di Emiliano Fittipaldi e Marco Lillo La trasferta a Teramo per diventare professore. La casa con sconto dall'ente. Il rudere che si muta in villa. Le assenze in Europa e al Comune. Ecco la vera storia del ministro anti-fannulloni La prima immagine di Renato Brunetta
impressa nella memoria di un suo collega è quella di un
giovane docente inginocchiato tra i cespugli del giardino
dell'università a fare razzia di lumache. Lì per lì i
professori non ci fecero caso, ma quella sera, invitati a
cena a casa sua, quando Brunetta servì la zuppa,
saltarono sulla sedia riconoscendo i molluschi a
bagnomaria. Che serata. La vera sorpresa doveva ancora
arrivare. Sul più bello lo chef si alzò in piedi e,
senza un minimo di ironia, annunciò solennemente:
"Entro dieci anni vinco il Nobel. Male che vada,
sarò ministro". Eravamo a metà dei ruggenti anni
'80, Brunetta era solo un professore associato e un
consulente del ministro Gianni De Michelis.
Proprio a Strasburgo, se avessero
applicato la 'legge dei tornelli' invocata dal ministro,
il professore non avrebbe fatto certo una bella figura.
Secondo i calcoli fatti da 'L'espresso', in dieci anni è
andato in seduta plenaria poco più di una volta su due.
Per la precisione la frequenza tocca il 57,9 per cento.
Con questi standard un impiegato (che non guadagna 12
mila euro al mese) potrebbe restare a casa 150 giorni
l'anno. Ferie escluse. Lo stesso ministro ha ammesso in
due lettere le sue performance: nella legislatura
1999-2004 ha varcato i cancelli solo 166 volte, pari al
53,7 per cento delle sedute totali. "Quasi nessun
parlamentare va sotto il 50, perché in tal caso
l'indennità per le spese generali viene dimezzata",
spiegano i funzionari di Strasburgo. Nello stesso periodo
il collega Giacomo Santini, Pdl, sfiorava il 98 per cento
delle presenze, il leghista Mario Borghezio viaggiava
sopra l'80 per cento. Il trend di Brunetta migliora nella
seconda legislatura, quando prima di lasciare l'incarico
per fare il ministro firma l'elenco (parole sue) 148
volte su 221. Molto meno comunque di altri colleghi di
Forza Italia: nello stesso periodo Gabriele Albertini è
presente 171 volte, Alfredo Antoniozzi e Francesco
Musotto 164, Tajani, in veste di capogruppo, 203. La produttività degli europarlamentari
si misura dalle attività. In aula e in commissione.
Anche in questo caso Brunetta non sembra primeggiare: in
dieci anni ha compilato solo due relazioni, i cosiddetti
rapporti di indirizzo, uno dei termometri principali per
valutare l'efficienza degli eletti a Strasburgo. L'ultima
è del 2000: nei successivi otto anni il carnet del
ministro è desolatamente vuoto, fatta eccezione per le
interrogazioni scritte, che sono - a detta di tutti -
prassi assai poco impegnativa. Lui ne ha fatte 78. Un
confronto? Il deputato Gianni Pittella, Pd, ne ha
presentate 126. Non solo. Su 530 sedute totali, Brunetta
si è alzato dalla sedia per illustrare interrogazioni
orali solo 12 volte, mentre gli interventi in plenaria
(dal 2004 al 2008) si contano su due mani. L'ultimo è
del dicembre 2006, in cui prende la parola per
"denunciare l'atteggiamento scortese e francamente
anche violento" degli agenti di sicurezza: pare non
lo volessero far entrare. Persino gli odiati politici
comunisti, che secondo Brunetta "non hanno mai
lavorato in vita loro", a Bruxelles faticano molto
più di lui: nell'ultima legislatura il no global
Vittorio Agnoletto e il rifondarolo Francesco Musacchio
hanno percentuali di presenza record, tra il 90 e il 100
per cento. Se la partecipazione ai lavori d'aula
non è da seguace di Stakanov, neanche in commissione
Brunetta appare troppo indaffarato. L'economista sul suo
sito personale ci fa sapere che, da vicepresidente della
commissione Industria, tra il 1999 e il 2001 ha
partecipato alle riunioni solo la metà delle volte,
mentre nel biennio 2002-2003, da membro titolare della
delicata commissione per i Problemi economici e monetari,
si è fatto vedere una volta su tre. Strasburgo è
lontana dall'amata Venezia, ma non si tratta di un
problema di distanza. A Ca' Loredan, nel municipio dove
è stato consigliere comunale e capo dell'opposizione dal
2000 al 2005, il nemico dei fannulloni detiene il record.
Su 208 sedute si è fatto vedere solo in 87 occasioni:
quattro presenze su dieci, il peggiore fra tutti i 47
consiglieri veneziani. Il bello del mattone LA MAPPA DELLE PROPRIETA' DI BRUNETTA Brunetta spendeva invece molto tempo
libero per mettere a segno gli affari immobiliari della
sua vita. Oggi il ministro possiede un patrimonio
composto da sei immobili (due ereditati a metà con il
fratello) sparsi tra Venezia, Roma, Ravello e l'Umbria,
per un valore di svariati milioni di euro. "Mi
piacciono le case e le ho pagate con i mutui", ha
sempre detto. Effettivamente per comprare e ristrutturare
la magione di 420 metri quadrati con terreno e piscina in
Umbria, a Monte Castello di Vibio, vicino a Todi,
Brunetta ha contratto un mutuo di 600 milioni di vecchie
lire del 1993. Ma per acquistare la casa di Roma e quella
di Ravello, visti i prezzi ribassati, non ne ha avuto
bisogno. Cominciamo da quella di Roma. Alla fine degli
anni Ottanta il rampante professore aveva bisogno di un
alloggio nella capitale, dove soggiornava sempre più
spesso per la sua attività politica. Un comune mortale
sarebbe stato costretto a rivolgersi a un'agenzia
immobiliare pagando le stratosferiche pigioni di mercato.
Brunetta no. Come tanti privilegiati, riesce a
ottenere un appartamento dall'Inpdai, l'ente pubblico che
dovrebbe sfruttare al meglio il suo patrimonio
immobiliare per garantire le pensioni ai dirigenti delle
aziende. Invece, in quel tempo, come 'L'espresso' ha
raccontato nell'inchiesta 'Casa nostra' del 2007, gli
appartamenti più belli finivano ai soliti noti. Brunetta
incluso. Un affitto che in quegli anni era un sogno per
tutti i romani, persino per i dirigenti iscritti
all'Inpdai ai quali sarebbe spettato. Lo racconta Tommaso
Pomponi, un ex dirigente della Rai ora in pensione, che
ha presentato domanda alla fine degli anni Ottanta:
"Nonostante fossi stato sfrattato, non ottenni
nessuna risposta. Contattai presidente e direttore
generale, scrissi lettere di protesta, inutilmente".
Pomponi ha pagato per anni due milioni di lire di affitto
e poi ha comprato a prezzi di mercato, come tutti. Il
ministro, invece, dopo essere stato inquilino per più di
15 anni con canone che non ha mai superato i 350 euro al
mese, ha consolidato il suo privilegio rendendolo
perpetuo: nel novembre 2005 il patrimonio degli enti
infatti è stato ceduto. Brunetta compra insieme agli
altri inquilini ottenendo uno sconto superiore al 40 per
cento sul valore di stima. Alla fine il prezzo spuntato
dal grande moralizzatore del pubblico impiego è di 113
mila euro, per una casa di 4 vani catastali, situata in
uno dei punti più belli di Roma. Si tratta di un quarto
piano con due graziosi balconcini e una veranda in legno.
Brunetta vede le rovine di Roma e il parco dell'Appia
antica. Un appartamento simile a quello del ministro vale
circa mezzo milione di euro: con i suoi 113 mila euro
l'economista avrebbe potuto acquistare un box. GUARDA LO SFOGLIO: I documenti dell'acquisto della casa
Inpdai Un tuffo in Costiera Anche il buen
retiro di Ravello è stato un affare immobiliare da
Guinness. Brunetta, che si autodefinisce "un
genio", diventa improvvisamente modesto quando passa
in rassegna i suoi possedimenti campani. "Una
proprietà scoscesa", ha definito questa splendida
villa di 210 metri quadrati catastali immersa in 600
metri di giardino e frutteto. Seduto nel suo patio il
ministro abbraccia con lo sguardo il blu e il verde,
Ravello e Minori. Per comprare i ruderi che ha poi
ristrutturato ha speso 65 mila euro tra il 2003 e il
2005. "Quanto?", dice incredula Erminia
Sammarco, titolare dell'agenzia immobiliare Tecnocasa di
Amalfi: "Mi sembra impossibile: a quel prezzo un mio
cliente ha venduto una stalla con un porcile". Oggi
un rudere di 50 metri quadri costa circa 350 mila euro, e
una villa simile a quella dell'economista supera di gran
lunga il milione di euro. Il ministro ha certamente speso
molto per la pregevole ristrutturazione, tanto che ha
preso un mutuo da 300 mila euro poco dopo l'acquisto del
2003 che finirà di pagare nel 2018, ma ha indubbiamente
moltiplicato l'investimento iniziale. Ma come si fa a trasformare una
catapecchia senza valore in una villa di pregio?
'L'espresso' ha consultato il catasto e gli atti pubblici
scoprendo così che Brunetta ha comprato due proprietà
distinte per complessivi sette vani catastali, affidando
i lavori di restauro alla migliore ditta del luogo. Dopo
la cura Brunetta, al posto dei ruderi si materializza una
villetta su tre livelli su 172 metri quadrati più
dépendance, rifiniture in pietra e sauna in costruzione.
Per il catasto, invece, l'alloggio passa da civile a
popolare. In compenso, i sette vani sono diventati 12 e
mezzo. Come è stata possibile questa lievitazione?
"Diversa distribuzione degli spazi interni",
dicono le carte. La signora Lidia Carotenuto, che fino al
2002 era proprietaria del piano inferiore, ricorda con un
po' di malinconia: "La mia casa era composta di due
stanzette, al massimo saranno stati 40 metri quadrati e
sopra c'era un altro appartamento (che misurava 80 metri
catastali, ndr) in rovina. So che ora il Comune di
Ravello sta costruendo una strada che passerà vicino
all'abitazione del ministro. Io non avrei venduto nulla
se l'avessero fatta prima...". A rappresentare
Brunetta nell'atto di acquisto della dépendance nel 2005
è stato il geometra Nicola Fiore, che aveva seguito in
precedenza anche le pratiche urbanistiche. Fiore era
all'epoca assessore al Bilancio del comune, guidato dal
sindaco Secondo Amalfitano, del Partito democratico. I
rapporti con il primo cittadino è ottimo: Brunetta entra
nella Fondazione Ravello. E quest'anno, dopo le elezioni,
Amalfitano fa il salto della barricata, entra nel Pdl e
lascia la Costiera per Roma dove viene nominato suo
consigliere ministeriale. Il Nobel mancato "Io sono un
professore di economia del lavoro, l'ho guadagnato con le
unghie e con i denti. Sono uno dei più bravi d'Italia,
forse d'Europa", ha spiegato Brunetta ad Alain
Elkann, che di rimbalzo lo ha definito "un maestro
della pasta e fagioli" prima di chiedergli la
ricetta del piatto. L'economista Ada Becchi Collidà, che
ha lavorato nello stesso dipartimento per otto anni, dice
senza giri di parole che "Renato non è uno
studioso. È prevalentemente un organizzatore, che sa
dare il meglio di sé quando deve mettere insieme
risorse". Alla facoltà di Architettura di Venezia
entra nel 1982, dopo aver guadagnato l'idoneità a
professore associato in economia l'anno precedente. Come
ha ricordato in Parlamento il deputato democratico
Giovanni Bachelet, Brunetta non diventa professore con un
vero concorso, ma approfitta di una "grande
sanatoria" per i precari che gravitavano
nell'università. Una definizione contestata dal
ministro, che replica: avevo già tutti i titoli. In cattedra Secondo il curriculum
pubblicato sul sito dell'ateneo di Tor Vergata (dove
insegna dal 1991), al tempo il giovane Brunetta poteva
vantare poche pubblicazioni: una monografia di 500 pagine
e due saggi. Il primo era composto di dieci pagine ed era
scritto a sei mani, il secondo era un pezzo sulla
riduzione dell'orario edito da 'Economia&Lavoro', la
rivista della Fondazione Brodolini, di area socialista,
che Brunetta stesso andrà a dirigere nel 1980. Tutto
qui? Nel mondo della ricerca esistono diverse banche dati
per valutare il lavoro di uno studioso. Oggi Brunetta si
trova in buona posizione su quella Econlit, che misura il
numero delle pubblicazioni rilevanti: 30, più della
media dei suoi colleghi. La musica cambia se si guarda
l'indice Isi-Thompson, quello che calcola le citazioni
che un autore ha ottenuto in lavori successivi: una
misura indiretta e certo non infallibile della qualità
di una pubblicazione, ma che permette di farsi un'idea
sull'importanza di un docente. L'indice di citazioni di
Brunetta è fermo sullo zero. Le valutazioni degli indicatori sono
discutibili, ma di sicuro il mondo accademico non lo ha
mai amato: "L'università ha sempre visto in lui il
politico, non lo scienziato", ricorda l'ex rettore
dello Iuav di Venezia, Marino Folin. Nel 1991, da
professore associato, riesce a trasferirsi
all'Università di Tor Vergata. In attesa del Nobel,
tenta almeno di diventare professore ordinario
partecipando al concorso nazionale del 1992. In un primo
momento viene inserito tra i 17 vincitori. Ma un
commissario, Bruno Sitzia, rimette tutto in discussione.
Scrive una lettera e, senza riferirsi a Brunetta,
denuncia la lottizzazione e la poca trasparenza dei
criteri di selezione. "Si discusse anche di
Brunetta, e ci furono delle obiezioni", ricorda un
commissario che chiede l'anonimato: "La situazione
era curiosa: la maggioranza del collegio era favorevole a
includere l'attuale ministro, ma non per i suoi meriti,
bensì perché era stato trovato l'accordo che faceva
contenti tutti. Comunque c'erano candidati peggiori di
lui". Il braccio di ferro durò mesi, poi il
presidente si dimise. E la nuova commissione escluse
Brunetta. Il professore 'migliore d'Europa' viene
bocciato. Un'umiliazione insopportabile. Così fa ricorso
al Tar, che gli dà torto. Poi si appella al Consiglio di
Stato, ma poco prima della decisione si ritira in buon
ordine. Nel 1999 era riuscito infatti a trovare una
strada per salire sulla cattedra. Un lungo giro che
valica l'Appennino e si arrampica alle pendici del Gran
Sasso, ma che si rivela proficuo. È a Teramo che ottiene
infine il riconoscimento: l'alfiere della meritocrazia,
bocciato al concorso nazionale, riesce a conquistare il
titolo di ordinario grazie all'introduzione dei più
facili concorsi locali. Nel 1999 partecipa al bando di
Teramo, la terza università d'Abruzzo. Il posto è uno
solo ma vengono designati tre vincitori. La cattedra va
al candidato del luogo ma anche gli altri due ottengono
'l'idoneità'. Brunetta è uno dei due e torna a Tor
Vergata con la promozione. Un'ultima nota. A leggere le
carte del concorso, fino al 2000 Brunetta "è
professore associato a Tor Vergata". La stranezza è
che il curriculum ufficiale - pubblicato sul sito della
facoltà del ministro - lo definisce "professore
ordinario dal 1996". Quattro anni prima: errore
materiale o un nuovo eccesso di ego del Nobel mancato? Hanno collaborato Michele
Cinque e Alberto Vitucci |