Il mio soggiorno a Ponte Galeria
La storia di Toni: clandestino

Uno zingaro in Italia
Si chiamano Centri di Permanenza Temporanea, sono i luoghi in cui vengono portati gli immigrati irregolari in attesa di espatrio. Sin dalla loro istituzione, XX anni fa, queste strutture sono state al centro di aspri dibattiti. Da alcune parti è stata messa in discussione la loro legittimità costituzionale e si è parlato di veri e propri "lager" in cui venivano violati diritti umani e politici. Da altre questo giudizio è stato ridimensionato, non un carcere, ma neppure un centro di accoglienza, questi luoghi sono stati considerati come un male minore, l'unico modo per far rispettare la legge e i controlli in materia di immigrazione. Quel che è certo è che i Centri di Permanenza Temporanea sono il crocevia di tante storie di migrazione, molte delle quali conclusesi amaramente, con il rimpatrio.
Questa è la storia di Toni, 41 anni, giunto in Italia 23 anni fa come clandestino. Uno straniero, una persona non di cittadinanza italiana. Se però provate a chiedere a Toni di quale paese sia originario, a quale nazionalità appartenga, vi risponderà allargando le braccia: "Vedi, è troppo difficile per me poter dire: "Io sono croato, serbo o macedone". E' una storia complicata, una storia che accomuna tutti coloro che vengono dalla ex-Jugoslavia e, in particolare, gli zingari. Mia madre è una gagè (una "non-zingara" n.d.r.), una bosniaca cattolica, mentre mio padre è uno zingaro di religione ortodossa. I miei nonni materni sono uno zingaro e una bosniaca musulmana, quelli paterni un ortodosso e una cattolica. A ripercorrere tutto il mio albero genealogico si rischia di perdersi. E io chi sono? Sai dirmelo tu? Io sono solo un mezzo zingaro, un meticcio, un miscuglio, un … come si chiama quella salsa per condire la pasta? Ecco: sono un "pesto"". Da ragazzo Toni aveva vissuto in Slavonia, vicino Vukovar, nella casa dei nonni "adesso è territorio serbo, ma quando ci abitavo io era zona croata" e aveva avuto anche modo di girare un po' per il paese; poi la decisione di andare in Italia in cerca di fortuna. "Era il 17 gennaio 1980: un giorno dopo il mio diciannovesimo compleanno. Un bel modo di festeggiare, non credi?" Nessuna carretta del mare, per Toni: "Ho attraversato la frontiera a piedi, attraverso i boschi. Da Capo d'Istria ho raggiunto Trieste e da lì, in treno, sono arrivato a Roma". Per quasi sette mesi Toni dormì dentro nei treni o nelle stazioni della metropolitana, quasi sempre da solo, senza alcun punto di riferimento nella città. L'inserimento fu molto lento e faticoso, finché non iniziò a lavorare come restauratore di mobili presso un vecchio artigiano dei Parioli, che però morì solo qualche mese dopo. Per alcuni anni Toni ha continuato a tirare avanti tra un lavoretto e l'altro "Non rubavo, all'inizio - sorride - ma poi, vedi, quando non hai la possibilità di lavorare, di sopravvivere, non hai niente… ho cominciato a rubare e sono stato anche incarcerato".
All'inizio degli anni '90 Toni rientrò in Iugoslavia per i fatti di guerra. "Da che parte? Non importa più ormai, è storia passata. Comunque, mi sono fatto tre anni di guerra. Poi, quando ho capito che era una guerra inutile, che si moriva solo per avere due o tre metri quadrati di terra in più, che tutto sarebbe rimasto come prima, ho deciso di tornare in Italia". Così Toni riprese quella vita di espedienti e piccoli lavoretti.
Poi cominciò a stringere i rapporti con gli zingari di Roma e decise di trasferirsi nel campo Casilino 700. "Mi sono subito reso conto delle condizioni in cui vivono gli zingari in Italia e ho detto "ragazzi svegliamoci, non si può vivere così, dobbiamo fare qualcosa!" Così ho iniziato ad impegnarmi nell'associazionismo: facevo parte della A.R.G. (Amicizia tra Rom e Gagé). Ancora esiste questa associazione, ma non avevamo una sede, un posto per stare ed era difficile trovare appoggi per le nostre iniziative. Una vecchia storia per gli zingari. Comunque facevamo quel che potevamo e per un bel po' ho tirato avanti. Finché un bel giorno, circa due anni e mezzo fa, mi hanno preso e mi hanno portato a Ponte Galeria".

L'arrivo a Ponte Galeria
Come sei stato portato al centro, sei stato fermato per un controllo? "Non esattamente - sorride - quel pomeriggio ero dentro la sede dell'associazione per scrivere una relazione sull'ultima riunione. Sono entrate tre persone e mi hanno chiesto se potevo uscire fuori perché mi dovevano parlare di una questione importante. Erano poliziotti in borghese: solo in seguito ho scoperto che, secondo la legge, non mi potevano arrestare all'interno della sede dell'associazione, ma solo all'esterno". Così Toni venne portato all'ufficio stranieri. "Tra gli altri ricordo un impiegato che, con fare rabbioso, mi diceva: "Tu devi essere espulso, devi andare via, devi tornare al tuo paese!" e io: "Scusa, se mi sai dire qual è il mio paese, io ci torno volentieri!" Il mio paese, in realtà, non esiste più: prima si chiamava Iugoslavia, ora si chiama Croazia, Macedonia, Montenegro…"
Da lì, in auto, il trasferimento a Ponte Galeria, insieme ad un giovane immigrato polacco.
"Entriamo a ponte Galeria e subito ci dicono di spogliarci nudi e io chiedo "Scusate, perché? Sono in arresto?" "No, non sei in arresto, devi essere espatriato" "Perché mi devo spogliare nudo?" "Perché ti devo perquisire prima di portarti nella tua camerata". "Ma allora questo è un carcere?" "No, non è un carcere: è un centro di permanenza temporanea!" Insomma, il paradosso giuridico risulta subito evidente. Dopo un'accesa discussione, Toni e gli altri immigrati insieme a lui furono spogliati, perquisiti e rivestiti. Nel frattempo la stanza si era riempita di poliziotti, richiamati dalle proteste di Toni. "Il ragazzo polacco, quando ha visto tutti quei poliziotti, poveraccio, è caduto a terra: ha avuto un attacco di epilessia. Tutti sono scappati fuori dalla camera e io ho cominciato a urlare per chiedere aiuto. Dopo cinque minuti è arrivata un'infermiera che mi dice: "Reggilo che gli faccio un'iniezione!" "Io? Mica sono un infermiere o un poliziotto! Dillo a loro!" "Loro hanno paura!", mi risponde. Così, lo abbiamo girato, gli abbiamo fatto l'iniezione e si è calmato".
Dopo circa un'ora Toni e gli altri vengono portato alla vista medica "Roba da ridere - commenta Toni - Mi chiedono: "Come stai?" "Bene!" "Hai avuto qualche malattia?" "No" "Allora puoi andare". Te lo giuro, una cosa da matti!"

Il primo impatto col centro.
"E queste furono le prime due ore a Ponte Galeria; tutto di corsa: trasporto, spogliarello, visita medica, senza neanche avere il tempo di capire bene cosa stesse succedendo". Dopo la procedura di routine i nuovi arrivati vengono portati nell'edificio principale, dove gli immigrati sono alloggiati in camerate di sette o otto persone. Per Toni il primo impatto è sconcertante "Entro dentro questo vecchio palazzo: muri decrepiti e sporchi di sangue, lenzuola più nere che bianche. Da una parte c'è un gruppo di ragazzi rumeni, alcuni aveva le braccia fasciate. Mi domando: "ma porca miseria dove sono finito? Avete preso la feccia del mondo e l' avete buttata qui dentro?" Non sembrava un posto per esseri umani".
Qual'era l'accoglienza riservata ai nuovi arrivati? "Ti spiegavano per sommi capi l'organizzazione del campo e ti davano un kit: un litro di shampoo, un litro di bagnoschiuma, mezza saponetta, un asciugamano. Nient'altro". Quante persone eravate all'interno del campo? "E' difficile dirlo esattamente. C'era un continuo via vai; in media direi circa 80-90 persone, quando più quando meno. Gli uomini dormivano da una parte, le donne e i bambini dall'altra".
All'interno del centro operavano diversi corpi dello Stato: Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza "E' un bene che ci fossero diversi gruppi - sottolinea Toni - perché vedi, può sembrare assurdo, ma almeno così ognuno ti proteggeva dall'altro". A fianco delle forze dell'ordine operava anche un gruppo di volontari della Croce Rossa Italiana. "Proprio tra questi volontari ho conosciuto quella che sarebbe diventata la mia attuale compagna. Fu lei a denunciare alle autorità alcune delle assurdità che avvenivano al centro".

Il giro delle ambasciate
Le giornate nel centro trascorrevano senza uno scopo apparente. Ogni tanto due o tre immigrati, quelli dalla situazione giuridica più complessa, venivano portati presso diverse ambasciate, per capire in quale paese avrebbero dovuto essere rimpatriati. Toni, lo zingaro iugoslavo, dovette peregrinare per tutte le sedi diplomatiche dei paesi balcanici: Macedonia, Croazia, Bosnia, Romania … "Da ogni parte dicevano "No, questo non è nostro, non possiamo riprendercelo noi!" Un giorno, per sbaglio, mi hanno portato pure in quella di Algeria, insieme ad un ragazzo nordafricano! Al campo ho conosciuto anche un mio compaesano, trasportato da Rimini a Ponte Galeria per essere espatriato. Dopo qualche giorno viene messo sull'aereo e portato a Sarajevo. A quanto pare hanno combinato qualche pasticcio con l'ambasciata, perché in poche ore lo hanno rimandato in Italia, a Ponte Galeria, dicendo che non era cittadino Bosniaco!"

Si decide di scrivere una lettera…
"Un giorno questo amico mi dice: "Toni, non si può andare avanti così: scriviamo una lettera ai responsabili del centro con le nostre richieste". Così ci mettemmo a tavolino e preparammo il documento" Cosa chiedevate? "Che le pulizie venissero fatte giorno per giorno, non una volta a settimana; che nel servizio di catering fosse maggiormente curato l'igiene e il rispetto per gli ospiti; che ci venisse data una scheda telefonica ogni settimana e un pacchetto di sigarette al giorno. Ci avevano tolto tutto quello che avevamo addosso, dovevamo tirare avanti! Insomma, abbiamo finito questa lettera, l'abbiamo firmata e l'abbiamo portata al comandante che la fatta protocollare. Io ho fatto delle copie di questa lettera e sono riuscito a farla girare sia all'interno che all'esterno del campo" Da allora è cambiato qualcosa? "Qualche cosa è migliorato, almeno per il momento. Se non altro è servita a smuovere un po' la situazione".

Storie di immigrazione
"Un giorno - racconta Toni - hanno portato un gruppo di moldavi che avevano fermato vicino alla Garbatella. Tutti stavano in ciabatte e canottiera: li avevano presi mentre lavoravano come operai sugli scavi del Comune! Hai capito? Il Comune li faceva lavorare a nero e poi la polizia li ha fermati perché loro erano illegali! Insomma, li hanno portati a Ponte Galeria e in poco tempo i biglietti per il rimpatrio erano già pronti. Uno dei ragazzi mi chiede: "Toni, non hai scarpe da darmi? Sai domani pomeriggio abbiamo l'aereo, mica posso andare a casa in questo stato". Sapevamo che i magazzini erano pieni di roba regalata dalle associazioni umanitarie, eppure volevano rispedirli a casa in canottiera. Abbiamo fatto chiamare il comandate e dopo tanta insistenza i moldavi sono riusciti a farsi dare dei vestiti. A tutti venne data la stessa maglietta col logo di una trasmissione televisiva, lo stesso paio di jeans e un paio di scarpe da ginnastica: sembravano una squadra di calcio! "
"Un'altra volta, è arrivato un gruppo di travestiti: i poliziotti gli hanno detto di spogliarsi, ma loro si sono rifiutati "Noi siamo donne: dobbiamo spogliarci davanti a un uomo? Fate venire una poliziotta!" Così arriva la poliziotta, che a sua volta si ribella: "Ma questo è un uomo! Mica posso starlo a guardare che si spoglia!" "
Toni ride, anche quando racconta i dettagli più tristi riesce sempre a trovare un lato ironico. "Vedi - mi spiega - quando ti trovi in una situazione davvero drammatica l'unica cosa che ti rimane è riderci sopra. Noi zingari in questo siamo speciali, perché prendiamo queste cose come un destino. E contro il destino non puoi combattere, l'unica cosa è accettarlo e prendere da ogni evento, da ogni luogo, quel poco di buono che ti può insegnare. So di essere fortunato ad avere questo carattere e questa storia. Ma se penso a molti ragazzi venuti, per esempio, dall'Africa, che si sono venduti le quattro cose che avevano per poter andare in quello che ritenevano un paese civile, per costruire qualcosa. Dopo un paio d'anni devono tornare a casa senza un soldo, senza neanche i vestiti addosso, umiliati, senza il coraggio di presentarsi davanti alla propria famiglia. E' per questo che alcuni immigrati di Ponte Galeria avevano le braccia fasciate, perché si ferivano intenzionalmente con i vetri delle bottiglie, come estremo gesto di autolesionismo e disperazione"

La regolarizzazione
"Una volta uscito dal campo, scaduti i 30 giorni massimi di detenzione, sono tornato alle ambasciate iugoslave "Non sei dei nostri - mi ripetevano tutti - non sei iscritto nel registro dei cittadini!" allora mi sono impuntato "Se è così scrivetemelo nero su bianco, metteteci un timbro e facciamola finita!" Così, con questi documenti, sono andato al tribunale di Civitavecchia e ho presentato un ricorso scritto di mio pugno "Sentite - ho detto - Io sono un signor nessuno, sono un fantasma che vive da 22 anni in Italia. Mi volete mettere in regola o no?" All'inizio pensavano che scherzassi, ma poi hanno capito che facevo sul serio e nel giro di poco tempo mi hanno dato lo status di apolide. Allora sono andato al comune di Anguillara, dove allora risiedevo: ho dovuto raccontare all'impiegata la storia della mia vita, ma tre giorni dopo mi hanno convocato per darmi la carta di identità. Quando ho preso questo pezzo di carta me lo sono guardato, me lo sono rigirato dalle mani e ho pensato "Tutto qua? E ora che diavolo devo farci con questa?" " Toni ride ancora.

La vita dopo Ponte Galeria
La storia di Toni è probabilmente una storia atipica, estrema, quella di un immigrato che nessuno voleva e che quindi nessuno ha potuto espatriare. Una delle poche storie di Ponte Galeria conclusesi con un lieto fine. "Dopo neppure una settimana dal mio rilascio ho partecipato a una manifestazione di protesta davanti a Ponte Galeria. Poi mi sono iscritto a un partito politico, ma anche lì dopo un po' …" allarga le braccia, preferisce non andare nei particolari "Non so, per noi zingari queste cose non funzionano mai, in questo paese".
Ora Toni lavora come mediatore culturale presso il Comune di Roma (ancora un'ironia della sorte?) ed è nuovamente attivissimo nel mondo dell'associazionismo. L'attività in cui però mette più passione è quella di attore in un'affermata compagnia teatrale. I monologhi in cui Toni racconta della sua storia, delle sue origini, di questo groviglio di nazionalità che la nostra burocrazia ha deciso di chiamare "apolidia", sono i momenti più applauditi.

 

 

 

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