Il Tibet, nazione indipendente con una storia che risale al 127 a.C. è stato invaso nel 1959 dalla Repubblica Popolare Cinese. Un milione e duecentomila tibetani, un quinto della popolazione, sono morti come risultato dell'occupazione cinese. Migliaia di prigionieri religiosi e politici vengono detenuti in campi di lavoro forzato, dove la tortura è pratica comune. Uno degli
aspetti penosi della dominazione cinese è stato il
"thamzing", durante il quale i tibetani erano
costretti ad autoaccusarsi dei crimini non commessi e ad
autodegradarsi. Molti genitori,
a loro volta, sono stati costretti a pagare i proiettili
usati per ucciderli e a ringraziare i cinesi per aver
eliminato "elementi antisociali". Spesso vengono sterilizzate in condizioni spaventose, tutte le donne in età fertile di un paese: radunate a forza davanti a una tenda montata allo scopo, sono costrette ad attendere il loro turno ascoltando oltretutto le grida della donna operata all'interno. Non ci sono anestesie, altissima è la percentuale di donne morte per infezione, poiché vengono obbligate ad abortire anche donne in attesa da cinque o sei mesi. Le donne tibetane si rifiutano di partorire negli ospedali perché in molti casi il bimbo viene loro sottratto e considerato "morto durante il parto". Inoltre il
Tibet un tempo pacifico stato cuscinetto tra India e Cina
è diventato una vasta base militare che ospita buona
parte della forza missilistica nucleare cinese, valutata
complessivamente in 350 testate nucleari. Esistono
numerose miniere di uranio dove la manodopera è quasi
esclusivamente tibetana; parecchie persone che vivono nei
villaggi vicini alle basi atomiche, ai luoghi di
interramento delle scorie nucleari e alle miniere di
uranio, sono gravemente malate, mentre continuano a
nascere bambini deformi, i campi non danno più colture,
gli animali muoiono e le acque dei fiumi che attraversano
vasti territori dell'Asia, quali Brahmaputra, sono
contaminate da materiale radioattivo. La
deforestazione del Tibet procede senza sosta dal 1963 24
ore su 24. Il Governo Tibetano in Esilio, con sede a Dharamsala, in India, è stato organizzato secondo principi democratici. Nonostante la rigida chiusura del Governo di Pechino che si ostina a negare l'esistenza di una "questione Tibetana", dal 1959 ad oggi il Dalai Lama ha formulato diverse proposte politiche per sbloccare la situazione ed avviare un serio negoziato.
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