da l'unita' DIFENDIAMO I VALORI DEL SINDACALISMO CONFEDERALE Cesare Damiano responsabile Lavoro dei Ds. Di fronte a quanto sta accadendo nei rapporti tra sindacati con un accordo separato sui metalmeccanici, le scelte sul Patto per lItalia e sullart. 18 ritiene che si stia creando un bipolarismo, una forbice tra due diversi modelli di fare sindacato? «Non credo che si possa parlare di bipolarismo sindacale e credo che bisogna combattere una deriva di questa natura qualora dovesse manifestarsi, ci troviamo di fronte a delle divisioni sindacali anche importanti ma che non configurano ancora una tendenza strutturalmente divaricata. Accanto allaccordo separato dei metalmeccanici per fortuna abbiamo piattaforme e accordi unitari per altri contratti, e su argomenti come la pace, il terrorismo, il Mezzogiorno, le pensioni, il confronto con Confindustria sullo sviluppo i sindacati hanno unimportante elaborazione comune. Quindi non cè una tendenza uniforme. Al tempo stesso credo che vada visto con preoccupazione quanto si è determinato tra i metalmeccanici. Sul bipolarismo sindacale mi pare che si possa dire che Cgil, Cisl e Uil abbiano una visione comune: tutti comprendono che se si dovesse determinare una divisione strutturale corrispondente alla divisione nel campo politico significherebbe la fine dellesperienza del sindacalismo confederale così come si è determinata dagli inizi degli anni 40 sia pure con le sue alterne fortune. Perché inevitabilmente avremmo una parte del sindacato proiettato in un ambito puramente protestatario e un altro in un ambito corporativo e subalterno ai governi». Laccordo sui metalmeccanici però è separato ed è pesante, in sé e per i rapporti tra sindacati. Oggi (ieri, ndr) Epifani ribadisce il suo giudizio negativo, ma dice anche che ci vuole una legge sulla rappresentatività e che il centrosinistra dovrebbe metterla tra i punti qualificanti dei suoi programmi. È possibile? «Intanto mi auguro che la situazione dei metalmeccanici non faccia scuola, ma resti unanomalia. In ogni caso sono convinto che il nodo della rappresentatività accanto a quello della rappresentanza si ponga sia sul terreno politico che su quello sociale. Il nodo della rappresentatività è stato disciplinato dalla legge Bassanini nel settore pubblico sulla base di una elaborazione di Cgil, Cisl e Uil negli anni 90. Credo quindi che il problema possa trovare soluzione se esiste la capacità di un compromesso sindacale. Nessuna legge può saltare lopinione unitaria del sindacato altrimenti correremmo il rischio di comportarci come il governo del centrodestra che punta alla divisione sindacale per un suo indebolimento. Per una validazione democratica degli accordi lo schema della Bassanini si basa sul criterio del voto dei lavoratori e il numero degli iscritti certificato, e - ripeto - è stato voluto da Cgil, Cisl e Uil. Può essere trasferito nel settore privato a mio avviso, funziona egregiamente anche se non prevede il ricorso al referendum tra i lavoratori anche perché conferisce ai sindacati stipulanti la legittimità alla firma di un accordo. Sarebbe un forte deterrente per percorsi separati e in qualche modo "obbligherebbe" a percorsi unitari». Anche perché le divisioni stanno creando situazioni come le contestazioni al leader della Cisl, lultima a Lucca. Di fronte a una parte che decide anche per chi non è daccordo non si corre il rischio di veder moltiplicati questi episodi? «In trentanni di sindacato nei metalmeccanici e non solo ho preso la mia dose di fischi soprattutto nel corso degli anni 70, nel 76, o anche nel 92. Lunità sindacale non è una passeggiata, è sempre stata una conquista. Qui però siamo di fronte a situazioni che non vanno tollerate o comprese: perché un conto è contestare una situazione, un altro è pensare che chi ha unidea diversa dalla tua sia un "venduto" o un "traditore". È una tendenza da contrastare, è pericolosa per il futuro del sindacato e per il mantenimento della normale dialettica, sono forme di estremismo che non possono trovare indulgenza, tantè che la Cgil per prima le condanna così come le abbiamo condannati noi. Non possiamo assistere inerti ad elementi di preoccupante degenerazione nelle relazioni sindacali, questa deriva va fermata perché il problema dellunità del sindacato, della democrazia nel sindacato, del profilo confederale del sindacato, non è un problema solo dei sindacalisti o dei lavoratori, è un bene prezioso per il futuro di questo Paese». |
"Per la
libertà di stampa il clima sta peggiorando" ROMA Il rapporto fra politica e informazione sta peggiorando: cè un clima da «guerra interna». Silvio Berlusconi «si sente un perseguitato» e mostra «avversione e risentimenti contro i giornali che non lo appoggiano». Professore di storia del giornalismo e di comunicazione di massa, Paolo Murialdi ha lavorato al Giorno e al Secolo XIX. È stato presidente della Fnsi nonché consigliere di amministrazione della Rai nei primi anni 90. Con la sua storia alle spalle, delle ispezioni aziendali al Tg3 si meraviglia. Mentre sullemendamento Mormino non ha dubbi: «Una proposta indegna. Un clamoroso errore. Una brutalità politico-morale». Lei che in Rai cè stato, come valuta le ispezioni al Tg3 decise dallazienda? «La mia prima sensazione è di meraviglia. Mi stupisco, perché nonostante la mia lunghissima esperienza anche alla Federazione nazionale della stampa è la prima volta che questo accade. Può darsi, certo, che un direttore chieda spiegazioni, ma non un amministratore. È giusto appurare se sono stati commessi degli errori, ma a farlo deve essere appunto il direttore». Il giorno prima, in Commissione Giustizia Forza Italia ha tentato di mantenere in vigore il carcere per i giornalisti condannati per diffamazione. I rapporti fra politica e mondo dellinformazione appaiono sempre meno idilliaci. «Il clima sta peggiorando. Come del resto peggiorano i rapporti con tutti quelli che Berlusconi considera nemici, si tratti di stampa o di politica. Cè una contrapposizione accanita, i toni non sono mai stati così aspri. Certo anche in passato cerano contrapposizioni. Io ho vissuto il 18 aprile del 1948 e gli aspetti italiani della guerra fredda. Ma erano altri tempi. Adesso cè una vera guerra interna, con Berlusconi che si sente un perseguitato». Contro lemendamento Mormino cè stata uninsurrezione. Per la maggioranza è stato un autogol? «È una proposta indegna. Non so se sia stata fatta per zelo berlusconiano, ma lo stesso presidente del Consiglio si è reso conto che se passava magari ne sarebbero stati colpiti anche giornalisti suoi simpatizzanti o seguaci. Perché i giornalisti possono eccedere nella polemica da destra, da sinistra, dal centro, o senza connotazione politica. Compresi, dunque, quelli cari a Berlusconi o addirittura suoi dipendenti». Infatti il Cdr del Giornale ha protestato: con tutte le querele milionarie che abbiamo, vi ci mettete pure voi. «Non mi soprprende che su certe questioni politico-sindacali i giornalisti di Berlusconi siano contro le scelte della destra». Che lettura dà del tormentato rapporto di Berlusconi con i media: un conto aperto con alcuni o una generica insofferenza alle critiche? «Cè unavversione molto risentita nei confronti dei giornali che non lo appoggiano. E listinto di Berlusconi sarebbe di intervenire sempre, anche se poi si sforza di non farlo. A volte, come ieri (laltroieri, ndr), capisce che sarebbe stato peggio e che avrebbe avuto contro anche i suoi. Quindi, direi che ha risentimenti generali sulle idee e particolari verso certi giornalisti. Di certo ce laveva con Enzo Biagi. È stato clamoroso, anche peggio che con Santoro perché questi faceva in effetti polemica politica mentre Il Fatto era tuttaltro». Come si possono contemperare nel modo più adeguato la libertà di informazione e lonore delle persone offese? «Scartiamo subito il carcere, tanto che lo stesso Berlusconi - "padrone" di Mormino - ha bloccato loperazione. È stato un errore clamoroso, o meglio una brutalità politico-morale. Ma certo i giornalisti devono essere corretti. Come sanzione si può ricorrere alle multe. Personalmente, ritengo che sia sempre male applicato lo strumento della rettifica. Detto questo, la libertà di informazione deve essere molto ampia, il mestiere del cronista più libero possibile. Vorrei che fosse disciplinato solo da regole e codici "umanitari". Invece manca una legge chiara, degna, moderna: la Legge sulla Stampa risale al 48». |
"Al Qaeda
firma così il suo ritorno alle origini" Il ritorno di Al-Qaeda, la sfida mortale rinnovata agli Usa, le ricadute sui fragili equilibri interni al regime saudita. Sono questi i temi al centro del nostro colloquio con il professor Renzo Guolo, studioso dei fondamentalismi contemporanei. I tre sanguinosi attentati che hanno sconvolto Riyad a poche ore dallarrivo del segretario di Stato Usa Colin Powell, segnalano il ritorno alle origini di Al Qaeda? «Cè indubbiamente un motivo di continuità nelazione di Al Qaeda: la tematica dellavversione nei confronti degli americani per la loro occupazione della Terra dei luoghi santi, è infatti una classica istanza del network terrorista di Osama Bin Laden. Allo stesso tempo, questi attentati segnalano ad un potenziale, e tuttaltro che ristretto, bacino di reclutamento che il modo di colpire gli americani resta quello fissato dallorganizzazione. Per Al Qaeda non è possibile combattere gli americani su un terreno convenzionale, come pensavano anche gli islamisti accorsi in Iraq per contrastare loccupazione anglo-americana; il campo scelto resta quello del terrorismo che permette di far fronte e rimettere in discussione le asimmetrie sul terreno della forza». I kamikaze che hanno seminato morte e devastazione sono i portatori di una sfida mortale «Grande Satana» americano, oppure i massacri di Riyad hanno anche ragioni interne alla realtà saudita? «Sicuramente gli attentati sono un monito al regime saudita. Essi avvengono dopo che la famiglia reale e gli Usa hanno deciso di chiudere le basi statunitensi in Arabia, come da molti anni reclamavano gli stessi islamisti sauditi e Al Qaeda. Ma questo non è bastato a preservare quello che Osama Bin Laden considera un regime empio dai colpi del jihadismo. Gli attentati comunque rivelano la profonda penetrazione dellorganizzazione di Bin Laden nellambiente saudita. È difficile pensare che Al Qaeda abbia potuto colpire simultaneamente a Riyad in luoghi molto sorvegliati, senza contare su complicità diffuse ad ogni livello». Gli attentati di Riyad avvengono mentre è in corso la missione in Medio Oriente del segretario di Stato Usa, volta a rilanciare il negoziato di pace israelo-palestinese. Le bombe di Riyad sono anche legate a questo scenario? «Lo sono in quanto la questione palestinese, nel momento in cui si discute dellattuazione della "road map", torna ad avere una sua centralità. Ma va rilevato che Al Qaeda agisce autonomamente per rivendicare la guida del campo islamista in funzione antiamericana. Da questo punto di vista, la causa palestinese rappresenta un elemento della propaganda armata della rete terroristica di Osama Bin Laden». Il ritorno alle origini di Al Qaeda può essere il segno che il saudita Bin Laden è ancora in vita? «Può esserlo, ma proprio la forza di questi attentati indica che indipendentemente dalla sorte di Bin Laden, lArabia Saudita resta comunque un focolaio diffuso di terrorismo. Quel che appare certo è che la guerra in Afghanistan non è riuscita a distruggere interamente la rete di Al Qaeda. E non solo perché, ad oggi, non vi è certezza alcuna sulla sorte di Bin Laden, ma anche perchè il carattere di movimento diffuso e transnazionale di Al Qaeda, toccato relativamente dalla sconfitta militare afghana, fa sì che possa riorganizzarsi e riprendere la Jihad globale. Gli attentati di Riyad ne sono la tragica e incontestabile conferma». Questi attentati possono influenzare la discussione allinterno dellAmministrazione Bush? «Certamente. Prenderà più forza la linea
Wolfowitz-Perle, che ritiene impossibile giungere alla
soluzione del problema del terrorismo se non si esporta,
anche con la forza militare, la democrazia in tutto il
mondo islamico, mentre questi attentati mettono più in
difficolatà il partito degli "stabilizzatori",
guidato da Donald Rumsfeld, che puntava allIraq
come alternativa militare e petrolifera allArabia
Saudita. La linea "Wolfowitz-Perle", riceverà
da questi attentati lindicazione che Al Qaeda, in
quanto attore globale della sfida terroristica, può
portare i suoi colpi ovunque. Ne deriva, per i
sostenitori di questa linea interventista permanente, la
considerazione che non è sufficiente abbandonare
lArabia Saudita, che, anzi, da un minore controllo
americano potrebbe incubare ulteriormente il radicalismo
armato islamico». |
"Il Lodo?
Non in mio nome" ROMA «Non consento a nessuno di farsi scudo del mio nome». Antonio Maccanico è visibilmente infastidito della spregiudicatezza con cui tanti esponenti della maggioranza di governo stanno usando la sua vecchia idea di sospendere i processi giudiziari alle alte cariche dello Stato nel corso dellesercizio del loro mandato istituzionale. «Ho la presunzione di essere un servitore dello Stato prima ancora che un politico riformatore dedito al dialogo bipartisan», premette alla spiegazione del perché quello che è passato alle cronache come il «lodo Maccanico» non può più essere considerato tale. Porta la mano destra verso un cassetto della scrivania: «La formula è rimasta qui, al chiuso, da cinque mesi. Ricorda? Il centrodestra partì alloffensiva con la legge Cirami, puntando al trasferimento dei processi di Milano contro Cesare Previti e Silvio Berlusconi. Il centrosinistra era contro la forzatura. E io, per evitare lennesima lacerazione istituzionale, proposi che ci si confrontasse su una soluzione che tenesse conto del ruolo del premier senza alterare i meccanismi giurisdizionali. Ma liniziativa fu snobbata, se non derisa da quanti credevano di fare il colpo grosso. Hanno fatto un buco nellacqua. E ora...».
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"La furia
distruttiva di Berlusconi ci trascina in un clima da
guerra civile" ROMA «Se continuano questi atteggiamenti, è impossibile che vi sia in Parlamento il clima perché maggioranza e opposizione possano lavorare insieme. E questo, nel momento in cui lItalia assume la presidenza di turno dellUnione europea, è gravissimo». Il responsabile Economia della Margherita Enrico Letta si definisce un «convinto assertore della logica istituzionale». Da sempre tra i più convinti sostenitori del dialogo tra gli schieramenti, commenta amaramente le vicende politiche e giudiziarie degli ultimi giorni, che investono le istituzioni italiane, ma anche quelle europee: «Purtroppo siamo tutti trascinati dal presidente del Consiglio in una logica di perenne guerra civile. In queste condizioni il dialogo è impossibile. Anche sul Lodo Maccanico. Era stato presentato in una logica di riforma complessiva. Ma ormai è chiaro che a Berlusconi questo non interessa. Lavora per il salvacondotto».
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"Parla di
giustizia, ma pensa solo ai suoi processi" MILANO Silvio Berlusconi parla a ruota libera alla convention azzurra di Udine: «C'è un manipolo di magistrati combattenti che stanno lì a fare a colpi di giustizia ciò che non riescono a fare a colpi di democrazia». Niente meno. Lex procuratore di Milano Gerado DAmbrosio eviterebbe volentieri qualunque commento, ma proprio lui ha sempre sostenuto che era necessaria una soluzione del conflitto di interessi tra il premier e la giustizia e qualche mese fa aveva rispolverato lipotesi di una sospensione dei processi a suo carico, fino alleasurimento del mandato.
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Cofferati:
articolo 18, io non vado a votare
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