto Fedotov. Nelle stesse
ore al Cremlino il Presidente Vladimir Putin rendeva nota
una dichiarazione congiunta con il Capo di Stato cileno,
Ricardo Lagos, nella quale Mosca ribadiva di concordare
sull'importanza "di garantire l'assenza di qualsiasi
arma di distruzione di massa in Iraq", ma
sottolineava al contempo la necessità di permettere
"al più presto possibile" la ripresa delle
ispezioni internazionali agli arsenali di Bagdad. Secondo
Putin la missione può cominciare immediatamente attuando
"pienamente le risoluzioni" già approvate.
(©L'Osservatore
Romano - 6 Ottobre 2002)
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05.10.2002
Trentamila
a Firenze con Fassino: «Ulivo, nessuno può fare da
solo»
di Ninni Andriolo
FIRENZE - «Ho
avanzato una proposta semplice che è possibile
realizzare subito: l'assemblea dei deputati e dei
senatori dell'Ulivo. L'assemblea, cioè, di tutti coloro
che rappresentano la nostra gente, i nostri elettori».
La prima manifestazione del dopo voto che ha mandato in
frantumi il centrosinistra porta quindicimila fiorentini
a sfilare per le vie del centro, da piazza Indipendenza
fino a piazza della Repubblica dove si tiene il comizio
di Piero Fassino. I Ds si mobilitano per la pace e
all'indomani del dibattito parlamentare sull' Afghanistan
il tema non può certo archiviare le divisioni sull'invio
degli alpini che hanno rigettato l'Ulivo nella tempesta.
Cosa pensa il popolo diessino delle scelte compiute dal
suo gruppo dirigente nazionale e dalla gran parte dei
suoi parlamentari giovedì scorso? Di quel «no»
pronunciato dalla Quercia al Senato prima e alla Camera
dopo? Il presidente della sinistra giovanile, Stefano
Fancelli, prende la parola prima di Fassino. Dice che è
«orgoglioso della posizione assunta dal partito» e
dalla piazza sale un applauso lungo e convinto. Oggi,
qui, non ci sono i «professori» fiorentini dei tanti
cortei dell'opposizione «fai da te» al governo della
destra. Ma sul palco sale Daria Colombo, la leader dei
girotondini milanesi, che abbraccia il segretario della
Quercia ripetendo «Piero tieni duro», due, tre, quattro
volte. Il voto che ha diviso la Margherita, lo Sdi e
l'Udeur dai Ds, dai verdi, dal Pdci? Segna il punto
d'arrivo di una crisi profonda, spiega Fassino durante il
suo comizio, ma deve rappresentare l'occasione per un
nuovo inizio, per una salutare ripartenza. L'assemblea
nazionale dei deputati e dei senatori dell'Ulivo, quindi.
«In quella sede - ripete il segretario della Quercia -
si compia l'atto di nascita del nuovo Ulivo, si faccia il
bilancio di un anno di opposizione, si individuino le
priorità attorno alle quali caratterizzare le prossime
battaglie, si definiscano gli strumenti e i tempi per
costruire il programma, si decidano le forme della
rappresentanza di un Ulivo che dovrà essere una
coalizione unita, coesa e solida e non più soltanto una
sommatoria di partiti». In quell'assemblea, spiega
Fassino, si dovranno discutere le regole e si dovrà
affrontare anche il tema dei portavoce unici per il
Senato e per la Camera. Ci sono concetti che Fassino
ripete sempre, in ogni incontro, in ogni iniziativa, in
ogni intervista. Pronunciati adesso, però, all'indomani
delle lacerazioni sull'Afghanistan, assumono un
significato preciso, suonano come monito diretto a quegli
alleati che accarezzano l'idea di ridisegnare i confini
dell'Ulivo magari sfrondandolo, potandolo di rami che
considerano d'impaccio. Se qualcuno pensa a strategie
diverse - nelle zone centrali dell'alleanza o magari
nella zona sinistra della coalizione e degli stessi Ds -
Fassino avverte che «lavorare per un centrosinistra
forte e unito è una scelta irreversibile». Il
segretario della Quercia non nomina mai l'interlocutore
al quale si riferisce. Ma usa parole che a buon
intenditore dovrebbero apparire chiare. Chiede agli
alleati «di avere la stessa determinazione e la stessa
convinzione nostra nel costruire un Ulivo capace di
corrispondere alla domande della gente che
rappresentiamo». E avverte chi nella Margherita pensasse
il contrario che «non ci può essere un centrosinistra
forte senza una sinistra riformista forte» perché «la
tesi secondo la quale per rifondare un Ulivo vincente e
per aprire una pagina nuova forse sarebbe meglio avere
una sinistra più debole, o che consideri esaurita la
propria funzione, è sbagliata del tutto». Rilanciare
l'Ulivo, quindi. Anzi rifondarlo. Come? Con quali regole?
Con quali programmi? Con quali gruppi dirigenti? Prima di
Firenze il segretario della Quercia era stato ospite del
convegno di Orvieto dei liberal-ulivisti guidati da
Enrico Morando. Da lì Fassino aveva lanciato alcune idee
legate al merito della discussione aperta dalla proposta
di un'assemblea dei senatori e dei deputati del
centrosinistra che dovrebbe tenersi entro la settimana
prossima. E se alcuni esponenti della Margherita avevano
detto sì all'incontro condizionando la sua riuscita ad
un voto finale e se, di converso, Verdi e Pdci avevano
posto il problema della tutela delle minoranze, il
segretario Ds spiega - al di là della scadenza da lui
stessa proposta - che le decisioni dell'alleanza dovranno
essere assunte superando «il principio del consenso
unanime perché questo regala un diritto di veto». Ma
così come «è evidente che noi non possiamo avere un
Ulivo retto dalla sola regola del consenso unanime»,
deve essere chiaro anche che «non possiamo dire che si
vota a maggioranza tout-court». E questo perché «ci
sono materie in cui si può votare a maggioranza e altre
dove la discussione è più complessa. Bisogna ricercare
il consenso e, nella coalizione, vanno tutelate le
opinioni», di tutti, anche delle forze più deboli. Una
cosa è certa: «occorre superare l'idea dell'unanimità
sempre» e in ogni caso. Ma al convegno di Orvieto
Fassino ha parlato anche dei Ds, della dialettica
maggioranza-minoranza, dell'impronta riformista del
partito sancita a Pesaro. Primo messaggio inviato alla
minoranza berlingueriana: l'intento di tenere uniti i Ds
non sarà a scapito della linea decisa al congresso. «Il
compito di chi dirige un partito - sostiene il segretario
dei Ds - è costruire le condizioni perché sia unito.
Non ho il feticcio dell'unità ma non ne sottovaluto il
valore». Questa unità, per Fassino, «non può essere a
scapito di un profilo riformista chiaro e netto e di una
collocazione dentro l'alleanza dell'Ulivo» perché
questi «sono due parametri che non possono essere messi
in discussione». «Oggi bisogna avere uno scatto in
più», aggiunge il leader della Quercia per il quale il
congresso di Pesaro «non un talmud ma una bussola, un
profilo da confermare e rendere più netto e visibile».
Appuntamento alla prossima direzione Ds quindi, quella
già convocata per il 14 ottobre. Sarà l'occasione,
ripete Fassino, per un chiarimento politico sull'azione
dei Ds. Parole che puntano a rassicurare l'ala
liberal-ulivista che nei giorni scorsi, dopo il voto
sull'Afghanistan, aveva stigmatizzato uno spostamento a
sinistra dei vertici della Quercia e una marcata distanza
delle scelte Ds dalla linea sancita a Pesaro. L'Ulivo non
si rimette in discussione, quindi. E, nuovo messaggio
alla minoranza, «sarebbe un errore tragico se i Ds
pensassero di essere una forza autosufficiente» nel
senso di poter superare l'attuale alleanza di
centrosinistra per una aggregazione con le altre forze
della sinistra.
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05.10.2002
Calderoli,
vicepresidente del Senato, Lega Nord: «Pacifisti uguale
terroristi e barboni»
di red.
Pacifisti
uguale terroristi. Manifestanti uguale capelloni poco
abituati alla pulizia. Studenti in piazza solo per
saltare una giornata di scuola. Insomma, «marmaglia» se
volessimo seguire il vicepresidente del senato, il
leghista Roberto Calderoli. «Temo che dietro il finto
pacifismo si nasconda la peggior violenza, quella del
terrorismo» ha detto Calderol, comme commentando la
manifestazione contro la guerra in Iraq che si è svolta
sabato a Milano e alla quale hanno partecipato i
movimenti pacifist oltre a numerosi esponenti politici.
«Guardando le immagini della
manifestazione pacifista - ha detto Calderoli - sembra di
vedere la riedizione del '68. Accanto ai no-global e
altra similare marmaglia hanno sfilato anche esponenti di
partiti politici presenti in Parlamento. C'è una
differenza, però, rispetto ad allora: a fianco di
individui che ancora una volta avrebbero bisogno di un
buon parrucchiere e una maggior consuetudine con la
pulizia, sono del tutto assenti i lavoratori». Secondo
il vicepresidente del Senato: «La gente che lavora,
infatti, ha capito che per avere una vera politica
sociale e quindi di sinistra c'è stato bisogno di un
governo di centrodestra e soprattutto della presenza
della Lega Nord».
«Accanto ai barboni - ha
commentato Calderoli - si sono visti solo studenti che in
ogni epoca non disdegnano mai qualsiasi occasione per
poter saltare un giorno di scuola e far cagnara. Peraltro
non riesco a capire se chi ha manifestato oggi lo ha
fatto per la pace e contro la guerra oppure a favore del
terrorismo e quindi per la guerra più vigliacca e infame
che ci sia. Temo infatti che dietro il finto pacifismo di
oggi si nasconde la peggiore violenza, quella del
terrorismo».
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