Un anno dopo, nell'ora del tramonto dell'"Occidente."
Fabrizio VIELMINI -

11 settembre 2002. Un anno dopo il grande incendio. Una riflessione s'
impone. Ci sembra però che, piuttosto che gli ultimi dodici mesi, essa debba
abbracciare il decennio trascorso. Per gli USA e per la loro macchina
bellica, il crollo dell'URSS ha significato paradossalmente una grave
perdita di legittimità. Da quel momento poteva apparire superata la presenza
militare americana nel mondo. Perché tutte queste costose portaerei se il
nemico non esisteva più? Nel corso degli anni '90 la superpotenza superstite
ha cercato di reagire in vari modi. Vantando la "vittoria" nella guerra
fredda, essa si è spinta a imporre il liberismo economico. A quest'offensiva
commerciale se n'è unita un'altra sul piano culturale volta a espandere al
resto del mondo i modelli di consumo, d'intrattenimento e di comprensione
del reale propri ai popoli anglosassoni.
Il ricordo delle vittime delle torri non deve farci dimenticare che in
questi dieci anni il mondo è diventato nettamente peggiore. Alle porte di
casa nostra, nel defunto "impero del male", siamo stati testimoni di un
regresso di civiltà senza pari nell'epoca contemporanea. Qui e in gran parte
del resto del pianeta, basta ricordare i recenti fatti sudamericani, l'
azione del Fondo Monetario Internazionale e delle altre grandi istituzioni
della finanza e del commercio ha portato milioni e milioni di persone al più
profondo abbrutimento morale e fisico. Gli anni '90 sono quelli dell'aumento
eccezionale del traffico della droga, del ritorno di malattie che si
credevano ormai scomparse, della diffusione dell'AIDS, della "pulizia
etnica" divenuta routine. Nel 1999, con l'attacco alla Jugoslavia si è
cercato di riscrivere la costituzione materiale della comunità
internazionale, decretando la fine dell'inviolabilità della sovranità
nazionale su cui la prima si fondava da oltre tre secoli. Il tentativo ha
dato risultati pessimi. Nonostante l'intervento della NATO i Balcani non
sono divenuti un posto migliore dove vivere. Anzi. Lo stesso vale per il
Medio Oriente dove, a dispetto degli sforzi profusi, ha continuato ad essere
evidente l'incapacità dell'America di porsi quale garante dell'ordine
internazionale.
L'aumento generale dell'instabilità nel Grande Medio Oriente che circonda la
Turchia da Sarajevo a Kabul, unito al crollo della "nuova economia" e alla
grave crisi dell'insieme dei sistemi economici statunitense e britannico,
come ci annuncia altresì l'incipiente collasso ecologico planetario,
ponevano l'amministrazione Bush in una posizione molto simile a quella che
fu della dirigenza sovietica negli anni '80: il 10 settembre 2001 l'America
era di fronte ad un fallimento complessivo del proprio ruolo mondiale
inconfessabile nella sua enormità. Il fatto che lo percepissero solo i
ricercatori più attenti era perché se gli USA sono maestri in qualcosa
questo è nell'uso del soft power, la capacità di costruzione dell'
immaginario e delle idee delle masse. Ma la verità sarebbe prima o poi
emersa. Probabilmente prima.
Chiunque sia responsabile degli spettacolari attacchi di un anno fa, è certo
che la potenza mondiale d'oltreatlantico ne ha immediatamente approfittato
per avviare una spasmodica espansione a 360°. Invece di accettare il proprio
declino, l'"impero" si è giocato il tutto per tutto. I cosiddetti politici
neoconservatives - Wolfowitz, Cheney, Rumsfeld tanto per fare qualche nome -
hanno conquistato il ponte di comando del Pentagono e del dipartimento di
Stato e dominano ora la politica di Washington zittendo personaggi
responsabili quali Colin Powell. Questi "falchi" non sembrano oggi
preoccuparsi delle ripercussioni politiche delle loro azioni, ciò che
alimenta l'odio antiamericano, l'estremismo di ogni colore, sino a indurre
un numero crescente di disperati a sacrificare la loro vita per offendere l'
America. Pur avendo tutti in gioventù schivato il servizio militare, i
neoconservatives hanno optato per una risposta puramente di guerra. Gli USA
hanno iniziato il più massiccio sforzo di proiezione di potenza della storia
umana. Il complesso militare-industriale è divenuto il motore dell'intero
sistema economico statunitense (con oltre 2.080.000 dipendenti il
dipartimento della Difesa è la più grande impresa del paese) e richiede le
guerre indispensabili alla sua sopravvivenza. Con un aumento delle spese
belliche di ulteriori 48 miliardi - per toccare i 379 complessivi quando il
budget dei paesi UE è di 140, Gran Bretagna inclusa - gli USA hanno sforato
tutti i tetti del "militar-keynesismo" e attualmente contano per il 40 %
delle spese militari planetarie.
Che fare di tutta questa potenza quando già si disponeva del più imponente
esercito del mondo, di fronte ad un nemico "virtuale" quali i miliziani
islamisti ? La risposta la si ottiene tenendo presente il dato strategico
più rilevante degli ultimi dodici mesi: l'arrivo degli eserciti
angloamericani nel "cuore del mondo" centrasiatico. E' chiaro che con l'
aggressione all'Afghanistan dello scorso ottobre è stata concepita in vista
di una modifica delle linee di demarcazione degli equilibri di potenza in
tutta l'Asia. Se ora tracciamo su una carta del continente una linea che
congiunge le 13 nuove basi dove il dispositivo bellico angloamericano ha
preso posizione, è facile capire che è stato costruito una sorta di "cordone
sanitario" attorno alla Cina, dal Pacifico fino al cuore dell'Asia. La
formula dell'"asse del male" appare dunque un espediente per scaglionare il
lavoro in vista di una resa dei conti con la Cina, che, dall'inizio degli
anni '90, Samuel Huntington, l'ideologo di punta dell'"impero" vicino ai
neoconservatives, segnala quale nemico principale dello "scontro di civiltà"
dopo che saranno regolati i sospesi con l'Islam.
Tuttavia, nonostante i "falchi" si sentano onnipotenti, molti elementi fanno
ritenere che essi sbaglino clamorosamente i loro calcoli. L'11 settembre
2001 ha segnato il trionfo di quell'élite tecnologico-scientifica contro cui
la migliore tradizione politica americana, da Washington a Eisenhower, aveva
messo in guardia il paese. Ma questo, purtroppo, negli ultimi dieci anni si
è chiuso sempre più in una sorta di autocompiacimento, di indifferenza e
ignoranza di ciò che succedeva nel resto del mondo. In tal modo sembra
destinata a esaurirsi l'arma segreta della presenza statunitense nel mondo :
il consenso ideologico, che la ha accompagnata dai tempi della Magna Charta
e che raggiunse il suo apice con la "vittoria sul comunismo."
Inoltre, un tale sforzo bellico non può che significare una cosa: stress
imperiale. L'America è si iper-potenza ma è anche sempre più iper-estesa, e,
come sanno anche i bambini, a forza di tirare una corda questa si spezza. In
definitiva, la grande chiamata alle armi sta ottenendo l'effetto opposto
della riduzione della vulnerabilità statunitense. Come osserva dall'
università di Yale un filosofo del calibro di Immanuel Wallerstein, gli
attuali Stati Uniti sono "una nazione pericolosamente alla deriva in mezzo a
un caos globale che non riesce a controllare." La "primula rossa" Bin Laden
è sparita, l'Afghanistan è appeso a un filo, l'Israele di Sharon prosegue
nel suo disegno di annullamento della presenza palestinese in Cisgiordania.
Di fronte a tutto ciò ci si prepara a una nuova avventura in Iraq. Si, l'
America di oggi è più che mai simile all'URSS di quindici anni fa, essa non
possiede le capacità per governare la propria potenza.
Ma la cosa più grave di questo «valoroso nuovo mondo» comparso fra le
macerie delle torri è che pur essendo il re è nudo, nessuno osa dirlo: gli
"alleati" che rifiutano la linea dei neoconservatives sono legioni ma questi
proseguono perché nessuno h osa farlo a voce alta. Ed allora, di fronte all'
incipiente declino dell'"impero" in quanto (preteso) garante dell'equilibrio
internazionale, ciò che non bisogna stancarsi di ripetere è che le sorti del
mondo gravano sul ruolo che potrà assumere il nostro continente. Solo l'
Europa può far capire agli americani che le conseguenze della linea
intrapresa saranno troppo negative per tutti, loro stessi in primo luogo.
Solo l'Europa, di concerto con la Russia può costituire un contrappeso ed un
modello di sviluppo che eviti al pianeta catastrofi ancora più grandi. Se l'
anno trascorso è servito a qualcosa è stato nel cambiare il modo in cui gli
europei guardano al loro grande vicino orientale, disinnescando parzialmente
la NATO quale macchina da guerra puntata verso est. Nell'ora del tramonto
dell'"Occidente," divenuto un termine privo di senso reale, uno slogan per
annullare le differenze fra le due sponde dell'Atlantico, c'è un enorme
lavoro da fare in questa direzione.

 

 

 

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