Andreotti, ma quale assoluzione?

di Marco Travaglio

  Ma di quale sentenza stanno parlando? Ma di quale <conferma della prima assoluzione> vanno cianciando? Ma di quale <teorema giustizialista> straparlano?
Eppure il presidente Scaduti l’ha detto chiaro e tondo, e tutte le televisioni l’hanno trasmesso senza rendersi conto di quel che facevano: <il reato di associazione per delinquere commesso fino alla primavera del 1980 è estinto per prescrizione>, mentre per l’associazione mafiosa successiva al 1982 si conferma la prima sentenza: assoluzione per insufficienza di prove. Ora, lorsignori lo conoscono il significato di <associazione per delinquere>, di <commesso> e di <prescrizione>?
E lo sanno quando è scattata la prescrizione di quel reato?
Nel dicembre 2002.
Cioè 22 anni e 6 mesi dopo la primavera del 1980 (quando si svolse l’ultimo incontro Andreotti-Bontate). Cioè poco più di quattro mesi fa. Il che significa che la Procura di Caselli (ieri definito <sconfitto> e addirittura <condannato> da qualche analfabeta) aveva visto giusto quando aveva chiesto e ottenuto di far processare Andreotti.
E aveva sbagliato il Tribunale ad assolvere l’imputato, sia pure con formula dubitativa, per il periodo degli anni 70. Infatti, con l’impostazione della Corte d’appello, nel processo di primo grado (concluso nell’ottobre 1999) Andreotti sarebbe stato condannato per associazione per delinquere, cioè per la sua alleanza organica con Cosa Nostra fino al 1980. Cioè per aver incontrato - come affermavano numerosi collaboratori di giustizia, ma soprattutto un testimone oculare, Francesco Marino Mannoia – boss del calibro di Stefano Bontate, per parlare del delitto Mattarella.
E per aver incontrato anche il boss Badalamenti, come aveva testimoniato Tommaso Buscetta, avendolo appreso dalla viva voce di don Tano a proposito del delitto Pecorelli. Insomma, se l’appello fosse finito entro il 20 dicembre dell’anno scorso, con quattro mesi e mezzo di anticipo, Andreotti sarebbe stato condannato in base all’articolo 416, cioè all’associazione <semplice>, visto che quella aggravata di stampo mafioso (416 bis) fu introdotta nel codice penale soltanto nel 1982, con la legge Rognoni-La Torre.
Le sguaiataggini dell’avvocatessa Buongiorno, reduce dai fiaschi di Perugia, sono comprensibili: doveva gettare un po’ di fumo negli occhi ai giornalisti, nella speranza (in gran parte ben riposta) che non si accorgessero della prescrizione o fingessero di non vederla. Molto più abbacchiati apparivano invece i colleghi Gioacchino Sbacchi e Franco Coppi, principi del foro, che le sentenze le sanno leggere meglio di quanto non riescano a recitare: dev’essere frustrante per un avvocato difensore passare da un’insufficienza di prove a una condanna per omicidio a una reformatio in pejus in appello con prescrizione, e per giunta per il rotto della cuffia.
E’ comprensibile anche l’impudenza del senatore a vita, che parla di <falsi testimoni e falsi pentiti>, quando il reato ritenuto provato e prescritto l’hanno raccontato proprio testimoni e pentiti giudicati attendibili dalla Corte (che lui stesso definisce <molto obiettiva>).
E’ comprensibile, infine, il delirio del cavalier Silvio Berlusconi (<è stato abbattuto il primo dei teoremi giustizialisti del 1993 che voleva sfigurare la storia d’Italia>), che ormai usa tutte le sentenze, anche quelle pronunciate in Australia, siano esse di condanna o di assoluzione o di prescrizione, per piazzare disperatamente il suo ultimo prodotto avariato: l’immunità parlamentare per <ripristinare lo spirito della Costituzione> (quella che due settimane fa lui stesso definiva <sovietica>, beccandosi le reprimende di Andreotti). Si comprende, infine, la svogliatezza che coglie politici e commentatori di fronte a sentenze di 6 mila pagine, come quella di primo grado: informarsi è faticoso, lavorare stanca.
Ma qui basta leggere il dispositivo. Una paginetta, non di più. Con un piccolo sforzo, si può capire tutto.
E, fatta salva l’ignoranza crassa o la demenza galoppante, si potrebbero evitare corbellerie come il titolo del Giornale di oggi: <Andreotti mafioso era uno scherzo>. O come le autorevolissime scemenze pronunciate ieri dai presidenti di Camera e Senato, che hanno subito voluto congratularsi col senatore a vita prescritto.
Casini ha straparlato di <onore ristabilito> (ma forse parlava di onore nel senso siciliano del termine).
Pera ha farfugliato di una <riparazione di un torto inferto per anni all’immagine della Dc e dell’Italia> (ma forse si riferiva allo discredito arrecato al partito e al Paese dalla cinquantennale presenza di uno come Andreotti). I leader centrosinistri si sono invece affannati a esaltare il <fair play> e <l’esemplare comportamento processuale> tenuto dall’imputato.
L’unico concetto che questi tartufi riescono a esprimere, a proposito di un senatore a vita condannato in appello a 24 anni per omicidio e miracolato dalla prescrizione e dall’insufficienza di prove per il reato di mafia, è che si comporta da vero signore. Non dice le parolacce, non sporca, non mangia con le mani, non si mette le dita nel naso.
Due corti d’appello dicono che ha fatto ammazzare un giornalista, incontrato e aiutato i capi della mafia, ma è tanto educato e tanto ammodo, signora mia.