La sinistra e l’antiamericanismo

I PACIFISTI VERI (E I MOLTI FALSI)

Secondo Piero Sansonetti ( l’Unità , 5 ottobre), con il no di Ds, Verdi, Rifondatori, eccetera all’invio degli alpini in Afghanistan «un pezzo consistente della società italiana ha trovato rappresentanza in Parlamento», quella parte di società che, a dire di Sansonetti, coinvolge milioni di persone e che si riconosce nel «pacifismo». Se così è, del «pacifismo» conviene occuparsi. Coloro che si definiscono pacifisti per lo più si adontano quando i loro avversari li accusano di essere, in realtà, degli antiamericani mascherati. Dovrebbero riflettere sul fatto che il richiamo all’antiamericanismo non è solo un espediente polemico: è anche un modo per ricondurre la loro posizione alla politica, renderla suscettibile di lettura attraverso categorie politiche. E’ questa la differenza fra l’antiamericanismo e il pacifismo. Il primo è una posizione politica che, in quanto tale, si colloca dentro la storia e i suoi conflitti, è opinabile e contestabile come lo è qualsiasi posizione politica ma possiede anche una sua riconoscibile «razionalità». Il pacifismo, invece, se davvero autentico, non possiede alcuno di questi caratteri, si colloca fuori dalla storia, rappresenta una fuga dal principio di realtà. L’antiamericanismo è espressione di una radicale ostilità alla società americana e alla sua posizione nel mondo. Là dove gli altri vedono «valori» (quelli della civiltà liberale di cui l’America è il Paese-leader) gli antiamericani vedono «disvalori». A quei «disvalori» contrappongono altri, diversi, «valori». Non c’è nulla di impolitico in tutto ciò. La storia è precisamente fatta di conflitti fra proponenti di valori mutualmente alternativi, di visioni contrapposte dell’ordine politico «equo». Essendo una posizione che sta ben dentro la storia, l’antiamericanismo non è contrario in ogni circostanza all’uso della forza, della violenza. Combatte le guerre «della» America, ma non le guerre «alla» America o ai suoi alleati (ha applaudito e plaude ai vietcong, ai palestinesi, eccetera) e pensa che con l’attentato alle Twin Towers gli Stati Uniti abbiano cominciato a pagare per i loro crimini.
Di tutt’altra pasta è il pacifismo. Si badi che per «pacifismo» non si intende qui l’amore per la pace che è proprio di qualsiasi persona possieda il ben dell’intelletto. Per pacifismo si intende il cosiddetto «pacifismo assoluto», il rifiuto dell’uso della forza, sempre, in qualunque circostanza. Quando non è la testimonianza, in questo caso eroica, di un singolo individuo pronto anche a farsi uccidere in nome del suo rifiuto dell’uso della forza, quando pretende di diventare posizione «pubblica», di incidere sulla politica degli Stati, il pacifismo rivela la sua inconsistenza intellettuale, dalla quale discende l’incapacità di fare i conti con le responsabilità che la storia impone. Peggio ancora, da posizione moralmente ammirabile quando è l’impolitica testimonianza del singolo pronto a pagare di persona, senza coinvolgere nessun altro nel suo sacrificio, diventa una posizione moralmente perversa quando pretende che siano gli altri a subirne le conseguenze. Nel 1936 i pacifisti applaudirono al mancato intervento militare francese contro la decisione di Hitler di militarizzare la Renania in violazione degli accordi di pace. Ma quell’intervento, se ci fosse stato, avrebbe ritardato lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
E’ opportuno chiedere oggi all’America di non procedere unilateralmente contro l’Iraq, di continuare ad operare attraverso una vasta alleanza internazionale. E’ certo però che se Saddam Hussein accoglierà le richieste dell’Onu ciò mostrerà, ancora una volta, l’inconsistenza politica del pacifismo. Poiché, se egli cederà, lo farà solo perché posto di fronte a una credibile minaccia di guerra. Fuga dalla realtà, impoliticità, ambiguità morale, caratterizzano il pacifismo assoluto. Ciò spiega perché siano così rari i pacifisti autentici e così numerosi quelli fasulli.

Una folla di giovani, nel centro di Torino dalla mattina ...

Una folla di giovani, nel centro di Torino dalla mattina alla sera e poi ancora oggi, per tutta la giornata. «Cinquantamila persone - dice Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio missionario giovani), promotore dell’iniziativa -. Per il 90% ragazzi e ragazze: partecipi, attenti, sereni, senza neanche il bisogno di un servizio d’ordine». Sono arrivati dal Piemonte, da tutta Italia, ma anche da Africa, Medio Oriente, America latina, per il primo appuntamento mondiale Giovani della Pace. Presenti anche delegazioni della Juventus e del Torino. Ai giocatori Alessandro Del Piero e Luca Bucci venerdì era stata affidata una bandiera della pace perché oggi la portino in campo. «Da quattro anni lavoriamo a questo appuntamento - spiega Olivero -, nella convinzione che gli adulti debbano imparare ad ascoltare i giovani. Altrimenti non c’è futuro».
Musica, cibo multietnico, interventi. Sul palco allestito in piazza San Carlo salgono l’arcivescovo di Torino, Severino Poletto, il sindaco della città, Sergio Chiamparino, lo stesso Olivero: «Siamo una minima parte rispetto all’universo dei giovani, ma siamo decisi a non lasciare le cose come le abbiamo trovate». La parola va a otto ragazzi, per una volta al posto di otto grandi, che raccontato «il mondo che vorremmo». Senza conflitti. Inevitabile il riferimento alle attuali vicende irachene.
«Già qualche settimana fa - aggiunge Olivero - abbiamo proposto un documento per dire: mai più guerra. E sostenere il potenziamento dell’Onu». In questa due giorni è stato simbolicamente «adottato» il conflitto arabo-israeliano. E’ per questo che il presidente palestinese Yasser Arafat e quello israeliano Moshe Katzav saranno i primi a ricevere il «Mondo che vorrei», documento finale di questo appuntamento, che sarà stilato oggi da 40 delegazioni di ragazzi di tutto il pianeta.

Timori per il futuro del partito alla manifestazione di Firenze contro la guerra

Quercia in piazza, sfilano i fedelissimi del segretario

DAL NOSTRO INVIATO
FIRENZE - C’è un rassicurante quantitativo di bandiere rosse, ci sono certi che lo salutano alla vecchia maniera, con il pugno chiuso, e altri che invece battono le mani e fischiano. Ma sono fischi di festa, affettuosi. Non si capisce bene dove arrivi la coda del corteo, però lui, Piero Fassino, che è pure il più alto di tutti, capisce subito che la gente è venuta, che i militanti hanno risposto. E che, insomma, non è solo.
Manifestazione indetta dai Ds per protestare contro ogni guerra ben prima che l’Ulivo andasse in frantumi alla Camera, dividendosi sul voto che consentirà agli alpini di partire per l’Afghanistan. «Ma, proprio per questo, manifestazione importante per misurare subito, a caldo, l’umore della base», dicono, un po’ spavaldi, gli uomini del Botteghino. In verità, tutti avrebbero fatto a meno di questa uscita pubblica, sebbene si riveli, dopo pochi passi, un piccolo grande successo personale del segretario. Al quale la maggior parte dei manifestanti rende omaggio «per il coraggio avuto nel prendere una decisione difficile, perché di questi tempi ci vuole coraggio per dire sì all'Onu e no alla guerra preventiva».
Quando parlano, non sono tuttavia pochi i militanti che chinano la testa. Un po’ è il rammarico per l’Ulivo «che, a questo punto, praticamente non c’è più». Un po’, come dice Alessandro Lo Presti, segretario cittadino del partito, «è per la posizione di Fassino, che è sì, corretta, ma anche assai rischiosa». Assai. «E sì, perché il poveretto non deve solo guardarsi da Rutelli, ma anche dai nostri dirigenti più importanti, tutta gente che invece di stargli accanto, e dargli forza, s’è messa a fare distinguo, a prendere posizione, a farsi venire le crisi di coscienza».
La sensazione precisa, entrati sfilando in piazza Duomo, è che bene abbia fatto la dirigenza del partito a non venire: quelli che escono dai bar, che si affacciano alle finestre, la signora che lascia la carrozzina e va a chiedere - «è il mio segretario, o no?» - un autografo, ecco tutti sembrano nutrire per Fassino, ora più di prima, qualcosa che se non è affetto, almeno è solidarietà. «Ma come fa a comandare in un partito dove ci sono i "riformisti di centro", quelli del "Correntone" e dove adesso spuntano fuori pure quelli che dicono di essersi messi d’accordo in un albergo?». E un altro: «Ma sì, camminerà pure un po’ storto, ma l’unico a tenere politicamente la schiena diritta è lui». Lui se ne accorge. «Guarda la faccia: quando Piero si mette quella faccia, vuol dire che è contento», dice a bassa voce uno del suo staff.
Se comunque si escludono le smorfie di «pura soddisfazione» sfoggiate da Fassino, il corteo procede piuttosto mestamente. Non un coro si alza, non un canto, fino in piazza della Repubblica. Qui migliaia di persone e il palco. Comizio conclusivo e facce note. Dietro al sindaco Leonardo Domenici, c’è lo scrittore Tiziano Terzani. Poi l’attore Paolo Hendel, poi ancora il vignettista Sergio Staino. Daria Colombo, storica organizzatrice dei «girotondi» milanesi, si avvicina a Fassino: «Tieni duro». Lui va verso il microfono con i suoi passi un po’ ciondolanti, ma sereno. E comincia a parlare, con un tono nemmeno troppo da comizio, da segretario che urla la linea. Piuttosto, usa toni pacati, quasi cerchi di spiegarsi.

Invito degli Usa agli americani in Italia: evitare i cortei sull’Iraq, sono a rischio

Evitare le manifestazioni di piazza sull’Iraq, possono degenerare. L’invito, rivolto dalle autorità di Washington agli americani che si trovano in Italia, «rientra nel regime di cautela e prudenza raccomandato ai cittadini all’estero». La raccomandazione è stata diramata attraverso un «sistema di avviso» che sfrutta, per lo più, la posta elettronica e l’ambasciata degli Stati Uniti di via Veneto a Roma ha precisato che non ha «alcun legame» con l’arresto dei tre egiziani ad Anzio che avevano in casa due chili di tritolo e la cartina del cimitero anglo-americano di Nettuno. In America hanno suscitato allarme anche le lettere, inviate ad alcuni corrispondenti stranieri a Roma, firmate con la stella a cinque punte delle Brigate Rosse. La Digos ritiene però che siano state scritte da mitomani.

global, Firenze «impacchettata»

Monumenti «blindati» per il Social Forum. I Servizi: altissima possibilità di scontri

DAL NOSTRO INVIATO FIRENZE - L’atmosfera non sarà certamente quella di Porto Alegre, ma l’obiettivo è che non si trasformi in una nuova Genova. L’appuntamento in Brasile del febbraio scorso non prevedeva manifestazioni di dissenso, ma «costruzione di un percorso di pace». Qui a Firenze è già stato organizzato un corteo contro la guerra e le previsioni parlano di almeno 80.000 persone che il 9 novembre sfileranno per le strade. «Dimenticare il G8», è la parola d’ordine di chi sta pianificando le misure di prevenzione in vista del Forum europeo che si terrà dal 6 al 10 novembre in una delle città d’arte più importanti del mondo, che ha già messo a punto un sistema per proteggere, fra l’altro, i suoi monumenti. Per adesso si cerca il dialogo, la mediazione con chi sarà in piazza, affinché si riesca a non militarizzare la città. Non lo vuole il prefetto Achille Serra e soprattutto non lo vuole il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu «perché Firenze sarà per quattro giorni sotto i riflettori mondiali». I rischi di una guerriglia urbana ci sono, lo ammettono anche i leader dei No global. Pericoli che arrivano da alcuni gruppi stranieri e da quelle formazioni autonome che hanno deciso di «essere contro sempre e comunque», ma non solo. Schiacciati dal peso delle indagini e dalle accuse di voler criminalizzare il movimento, i responsabili dell’ordine pubblico cambiano regole e metodi. A coordinare gli agenti antisommossa non saranno i capi dei reparti mobili, ma un unico funzionario con il compito di gestire i circa 1.000 uomini che con scudi e caschi «blinderanno» il corteo. Resterà a Roma Vincenzo Canterini, il dirigente della Celere della capitale sospettato di aver guidato la spedizione punitiva nella scuola Diaz di Genova. Resteranno nei loro uffici tutti quei comandanti delle strutture di polizia giudiziaria che hanno dimostrato di non saper gestire la piazza in caso di scontri e incidenti. I calcoli precisi saranno fatti martedì, durante il comitato nazionale convocato da Pisanu, ma si stima che a Firenze saranno inviati non meno di 5.000 uomini. Bisogna garantire «il corretto svolgimento della manifestazione», ma bisogna rassicurare soprattutto quei cittadini terrorizzati all’idea che la loro città possa essere «saccheggiata e poi devastata». Perché non basta che alcuni leader giurino sulle proprie intenzioni pacifiche. C’è chi ha già annunciato (vedi Casarini) «azioni violente e assalti alle banche». C’è chi, come i famigerati Black bloc, si muove in piccoli gruppi con l’unica intenzione di «sfasciare». «Ma qui non siamo a Genova - avverte Serra - e anche un piccolo sfregio su un monumento può provocare danni irreparabili». I monumenti: ecco la nota dolente. Se non si vuole militarizzare la città facendoli proteggere da transenne e uomini armati, l’unica possibilità - ed è la prima volta che accade - resta quella di «impacchettarli». L’idea è venuta ad alcuni funzionari delle Belle Arti ed è già stata accettata. Molti «tesori» verranno tutelati con teli e ponteggi, come se fossero in attesa di restauro. Una misura che anche il sindaco e il presidente della Regione, grandi sponsor di questo raduno fiorentino, hanno ritenuto utile per salvaguardare un patrimonio di valore inestimabile. Non ci sarà alcuna zona rossa , ma i responsabili dell’ordine pubblico escludono di poter consentire manifestazioni nel centro storico. E così il Forum sarà ospitato all’interno della Fortezza, al Palacongressi e al Palaffari mentre il corteo dovrebbe attraversare i «viali» per snodarsi verso le zone di Novoli e delle Cascine. Altro problema è quello dei negozi. Alcuni commercianti, quelli di Ponte Vecchio in testa, avevano minacciato quattro giorni di serrata. «Saremo sotto gli occhi del mondo», ripetono al Viminale e per cercare di convincerli ad aprire regolarmente hanno promesso la vigilanza giorno e notte, oltre alla «chiusura» di alcune strade e vicoli dove un’eventuale assalto potrebbe provocare una tragedia. Manca un mese all’appuntamento, ma la macchina organizzativa è già in grande fermento. Mentre le Ferrovie stilano l’elenco dei treni speciali e del raddoppio dei collegamenti, i consolati precettano il personale per il sabato e la domenica. Mentre gli alberghi fanno i conti delle stanze disponibili, Comune e Regione cercano strutture anche nelle città vicine. Finora i numeri dell’accoglienza parlano di 7.000 posti letto a pagamento e 2.500 gratis, ma quest’ultimo numero dovrebbe quantomeno triplicare. Capitolo a parte resta quello di segnalazioni e informative che da mesi si accumulano sui tavoli di 007 e agenti della prevenzione. Così come avvenne prima di Genova, tutte lanciano allarmi di ogni tipo e di ogni natura. Tutte paventano «altissimi rischi di scontri e incidenti». Il vero pericolo sembra comunque rappresentato da greci e spagnoli: i primi sono anarchici che si muovono in ordine sparso, gli altri sostengono il partito basco Batasuna appena disciolto dal governo di Madrid e al vertice di Porto Alegre hanno deciso di non firmare il «manifesto per la non violenza». «Vanno segnalati - avvertono i servizi segreti dei Paesi alleati - anche i canadesi che non hanno ancora deciso quale posizione assumere rispetto al raduno europeo». In vista del G8 genovese i tentativi di bloccare gli stranieri prima che entrassero in città sono quasi tutti falliti. Adesso si tenterà di tenerli sotto controllo prima dell’eventuale partenza, bloccarli alla frontiera e respingerli come «indesiderati». Stesso modello di intervento per gli appartenenti ai centri sociali italiani che si pongono nell’ala estrema del movimento No global: Pinelli e Inmensa di Genova, Askatasuna di Torino, Officina 99 di Napoli, Cpa di Firenze collegato a gruppi autonomi di Genova e Napoli che ha già annunciato di non aderire al Forum europeo. «Complessivamente - avvertono gli analisti - non saranno più di 1.000, ma se decideranno di essere davvero contro le manifestazioni pacifiche organizzate dal movimento, il loro dissenso rischia di trasformarsi in disastro».

BOLZANO - Piazza della Vittoria o piazza della Pace? Oggi ...

BOLZANO - Piazza della Vittoria o piazza della Pace? Oggi ottantaduemila bolzanini decidono con un referendum su un tema che risveglia i fantasmi del nazionalismo. Ma alla vigilia del voto Forza Italia si è sfilata dal fronte di piazza Vittoria con il ministro Enrico La Loggia. «E’ una questione troppo interna all’Alto Adige perché il ministro esprima una sua opinione», ha detto La Loggia prendendo così le distanze, pur senza nominarlo, dal vic presidente del Consiglio Fini che invece a Bolzano ha tenuto un affollatissimo comizio in difesa di piazza della Vittoria ed esponendosi all’accusa di fomentare il nazionalismo. La Loggia, intervistato dal quotidiano Alto Adige , al giornalista che gli chiedeva di Forza Italia che si è schierata con An e del rischio di prestarsi così a «mai sopiti odi etnici», ha risposto con un «sì, ma proprio per questo la mia opinione è che bisogna andare oltre queste vecchie questioni, che pure hanno la loro importanza storica». Insomma, ha aggiunto il ministro, bisogna «seguire quello che ha detto il capo dello Stato Ciampi che ha additato il Trentino Alto Adige a modello di pacifica convivenza, di ricchezza di civiltà, di capacità di stare insieme». Così, nel rush finale, Fini è rimasto il solo rappresentante del governo a battersi a Bolzano per il monumento alla Vittoria. I ministri di Forza Italia non si sono fatti vedere nonostante iniziali annunci che volevano in città Frattini, Urbani, lo stesso La Loggia per le ultime fasi della campagna referendaria. «Impegni di governo», hanno spiegato i dirigenti azzurri locali. Proprio Frattini, che è il leader locale di Forza Italia, aveva tentato da Roma, ma fuori tempo massimo, una mediazione. Poi, con in tasca un sondaggio che dava il successo al sì, era venuto a Bolzano per dire che Forza Italia era con An per piazza Della Vittoria. «Abbiamo lavorato da soli. Alcuni dei partiti del centrodestra non hanno fatto niente», ha commentato Giorgio Holzmann, presidente provinciale di An.
Chi vincerà? Ulivo e Svp sono fiduciosi nel successo di piazza della Pace. An ha invaso i quartieri popolari italiani di volantini per dire che l’Svp, nonostante le smentite, non si fermerà a piazza Vittoria. Vuol cambiare altri nomi. Così, dicono i volantini, via Dante, via Milano, via Roma sono «le prossime della lista».

Casarini e Caruso, blitz a Venezia e in Campania. I radicali: fermateli

Disobbedienti, occupati consolato e sede Nato

Una trentina di disobbedienti guidati da Luca Casarini che arrivano dal Canal Grande a bordo di imbarcazioni, entrano con una scala nel consolato britannico e lo occupano per un paio di ore. Mentre a mille chilometri di distanza, i «Disobbedienti della Campania» di Francesco Caruso superano la rete di recinzione e fanno irruzione nella struttura dismessa della Nato a Montevergine, in Irpinia. Non solo cortei e slogan nella giornata contro la guerra organizzata in tutta in Italia e in Europa dai Social Forum. A Venezia e in Campania vanno in scena due esempi di quelle che proprio Casarini, lo scorso luglio, aveva chiamato «azioni di conflitto» da affiancare a convegni e dibattiti («Occupazioni, azioni contro le banche della guerra, organizzazione di reti di sovversione sociale»).
E ieri Casarini ha così spiegato il blitz al consolato britannico: «Abbiamo violato leggi di guerra per far rispettare le leggi dell’umanità. Abbiamo il diritto e il dovere di rischiare, di metterci in gioco, di disobbedire perché la testimonianza è importante ma non è sufficiente». Dopo l’arrivo del console i manifestanti hanno lasciato l’edificio.
All’interno della base Nato di Montevergine, invece, i no global hanno attaccato striscioni e scritto con la vernice slogan contro la guerra. All’esterno della base sono rimasti altri manifestanti insieme al parlamentare di Rifondazione Giovanni Russo Spena e don Vitaliano Della Sala.
Dura la reazione del segretario radicale Daniele Capezzone all’azione di Casarini: «Ora basta». Mentre il leader verde Alfonso Pecoraro Scanio, che in un primo momento aveva detto che Casarini «va neutralizzato», dopo aver avuto notizie più precise sulla manifestazione veneziana, ha precisato che «si conferma, fortunatamente, la vocazione non violenta del movimento».

IRAQ Al vaglio la proposta francese che dilata i tempi di un intervento armato

Gli Usa cercano un compromesso
al Consiglio di sicurezza dell'Onu


NEW YORK, 5.
Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno cercando un compromesso con gli altri membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu sulla risoluzione che dovrebbe autorizzare un attacco militare in Iraq. Il punto di incontro potrebbe essere la proposta francese, che prevede una prima risoluzione che imponga un nuovo regime per le ispezioni, ed un eventuale secondo testo che autorizzi all'uso della forza se Bagdad dovesse mostrarsi inadempiente.
Il Segretario di Stato Usa, Colin Powell, ha detto di "continuare a ritenere che una sola risoluzione", sull'invio degli ispettori e sul ricorso alla forza sia "la soluzione migliore". Tuttavia, ha aggiunto, "comprendiamo la posizione di chi preferisce due risoluzioni e siamo in contatto con loro". Le parole di Powell, che ha avuto contatti telefonici con il Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, con il Ministro degli esteri britannico, Jack Straw, e con il Capo della diplomazia russa, Igor Ivanov, secondo alcuni osservatori sarebbero la indiretta conferma di una disponibilità americana a cambiare rotta.
Ieri intanto il Capo degli esperti Onu sul disarmo, Hans Blix, si è recato a Washington per colloqui al Dipartimento di Stato. Al termine degli incontri Blix ha sottolineato che "c'è ampio sostegno a favore di una nuova risoluzione sull'invio degli ispettori in Iraq". Da parte sua Annan ha rilevato che gli esperti dovrebbero partire dopo una nuova "dura" risoluzione, come chiesto da Bush, ma non "unica", come auspicato dalla Francia.
Meno disponibile sembra invece la Russia, secondo la quale una nuova risoluzione non serve, tanto meno un testo dai toni ultimativi. La posizione di Mosca è stata ribadita ieri in termini espliciti dal Viceministro degli esteri Iuri Fedotov. "Non è necessaria una nuova risoluzione per l'Iraq poiché quelle esistenti sono sufficienti" a garantire l'efficacia del lavoro degli ispettori dell'Onu, ha detto Fedotov. Nelle stesse ore al Cremlino il Presidente Vladimir Putin rendeva nota una dichiarazione congiunta con il Capo di Stato cileno, Ricardo Lagos, nella quale Mosca ribadiva di concordare sull'importanza "di garantire l'assenza di qualsiasi arma di distruzione di massa in Iraq", ma sottolineava al contempo la necessità di permettere "al più presto possibile" la ripresa delle ispezioni internazionali agli arsenali di Bagdad. Secondo Putin la missione può cominciare immediatamente attuando "pienamente le risoluzioni" già approvate.

(©L'Osservatore Romano - 6 Ottobre 2002)

05.10.2002
Trentamila a Firenze con Fassino: «Ulivo, nessuno può fare da solo»
di Ninni Andriolo

FIRENZE - «Ho avanzato una proposta semplice che è possibile realizzare subito: l'assemblea dei deputati e dei senatori dell'Ulivo. L'assemblea, cioè, di tutti coloro che rappresentano la nostra gente, i nostri elettori». La prima manifestazione del dopo voto che ha mandato in frantumi il centrosinistra porta quindicimila fiorentini a sfilare per le vie del centro, da piazza Indipendenza fino a piazza della Repubblica dove si tiene il comizio di Piero Fassino. I Ds si mobilitano per la pace e all'indomani del dibattito parlamentare sull' Afghanistan il tema non può certo archiviare le divisioni sull'invio degli alpini che hanno rigettato l'Ulivo nella tempesta. Cosa pensa il popolo diessino delle scelte compiute dal suo gruppo dirigente nazionale e dalla gran parte dei suoi parlamentari giovedì scorso? Di quel «no» pronunciato dalla Quercia al Senato prima e alla Camera dopo? Il presidente della sinistra giovanile, Stefano Fancelli, prende la parola prima di Fassino. Dice che è «orgoglioso della posizione assunta dal partito» e dalla piazza sale un applauso lungo e convinto. Oggi, qui, non ci sono i «professori» fiorentini dei tanti cortei dell'opposizione «fai da te» al governo della destra. Ma sul palco sale Daria Colombo, la leader dei girotondini milanesi, che abbraccia il segretario della Quercia ripetendo «Piero tieni duro», due, tre, quattro volte. Il voto che ha diviso la Margherita, lo Sdi e l'Udeur dai Ds, dai verdi, dal Pdci? Segna il punto d'arrivo di una crisi profonda, spiega Fassino durante il suo comizio, ma deve rappresentare l'occasione per un nuovo inizio, per una salutare ripartenza. L'assemblea nazionale dei deputati e dei senatori dell'Ulivo, quindi. «In quella sede - ripete il segretario della Quercia - si compia l'atto di nascita del nuovo Ulivo, si faccia il bilancio di un anno di opposizione, si individuino le priorità attorno alle quali caratterizzare le prossime battaglie, si definiscano gli strumenti e i tempi per costruire il programma, si decidano le forme della rappresentanza di un Ulivo che dovrà essere una coalizione unita, coesa e solida e non più soltanto una sommatoria di partiti». In quell'assemblea, spiega Fassino, si dovranno discutere le regole e si dovrà affrontare anche il tema dei portavoce unici per il Senato e per la Camera. Ci sono concetti che Fassino ripete sempre, in ogni incontro, in ogni iniziativa, in ogni intervista. Pronunciati adesso, però, all'indomani delle lacerazioni sull'Afghanistan, assumono un significato preciso, suonano come monito diretto a quegli alleati che accarezzano l'idea di ridisegnare i confini dell'Ulivo magari sfrondandolo, potandolo di rami che considerano d'impaccio. Se qualcuno pensa a strategie diverse - nelle zone centrali dell'alleanza o magari nella zona sinistra della coalizione e degli stessi Ds - Fassino avverte che «lavorare per un centrosinistra forte e unito è una scelta irreversibile». Il segretario della Quercia non nomina mai l'interlocutore al quale si riferisce. Ma usa parole che a buon intenditore dovrebbero apparire chiare. Chiede agli alleati «di avere la stessa determinazione e la stessa convinzione nostra nel costruire un Ulivo capace di corrispondere alla domande della gente che rappresentiamo». E avverte chi nella Margherita pensasse il contrario che «non ci può essere un centrosinistra forte senza una sinistra riformista forte» perché «la tesi secondo la quale per rifondare un Ulivo vincente e per aprire una pagina nuova forse sarebbe meglio avere una sinistra più debole, o che consideri esaurita la propria funzione, è sbagliata del tutto». Rilanciare l'Ulivo, quindi. Anzi rifondarlo. Come? Con quali regole? Con quali programmi? Con quali gruppi dirigenti? Prima di Firenze il segretario della Quercia era stato ospite del convegno di Orvieto dei liberal-ulivisti guidati da Enrico Morando. Da lì Fassino aveva lanciato alcune idee legate al merito della discussione aperta dalla proposta di un'assemblea dei senatori e dei deputati del centrosinistra che dovrebbe tenersi entro la settimana prossima. E se alcuni esponenti della Margherita avevano detto sì all'incontro condizionando la sua riuscita ad un voto finale e se, di converso, Verdi e Pdci avevano posto il problema della tutela delle minoranze, il segretario Ds spiega - al di là della scadenza da lui stessa proposta - che le decisioni dell'alleanza dovranno essere assunte superando «il principio del consenso unanime perché questo regala un diritto di veto». Ma così come «è evidente che noi non possiamo avere un Ulivo retto dalla sola regola del consenso unanime», deve essere chiaro anche che «non possiamo dire che si vota a maggioranza tout-court». E questo perché «ci sono materie in cui si può votare a maggioranza e altre dove la discussione è più complessa. Bisogna ricercare il consenso e, nella coalizione, vanno tutelate le opinioni», di tutti, anche delle forze più deboli. Una cosa è certa: «occorre superare l'idea dell'unanimità sempre» e in ogni caso. Ma al convegno di Orvieto Fassino ha parlato anche dei Ds, della dialettica maggioranza-minoranza, dell'impronta riformista del partito sancita a Pesaro. Primo messaggio inviato alla minoranza berlingueriana: l'intento di tenere uniti i Ds non sarà a scapito della linea decisa al congresso. «Il compito di chi dirige un partito - sostiene il segretario dei Ds - è costruire le condizioni perché sia unito. Non ho il feticcio dell'unità ma non ne sottovaluto il valore». Questa unità, per Fassino, «non può essere a scapito di un profilo riformista chiaro e netto e di una collocazione dentro l'alleanza dell'Ulivo» perché questi «sono due parametri che non possono essere messi in discussione». «Oggi bisogna avere uno scatto in più», aggiunge il leader della Quercia per il quale il congresso di Pesaro «non un talmud ma una bussola, un profilo da confermare e rendere più netto e visibile». Appuntamento alla prossima direzione Ds quindi, quella già convocata per il 14 ottobre. Sarà l'occasione, ripete Fassino, per un chiarimento politico sull'azione dei Ds. Parole che puntano a rassicurare l'ala liberal-ulivista che nei giorni scorsi, dopo il voto sull'Afghanistan, aveva stigmatizzato uno spostamento a sinistra dei vertici della Quercia e una marcata distanza delle scelte Ds dalla linea sancita a Pesaro. L'Ulivo non si rimette in discussione, quindi. E, nuovo messaggio alla minoranza, «sarebbe un errore tragico se i Ds pensassero di essere una forza autosufficiente» nel senso di poter superare l'attuale alleanza di centrosinistra per una aggregazione con le altre forze della sinistra.

05.10.2002
Calderoli, vicepresidente del Senato, Lega Nord: «Pacifisti uguale terroristi e barboni»
di red.

Pacifisti uguale terroristi. Manifestanti uguale capelloni poco abituati alla pulizia. Studenti in piazza solo per saltare una giornata di scuola. Insomma, «marmaglia» se volessimo seguire il vicepresidente del senato, il leghista Roberto Calderoli. «Temo che dietro il finto pacifismo si nasconda la peggior violenza, quella del terrorismo» ha detto Calderol, comme commentando la manifestazione contro la guerra in Iraq che si è svolta sabato a Milano e alla quale hanno partecipato i movimenti pacifist oltre a numerosi esponenti politici.

«Guardando le immagini della manifestazione pacifista - ha detto Calderoli - sembra di vedere la riedizione del '68. Accanto ai no-global e altra similare marmaglia hanno sfilato anche esponenti di partiti politici presenti in Parlamento. C'è una differenza, però, rispetto ad allora: a fianco di individui che ancora una volta avrebbero bisogno di un buon parrucchiere e una maggior consuetudine con la pulizia, sono del tutto assenti i lavoratori». Secondo il vicepresidente del Senato: «La gente che lavora, infatti, ha capito che per avere una vera politica sociale e quindi di sinistra c'è stato bisogno di un governo di centrodestra e soprattutto della presenza della Lega Nord».

«Accanto ai barboni - ha commentato Calderoli - si sono visti solo studenti che in ogni epoca non disdegnano mai qualsiasi occasione per poter saltare un giorno di scuola e far cagnara. Peraltro non riesco a capire se chi ha manifestato oggi lo ha fatto per la pace e contro la guerra oppure a favore del terrorismo e quindi per la guerra più vigliacca e infame che ci sia. Temo infatti che dietro il finto pacifismo di oggi si nasconde la peggiore violenza, quella del terrorismo».

 

 

 

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