DA - LA REPUBBLICA. Il neo segretario della Cigl a Torino
chiede al governo TORINO - L'articolo 18, la
crisi della Fiat, la voglia di ritrovare l'unità
sindacale, gli errori del governo. E la convinzione di
essere nel giusto, supportata dal "milione di
lavoratori scesi in piazza" in tutta Italia. E' su
questi temi che ruota il discorso di Guglielmo Epifani,
neo segretario della Cgil al suo primo importante comizio
a Torino, nel giorno dello sciopero generale della Cgil.
Epifani parla davanti a un tappeto di bandiere tosse, in
piazza San Carlo. "Abbiamo vinto una sfida. Lo
sciopero di oggi e le adesioni in tutta Italia ci dicono
che abbiamo avuto ragione". |
DA - LA REPUBBLICA. Il segretario Epifani:
"Adesioni altissime ovunque" ROMA - "Nelle piazze
c'erano due milioni di persone". Tempo di bilanci
per la Cgil. "Lo sciopero è stato un successo
assolutamente superiore alle attese" annuncia il
sindacato. "Abbiamo vinto la sfida" dice il
segretario generale Guglielmo Epifani. Da Torino,
"centro di gravità" della mobilitazione
generale di otto ore voluta dalla Cgil, Epifani indica
che anche nel resto del Paese ci sono "adesioni
altissime, anche al Sud e a Roma". Tra i settori
più coinvolti la scuola, in cui ha scioperato, secondo
il sindacato, il 45-50% del personale. Mentre nel settore
dei trasporti - urbani, ferroviari, aerei - è stata una
giornata di grandi disagi, vista la notevole adesione
alla protesta. |
DA - LA REPUBBLICA. Per il ministro del Welfare non è
andato oltre la sola Cgil ROMA - Uno sciopero
"modesto" che "non è andato oltre la sola
Cgil". Roberto Maroni, ministro del Welfare, liquida
così la mobilitazione del sindacato di Guglielmo Epifani
che ha portato in piazza milioni di persone (secondo la
Cgil). Silvio Berlusconi si astiene invece da qualunque
commento. "Di questo non parlo", ha detto il
presidente del Consiglio. |
DA - L'UNITA' Palermo, il corteo dello
sciopero passa sotto casa e Giovanni, disoccupato, si
uccide Secondo quanto raccontato dai parenti, luomo era caduto in uno stato depressivo dopo che negli ultimi due anni non era riuscito a trovare unoccupazione stabile. Così, alle 10,45 è salito sul terrazzo situato al terzo piano dello stabile in cui viveva con i genitori, in una modesta abitazione al piano terra in via Padre Cangemi, all'angolo con via Colonna Rotta, e si è lanciato nel vuoto. Nella caduta ha abbattuto con un braccio il faro di un palo dell'energia elettrica e poi si è schiantato sul cofano di un' auto parcheggiata, morendo sul colpo. Giovanni Artisi non ha lasciato nessun biglietto, ma in un giorno come questo il suo gesto contiene già forse troppi significati. |
DA - L'UNITA' 18.10.2002 C'è la delegazione dei
lavoratori della Fiat di Cassino, e uno di loro è il
primo ad intervenire dal palco di piazza Navona.
«Abbiamo raggiunto un'adesione in fabbrica del 70% -
spiega l'esponente Cgil dello stabilimento laziale, Luigi
Risi - che è un risultato notevole, se consideriamo che
come sindacato abbiamo meno del 20% di iscritti fra i
dipendenti, e che le altre organizzazioni avevano
consigliato di non partecipare. E le percentuali di oggi
sono superiori a quelle dello sciopero generale unitario
del 16 aprile. In più a Cassino c'è un corteo di
seimila persone che ha marciato fino allo stabilimento
per manifestare le nostre preoccupazioni sul futuro di
tutti i lavoratori Fiat». Sotto il palco si affaccia timido qualche politico, solidarietà allo sciopero («ma guardiamo ad un domani con i sindacati ancora uniti») e qualche stoccata "inter-coalizione". «Il successo di oggi non è un campanello ma una sirena d'allarme per il centrosinistra perché dimostra che la gente vuole unità nei fatti e non con discussioni sterili», dice il presidente dei Verdi, Pecoraro Scanio. «La riuscita dello sciopero generale renderà più forte la contestazione dell'opposizione alla politica del Governo», afferma l'alleato dell'Ulivo, il capogruppo Ds al Senato, Gavino Angius, e quando qualcuno ricorda «ma non era stato il suo partito che chiedeva di ripensare o rimandare questo sciopero?», la replica suona così: «Ho detto che c'erano mille ragioni per fare questo sciopero e ho chiesto, tanto alla Cgil che a Cisl e Uil, di riflettere. Ma questo è il passato, pensiamo al domani». |
DA - L'UNITA' La protesta si
globalizza, più di 300mila sfilano con i Cobas «Quella di oggi è stata una straordinaria giornata per milioni di lavoratori italiani chiamati alla lotta contro la politica antipopolare e guerrafondaia del governo Berlusconi da Cgil, Cobas e sindacalismo di base» ha dichiarato, Piero Bernocchi, portavoce della Confederazione dei Cobas. Nella scuola, ha proseguito Bernocchi, «mentre quattro giorni fa era miseramente fallito lo sciopero indetto da ben quattro sindacati filogovernativi, oggi oltre il 60% del personale ha scioperato bloccando totalmente migliaia di istituti». E in piazza i Cobas e il sindacalismo di base hanno radunato più di trecentomila lavoratori e lavoratrici in 22 città, con punte di eccellenza a Roma e Milano (50.000 persone in entrambe le piazze), Napoli (30.000), Firenze (20.000), Bologna (15.000), Palermo e Genova». «Nei cortei ha concluso Bernocchi - tutti questi temi si sono fusi armonicamente con il no alla legge neoschiavista Bossi-Fini e con il rifiuto totale della minacciata guerra all'Iraq». |
DA - LIBERAZIONE Sciopero Cgil, Bertinotti: in piazza chi non ne può più "E' il segnale che un pezzo di sindacato, la Cgil, ha ritrovato il rapporto con i lavoratori". Lo ha detto il segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, che partecipa alla manifestazione di Torino. "In piazza ci sono i lavoratori che non ne possono piu' - ha aggiunto - per l'occupazione, come dimostra la vicenda Fiat, per il salario, per la perdita di potere d'acquisto e per l'attacco a un diritto fondamentale come l 'articolo 18. E' importante che la Cgil abbia ritrovato la strada dello sciopero generale. E' una risorsa straordinaria per il paese. Il fatto che gli altri non abbiano scioperato e' peggio per loro, non capiscono che questa e' una vicenda straordinaria. Cosi 'non troveranno la strada per battere Berlusconi" Sciopero generale Cgil, a Palermo in 50 mila Sono 50 mila secondo la Cgil,
tra 25 mila e 30 mila secondo la questura, le persone che
hanno manifestato a Palermo per lo sciopero generale
indetto dal sindacato di Epifani. Da tutta la provincia
una cinquantina di pullman hanno fatto affluire in citta'
soprattutto operai delle fabbriche interessate da
vertenze. Il serpentone dei manifestanti lungo piu' di un
chilometro ha attraversato il quadrilatero che va da via
Liberta' a via Ruggero Settimo fino a via Cavour e via
Roma. Il segretario della Camera del Lavoro di Palermo,
Francesco Cantafia, parla di "successo imprevisto
della manifestazione e delle adesioni che in alcuni casi
hanno toccato il 100%". E' il caso ad esempio dei
Cantieri navali dove e' stata registrata una
partecipazione pressocche' totale, o di realta' delle
telecomunicazione come Lts. Buona viene giudicata
l'adesione anche da parte dei bancari e dei lavoratori
del mondo della scuola. Dal palco ha preso la parola
anche Giovanni Fiandaca, uno degli animatori del
"movimento dei professori" in Sicilia:
"Non possiamo non prendere posizione contro la
manovra di Berlusconi. E un ruolo fondamentale lo devono
giocare anche gli intellettuali e i movimenti della
societa' civile fioriti in tutto il territorio
nazionale", ha detto Fiancada, ex membro del Csm. Il Presidente della Commisisone europea, Romano Prodi, da fan si converte a critico. In un'intervista a "Le Monde" dichiara: «E' stupido e rigido» Crolla, come un santo di creta, uno dei totem degli anni Novanta. Il Patto di stabilità, nel nome del quale si sono scritte alcune delle pagine più terribili dal punto di vista dei tagli al sociale e ai servizi pubblici, viene finalmente messo in discussione. Un attacco che ha come centro motore la il governo tedesco che proprio ieri annunciava «Il nostro deficit è oltre il 3%», ma che dal punto di vista simbolico ha un grande protagonista, Romano Prodi. Non solo perché è l'attuale presidente della Commissione europea, ma anche perché nei fatti e nell'immaginario collettivo è il personaggio che più ha rappresentato la bandiera dell'euro e dei parametri di Maastricht. Come San Paolo, è caduto dal cavallo del mito di Maastricht e, in un'intervista a Le Monde, non ha avuto reticenze né pudori nel dichiarare: «E' stupido come tutte le decisioni rigide». «Il Patto di stabilità - ha ulteriormente rimarcato - è imperfetto perché bisogna avere uno strumento più intelligente e una maggiore flessibilità». Un'ammissione che non è sfuggita alla politica e ai media internazionali tanto da costringere Prodi a un ulteriore chiarimento che, sì è vero, ricorda l'importanza del Patto ma non smentisce le dichiarazioni rilasciate al prestigioso quotidiano francese. «Non possiamo avere un'Europa florida, forte, in crescita - ha sempre detto il presidente della Commissione europea - senza poter aggiustare le sue decisioni in ogni momento». Un'affermazione che coglie sentimenti e umori che viaggiano, da tempo, nel Vecchio continente, anche tra le fila dei poteri forti, che dopo la sbornia neoliberista, invocano un liberismo di stato, una sorta di Keynes a loro uso e consumo, mentre gli Stati quelli meno illuminati ma anche quelli, come il tedesco, che tentano di impostare una nuova linea politica ed economica, ormai premono sull'acceleratore del cambiamento. Dalla Francia, dove il ministro dell'economia e delle finanze, Francis Mer, ha dato ragione a Prodi, alla Germania dove il Frankfurter Allgemeine Zeitung gli ha dedicato ampio spazio, il Patto è nell'occhio del ciclone. Il quotidiano tedesco, in questo caso criticamente, va all'attacco di chi vorrebbe mettere in discussione i criteri su cui si fonda la moneta unica. In un fondo titolato «Fine di un patto» scrive che unendo le loro forze, Schroeder e il presidente Chirac, «assecondati da Berlusconi», ce l'hanno fatta a «scardinare le regole severe per la disciplina di bilancio». Ma a leggere con attenzione tra le righe di Faz si capisce bene perché siamo davanti a una buona, ottima notizia. Quali sono, infatti, per il quotidiano tedesco le ragioni che hanno portato dalla stabilità all'instabilità? Spesa pubblica in primis, seguita a ruota da una «debolezza strutturale» che ha impedito di affrontare i sistemi di sicurezza sociale troppo costosi, la rigidità dei mercati del lavoro, l'eccessiva regolamentazione cui sono soggette le imprese. Esattamente la lista delle questioni che si vogliono difendere con lo sciopero e per le quali si è scioperato anche il 16 aprile, fattore non secondario nell'impedire che la lista del Faz in Italia non sia stata effettivamente distrutta. L'Italia è oggi invece messa sotto accusa, insieme a Germania, Francia e Portogallo da parte di una Banca centrale europea, «molto preoccupata». Nel bollettino mensile della Bce si chiede un'azione tempestiva, risoluta e credibile da parte degli stati che non hanno ancora raggiunto il pareggio di bilancio. Un intervento che sembra stridere con le dichiarazioni di Prodi, anche se il commento della Bce per l'intervista a Le monde è dettata da un forte «aplomb»: «Non pensiamo che la Commissione Ue abbia cambiato posizione sul Patto di stabilità». Intanto il dubbio è innescato e intere costruzioni economiche e politiche vanno a sgretolarsi. In primis quella dell'Ulivo, in particolare dei Ds, che in nome del Patto di stabilità hanno promosso, negli scorsi anni, politiche liberiste e che oggi tentano l'opposizione al governo Berlusconi sempre in nome di Maastricht. Ma in gioco c'è qualcosa di più. In ballo c'è la stessa identità dell'Ulivo e della Quercia, le loro alleanze, le loro prospettive. Ma che sul risveglio dei Ds si crei una effettiva costruzione di consapevolezza, i dubbi sono molti. Anche da parte di chi, dal di dentro della Quercia, ha sempre tentato di far passare un discorso diverso da quello sostenuto a spada tratta, anche nelle ultime ore, da Massimo D'Alema. Tra i critici di Maastricht e non della prima ora, il deputato Alfiero Grandi. «Troppo a lungo ci siamo dimenticati - commenta - che il Patto oltre che di stabilità è anche di sviluppo. Ma il secondo elemento è rimasto completamente in ombra. E' per questa ragione che ritengo importante un lavoro politico per fa sì che anche lo sviluppo venga ancorato a criteri di qualità. Quanto ai Ds e all'Ulivo vedo molte resistenze a mettere in discussione l'attuale struttura. E' un problema che ci trasciniamo da lungo tempo, anche se adesso - finalmente - anche se timidi, si iniziano a vedere segnali di dubbio». |
DA LIBERAZIONE Un fiasco completo Salvatore Cannavò Al di là delle dichiarazioni o delle prese di posizione diplomatiche, che il patto di stabilità sia morto è un dato di fatto inequivocabile. Lo è non tanto per la ridotta crescita economica, in realtà vicino allo zero, che attanaglia Eurolandia, quanto per le contraddizioni interne al Patto stesso. La pretesa di regolare le economie continentali con il giogo di parametri-capestro prefissati - deficit, debito pubblico e tassi di inflazione imposti dall'alto - ha finito infatti per impedire a quelle stesse economie di crescere e svilupparsi e di corrispondere a bisogni sociali fondamentali. Inoltre, la filosofia liberista alla base del Patto, quella che fa discendere l'eventuale sviluppo economico da politiche orientate dall'offerta, naufraga miseramente di fronte alla realtà di una globalizzazione liberista che nel suo stesso divenire distrugge ricchezza e possibilità di crescita, come dimostra il caso Fiat. Il bilancio di questi cinque anni di applicazione del Patto è disastroso. L'economia europea non è mai riuscita ad eguagliare quella statunitense quando questa viaggiava a ritmi elevati e quando è arrivata la recessione è stata proprio l'Europa ad essere affossata prima. Un fiasco totale.
Sarebbe ora che anche il centrosinistra italiano si accorga che la sua disciplina europeista - in realtà liberista - rischia di diventare ridicola di fronte a un quadro che sta cambiando velocemente. In realtà quello che si sta affermando è lo spazio per un'altra politica che inverta rapidamente le priorità seguite finora. I parametri liberisti di Maastricht dovrebbero essere sostituiti da un pacchetto di "parametri sociali", cardini di una politica economica alternativa. Salario, servizi sociali, difesa ambientale, estensione dei diritti rappresentano non solo gli imperativi di una moderna giustizia sociale, ma sono anche i presupposti di una possibile via d'uscita alla crisi. Così come il tema dell'intervento pubblico, tornato d'attualità con la vicenda Fiat e che va coniugato all'altro grande tema della partecipazione democratica. Oggi più che mai non ci sono "terze vie" possibili, siano esse di destra o di sinistra. Al liberismo compassionevole, che sembra essere l'unica ricetta possibile nelle mani della destra - e che ormai affascina in modo imbarazzante gli stessi vertici dell'Ulivo - non basta nemmeno contrapporre un riformismo più o meno forte. La necessità di un'alternativa economica robusta è dettata dai fatti e dalle contingenze dell'oggi. E non a caso questa necessità è ben rappresentata dal profilo di quel Forum sociale europeo ormai imminente e che rappresenta l'unica opportunità per cambiare rotta. |
CORRIERE DELLA SERA «Successo soprattutto nei trasporti e nei servizi» Cgil: milioni di lavoratori in
piazza Ma gli altri sindacati si trovano d'accordo con
Confindustria
IL GOVERNO - Falsa quindi, per
i due sindacati, l'affermazione secondo la quale gli
scioperanti sarebbero stati più di quelli della protesta
unitaria di aprile. E con Confindustria, Cisl e Uil si
sono schierati anche diversi ministri del Governo
Berlusconi, a partire dal responsabile del Welfare,
Roberto Maroni. «È uno sciopero modesto, non è andato
oltre la sola Cgil», mentre in una nota ricorda che nel
ministero si è astenuto dal lavoro solo il 17,3% degli
addetti. Il ministro dei rapporti con il Parlamento,
Carlo Giovanardi, parla di protesta «contro il voto
degli elettori», mentre il ministro delle Politiche
agricole Gianni Alemanno sottolinea che si tratta di una
«ultima cambiale a Cofferati». |
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