FLANEIDE

di silvio cinque

Con lo scrittore-generaleinpensione Ferdinando Falco ed il giornalista Vincenzo Luciani osserviamo in disparte la cerimonia dell’inaugurazione della Biblioteca del 4.Municipio intitolata ad Ennio Flaiano. L’autore di Uneide ha uno sguardo acuto ed ironico. I suoi occhi celesti hanno talvolta piccoli lampi grigi, non so se per via del cognome o della ex professione, quando inserisce nella concitazione dell’attesa del sindaco che inaugurerà cerimonia e biblioteca, qualche laconica osservazione. Luciani mi presenta con parole di stima dettate da generoso senso dell’amicizia. –Fanno le prove dell’inno d’Italia, puntualizzo indicando la “Banda di Monte Sacro”. – L’unico inno che mi commuova  ancora, mi confida prima di completare la presentazione. - Abbiamo il suo libro in biblioteca, gli dico, malcelando il disagio di non averlo ancora letto. – Luciani ci presenta ad entrambi. Non so di preciso quale frase precisa abbia precisato una ricca conversazione che si è trasformata in simpatia ed interesse. Ma quello che mi dice mi interessa perché è fuori schema, in continuazione: in una battuta antimilitarista sulle divise della banda mi informa che è un generale in pensione e che ama l’inno d’Italia come l’unica musica che lo faccia ancora commuovere. Ma non è difficile accorgersi che non ama questo governo, queste divise e questa desalfabettizzazione che sta caratterizzando forme di politica e di governo, società e popolazioni. “Ci sono i sottoproletari al potere” mi dice scrutandomi negli occhi questa affermazione così strana. – I peggiori, puntualizzo, non quelli di Pasolini, i peggiori: brutali bottegai, cafoni e incolti: Nessuno stile, nessuna etica. Questi arraffano ed esibiscono. – Così si parla di libri e biblioteche, posti unici al mondo dove c’è “la fonte della giovinezza”, mi dice, per spiegare con un piccolo vezzo, la sua insospettabile età. Condivido perché il libro ha un’attualità, una eternità sorprendente. E gli cito la frase di Tacito del de Agricola, “[I Romani]...hanno fatto un deserto e l’ hanno chiamato PACE” quella che è piaciuta a mia figlia Marica su uno striscione alla manifestazione della Pace il 15 Aprile. – Una frase, un libro, di 2000 anni fa ancora  ci aspetta per parlarci nella nostra lingua di contemporanei. – Ma quale lingua!, sbotta, ci stanno portando via il senso della lingua, il linguaggio dello scrivere e del comunicare. – Condivide tutto con disponibilità e gentilezza. Parlo di Fiorentini quando nell’84 venne alla Fucini. L’invito fu fatto direttamente all’ “Ufficio Biblioteche” e non alla X  Ripartizione e quindi al direttore della 4. circoscrizione. Per cui la circoscrizione non aderì, non pubblicizzò, burocraticamente stizzita di questo scavalcamento. Fiorentini venne in biblioteca con il suo musicista Gatto. ad accoglierlo un gruppo entusiasta del Centro anziani di via Capraia che venne anche a piedi sotto il sole di quel luglio dell’84. La macchina fotografica non funzionò, ma l’incontro fu un grande ed unico successo. Lui accenna a Checco Durante, che ha conosciuto e frequentato fino alla scioglimento della compagnia teatrale e della sua, inosservata come quella di Fiorentini, scomparsa. Intanto la folla si anima: su tre lati strategici del giardino scolaresche con bandierine e cartelli aspettano. Giornalisti, conoscenti, colleghi delle Biblioteche e del Municipio si aggirano, la banda prova il suo Inno e qualche altro pezzo.

In motorino, lasciando incuriositi fotografi e giornalisti, arriva Gianni Borgna. Speriamo che

questo mezzo di trasporto non sia profetico per altre elezioni di sindaco! Ci siamo: preceduto da un paio di automobili arriva lui, il sindaco che si muove con passo entusiasta ed agile verso la banda che  finalmente suona l’ultima prova dell’Inno di Mameli ed i bambini che sventolano per motivi diversi dal farsi aria all’afoso e caldo sole di maggio le bandierine destinate ai papi, ai presidenti ed ai sindaci. Da un lato dell’ala tre madri con tre “moto” carrozzine aspettano come staffette la presentazione o almeno lo sguardo paterno ed augurale verso le loro creature tutte e tre con cuffiettina e ciuccetto d’ordinanza. Il bagno di folla del sindaco è accolto da alcuni cartelli delle classi della scuola Montessori che chiedono l’agibilità dei bagni. Si va all’interno preceduto dal motorinizzato assessore alla Cultura, dai presidenti di Municipio ed Istituzione Biblioteche, dai direttori delle stesse. Nella sala accoglienza, secondo anche il mitico Panizzi, sala reception, il sindaco prima di firmare il registro degli ospiti, guest book, domanda :- Il giovane Holden?- Nessuno si sogna di giustificarsi con frasi tipo:- Ci dispiace, ma l’ordine di servizio non è ancora arrivato e lui non c’é. – Sappiamo tutto chi sia il giovane Holden. Questa volta è la volta del giovane Holden che ha passato la Linea d’ombra alla Ricerca dell’amico ritrovato. Nella sala convegni un solitario documentario su Talenti e le vie dedicate a letterate/i italiane spiega con immagini didascaliche dove, come e perché l’Ennio inaugurale abbia vissuto tra queste lontane e periferiche contrade, attraverso le interviste esplicative del suo meccanico, della sua portiera, dei suoi vicini. L’Ennio tiratardi, ironico, introverso e timido, cinematografaro, dolcevitoso, felliniano e cinecittadino non avrebbe mai sospettato avere tanti invisibili osservatori. La saletta multimediale strapiena di ragazzi medi e medi superiori, viene interdetta per favorire il successo numerico della cerimonia che intanto si divide tra l’accoglienza del sindaco nell’atrio e la presentazione dello scrittore Rassia amico del Flaiano. Di fronte all’estremo bastione costituito tra il tavolo della piccola presentazione di Rassia e il biblio-garden con vista sull’asilo comunale si infrangono come spumeggiante maroso la dichiarazione finale del sindaco, dei presidenti, dei direttori prima che panini e rinfresco incominciano una ineluttabile, vittoriosa avanzata verso gli ospiti sacrificali. Uno splendido prosecco, considera Ferdinando porgendomi con eleganza un piatto di tramezzini. Il catering del talentiano Dolce Stil Novo conclude degnamente una deflaiante inaugurazione. 

Non ricordo fosse Ashby o Lanciani, quale archeologo inglese o italiano che amava trascorrere lunghe giornate nella campagna romana, osservando il paesaggio con occhio attento ed indagatore. Non ricordo chi fosse dei due o dei tanti archeologi che scrissero dell’Agro romano le cui propaggini fin qui, fino agli anni ’30 del vecchio novecento, ancora per poco si allungavano verso Vigne Nuove fino agli anni ’90, Serpentara fino agli ’80, Cinquina e Marcigliana fino ai ’70  e Talenti-Buffalotta fino agli anni ’60-50 e Tufello Valmelaina fino ai ’30 e ’40; verso MonteSacro CittaGiardino Aniene fino agli anni ’20-10. Ma ricordo che scriveva di lunghe passeggiate per la Campagna Romana alla ricerca di siti, insediamenti, luoghi archeologici. Aiutati da una ferrea e severa ricerca di filologia latina, di quelle che tanto piacevano alla Yourcenar, da una profonda conoscenza botanica e geologica, i nostri archeologi si fermavano talvolta davanti ad un apparente nulla, il vento scuoteva tenere frumenti e cereali inselvatichiti, un raro e solitario corniolo o mirto, un gibboso fico da frutto, una piccola seminascosta pianta di scarola o di lattuga, un cipresso alto e vigilante e lì nell’assoluta approssimazione di descrizione Virgiliane, Tacitiane, Dioniosiane, Svetoniane e Pliniane, lì quasi certamente si iniziava una circospetta ispezione, una accurata ricerca del sito, della domus, del coemiterio o della villa. Tra queste piante, erbe e verdure, tra queste pietre nascoste e polite dall’uso, dal rudimentale ed efficace attrezzo di stradino o di mastro muratore, il fico selvatico indicava la presenza presunta e verificabile di un sito romano, di un tempio, perché un “tempio” era pianta sacra. Nel bel mezzo del piazzale della scuola media statale Aldo Manuzio un tombino per le acque piovane ci accoglie inosservato e silenzioso. E lì, nel bel mezzo del tombino, proprio nel suo bel centro, nell’oscurità protetta e umida del pozzetto, i tenui ramo di un fico si innalzano cercando di venir fuori, come una tenace biblioteca, all’aperto, all’aria, al rito sacrificale dello studio, della lettura, della scrittura. Un fico silenzioso e tenace come certe biblioteche che tenaci resistono in una fattispecie di eternità paziente.