Il giornalista agli arresti domiciliari attacca il Guardasigilli
"Ridicole le sue frasi sulle carceri come alberghi di lusso"
Surace contro Castelli:
"Provi lui a stare in carcere"
Ma per il leghista si occupano di lui solo perchè è un giornalista
"Se fosse stato un manovale nessuno se ne sarebbe accorto"

ROMA - "Stia un paio di mesi in prigione, e poi parli". Dalla casa di Napoli dove è agli arresti domiciliari Stefano Surace lancia la sua provocazione al ministro Roberto Castelli, colpevole a suo parere di aver pronunciato, il giorno di Ferragosto, frasi un po' troppo disinvolte sulle condizioni dei detenuti nelle carceri.

Durante la visita al penitenziario di Cagliari il ministro leghista aveva detto che l'attuale regolamento penitenziario è frutto di una visione "utopica", e che l'obiettivo deve essere quello di garantire dignità ai reclusi e non di "farli vivere nel lusso". Parole che non sono piacute a Surace, secondo il quale "Il ministro della Giustizia dovrebbe trascorrere almeno due mesi nei penitenziari italiani per comprendere quello che i detenuti vivono sulla loro pelle: sovraffollamento, vitto pessimo da far star male, abusi di vario tipo".

Quello del giornalista non è solo uno sfogo. Sembra piuttosto l'inizio della campagna da lui stesso annunciata per sensibilizzare l'opionione pubblica sul tema delle garanzie e delle condizioni dei detenuti. "Le affermazioni di Castelli sarebbero ridicole - spiega - se la situazione non fosse tragica".

Tragica ma comunque migliore di trent'anni fa, quando il giornalista firmò la sua prima inchiesta sullo stato delle carceri. "E' vero che oggi le cose sono migliorate molto - dice Surace - ma restano gravissime carenze". Per esempio l'abolizione di fatto dei benefici della legge Gozzini, il sovraffollamento e perfino speculazioni economiche sulla pelle dei detenuti, "costretti a comprare i generi alimentari a prezzi raddoppiati per non rovinarsi lo stomaco".

Almeno per lui, comunque, la tormentata vicenda giudiziaria sembra si stia mettendo bene. "Pare che la grazia sia in arrivo", annuncia Surace, che invece solo due giorni fa aveva detto di non voler accettare un provvedimento di clemenza. "Ora ci ho ripensato - spiega - perché ciò non comporta una ammissione di colpevolezza che non ho alcuna intenzione di fare".

Resta il fatto che l'uomo che quella grazia dovrebbe concederla, e cioè il ministro della Giustizia Castelli, non sembra averlo in particolare simpatia. In una intervista concessa alla Padania dice che Surace è riuscito ad imporre il suo caso "Solo perché è un giornalista. "Se fosse stato un manovale bergamasco - aggiunge il leghista - nessuno si sarebbe accorto di lui". E per quanto riguarda la grazia promette di valutrare il caso nella sostanza, per i fatti così come sono e non perchè Surace è "un uomo della stampa".

(18 agosto 2002)

L'anziano giornalista era in carcere dal 24 dicembre
per tre condanne risalenti a fatti di trent'anni fa
Stefano Surace è fuori dal carcere
Concessi gli arresti domiciliari
"Continuerò a battermi", ha detto appena uscito.
Stasera sarà a Napoli dalla figlia Marina, che ha già chiesto la grazia

MILANO - Stefano Surace è uscito dal carcere. Al giornalista, in prigione dalla vigilia di Natale a causa di una condanna per tre articoli "diffamatori" pubblicati oltre trent'anni fa, sono stati concessi gli arresti domiciliari nella casa napoletana di sua figlia Marina. La stessa figlia che nelle ultime settimane aveva sollevato il caso davanti all'opinione pubblica e presentato una domanda di grazia che il ministero della Giustizia Roberto Castelli promette di "valutare il prima possibile".

Si chiude così la prima puntata di una vicenda divenuta emblematica di una giustizia che, a causa di automatismi senza controllo, può trasformarsi in ingiustizia o addirittura, come dice il segretario del sindacato dei giornalisti, Paolo Serventi Longhi, in una vera e propria "persecuzione". E non è un caso che a favore del settantenne Surace si siano mobilitati politici di ogni colore, primi tra tutti i radicali, che hanno iniziato (e interrotto dopo la notizia di oggi) lo sciopero della fame.

Renato Surace era stato arrestato il 24 dicembre scorso, subito dopo il suo arrivo in Italia da Parigi, città dove viveva dalla fine degli anni Settanta. In Francia è un cittadino di prim'ordine, tanto da guadagnare un'onorificenza del presidente Chirac per "i meriti di sportivo, giornalista, scrittore". Ma per la giustizia italiana no, visto che a suo carico ci sono tre condanne - due per diffamazione a mezzo stampa, una per pubblicaziona oscena - per le quali deve scontare in tutto 2 anni, 6 mesi e 12 giorni.

Così attorno ai polsi del giornalista, a suo tempo fondatore della rivista "Le Ore" e inviato speciale della rivista Abc, erano scattate le manette e si erano aperte le sbarre del carcere di Poggioreale. Non importa se i reati risalgono a più di trent'anni fa, e se almeno uno di essi (la pubblicazione oscena) oggi fa sorridere di fronte a un qualsiasi spot televisivo.

Sul piano formale, lo ammettono subito anche i suoi difensori, nulla da eccepire all'arresto. Le condanne furono inflitte in contumacia (Surace all'epoca era già in Francia), ma è subito evidente quanto il provvedimento cautelare sia "lunare" e fuori tempo.

Ora, dopo la mobilitazione non solo di parenti e amici, ma anche dei politici è arrivata la concessione degli arresti domiciliari, motivata appunto con il fatto che "i reati sono estremamente risalenti nel tempo". Lo stesso magistrato, che ha accolto il parere favorevole espresso dalla procura di Milano, annota che "in carcere Surace ha sempre mantenuto una buona condotta". "Le pratiche erano avviate da giorni - ha aggiunto la direttrice del carcere di Opera, dove Surace era stato trasferito solo pochi giorni fa -, e lui è naturalmente molto contento".

Ma la battaglia non è affatto finita. "le sentenze contro di me sono nulle - ha detto appena uscito dal carcere -, perchè la Convenzione europea dei diritti dell' uomo non consente di condannare qualcuno a sua insaputa, come è successo a me". E altrettanto determinata è sua figlia:"Sono contentissima - dice Marina -, ma la concessione degli arresti domiciliari è stato compiuto solo un passo". Perchè adesso Stefano Surace vuole avere ragione anche nel merito: "Non ci fermeremo - assicura la figlia - finché non sarà scagionato in Tribunale".

(16 agosto 2002)

Milano, è in carcere da mesi per pubblicazione oscena e diffamazione
I radicali sono in sciopero della fame per fargli avere la grazia
Surace, settantenne in prigione
per due articoli degli anni '60
Il Quirinale non è contrario alla grazia, manca il parere di Castelli
di FABRIZIO RAVELLI

MILANO - Cella numero 1, quarto piano, galleria 3, carcere milanese di Opera. Reparto "anziani definitivi". Ieri pomeriggio, quando ha ricevuto visite, Stefano Surace è apparso "provato, ma non accasciato, consapevole dell'ingiustizia che sta subendo, combattivo". Così riferiscono i radicali Daniele Capezzone e Rita Bernardini, che ieri sera hanno cominciato uno sciopero della fame "per aiutare il ministro della Giustizia a esprimere un parere sulla domanda di grazia". Aggiungono che Surace - barba lunga, jeans neri e maglietta blu - era sepolto in un mare di carte. L'hanno appena "tradotto" da Poggioreale, una settimana fa era comparso in manette davanti ai giudici del tribunale di Napoli.

Stefano Surace ha settant'anni suonati. Non è un vecchietto indifeso: l'unica foto in circolazione lo ritrae in kimono bianco, è un maestro di Ju Jitsu (decimo dan Menkyo Kaiden, il grado più elevato al mondo). Viveva da più di trent'anni a Parigi. Jacques Chirac l'ha decorato per i suoi meriti di educatore e creatore di campioni. Questa era la sua vita fino alla vigilia di Natale dell'anno scorso, quando è tornato in Italia per visitare un fratello gravemente malato a Napoli.

Da quel giorno, Stefano Surace si è trasformato nella testimonianza vivente - si fa per dire, visto che sta in galera e non è in buona salute - di come la giustizia italiana possa avere, a sproposito, una memoria infallibile, un'efficienza asburgica, una durezza spietata.

Anche quando - e questo è il caso di Surace - quasi nessuno ricorda più o è in grado di ricostruire con precisione le colpe del condannato. Lui stesso pare faccia una certa fatica a ricordare. Sta in carcere da sette mesi. Deve scontare 2 anni, 6 mesi e 12 giorni. Residuo di pena, per tre condanne che risalgono a trent'anni fa.

Due per diffamazione a mezzo stampa, una per pubblicazione oscena. Condanne inflitte in contumacia. Lui non c'era, era già in Francia. Allora - trent'anni fa, nell'Italia che usciva dal boom - Surace era un giornalista. È stato direttore della rivista "Le Ore" e di "Az", inviato speciale di "Abc", ha fondato un'agenzia che si chiamava "Inchiesta", ha pubblicato un libro sul delitto Pecorelli.

Qualcuno, fra i lettori più anzianotti, si ricorderà "Le Ore" e "Abc". La prima era una rivista semi-porno, ma di un porno che adesso non stuzzicherebbe un ragazzino delle elementari. La seconda mescolava giornalismo d'inchiesta aggressivo - molto, per quei tempi - a un po' di sesso e di anticonformismo. Dopo che l'hanno sbattuto in galera, i legali di Surace hanno provato a capire di che cosa trattassero i processi in questione. Lui stesso ricorda vagamente: "In un articolo denunciavo un abuso commesso da un colonnello dei carabinieri", ha scritto a un quotidiano.

In un altro (era il 30 dicembre del 1966) segnalava i pasticci di bilancio di una cooperativa dei paesi vesuviani.
Quando alla pubblicazione oscena, chissà qual era. Non se la ricorda nemmeno Nicola Cerrato, che oggi è un alto dirigente del ministero di Grazia e Giustizia. Allora era uno dei magistrati anti-pornografia, anzi uno dei più famosi d'Italia: "Ricordo vagamente il nome di Surace. Quelle pubblicazioni avevano direttori che cambiavano in continuazione". Per evitare la galera, cosa che a Surace non riusciva nemmeno allora. Solo che lui, a quei tempi, sfruttò qualche breve periodo in cella per fare inchieste sulla condizione carceraria.

Visitò nove galere italiane: da San Vittore a Poggioreale, fino a Monza, Arezzo, Voghera, Legnano. I suoi reportages fecero scandalo. Lo chiamarono "inviato speciale nel continente carceri". Lui fondò l'Aided ("Associazione italiana cittadini detenuti, ex-detenuti e loro familiari"), il primo "sindacato dei detenuti". Fu fra i protagonisti, a San Vittore, della "rivolta bianca": uno sciopero della fame a singhiozzo, a gruppi di seicento detenuti per volta. Insomma, sarà anche stato un pornografo, ma viveva per il giornalismo vero.

Anche adesso, nella sua cella di Opera piena di carte, forse progetta di scrivere un altro capitolo. Ma prima deve uscire di galera. Formalmente, dicono i difensori, la sua detenzione non fa una grinza. Hanno chiesto l'affidamento ai servizi sociali, il tribunale si è riservato di decidere. Franco Corbelli, del Movimento per i diritti civili, da due mesi si batte per fargli ottenere la grazia. Daniele Capezzone, segretario dei radicali, dice: "Risulta che il presidente Ciampi non è contrario al provvedimento, manca però un parere del ministro della Giustizia Castelli. Ci auguriamo che entrambi facciano al più presto quello che è necessario e possibile. Perché siamo di fronte a un caso di giustizia assassina".

È intervenuto anche Paolo Serventi Longhi, segretario della Federazione della Stampa: "La vicenda di Stefano Surace sta diventando una vera persecuzione nei confronti del giornalista e della famiglia. Non sollevo la questione soltanto perché si tratta di un giornalista ma in quanto questa è l'ordinaria odissea di un cittadino qualunque che non può non suscitare la pena e la rabbia dell'intera collettività".

(8 agosto 2002)

 

 

 

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