Da http://www.claudiofava.it/siciliani/memoria/info/info02.htm
da
"I Siciliani", maggio 1984
«Se quanto detto è vero, gli interpellanti
chiedono di sapere quali provvedimenti il Governo intende
adottare al fine di fare piena luce sulla incresciosa
situazione, salvaguardare la libertà di stampa in
Sicilia da condizionamenti mafiosi, acclarare la
condizione patrimoniale dei predetti personaggi...».
L'interpellanza - quello che vi abbiamo proposto è uno
dei momenti di sintesi conclusiva - è datata 23 marzo
1984 e porta la firma di due senatori socialisti
(demartiniani), il calabrese Salvatore Frasca ed il
siciliano Franco Greco. Il testo, sul quale la Presidenza
del Consiglio dei Ministri (a cui è stata indirizzata
l'interpellanza) deve ancora pronunciarsi, è un'analisi
puntuale e particolareggiata della stampa siciliana. O
meglio, dei gruppi di potere editoriali che si sono
aggregati attorno alle principali testate siciliane e
che, dalla Sicilia, stanno muovendo alla conquista di
spazi sempre più ampi.
I dati che emergono da questa interpellanza, e che prima
ancora si coglievano in alcune spericolate manovre
editoriali che non potevano passare inosservate, sono
inquietanti. Soprattutto se letti nello spirito della
recente legge sull'editoria: una normativa che mira ad
evitare concentrazioni editoriali di tipo oligopolistico
nella gestione dei massmedia ma che vuole garantire
soprattutto un'assoluta, inequivocabile trasparenza nella
proprietà dei giornali.
E proprio sulla composizione dei pacchetti azionari dei
maggiori quotidiani siciliani esiste oggi un clima di
pericolosa incertezza. In Sicilia i tre quotidiani del
mattino, gli unici rimasti sulla piazza dopo le
sfortunate vicende del Diario e del Giornale del Sud, si
trovano a gestire l'informazione su nove provincie -
senza alcuna concorrenza "esterna" e con una
precisa delimitazione delle rispettive aree di influenza
- in una situazione di oggettivo monopolio. E' chiaro che
l'ipotesi di ritrovarsi, fra qualche anno (o fra poche
settimane) un trust editoriale ancora più compatto ed
omogeneo, cioè una diversità solo apparente (dal punto
di vista editoriale) fra le tre testate, è un'ipotesi di
estremo rischio per la sopravvivenza di un autentico
pluralismo dell'informazione in Sicilia.
L'interrogazione al Senato, in questo senso, fornisce lo
spunto per approfondire l'argomento. I quesiti di fondo -
a cui cercheremo di rispondere nel corso del servizio -
sono essenzialmente due: chi controlla oggi la stampa in
Sicilia? E che ruolo svolge questo gioco di
partecipazioni editoriali incrociate sulla qualità del
prodotto giornalistico?
Anzitutto il Giornale di Sicilia, principale quotidiano
del mattino in Sicilia per antiche tradizioni (fu fondato
nel 1860 da Girolamo Ardizzone) e per diffusione. In
redazione una cinquantina di giornalisti, dieci
capi-servizio ed un gruppetto di praticanti freschi
d'assunzione; molti professionisti, soprattutto in
cronaca, provengono da una militanza più o meno lunga
nell'Ora, il quotidiano palermitano della sera. La
testata appartiene da sempre alla famiglia
Ardizzone-Pirri, ed è lo stesso Antonio Ardizzone che
dal dicembre di due anni fa - conformandosi ad una
singolare consuetudine in voga nei giornali siciliani -
ha deciso di assumere personalmente la direzione del
Giornale di Sicilia, mettendo fine alla breve parentesi
di Fausto De Luca. Un direttore, De Luca, che si era
dimostrato poco malleabile e troppo irriverente. E non
solo nei confronti dell'editore; e, cosa ancor più
grave, proprio nel delicatissimo periodo seguito
all'assassinio del generale Dalla Chiesa.
Da alcuni anni, comunque, la supremazia della famiglia
Ardizzone all'interno del Giornale di Sicilia non è più
così indiscussa: l'editore-direttore possiede ancora il
68% delle azioni ed un altro sedici per cento è rimasto
saldamente in mano ad un'altra famiglia palermitana
tradizionalmente legata agli Ardizzone, ma un buon 16% è
approdato - per la prima volta nella storia del
quotidiano palermitano - a Catania. Se lo sono
aggiudicato, nel 1981, l'editore Mario Ciancio,
proprietario de La Sicilia, ed il costruttore Carmelo
Costanzo (che, insieme al proprio otto per cento, ha
ottenuto anche un posto in Consiglio di Amministrazione).
Costo dell'operazione, circa un miliardo e mezzo; un
prezzo equo per un investimento redditizio, visto che il
Giornale di Sicilia è uno dei pochi quotidiani italiani
a chiudere i propri bilanci in attivo ogni anno.
Se le motivazioni dell'investimento possono apparire
sufficientemente chiare per Mario Ciancio, editore per
mestiere, non altrettanto immediatamente intuibili sono
quelle del cavaliere Costanzo. Almeno in apparenza. In
realtà, una presenza economicamente determinante (ed in
significativa compagnia) nella proprietà dell'unico
quotidiano del mattino della Sicilia Occidentale è
un'importante carta di credito che un imprenditore
"d'assalto" come Costanzo sapeva di poter
utilizzare in più d'una occasione.
Non a caso proprio nella primavera del 1981 (quando il
cavaliere entra nel Giornale di Sicilia) prende corpo il
progetto di un consorzio fra i quattro maggiori
costruttori catanesi (Costanzo, Rendo, Graci e
Finocchiaro) e le famiglie dei Cassina e dei D'Agostino,
i più facoltosi imprenditori palermitani. Costanzo e gli
altri cavalieri coltivano ambiziosi progetti nel
palermitano e nel trapanese, mirano ad alcune lucrose
commesse pubbliche, e per qualcuno di loro poter contare
- nella scalata agli appalti del comune e della Regione
sull'appoggio (o comunque sul cauto silenzio) della
stampa locale diventa un fatto determinante.
Una ricerca universitaria ("Economia e potere
mafioso in Sicilia") curata da Mario Centorrino ed
Emanuele Sgroi, due docenti della facoltà di scienze
politiche dell'Università di Messina, suggerisce
un'analisi più articolata: «Decidendo di mettere radici
a Palermo, il Cavaliere ha certamente valutato le
circostanze. Sa bene che un imprenditore edile a Palermo
deve fare i conti anche con la mafia che controlla i
cantieri, con le guardianie e con le bombe, con chi
controlla i trasporti, i sub-appalti e le forniture,
impone il "pizzo", interviene nell'assegnazione
degli appalti sostenendo una concorrenza violenta e
illegale, condiziona ambienti politici e burocratici. A
tutto questo, Costanzo oppone la sua filosofia, un
pragmatismo spregiudicato fino al cinismo: "La mafia
c'è e tutti gli imprenditori siciliani sono costretti a
sopportarla, a fare i conti con lei. Saltano le ruspe,
bruciano i cantieri, non possiamo negarlo. Ma gli
imprenditori cosa debbono fare? Gli eroi? La lotta
antimafia per conto loro? (cfr. Panorama, 4 ottobre 1982,
a pag.213)» .
Ed ancora: «Costanzo non si fa scrupoli nel mischiare
politica ed affari. "Oggi tutti i partiti - dice il
costruttore - trattano di affari, di appalti pubblici, di
commesse: questo vuol dire che tutti i partiti sono
mafiosi? Diciamo che questo è il sistema, e che
l'imprenditore non può certo cambiarlo».
E' in questo clima, e con questi presupposti, che matura
l'operazione editoriale che vede significativamente
affiancati Costanzo e Ciancio. «Sorretto da queste
convinzioni - si sottolinea nella ricerca universitaria -
Costanzo concorre ai più appetitosi appalti, aspira ai
lavori di risanamento dei quattro mandamenti (una torta
di oltre mille miliardi tutta ancora da dividere), si
destreggia nei contatti politici, entra in una
combinazione che dovrebbe legittimare ed esaltare la sua
presenza a Palermo». E questa "combinazione",
probabilmente, passa anche per il consiglio
d'amministrazione del Giornale di Sicilia.
Se la presenza di Costanzo nel Giornale di Sicilia è
palese, meno evidente - ma piuttosto probabile - è
l'ingresso, in tempi recenti, di altri cospicui capitali
nel quotidiano palermitano. E le ipotesi che sull'origine
di questi capitali si avanzano conducono tutte,
inevitabilmente, ai Salvo, i potenti esattori di Salemi.
Sono in molti, anche all'interno della redazione del
Giornale di Sicilia, a ritenere certa la presenza dei
Salvo - sia pure abilmente filtrata - fra gli azionisti
del quotidiano. Anzitutto, si fa notare, la linea del
giornale nei confronti dei tre cugini è decisamente più
morbida rispetto alla breve gestione di De Luca: oggi si
privilegiano titoli contenuti e aggettivi misurati.
Ma più ancora che le circospezioni nei confronti dei
Salvo, tradizionali nella storia della testata
palermitana, l'ingresso degli esattori nel pacchetto
azionario del Giornale di Sicilia viene collegato ad una
politica di rilancio in cui sembra siano stati investiti
capitali piuttosto considerevoli. Anzitutto il
rimodernamento della tipografia: messe da parte linotype
e piombo, oggi il giornale si stampa "a
freddo", interamente in offset. Ed ancora, l'area di
diffusione del Giornale di Sicilia è stata allargata a
sette province siciliane su nove, sono raddoppiate le
pagine dedicate alle province di Agrigento, Trapani e
Caltanissetta ed è in cantiere il raddoppio anche per le
altre due edizioni, quelle di Messina e di Ragusa-Enna.
Le assunzioni, infine. Molte, concentrate soprattutto
negli ultimi mesi, un discreto pacchetto di praticanti
iscritti all'Albo a cavallo fra l'83 e l'84. Sintomo di
vitalità.
Le vicende editoriali ed il traumatico cambiamento di
direttore hanno finito per pesare sul rapporto fra
proprietà e redazione. Gli ultimi mesi sono stati
contraddistinti da un confronto serrato, spesso vissuto
sul filo di mozioni ed assemblee. Una delle ultime ha
sortito un documento approvato all'unanimità (lo
pubblichiamo più avanti) con cui l'assemblea esprimeva
«il proprio disagio ed il proprio malessere» per le
eccessive «cautele» nella fattura del giornale e per
alcuni «perversi circuiti di autocensura» che si
rischia di innescare.
La reazione del direttore-editore è immediata. Ardizzone
convoca, uno per uno, i dieci capi-servizio: se il
documento è approvato da tutti, dice ad ognuno di loro,
c'è anche la tua personale adesione; ed allora, poiché
è un documento di aperta sfiducia nei confronti della
direzione, o ti dissoci dall'assemblea oppure ti dimetti.
Nuova assemblea di redazione, ma la reazione di Ardizzone
- troppo violenta per poter essere prevista - ha colto
tutti impreparati. Si vota un nuovo documento con il
quale si chiariscono le intenzioni del precedente, si
spiega che il rapporto fiduciario con la direzione non è
in discussione, si auspica... etc. etc. Laconica risposta
del direttore: volevo querelarvi, per stavolta lasciamo
perdere.
E veniamo alla Sicilia di Catania, il quotidiano edito (e
diretto) da Mario Ciancio, una diffusione dichiarata di
60.000 copie giornaliere per sei edizioni (il giornale ha
cinque ribattute per le provincie di Siracusa, Ragusa,
Enna, Agrigento e Caltanissetta). «Se è vero che il
signor Mario Ciancio, noto come persona di fiducia del
Costanzo è proprietario del giornale "La Sicilia
" di Catania...» chiedono al Presidente del
Consiglio dei Ministri, nella loro interpellanza, i due
senatori; il riferimento più immediato è all'operazione
Giornale di Sicilia che l'editore ed il cavaliere hanno
condotto assieme, ma il tono della domanda tradisce altri
dubbi.
Dubbi sull'autentica paternità dell'altra clamorosa
operazione editoriale avviata da Mario Ciancio nel 1981:
l'acquisto del 3% delle azioni dell'Editoriale
Espresso-La Repubblica, per un valore - si afferma
nell'interpellanza - di trecento milioni di lire. Il
contratto, si sottolinea, risale allo stesso periodo in
cui Costanzo e Ciancio acquistarono il 16% del Giornale
di Sicilia: è probabile che questo binomio si sia
riproposto anche nella scalata ad uno dei più
prestigiosi gruppi editoriali italiani.
Un investimento particolarmente significativo anche
perché proietta autorevolmente l'editore catanese fuori
dai suoi tradizionali confini - se poi, a queste due
operazioni (Giornale di Sicilia ed Espresso) si
aggiungono il recente ingresso di Ciancio nel pacchetto
azionario dell'altro quotidiano siciliano, la Gazzetta
del Sud (di cui parleremo più avanti), la proprietà
dell'Espresso Sera, l'unico quotidiano del pomeriggio
nella Sicilia Orientale, e di Antenna Sicilia,
l'emittente televisiva siciliana con i più alti indici
di ascolto, si ha l'esatta misura dei livelli di
concentrazione editoriale raggiunti dal gruppo Ciancio in
Sicilia.
La nascita di questo trust dell'editoria ha provocato
notevole turbamento anche nell'ambiente politico
siciliano: una eccessiva concentrazione di potere attorno
all'editore catanese (ed all'imprenditoria catanese che
in questo editore perfettamente si riconosce) non è
gradita a tutti, minaccia gli equilibri politici ed
economici faticosamente ricomposti, crea un pericoloso
trampolino di lancio a disposizione di alcuni gruppi di
potere verso l'altra parte dell'Isola. Tra le reazioni
più dure che registrano le cronache, c'è anche una
denunzia presentata da un parlamentare siciliano alla
Commissione Antimafia. L'esposto, che trae lo spunto
dall'interpellanza al Senato, suggerisce una
"rilettura" dei redditi dichiarati al fisco e
degli investimenti fatti da Mario Ciancio negli anni
immediatamente precedenti all'operazione Giornale di
Sicilia-Espresso:
«Ciancio - è scritto nell'esposto - denuncia, negli
anni che vanno dal 1974 al 1980, redditi che sono
irrisori rispetto alla sua consistenza patrimoniale ed
agli acquisti che va facendo proprio negli anni stessi.
Nel 1974 il suo reddito netto dichiarato è di 28.039.000
lire. Ma già nel 1951 egli acquista a Lentini otto
ettari di agrumeto per un valore di 300 milioni. Nel
periodo 1957-1963, sempre a Lentini, acquista ventidue
ettari di agrumeto per un valore di 800 milioni. Altri
300 milioni valgono dieci ettari di agrumeto acquistati
nel 1965 a Centuripe, in provincia di Enna; 150 per
cinque ettari di pistacchio, acquistati sempre nel 1965
ad Adrano (Catania) Il 1965 è senza dubbio un anno di
pochi redditi ma di grandi investimenti, perché altri
120 milioni valgono dodici ettari di castagneto
acquistato a Biancavilla. Nel 1971 acquista a Lentini
ventuno ettari di agrumeto del valore di 800 milioni e
nel 1972, a Catania, acquista quasi quattordici ettari di
agrumeto il cui valore è di 600 milioni).
«I redditi dichiarati da Ciancio - si legge ancora nella
Memoria presentata all'Antimafia - nel 1975 scendono,
però, a 18.192.000, per risalire a 36.913.000 nel '76.
Vien fatto solo di chiedersi come egli nello stesso anno
1976 abbia potuto acquistare ad Adrano tre ettari di
agrumeto il cui valore è di 120 milioni. E' da notare
inoltre che nel 1974 è in corso di trasformazione in
agrumeto una estensione di trenta ettari situati in
contrada Bonaccorso di Catania, di cui Ciancio è
comproprietario per un terzo ed il cui valore, prima
della trasformazione, era di 750 milioni. Il 1976 è
senza dubbio un anno fortunato per Ciancio che,
nonostante la modestia dei suoi redditi dichiarati, può
acquistare ventuno ettari di terreno seminativo a
Biancavilla, terreno che ha un valore di 100 milioni e
tre ettari di agrumeto a Centuripe del valore di 120
milioni. Il reddito netto dichiarato, nel 1977, è di
92.580.000; nel '78 di 68.957.000; nel '79 di 50.364.000;
nell'80 di 89.751.000...».
Il terzo quotidiano del mattino siciliano è la Gazzetta
del Sud di Messina, unica testata locale non solo del
messinese ma anche della Calabria; quasi assente al di
fuori di queste quattro province, all'interno di esse è
praticamente l'unico quotidiano venduto. Da un anno circa
il giornale si è ammodernato tecnologicamente passando
dalla stampa a piombo alla fotocomposizione e ciò gli ha
permesso, riducendo i tempi di produzione, di sfruttare
ancor meglio la capillare rete di distribuzione di cui
dispone nelle quattro provincie in cui è diffuso.
Principale azionista, e per circa trent'anni unico
proprietario, ne è l'industriale della molitoria Umberto
Bonino, un ex-ufficiale di marina datosi poi
all'imprenditoria nel dopoguerra: cavaliere del lavoro ma
- in Sicilia la precisazione va fatta...- non sfiorato da
sospetti di collegamenti mafiosi. Gestita con criteri
paternalistici (la prima assemblea di redazione si è
avuta l'anno scorso; in compenso le ricorrenze aziendali
vengono festeggiate convivialmente insieme da editore,
giornalisti a maestranze) la testata ha seguito nel tempo
gli spostamenti politici - dai monarchici all'area
liberale, dalla destra alla Democrazia Cristiana -
dell'editore, saldamente legato agli interessi e alla
cultura del notabilato moderato locale. Il direttore,
l'ex-senatore democristiano Nino Calarco, è da oltre
vent'anni nel giornale ed è considerato un fedelissimo
dell'editore. Difficile immaginare un giornale locale
più «tipico», nel bene e nel male, della Gazzetta.
Anche qui, peraltro, sono arrivati i tempi nuovi. Da una
decina di anni, infatti, il quindici per cento del
pacchetto azionario della società editrice del giornale,
la S.E.S., è al di fuori del controllo di Bonino. Negli
anni Settanta socio di minoranza è stato l'industriale
petrolifero (nel messinese ha sede una delle principali
raffinerie europee) Rovelli, prima attraverso la società
«Messapia» e poi mediante la holding svizzera
«Malachia». Caduto Rovelli, una legge dello Stato
istituisce, nel 1980, un comitato di liquidazione col
compito di chiudere le attività delle varie società del
gruppo, fra cui quelle editoriali; alcune società di
Rovelli riescono tuttavia, in maniera ancora non chiara,
a rimanere in funzione. Si giunge così al 1983:
improvvisamente, si viene a sapere, quel quindici per
cento della S.E.S. che apparteneva a Rovelli è stato
appena acquistato, per ottocentocinquanta milioni,
dall'editore catanese Mario Ciancio.
Il fatto suscita durissime reazioni di Bonino che, come
socio di maggioranza della S.E.S., si era a suo tempo
riservato il diritto di opzione sul pacchetto di
minoranza; il messinese porta immediatamente il caso
davanti alla magistratura, cercando di far invalidare
l'acquisto da parte di Ciancio, e nel frattempo cerca in
tutti i modi di limitare al massimo l'influenza del nuovo
acquirente nella gestione della società: la notizia
dell'arresto del catanese Antonino Santapaola, esponente
di una Famiglia mafiosa molto bene introdotta negli
ambienti industriali catanesi viene data - per esempio -
con puntualità dal quotidiano messinese, unico fra le
grandi testate isolane; più di recente, Bonino dà ampio
risalto sulla Guzzetta alla notizia dell'accordo
intervenuto fra i gruppi editoriali catanesi (Ciancio,
Costanzo e Rendo) con quelli che fanno capo ad alcune
grandi testate nazionali. Insomma, la Gazzetta si trova a
rappresentare - più o meno spontaneamente - l'ultima
sacca di resistenza, fra i grandi quotidiani siciliani,
all'«invasione» dei chiacchierati editori catanesi: in
un momento fra l'altro, in cui a Messina si prepara il
decennio degli appalti multimiliardari del Ponte.
Il Ponte, gli appalti di Palermo e quelli della Regione,
i contributi degli assessorati... I movimenti negli
assetti proprietari della stampa siciliana si svolgono
sullo sfondo di un giro di centinaia, anzi di migliaia,
di miliardi assegnati e da assegnare. Difficile pensare
che la scalata al «quarto potere», in Sicilia come
altrove, possa prescindere da essi. Perché
scandalizzarsene, in fondo? «Comprati e venduti» è
stata, ed è tuttora, la sorte di giornali ben più
importanti dei nostri, e nessuno se n'è meravigliato
eccessivamente: sono «le regole del mercato».
Solo che in Sicilia c'è anche la mafia.
Claudio
Fava
Riccardo Orioles
Da: http://www.nuoveantenne.it/NA200006/06.htm
FURBI
MATRICOLATI
[
]
E' noto che la Fnsi non si è mai mostrata tenera con
radio e televisioni locali temendo che esse, in
prospettiva, determinino la scomparsa dei mezzi a stampa.
Più volte si è cercato di spiegare la diversità dei
mezzi e i motivi effettivi per cui i giornali vendono
poco nel nostro paese, ossia la pervicace tendenza ad
occuparsi solo di cronaca nera e rosa o di politica per i
soli addetti ai lavori invece di cose che interessano la
normale vita civile, ma non c'è stato nulla da fare,
l'avversione dei giornali è rimasta e si manifesta con
il silenzio sull'emittenza, eccetto nei casi in cui
vengono raccolti motivi di denigrazione.
Tanta violenza da un presidente però non ce
l'aspettavamo; secondo Ciancio si dovrebbero chiudere 600
televisioni locali private, ovvero tutte, esclusa appena
qualcuna...
Ma perché tanto odio? Forse Sanfilippo è assillato da
turbe di moralismo per i programmi notturni delle tv
locali? E' un ecologista a testata spinta che intende
imporre risparmi di corrente? Teme forse che qualche
irresponsabile facendo uso improprio del mezzo in etere
dichiari che è scoppiata la guerra?
Nulla di tutto ciò. Finalmente, dopo tante domande, il
caso ci ha aiutato a scoprire l'arcano: Mario Ciancio
Sanfilippo, ex presidente della Fnsi è un imprenditore
titolare di due televisioni, Antenna Sicilia e TeleEtna
di Catania.
Da http://www.sherwood.it/portal/article.php?sid=2570
Informazione. Il Tg5
s'interrompe e, improvvisamente, partono dieci
minuti di spot del governo. Non nel senso che si parla
bene di
Berlusconi, ma nel senso che il governo ha regolarmente
acquistato, con
soldi pubblici, uno spazio pubblicitario dentro il
telegiornale e, fra
una notizia e l'altra, lo manda in onda tranquillamente.
Scandaloso,
no? Tanto scandaloso che in realta' nemmeno Berlusconi se
l'e' sentita
di farlo.
Invece, Ciancio si'. A Catania, una parte del
telegiornale locale,
Antenna Sicilia, che appartiene (come tutto il resto) a
Ciancio, e'
stata acquistata dal Comune per propagandare le proprie
iniziative. Due
piccioni con una fava: da un lato il Comune finanzia, coi
soldi
pubblici, l'imprenditore Ciancio; dall'altra Cianco
impone ai
malcapitati telespettatori che pensavano di vedere un
telegiornale la
propaganda elettorale (e clientelare) di sindaco e
assessori. Il tutto,
gestito dall'allegra compagnia dei "colleghi"
dell'Ufficio Stampa del
Comune, tutti rigorosamente scelti fra i redattori dei
giornali e
telegiornali di Ciancio.
Del riccardo orioles
ricc@libero.it>
tanto per abbaiare
22 luglio 2002 n.136
La
cancrena
L'editore-direttore
(caso unico) de La Sicilia [1] possiede tutte
le emittenti televisive, tutte; tutte o quasi le
emittenti radiofoniche, l'unico quotidiano letto
("La Sicilia") persino spazi pubblicitari
murali, e per ultimo ha partecipazione azionaria,
presumibilmente di maggioranza, alla Tiscali, e alla TIN,
due giganti, come è noto.
Nel dettaglio
(con beneficio d'inventario):
Radio Sis
(diffusione regionale)
RadioTelecolor (diffusione
regionale)
Antenna Sicilia
(diffusione regionale)
Teletna
(diffusione regionale)
Telecolor
(diffusione regionale)
Video-3
(diffusione regionale)
TeleCatania
TeleSiciliaColor
Telejonica
La Sicilia
(quotidiano a diffusione regionale)
Partecipazioni a: Espresso - Gazzetta del
Mezzogiono -Gazzetta del Sud -Giornale di Sicilia, La 7
, TELECOM, TIN e Tiscali.
Quale il commento ? non ne viene alcuno.
[1] La legge prevede che
un direttore responsabile debba essere iscritto all'Albo,
e sempre la legge prevede che l'iscrizione all'albo
richiede un certo numero di pezzi pubblicati. Mario
Ciancio Sanfilippo da decenni non pubblicata una virgola,
ma dirige in prima persona quel giornale/ cancrena.
Il presidente dell'Ordine dei Giornalisti,
interpellato ha risposto picche.
Da www.erroneo.org
Mafia e informazione a Catania
(quando un sistema di potere si confonde con la
sua stampa)
di Marco Benanti
Informazione
e democrazia: un binomio stretto che a Catania, però,
storicamente non è mai esistito. Attorno all'editoria,
infatti, si è unito un blocco di potere che impera a
Catania e che peraltro ha prodotto un sistema di
equilibri che tiene nel sottosviluppo anche la stessa
attività editoriale.
Il giornale "La Sicilia" del presidente uscente
della Fieg, Mario Ciancio
Sanfilippo,
non è solo, infatti, l'espressione di un monopolio
privato, che va dalla stampa quotidiana all'emittenza
televisiva, passando per radio e prodotti internet, ma
soprattutto è asse portante di trasversali intrecci
politici, economici, sociali, spesso non trasparenti. Le
più rilevanti operazioni che riguardano la città e il
suo futuro trovano cassa di risonanza nel quotidiano
locale, capace di inglobare in sé tutto l'arco delle
forze politiche, economiche e sociali, all'interno di un
paravento che è però, solo una mera rappresentazione
formale di democrazia. Nei fatti, la storia di Catania è
la storia dei silenzi interessati del suo establishment,
delle sue omissioni, delle sue mistificazioni
puntualmente accolte nel quotidiano di Ciancio, peraltro
erede di una delle massime espressione del potere degli
agrari e suo portavoce, nelle espressioni più retrive,
per decenni. Quello dell'informazione locale è,
pertanto, solo un capitolo della triste storia di una
città immobile: quello dei media è infatti un sistema
che contribuisce da impedire il ricambio
politico-sociale. E la mafia, sempre e ovunque presente a
Catania, ne "incassa" i benefici pratici.
Il riferimento è ai media in generale, dalla carta
stampata, alla televisione, alla radio, un intero
comparto egemonizzato da Mario Ciancio, divenuto
"dominus" anche nel settore della raccolta
pubblicitaria (il riferimento è alla Publikompass) con
un'operazione di accaparramento che è letale per chi
vuole creare nuovi ambiti di partecipazione democratica.
Non a caso, molte esperienze nate in questi anni nella
nostra provincia hanno dovuto fare i conti con questa
condizione generale, con conseguenze spesso drammatiche
(vedi il caso de "I Siciliani"). Molte sono
riuscite appena a sopravvivere, altre sono affondate,
sommerse, oltre che dai debiti, dall'indifferenza della
classe politica e della cosiddetta società civile, che,
al di là dei rituali attestati di solidarietà, nulla di
concreto ha fatto
per
rilanciare forme di pluralismo nell'informazione a
garanzia della nascita di nuove opportunità di
partecipazione democratica. Anche in questa occasione,
quindi, Catania si è confermata città dove il potere ha
un solo "volto", quello consociativo, non tanto
poi diverso da quanto presenti il quadro nazionale. E la
mafia può così continuare a fare affari, con
"coperture" a tutti i livelli, non esclusi il
sindacato e le rappresentanze della cosiddetta
"sinistra".
Il nodo informazione è, quindi, irrisolto, con
devastanti conseguenze: Catania può così essere l'
"Etna Valley" della propaganda della passata
amministrazione di centro-sinistra e poi di quella della
nuova giunta di centro-destra e contemporaneamente
ospitare uno dei massimi "latifondi editoriali"
italiani, dove le condizioni di lavoro sono -grazie anche
al sindacato- un mistero che solo chi è in malafede
occulta nella sua realtà di sfruttamento quotidiano di
tanti collaboratori privi di ogni diritto.
Nel dettaglio, così come accade a Palermo con "Il
Giornale di Sicilia" e a Messina con "La
Gazzetta del Sud", "La Sicilia" ha un
direttore che è anche un editore. Mario Ciancio, quindi,
incarna una duplice veste che è una contraddizione in
termini per ogni discorso su libertà di stampa e
democrazia. I termini della questione sono però molto
più gravi: Ciancio è allo stesso tempo vicepresidente
dell'Ansa, la terza agenzia di informazione del mondo e
snodo centrale dell'informazione siciliana, guarda caso
ospitata nell'edificio dove ha sede la redazione de
"La Sicilia", ha partecipazioni azionarie negli
altri due quotidiani isolani, controlla gran parte
dell'emittenza televisiva privata catanese e siciliana,
si è spinto con i suoi interessi editoriali da tempo in
Puglia (caso "Gazzetta del Mezzogiorno" di
Bari) e Basilicata, oltre ad avere interessi fondiari,
imprenditoriali e pubblicitari che si intersecano in modo
allarmante con la vita politica di Catania e della
Sicilia intera.
Un capitolo a parte, poi, merita la condizione dei
collaboratori dei giornali, delle emittenti
radiotelevisive e delle redazioni on line(compresi i
terziarizzati operanti nei services) che vivono in
condizioni da "Terzo Mondo", sfruttati da un
sistema che pretende prestazioni continue per paghe
scandalose, di fronte alle quali il sindacato non ha mai
alzato -sul serio- la voce. Centinaia di lavoratori sono
così marginalizzati, ridotti all'eterna condizione di
"giovani", in attesa esclusivamente di un
"padrino" che risolva loro i problemi in un
sistema che rifiuta ogni principio se non di giustizia,
almeno di meritocrazia e privilegia le appartenenze a
gruppi ristretti, parasindacali o non, a "clan"
di parenti o "amici".
L'ultima beffa è arrivata, poi, dagli uffici stampa: è
stata approvata la legge nazionale, sono arrivati di
decreti regionali, ma ancora l'ingresso in questi posti
è segnato esclusivamente da logiche clientelari o
corporative. Per l'ennesima volta, l'esistenza di un
ordine professionale, caso unico in Europa, escludendo la
Turchia, produce i suoi "mirabili"
effetti
Da
indymedia
CATANIA:ORDINARIE
CENSURE!!!
by groova@freaknet.org Monday June 24, 2002 at
07:07 PM |
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si muore di caldo e un giornale
viene bloccato dal distribuitore che si rifiuta di
distribuire il giornale perchè non vuole mettersi contro
il suo padrone che poi altro non è che il padrone
dell'informazione a Catania
Storia
di ordinaria censure.
A Catania venerdì 21 giugno doveva uscire un giornale
che si chiama Controvento, questo giornale non è in
edicola. Non è arrivato. Perchè? Perchè il
distribuitore si è rifiutato
di consegnarlo alle edicole!!!
Perchè
costui si rifiuta?
Sembra
che nel giornale ci sia un articolo in cui si parla del
suo padrone, si parla di mafia e di informazione a
Catania. Il condizionale è d'obbligo perchè io
l'articolo non l'ho letto. Ma appena ho appreso la
notizia qui su indy media sono uscito, mi sono fatto un
giro per le edicole del centro, nè ho girato 5 e mi
hanno detto: "nun c'è" (trad.:"non
c'è") e ho chiesto: "ma quando arriva?"
qualkuno ha fatto cenno con la testa per dire che non
conosceva il giornale, qualkuno mi ha fatto capire che
forse arriverà, qualcuno mi ha fatto vedere la bolla
dove c'era scritto: "ritirate 27 copie di
controvento"...e nessun altro commento, l'ultimo
edicolante mi ha raccontato che doveva arrivare venerdì,
che venerdì e sabato non è arrivato e che oggi è
arrivata la bolla (una simile a quella dell'altro
edicolante) in cui si annunciava il ritiro del giornale.
Un
bel inizio questo di Controvento, censurato prima ancora
di uscire. Il monopolio dell'informazione a Catania è
noto a tutti, da decenni vari tentativi di rendere ancora
più pubblico questo scandalo sono stati fatti, ma con
scarsi tentativi. Vedremo cosa succede, sono a caccia di
questo giornale, alcuni amici mi hanno detto che si sta
avendo una distribuzione militante. Appena ne avrò copia
e avrò ulteriori informazioni scriverò qualcosa.
Saluti da
Catania...
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