LA DIATRIBA DEI CROCIFISSI NEGLI UFFICI E NELLE SCUOLE

Pietà pelosa e idolatria

Non la rifarò lunga lunga perché questo è una dei pochi campi in cui reperita non juvant, perché siamo nella classica posizione di colui che vuole lavar la testa all’asino.

Ieri  ho inteso un’interrogazione parlamentare sulla legittimità dell’esposizione del crocifisso nelle scuole e negli uffici pubblici. L’On. Interrogante era d’accordo con il ministro che per l’occasione era l’On. Moratti preposta alla “pubblica istruzione”  (lo pongo ta virgolette e chi ha orecchi da intendere intenda).

Da quel poco che seguo di politica in questo tempo estivo in cui tutto si fa meno che politica, salvo  ciò che serve a coprire magagne, a rinfibulare verginità largamente e da tempo perdute nel meretricio diuturno e a rinsaldar vincoli tra galantuomini bisognosi di stare al potere, la questione del crocifisso esibito nei locali di cui sopra serve:

a)             ai cattolici per confermar la loro tradizione di essere con Cesare e non con Dio  (Cristo, infatti, ha costantemente diviso i due domini, che la sete di potere ha ripristinato con la sanzione finale e solenne di papa Silvestro in combutta con Costantino imperatore):  la croce infatti era il patibolo dei romani e fu “vinta” da Gesà  (secondo l’apostolo Paolo) e riconsegnata all’inferno  (secondo la dizione del “Credo o simbolo apostolico” che i più vecchi dovemmo memorizzare da bambini); messa da Dante esclusivamente nel profondo inferno, dove vi troviamo infisso Caifa e gli altri appartenenti al sinedrio che condannò Cristo e sentiamo cantarne l’inno composto da Venanzio Fortunato, vescovo di Poitiers nel VI secolo, con l’aggiunta fi un “inferni” oltremodo significativo (l’intero passo  suona in esordio del trentaquattresimo  Canto dell’Infenro così: “Vexilla regis prodeunt inferni…); se a questo si aggiunge anche il “Pape satan, pape satan aleppe” (papa satana?..) si lavò una ben precisa idea di come la pensava Dante in materia, e Dante era sicuramente un cristiano, anche se ghibellino e non papalino.

b)             Alla lega bosniaca come contraltare dell’islamismo, di cui teme l’invasione;

c)             Ai  fascisti, perché, volenti o nolenti, si tratta sempre di romanità conservata, sia pure in uno strumento di morte, nè più e né meno dell’arma che trucidò l’eroico carabiniere Salvo d’Acquisto, i superstiti del quale non si sognerebbero neppure di adorare  quell’arma e di porla su altari e in scuole e uffici pubblici.

Ma tant’è: la preoccupazione della “gerarchia cattolica” (altro nome anticristiano: chi vuole comandare si faccia vostro servo, e chi vuole essere il primo si faccia vostro schiavo) è tutta volta alle cure dei poteri umani, limitandosi poi a vantarsi della buona fede dei icredenti che prendono sul serio quanto loro dicono e non fanno e si lcaricano sul serio i pesi che essi confezionano e che non toccherebbero neppure con un dito, come dice l’esordio del capitolo ventitré del Vangelo di Matteo.

Altro che simbolo di civiltà! Se lo è la croce allora lo sono molto pià i sassi delle lapidazioni, di cui la prima vittima cristiana fu Stefano protomartire, e se così stanno le cose non ce la prendiamo con il fondamentalismo  islamico che adotta ancora tale orrendo mezzo di condanna capitale.

Ma chi presterà mai orecchio a queste mie parole? Spero almeno chi crede, perché chi crede sa che i peccati contro lo Spirito non si perdonano.

Luigi Melilli

 

 

 

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