La colpa? L'intervista a Scalfaro
sull'incidente col premier
"E' tornata TeleKabul, anzi Tg Soviet. Di Bella ne
risponda"
La Cdl contro il
Tg3:
"Viola la par condicio"
Ma l'opposizione insorge: "In commissione ci
vadano piuttosto
Mimun e Mazza oppure Berlusconi, che ha epurato Biagi e
Santoro"
ROMA - "Silvio
Berlusconi mi ha sbeffeggiato in aula". E' bastata
un'intervista al presidente emerito della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro nel corso del Tg3 della sera a far
insorgere il Polo. Ed è subito TeleKabul, anzi TgSoviet,
nelle feroci critiche della Casa della Libertà che
lamentano "una plateale violazione della par
condicio" e chiedono la testa del suo direttore. Ma
procediamo con ordine.
Tutto nasce ieri al Senato. Scalfaro ha la parola,
Berlusconi non lo ascolta e chiacchiera con altri
senatori. L'ex capo dello Stato lo richiama al silenzio e
il Cavaliere, facendo appello a una mimica
inequivocabile, fa capire che non ci pensa proprio.
L'opposizione stigmatizza il "gesto villano"
mentre la maggioranza minimizza.
Nell'edizione delle 19 il Tg3 sente la vittima
dell'incidente. "Ritengo che Berlusconi non abbia
assolutamente il concetto di cosa è il Parlamento - dice
ai microfoni-, dove si parla, si risponde, si dialoga,
avendo dei pensieri in testa che non sono obbligatori,
sono facoltativi".
Un servizio che non è affatto piaciuto
alla maggioranza, che oggi ne chiede conto. "E'
inaccettabile che la linea editoriale del Tg3 sia fatta
in palese violazione della legge sulla par condicio -
affermano i capigruppo della Cdl - Sembra di essere
ritornati ai tempi di Telekabul con una informazione
sbilanciata verso la sinistra e senza contraddittorio tra
le diverse posizioni".
Aggiunge quindi l'azzurro Barelli, che è membro della
Commissione di Vigilanza Rai, "Tg3? Meglio chiamarlo
Tg Soviet. Da tempo la redazione del Tg3 faceva
informazione a senso unico. Ieri sera si è veramente
arrivati allo scandalo. L'edizione delle 19 ha messo a
segno un 'uno-due' scandaloso: ha permesso al senatore
Scalfaro di insultare e offendere il presidente
Berlusconi, su un caso inesistente e ha dato spazio a
Luciano Violante che ha fatto un capolavoro di
disinformazione sul disegno di legge Cirami raccontando
un sacco di falsità propagandistiche".
Infine Lainati, responsabile della Comunicazione del
gruppo di Forza Italia alla Camera, parla di
"giornalismo scorretto, partigiano e in antitesi con
la missione di un servizio pubblico". Quella del TG3
è, per lui, "una aperta violazione delle delle
normali regole deontologiche: un gruppo di giornalisti
militanti hanno fatto carta straccia in un sol colpo
delle regole del pluralismo e della legge sulla par
condicio".
Adesso, chiedono all'unisono vari esponenti della Cdl, il
direttore del Tg3, Antonio Di Bella, dovrà presto
riferire alla commissione di vigilanza.
Una richiesta contro la quale insorge l'opposizione.
"Vorrei invitare questi noti epigoni della libertà
di stampa del centrodestra - sottolinea il ds Antonello
Falomi - a leggersi i dati diffusi dall'autorità per le
garanzie nelle comunicazioni relativi ai mesi di giugno e
di luglio di quest'anno. Se lo facessero si
accorgerebbero che, a differenza del Tg1 e del Tg2, il
Tg3 offre uno spazio equilibrato a tutte le posizioni
politiche. Credo che se c'è qualcuno da convocare di
fronte alla commissione di vigilanza sono proprio Mimun e
Mazza che oltretutto, a differenza del Tg3, continuano a
perdere ascolti rispetto allo scorso anno".
E a dargli man forte, sempre dai banchi della Quercia,
c'è anche Giuseppe Giulietti: "Le pressioni che la
Cdl sta conducendo in queste ore contro Raitre e Tg3
rappresentano un vero e proprio atto di intimidazione
teso a impedire che sulla questione giustizia possono
esprimersi in piena libertà tutte le voci". E
rilancia:
"In commissione parlamentare di vigilanza non deve
essere convocato il direttore del Tg3 Di Bella, ma il
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che è stato
il mandante dell'eliminazione dal video di Biagi e di
Santoro".
27 settembre 2002
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Vivendi: venduta Telepiù. News Corp:
la firma non c'è ancora
L'accordo dovrà ora essere vagliato dall'Antitrust
europeo
Pay tv italiane
targate Murdoch
Cessione da un miliardo di euro
dal nostro corrispondente GIAMPIERO MARTINOTTI
PARIGI - Vivendi
Universal ha venduto Telepiù alla News Co. di Rupert
Murdoch. Dopo un tira e molla andato avanti per mesi, il
gruppo franco-americano si è liberato di un fardello ed
ha avviato così la politica di dismissioni annunciata
ieri dal suo presidente, Jean-René Fourtou. Murdoch, che
ieri a tarda sera ha negato l'accordo ("la firma non
c'è ancora") sborserà un miliardo di euro, una
cifra inferiore di un terzo a quella che Vivendi sperava
di intascare. Grazie a questa cessione, l'indebitamento
di Vivendi Universal scenderà di 920 milioni di euro.
Un'operazione essenziale, ma non certo determinante,
visto che al 30 giugno scorso Vivendi aveva debiti per
circa 35 miliardi di euro, risultato della dissennata
politica dell'ex presidente, Jean-Marie Messier, al quale
è stata negata qualsiasi indennità di licenziamento.
Ora la parola passa all'Antitrust europeo a meno che non
venga 'rinviata' all'authority italiana. Già nel giugno
scorso il Commissario europeo, Mario Monti, aveva
lasciato chiaramente intendere che il caso dovrà essere
esaminato dai suoi servizi. Non è però automatico che
l'esame antitrust venga eseguito proprio a Bruxelles e
non a Roma, sede dell'Autorità garante della concorrenza
e del mercato italiana. Lo stesso Monti infatti aveva
ricordato che il governo italiano potrebbe domandare alla
Commissione Ue di rinviare l'esame a Roma, all'Autorità
guidata da Giuseppe Tesauro.
Ieri, intanto, Fourtou ha riunito il consiglio di
amministrazione del gruppo per illustrare la sua
strategia, ma molti punti restano ancora poco chiari. Sul
fronte finanziario, dopo aver ottenuto nuovi crediti
dalle banche, i programmi saranno accelerati: il nuovo
obiettivo è di cedere attività per 12 miliardi di euro
in diciotto mesi. La lista delle attività in vendita è
stata resa nota nei dettagli: le filiali straniere di
Canal Plus (fra cui, appunto, Telepiù); le attività di
tlc fuori dalla Francia; filiali internet; stampa ed
editoria; partecipazioni minoritarie; quote di Canal Plus
e di Vivendi Games. Il gruppo dovrebbe essere ricentrato
su due poli: le telecom in Francia, l'intrattenimento
(musica, cinema, tv via cavo) negli Stati Uniti. Ma
Fourtou è rimasto nel vago su alcuni aspetti.
Per quanto riguarda le tlc, le cose sembrano ancora in
movimento. Vivendi controlla solo il 44 per cento di
Cegetel (telefonia fissa e mobile) e vorrebbe superare il
50 per cento per mettere le mani sul cash slow
dell'azienda. Al tempo stesso, Vodafone, socio
minoritario, è disposto a fare un'offerta per comprarsi
la società ed entrare sull'unico grande mercato europeo
dal quale è assente. In un modo o nell'altro,
l'azionariato di Cegetel dev'essere ridisegnato, ma
Fourtou ha rinviato le decisioni a fine anno.
L'unica vera certezza riguarda invece Messier: il
consiglio ha deciso di non dargli neanche un euro. Dopo
lo stipendio di luglio, Messier non ha ricevuto più
niente e gli avvocati stanno trattando. L'ex presidente
ha però deciso di rimanere membro dei consigli di alcune
filiali: "I gettoni di presenza sono forse l'unico
reddito di cui dispone", ha commentato Fourtou.
(26 settembre 2002)
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Dal G7 il ministro dell'economia
replica alle critiche: "Siamo sulla buona direzione,
soprattutto sui conti pubblici" Tremonti: "L'Italia sta
meglio di altri 'grandi' Paesi"
Ma il commissario Solbes sospende il
giudizio: "Non abbiamo ancora esaminato a fondo i
vostri conti"
WASHINGTON - In Italia è al
centro delle polemiche ma dall'America Giulio Tremonti
risponde con un colpo solo a tutte le critiche: "Il
nostro Paese è sulla buona direzione, anche se con
difficoltà; ora bisogna tenere la rotta e andare
avanti". Una dichiarazione che il ministro
dell'Economia ha fatto oggi da Washington dove partecipa
alla riunione del G7. "I numeri usciti - ha
dichiarato - mostrano come l'economia italiana sia in
media con quella europea". Non faremmo affatto
brutta figura nel consesso internazionale, soprattutto
sul fronte dei conti pubblici: "Ci sono Paesi che
vanno meno bene di noi e dal lato dei conti pubblici
siamo messi meglio di altri 'grandi'". Tutto ciò
nonostante le revisioni al ribasso di varie stime che lo
stesso Tremonti ha operato di recente, abbassando la
crescita del Pil a 0,7% per il 2002 e al 2,3 per il 2003,
oltre ad aver rivisto il rapporto deficit-Pil con la
previsione di 1,8-1,9% per il 2002, e di 1,4-1,5% per il
2003. Una dichiarazione che il commissario Ue agli affari
economici, Pedro Solbes, ha preferito non commentare:
"Non abbiamo ancora analizzato a fondo i conti
italiani. Ogni bilancio è diverso e deve essere
esaminato sul paese a cui si riferisce. Sull'Italia - ha
però aggiunto - Bruxelles ha sempre insistito sui
problemi dell'alto debito, della sostenibilità e delle
misure 'una tantum'. La finanziaria sarà discussa
lunedì e allora avremo nuovi dati a disposizione".
In patria, invece, le polemiche non si placano, e Gavino
Angius esorta Silvio Berlusconi a "licenziare"
il ministro dell'economia. "Invece di ingannare
ancora gli italiani con inutili e furbette conferenze
stampa sulla sicurezza - ha dichiarato il capogruppo ds
al Senato - per cercare di distogliere l'attenzione
dell'opinione pubblica dai fallimenti del suo governo,
Berlusconi si preoccupi di impedire che il mago a cui ha
affidato il ministero dell'economia con i suoi
incantesimi porti allo sfascio il nostro Paese. Insomma,
ci liberi da Tremonti" la cui finanziaria avrebbe
l'unico paradossale pregio di aver "scontentato
tutti". (27 settembre 2002)
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Il presidente Usa rilancia il suo
ultimatum all'Iraq
mentre crescono le critiche interne al Congresso
Bush: "O
Saddam si disarma
o saranno gli Usa a farlo"
E in una telefonata Chirac ribadisce la posizione
francese:
"Sì al disarmo ma nella cornice delle Nazioni
Unite"
WASHINGTON - "Non ci sono
negoziati con mister Saddam Hussein, non c'è nulla da
discutere: o lui distrugge i suoi arsenali o gli Stati
Uniti guideranno una coalizione per disarmarlo".
George W. Bush non cambia idea e torna a lanciare un
ultimatum all'Iraq ricordando che "sono 11 anni che
permettiamo a quest'uomo di mentire e ingannarci".
Il presidente degli Stati Uniti ha sottolineato che
bisogna impedire che l'America e i suoi alleati siano
"ricattati con armi di distruzione di massa" e
"bisogna assicurarci che questi dittatori non siano
in grado di addestrare terroristi" su come
utilizzarle.
Bush ha poi ricordato come Washington voglia agire per il
bene delle Nazioni Unite: "Il mio messaggio è che
noi vogliamo il successo di questa organizzazione - ha
detto -. Per garantire la libertà nel 21esimo secolo è
importante avere un'istituzione efficace".
Il presidente si è detto altresì convinto che sia
repubblicani che democratici comprenderanno questa
necessità e, riferendosi ai negoziati per mettere a
punto il testo finale della risoluzione con cui il
Congresso autorizzerà l'uso della forza, ha detto che
"vogliono lavorare con noi per inviare un chiaro
messaggio, una forte risoluzione che definisca una
missione di pace".
Sul versante interno, però, il
dibattito si fa sempre più infuocato. Tra quelli
sicuramente non d'accordo c'è il senatore democratico
Edward Kennedy, che si unisce a quelle di altri
democratici che esprimono dissenso sulla linea della Casa
Bianca. Dopo lo sdegnato discorso di ieri del capogruppo
democratico Tom Daschle - che ha accusato il presidente e
molti dei suoi ministri di "politicizzare" la
questione irachena a fini elettorali - oggi anche Kennedy
ha rotto il suo silenzio lamentando che un attacco
all'Iraq in questo momento può provocare un
contraccolpo, inducendo l'uso di armi di sterminio e
peggiorando la già critica situazione in Mediorioente.
Sul versante internazionale oggi Bush ha parlato con
Jacques Chirac che gli ribadito che il suo governo non si
allontana dalla linea già indicata nei confronti
dell'Iraq, ovvero una strategia in due fasi e un ampio
sostegno alle Nazioni Unite per il disarmo del regime di
Baghdad. "Il presidente - ha detto la portavoce
dell'Eliseo - gli ha ribadito la posizione della Francia
per cui disarmare l'Iraq è necessario, e che deve essere
fatto all'interno di una iniziativa dell'Onu. L'obiettivo
è il ritorno rapido e incondizionato degli ispettori
dell'Onu in Iraq; su questo fronte potrebbe essere utile
una risoluzione semplice e salda, che dimostri l'unità e
la determinazione della comunità internazionale".
(27 settembre 2002)
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Finita la ripresa economica, le
statistiche mostrano le prime conseguenze della
recessione Usa,
33 milioni di poveri Cresce il numero degli indigenti
Le nuove "vittime" sono
famiglie bianche che vivono nelle metropoli del Sud. E
anche il ceto medio è a rischio
di LUCIA MARANI
L'AMERICA si riscopre più povera. I
dati del rapporto 2001 su redditi e povertà pubblicato
ieri dal Census Bureau sono chiari: negli Stati Uniti i
poveri sono 32,9 milioni, 1,3 milioni in più rispetto
all'anno precedente. E per la prima volta in otto anni il
numero degli americani che vivono al di sotto della
soglia di povertà torna a crescere in modo preoccupante.
Il tasso di povertà è infatti aumentato dopo quattro
anni di significativa diminuzione, ed è passato
dall'11,3 per cento del 2000 all'11,7 per cento dell'anno
scorso. Non solo: il rischio sfiora anche le famiglie
appartenenti al ceto medio, il cui reddito medio annuo è
diminuito, passando a 42.228 (circa 42.000 euro) dollari
nel 2001, 934 dollari in meno (il 2,2 per cento) rispetto
all'anno precedente. Secondo l'analisi dell'istituto di
ricerca americano e del suo presidente Daniel Weinberg,
all'origine di questa situazione c'è la recessione
iniziata nel marzo del 2001. -
La crisi ha ridotto i guadagni di
milioni di americani, e il divario tra ricchi e poveri
continua ad aumentare. Una famiglia di quattro persone è
classificata "povera" se la somma di denaro a
disposizione in un anno non supera 18.104 dollari. Più
in dettaglio, ecco quanto "vale" la povertà
delle famiglie secondo le statistiche ufficiali. Le
stime, aggiornate ogni anno per essere adeguate
all'indice dei prezzi al consumo, sono di 14.128 per un
nucleo di tre persone, 11.569 per una coppia sposata e
poco più di 9.000 dollari per un individuo solo. La
crisi, del resto, ha condizionato ampie fasce della
popolazione, e le differenze di razza, provenienza
geografica, classe sociale stavolta non contano, o almeno
non secondo gli schemi tradizionali: stranamente, ha
commentato Weinberg, l'ultima recessione ha colpito più
i bianchi che altri gruppi sociali. Gli estensori del
rapporto hanno lavorato per mesi sulle cifre provenienti
dai cinquanta stati dell'Unione, e alla fine le
statistiche del rapporto presentano una fotografia del
paese per certi versi inedita: i poveri-tipo appartengono
a una famiglia che vive nei quartieri periferici delle
grandi metropoli degli stati del sud, bianca e di origine
non ispanica. La Casa Bianca ha commentato che i
risultati scoraggianti sono, in parte, il risultato di un
rallentamento dell'economia iniziato durante la
presidenza di Bill Clinton. Per il leader dei democratici
al Congresso Richard Gephardt, invece, questi dati sono
il risultato lampante del fallimento della gestione
dell'economia da parte di George W. Bush, accusato di
essere più incline a lamentarsi della gestione del suo
predecessore che di preoccuparsi della situazione
attuale. I democratici insistono perché il Congresso
aumenti la spesa sociale, un'esigenza ritenuta non
pressante dai repubblicani. Il rapporto fornirà
abbondante materiale di scontro tra democratici e
repubblicani, in vista della campagna elettorale per il
rinnovo del Congresso, a novembre. Intanto, in attesa
dello scontro elettorale, per quasi 33 milioni di
americani vale l'amaro risultato evidenziato da Weinberg:
"Il declino è diffuso ovunque".
(26 settembre 2002)
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Il fondatore di Emergency,
l'associazione che ha lanciato
un appello contro l'intervento in Iraq, spiega le sue
ragioni
Perché non
esistono
le guerre necessarie
di GINO STRADA
Caro direttore, ieri Miriam Mafai
scriveva su La Repubblica: "E tuttavia c'è qualcosa
che non mi convince in quell'appello, che io non
firmerò". L'appello in questione è quello di
Emergency, "Fuori l'Italia dalla guerra"
(www.emergency.it). Sarebbe utile discuterne a fondo,
prima di passare alle "dichiarazioni di firma",
perché Miriam Mafai, per la quale ho stima e rispetto,
espone ragioni molto serie e opinioni diffuse sulla
guerra e sulla pace. "Non mi convince il pacifismo
assoluto, di tipo ideologico che lo ispira".
Non credo sia così, almeno per quanto riguarda
Emergency: la scelta della non violenza e della pace
deriva, al contrario, dall'aver avuto a che fare, negli
otto anni di vita della associazione, con più di
trecentomila vittime di guerra che abbiamo operato,
curato, conosciuto. Non dall'ideologia, ma dal vedere sui
tavoli operatori dei nostri ospedali migliaia di esseri
umani straziati da bombe e mine il trenta per cento
bambini - nasce il nostro rifiuto e disgusto per la
guerra. Siamo convinti, perché lo vediamo ogni giorno,
che le vittime siano la prima e forse l'unica verità
della guerra, e che l'alternarsi di governi e dittatori
ne siano soltanto, questi sì, effetti collaterali.
La libertà di cui godiamo è nata dal
bagno di sangue che si è consumato attorno a Stalingrado
e sulle spiagge di Normandia", ha scritto Miriam
Mafai. È vero, è andata così. Ma è indispensabile che
quel bagno di sangue non si ripeta, perché ci lascia
molto amaro in bocca, per usare un eufemismo, una
libertà conquistata e goduta al prezzo di milioni di
morti.
Il mondo non è più lo stesso dopo l'11 settembre, si
sente ripetere da molte parti. Il mondo e la guerra sono
cambiati ben prima. Il 6 agosto 1945, il fungo atomico su
Hiroshima ha fatto svanire centomila esseri umani in un
minuto e ne ha uccisi molti di più nei decenni
successivi. E' stato allora, nello stesso periodo in cui
in Europa le città venivano rase al suolo dai
bombardamenti e si consumava l'Olocausto, che il mondo e
la guerra sono cambiati per sempre.
Per quanto mi sforzi di trovare altre parole per definire
quel momento, una sola mi ritorna in mente, mi pare
adeguata: terrorismo. Da allora, tutte le guerre hanno
assunto sempre più un carattere terrorista. Tremila
esseri umani, tra le macerie del World Trade Center,
hanno tragicamente sperimentato un atto di terrore. Prima
di loro, altri milioni di esseri umani per il 90 per
cento civili ne avevano sperimentati altri, ciascuno il
suo.
Chi è stato bombardato, chi bruciato dal napalm o
soffocato dai gas, chi è finito nei gulag o nei campi di
sterminio, chi è stato fatto a pezzi da un'autobomba e
chi è sparito senza lasciare traccia. Nella lista
infinita delle vittime del terrorismo ci sono anche lo
capiamo bene, se pensiamo a loro come se fossero figli
nostri anche le centinaia di migliaia di bambini iracheni
uccisi dall'embargo nell'ultimo decennio. Il negare loro
la possibilità di essere curati non permettendo l'arrivo
di medicinali è stato, ne siamo convinti, un atto di
terrorismo.
"Non mi convince in primo luogo il discorso di che
mette sullo stesso piano Bin Laden e Bush". Mi
sembra una semplificazione ad effetto, e nulla ha a che
vedere con il testo dell'appello di Emergency. Ma forse
è il caso di fare una precisazione. Resto convinto che
le vittime, cioè gli esseri umani morti e mutilati, non
si possano dividere in cittadini di prima e di seconda
categoria. Credo che un bambino che sparisce nelle Torri
Gemelle valga quanto un bambino afgano che resta ucciso
sotto le bombe. Non vale di meno, ma neanche di più. E
siccome quei bambini mi interessano, entrambi, ho anche
la stessa opinione su chi li ha fatti fuori, l'uno e
l'altro.
"Un pacifismo assoluto (...) se può essere proposto
come valore da uomini di Chiesa, può non reggere alla
dura prova della politica". Questo, mi sembra, è un
altro punto importante della discussione. Mi verrebbe da
dire, da laico quale sono, che forse è proprio il fatto
che i valori e l'etica siano andati da una parte e la
politica da tutt'altra, la causa prima del mondo ingiusto
e violento che è davanti ai nostri occhi, un mondo dove
per molti è "11 settembre" tutto l'anno.
La tesi della "guerra necessaria" per porre
fine a feroci dittature è anche la critica più comune
al movimento per la pace. Anche di ciò si dovrebbe
discutere a lungo. Può darsi che il movimento per la
pace non sia in grado di far cadere un dittatore, ma una
cosa è assolutamente certa, che il movimento per la pace
non ne ha mai creati né aiutati ad imporsi con armi e
fiumi di denaro. Mi piacerebbe, e non credo di essere il
solo, che ci fosse un ampio dibattito su questi temi, ed
è una della ragioni dell'appello di Emergency e delle
iniziative che prenderemo nei prossimi mesi.
Senza dimenticare tuttavia, quando si scrive di
"guerre necessarie" e si fanno paralleli
storici, che ci troviamo una nuova guerra all'orizzonte,
oggi, contro l'Iraq. E che la nuova guerra, più che di
libertà, ha una maledetta puzza di petrolio.
L'autore è il fondatore dell'associazione umanitaria
Emergency
(26 settembre 2002)
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L'eccezione contro la nuova legge del
governo Berlusconi
è stata sollevata in aula da Gherardo Colombo
'Falso in
bilancio incostituzionale'
Pm all'attacco nel processo Sme
Il reato sarebbe perseguito in modo diverso da due
articoli
del codice civile. I legali del premier:
"Inamissibile e infondata"
MILANO - Botta e risposta, in
punto di diritto, tra Procura di Milano e avvocati del
processo Sme. Questa mattina, in aula, è andato
all'attacco il pm Gherardo Colombo sollevando
un'eccezione di legittimità costituzionale della nuova
legge sul falso in bilancio.
Secondo il documento depositato dalla Procura i due
articoli del Codice civile introdotti dalla nuova legge
(2621 e 2622) perseguono in modo differente il reato:
"La disparità di trattamento - ha detto Colombo -
è evidente: il fatto meno grave è procedibile
d'ufficio, quello più grave a querela". Per
Colombo, inoltre, la legge prevede pene non adeguate al
reato e non è in linea con le normative europee.
Netta e immediata la risposta dei difensori di Silvio
Berlusconi che hanno definito la questione di
illegittimità "manifestamente irrilevante,
inammissibile e infondata". Lo hanno sostenuto in
aula al processo stralcio per il falso in bilancio Sme in
corso davanti ai giudici della prima sezione penale del
Tribunale di Milano.
In una pausa dell'udienza l'avvocato
Niccolò Ghedini, uno dei due legali del Presidente del
Consiglio, ha riassunto la sua posizione: "E'
singolare che la Procura della Repubblica si ponga questo
problema, guarda caso in un processo in cui è imputato
Silvio Berlusconi".
Entrando nel merito della questione il legale ha
aggiunto: "Questa legge tutela assolutamente le
problematiche del falso in bilancio perché prevede
sanzioni interdittive e sanzioni pecuniarie che, secondo
me, sono molto più efficaci di una misura cautelare che
poi nel concreto non andava mai applicata. Perché ho
visto pochissime persone andare in galera per il falso il
bilancio".
A dargli man forte Gaetano Pecorella, l'altro difensore
di Berlusconi, che ha dichiarato che "l'eccezione
sollevata dal pm è irrilevante: il presupposto è che
sia chiesta la prescrizione del reato e, in subordine,
che sia sollevata la questione di incostituzionalità. In
questo momento la richiesta di prescrizione non è stata
fatta".
A queste ultime argomentazioni ha replicato Colombo:
"Mi sembra - ha detto - che la richiesta di
prescrizione sia pregiudiziale: io la chiederei se non
dipendesse da una norma che io stesso ritengo
incostituzionale".
Alla fine il Tribunale, chiudendo l'udienza del processo
stralcio, si è riservato di decidere il 26 ottobre, data
della prossima udienza.
(21 settembre 2002)
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Berlusconi inciampa
nell'Europa
di Gian Giacomo Migone
A ben vedere, quella di Berlusconi a Copenhagen, non è
stata una semplice gaffe. O, quantomeno, è stata
una gaffe che ha lasciato il segno, come tutte
quelle del nostro presidente del Consiglio.
Fino al momento in cui egli non aveva annunciato un
«orientamento dellItalia» favorevole ad un
accordo bilaterale con gli Stati Uniti che garantisse
limmunità dei cittadini americani da
incriminazioni per delitti di guerra o contro
lumanità da parte del Tribunale penale
internazionale (perché di questo si tratta), solo la
Romania e Israele si erano impegnate in questo senso. Al
rifiuto della Svizzera si affiancavano un «fin de non
recevoir» di tutti i paesi dellUnione alla
richiesta scritta di Colin Powell e la diffida di Prodi
agli altri paesi candidati, in attesa di una presa di
posizione comune.
Malgrado la successiva marcia indietro, resta il fatto
che il massimo rappresentante di uno dei quattro maggiori
Stati membri, proprio lItalia che ha ospitato e
guidato la conferenza istitutiva del Trattato di Roma,
abbia rotto il fronte unitario europeo, cedendo alle
pressioni di Washington. Quali saranno le conseguenze
sulla posizione complessiva che lUe assumerà al
Consiglio generale del 30 settembre resta da vedere.
È almeno altrettanto grave che in tal modo il nostro
Paese abbia dato una mano a chi negli Stati Uniti vuole
affossare una nobile tradizione di quel Paese, legata
alla legalità e alle istituzioni internazionali, in nome
di un unilateralismo sempre più protervo. Per
lItalia uno strano modo di mostrare la propria
amicizia alla grande democrazia americana, quella di
assecondarne linvoluzione e forse il declino!
Gli Stati Uniti si sono costituiti nel nome di
unopposizione rivoluzionaria al colonialismo
europeo e anche ad un modo di concepire i rapporti
internazionali, fondato su equilibri e contrapposizioni
di ispirazione nazionalistica. È vero che la conquista
talora violenta del proprio continente è il primo ad
affacciarsi al novero delle grandi potenze, alla fine
dellOttocento, con la guerra ispano-americana e le
imprese di Theodore Roosevelt, contraddicono questa
impostazione.
Ma è anche vero che il sostegno al primo tribunale
dellAja, i contributi allevolversi del
diritto internazionale di uomini come Philip Jessup e
Elihu Root (tra laltro di fede repubblicana),
soprattutto il disegno wilsoniano dei 14 punti e della
Società delle Nazioni riprendono lispirazione
originaria, di segno kantiano, della rivoluzione
americana. Unispirazione che non si rassegna al
darwinismo sociale di Spencer, di sopravvivenza del più
forte, o al neoimperialismo navale di Alfred T. Mahan, e
che vuole regolare e organizzare stabilmente i rapporti
internazionali per realizzare un mondo più pacifico. Gli
interventi risolutivi degli Stati Uniti nei due conflitti
mondiali conciliano linteresse nazionale con
obiettivi di interesse generale, guerre «per porre fine
alle guerre» o per «rendere il mondo sicuro per la
democrazia», come a suo tempo si espresse Woodrow
Wilson. Listituzione del Tribunale di Norimberga si
colloca in questa logica. Persino la Guerra fredda fu
condotta in maniera tale da non lacerare questa
tradizione, se si pensa al modo in cui la leadership
americana si sforzò di articolare lo schieramento
occidentale con il Piano Marshall, la Nato e il sostegno
originario al processo di unificiazione europea. Con
laccettazione della sconfitta nella guerra del
Vietnam, determinata dalla forza morale e politica del
fronte interno, oltreché dalla resistenza vietnamita,
gli americani ancora una volta rifiutano una vocazione
per la democrazia imperiale (come la definisce
criticamente Arthur Schlesinger, Jr.) che riprende vigore
dopo il crollo dellUnione Sovietica.
Visto il disorientamento dovuto al venir meno del nemico
di mezzo secolo favorisce il tentativo più ambizioso di
rifondare una politica estera unilaterale, alimentata da
una forza soprattutto (ma non solo) militare
preponderante, che prescinda da alleanze, regole
internazionali e persino dai calcoli della diplomazia,
come dimostra il modo in cui viene progettata la seconda
guerra contro lIrak da parte
dellamministrazione Bush.
Secondo questa logica, trattati internazionali vecchi e
nuovi - che si tratti del trattato antimissili o della
Corte penale internazionale - diventano inutili orpelli
se non ostacoli alliniziativa unilaterale del più
forte, non più secondo un disegno di pax americana
con tutte le sue ambivalenze, ma nel nome di interessi
nazionali, nel senso più crudo ed immediato del termine.
Se la polizia non è al servizio della comunità
internazionale, ma braccio armato della potenza più che
egemone dominante, essa sola può giudicarla ed
eventualmente condannarla. Ne scaturisce una profonda
ripugnanza ideologica oltre che pratica per qualsiasi
forma di giurisdizione che non sia unilateralmente
imposta dagli Stati Uniti dAmerica.
Di fronte a questo tipo di determinazione, che arriva a
minacciare la crisi della Nato nel caso soldati americani
possano essere sottoposti al giudizio della nuova Corte,
le argomentazioni di Silvio Berlusconi - che riprendono
quelle di commentatori come Angelo Panebianco (Corriere
della Sera) ed Aldo Rizzo (La Stampa), senza
per altro spingersi a spostare la posizione di Washington
- assumono il carattere di balbettii giustificatori.
Infatti, Berlusconi afferma che gli Stati Uniti - sono
stati bruciati da una precedente esperienza:
lesclusione dalla «Commissione dei diritti umani»
dellOnu, dove «sedevano tanti Stati che non hanno
dei regimi propriamente democratici».
LItalia poi «ha ceduto il suo posto a
Washington», ma «questo mi porta a capire le loro
perplessità». Per questo «ho insistito affinché
questa situazione non credi una divaricazione tra Europa
e Stati Uniti che si caricano della responsabilità di
intervenire nel mondo; non vorrei che ad un certo punto
venissero fuori delle spinte isolazionistiche (sic)
e si dicesse "ora pensateci voi"».
Stia pur tranquillo Berlusconi ché non sarà il nostro
atteggiamento sulla Corte internazionale a impedire
allamministrazione Bush di intervenire ogni
qualvolta serva a tutelare i suoi interessi e a
giustificare laumento di spese militari che essa
impone ai contribuenti americani. Anche la natura dei
regimi può essere variamente valutata, visto che sono
proprio i cosiddetti Stati canaglie a tenere compagnia
agli Stati Uniti e il rifiuto del Tribunale. E che dire
dellargomento di Panebianco e di Rizzo (che è poi
quello di Washington) secondo cui i soldati americani,
essendo i più impegnati allestero, potrebbero
essere i più esposti alle vendette di un Tribunale non
fosse superpartes? È comprensibile che esso trovi
ascolto nellattuale governo di Roma, perché
assomiglia molto a quanto esso afferma sulla magistratura
italiana.
Perché non ricordare, piuttosto gli episodi del Cermis e
di Okinawa (in cui una giovane donna giapponese fu
stuprata e uccisa da un soldato americano) in cui i
rapporti di amicizia con le popolazioni locali furono
danneggiate in maniera forse permanente perché accordi
internazionali sottrassero i colpevoli alle giurisdizioni
locali? Significa essere amici degli americani, nel senso
di condividerne i valori, favorire la tendenza in atto a
ricreare tanti «uggly americans» (brutti americani) in
giro per il mondo?
Lasciare soli coloro che, negli Stati Uniti, si battono
per la difesa di un immenso patrimonio storico fondato
sulla legalità dei comportamenti sia interni che
internazionali? Siamo alla vigilia dell11
settembre. Non è questo il modo migliore per fare il
gioco degli attentatori?
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D'Alema, l'
"inemendabile" Rina Gagliardi
Ai vertici dellUlivo, Ds e
Margherita, i girotondini in tutta evidenza non
piacciono: li percepiscono come estremisti, anche se
nella realtà sono portatori di istanze semplicemente
democratiche. Li avvertono come "disordine" dei
percorsi "ordinati" (?) della Politica, quella
con la P maiuscola. Li vivono, insomma, come gente che
disturba il manovratore. Perciò, nei loro confronti,
oscillano tra diffidenza e arroganza, tra toni
paternalistici e messaggi di malevolenza. Che dire del
sublime Rutelli quando avverte, dalle colonne della
Repubblica che «i girotondi non bastano»? Se fossi uno
dei promotori della manifestazione del 14 settembre, mi
sentirei alquanto offesa da unosservazione così
ridondante e così banalotta - nemmeno Nanni Moretti (che
pure non scherza quanto a senso donnipotenza di
sé) può aver mai pensato davvero di stare svolgendo una
missione politica risolutiva. Ma che dire, soprattutto,
di Massimo DAlema che, da un altro importante
quotidiano, il Corriere della sera, lancia una specie di
scomunica? ll presidente dei Ds non solo fa sapere che,
lui, il 14 settembre non ci sarà (e questa libertà di
scelta appartiene in effetti agli inalienabili diritti di
ogni persona), ma spiega che, nella sostanza, il
movimento dei *girotondini* aiuta soprattutto il governo
Berlusconi. Finalmente, un po di chiarezza. Manca
solo un avverbio, tante volte detto e nel 900
sentito: oggettivamente. Ma il concetto è proprio quello
lì: la radicalità è sempre complice (appunto
"oggettivamente") del nemico. E chi protesta
troppo fa, "oggettivamente" il gioco dei
padroni. Come dire: DAlema perde il pelo, ma non il
vizio
In realtà, la vera novità di questo ultimo DAlema
a tutto campo è unaltra: la sua adesione ad
unidea espliicitamente neo-autoritaria,
ultradecisionista, quasi schmittiana, della politica.
Nellintervista al Corriere, il leader della Quercia
dichiara testualmente: «Sono così favorevole al sistema
maggioritario che, fosse in me, la legge finanziaria non
dovrebbe essere emendabile». Unaffermazione che ha
dellincredibile, ma che non ha nulla di casuale: è
il punto di arrivo di una cultura politica dove
lassolutizzazione della dimensione del governo si
salda "logicamente" con la rinuncia ad ogni
ottica di classe e con lidea, conseguente, della
neutralità delle «leggi delleconomia». Alla
politica in senso proprio resta solo uno spazio, quello
riservato alle questioni di coscienza, alla morale.
Perché DAlema vorrebbe una finanziaria non
emendabile? Perché, nella visione postcomunista (e nella
sua), la politica sociale ed economica, appunto definita
da questo tipo di legge, è una prerogativa per
eccellenza dellesecutivo, del governo: il quale
deve poter esercitare le sue scelte fuori e oltre ogni
mediazione, e ogni concessione alla logica della
rappresentanza. E perché è concepita come
unoperazione di natura sostanzialmente tecnica, non
connessa cioé a unidea di società, a ideologie
politiche, o a rapporti di classe. In effetti, non è
questa la modalità con la quale i governi di
centrosinistra hanno presentato le loro ultime
finanziarie? Più in generale, la sinistra moderata ha
davvero rotto con la sua storia quando ha assunto il
capitalismo come lunico modo di produzione
possibile. Correggibile, magari, in qualcuna delle sue
storture più gravi, ma pur sempre nella sua essenza
eterno - anzi, "naturale", proprio come le
leggi delleconomia (?). Proprio come le leggi
finanziarie.
Quello di DAlema, in fondo, è un approdo politico
annunciato: un conservatorismo che ha pochissimo di
liberale e ancor meno di democratico. Solo una domanda:
ma da dove gli viene la persuasione, così pertinace e
insistita, di avere «governato bene» quando ha
governato, di essere ancor oggi a a capo di una una
«classe dirigente» credibile, insomma di essere il
migliore? Non è forse vero che, almeno negli ultimi
dieci anni anni, non ne ha azzeccata una?
4 settembre 2002
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Arthur Miller:
«Preghiamo perché Bush non invada l'Iraq»
«Come volete che ci sia un dibattito con dei politici di
questo livello?» Ad intervenire nel dibattito sulla
nuova avventura bellica di Bush è l'86.enne, lucidissimo
e franco, scrittore americano Arthur Miller, intervistato
dal settimanale francese L'express, in edicola
oggi. «Occorre pregare perché Bush non invada l'Iraq,
perché, dal momento in cui l'Air force americana sarà
impegnata da qualche parte, tutti i diritti più
elementari saranno violati, il paese si accoda al
presidente e smette di pensare. E' quello che è successo
l'11 settembre: in nome della lotta al terrorismo,
chiunque osasse avanzare un minimo commento negativo
sulla politica di Bush era immediatamente accusato di
fare il gioco del nemico». Senza mezzi termini, Miller
accusa Bush di portare gli Usa all'isolamento, oltre «ad
aver distrutto il sistema assistenza sociale, le riserve
d'acqua e l'ambiente...» E alla domanda: questo
significa che la democrazia è minacciata negli Usa?
Risponde: «Sì, la democrazia è minacciata
dall'amministrazione Bush». Dopo aver condannato gli
atti di terrorismo, Miller prevede solo cambiamenti in
peggio: «gli Usa diventeranno sempre più reazionari,
meno liberali, meno aperti all'Altro, chiunque sia».
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