Si è
svolta senza nessun incidente e nessuna tensione
la manifestezione che molti consideravano a rischio
Napoli,
no global e agenti
in piazza si ignorano
dal
nostro inviato ANDREA DI NICOLA NAPOLI - Era la manifestazione più
temuta, quella che vedeva per la prima volta in piazza
gli accusati, gli agenti della Questura di Napoli dopo
gli arresti di otto poliziotti e, dall'altra parte, i no
global, gli accusatori. Una miscela che molti, al
Viminale, ritenevano se non esplosiva, pericolosa. E
invece il temuto confronto non c'è stato. I poliziotti
si sonoi tenuti alla larga dal corteo depurato, dopo
accanite discussioni notturne, dalle teste calde, dagli
elementi potenzialmente più pericolosi, direttamente
dalla Rete No Global. E così Napoli ha potuto feteggiare
il primo maggio, o meglio la "festa del non
lavoro" come l'avevano chiamata, con un corteo di
diecimila persone che ha sfilato da piazza Mancini fino
al Maschio Angioino in tutta tranquillità.
Le divisioni dei giorni scorsi all'interno del movimento
si sono manifestate in piazza quando, all'inizio, lo Slai
Cobas della Malavenda ha deciso che voleva la testa del
corteo. Nulla da fare, la diplomazia del movimento
respingeva la richiesta e così il centinaio di militanti
dello Slai si sono trovati a marciare si in testa ma da
soli, senza nessuno dietro.
A qualche centinaio di metri, invece, un'enorme bandiera
della Palestina apriva la manifestazione ufficiale. Clima
sereno con Francesco Caruso, il leader dei no global
napoletani che, fra una richiesta di dimissioni di De
Gennaro e di Scajola e l'altra, girava per il corteo a
controllare che l'ordine "non deve succedere
niente" fosse rispettato. Aveva promesso
"mazzate" Caruso a chi avesse disobbedito. Ma
non è stato necessario. Certo lo spettro del 17 marzo
aleggiava sulla piazza. Uno striscione chiedeva
"Verità e giustizia per Genova" mentre sui
cartelli venivano riprodotte le foto degli scontri dello
scorso anno. Ma chi si aspettava una rievocazione
continua di quegli eventi è rimasto deluso.
I disoccupati hanno portato in piazza i loro slogan, gli
immigrati (altro tema della manifestazione) le loro
richieste di sanatoria e gli slogan contro la legge
Bossi-Fini) mentre più indietro le tute arancioni, la
new entry del movimento che da poco ha dismesso le tute
bianche, formavano i cordoni dei lavoratori atipici, i
collaboratori, i precari sotto uno striscione che
proclamava la ribellione al neoliberismo e alla guerra.
Solo un gruppetto di giovanissimi, i più esagitati,
insieme ai disoccupati di Acerra, si sono impegnati a
provocare gli agenti schierati, a differenza del 17
marzo, in modo molto discreto, lontani, senza scudi,
caschi. Un motivo legava le due parti: tenere bassa la
tensione. Così ai più esagitati non rimaneva che
sfogarsi con qualche scritta sui muri e agitare uno
striscione con su scritto "Noi vi abbiamo già
condannato", mentre un altro proclamava
"arrestate i celerini". A piazza Nicola Amore
il primo contatto, visivo, con la polizia si concludeva
con un lancio di qualche slogan ("per i militanti
nessuna procedura, processiamo la questura"),
qualche provocazione che gli agenti accoglievano dando,
letteralmente, le spalle ai provocatori. Si sono girati
per non vederli. La lezione di Napoli e di Genova ha
avuto evidentemente i suoi effetti.
Sia Caruso che i dirigenti della polizia potevano
rilassarsi: nessuno aveva ecceduto. Restava lo spazio per
uno spettacolo teatrale che rappresenta i fatti del 17
marzo, qualche ricordo di Carlo Giuliani, il ragazzo
morto a Genova e la delusione di un venditore di bandiere
che non ne aveva piazzata nemmeno una. Purtroppo per lui
vendeva quelle del Pci. Le scorte di magazzino di
un'altra epoca.
(1 maggio 2002)
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