Ecco le
testimonianze che hanno convinto i giudici napoletani
Botte e violenze
gratuite
nella caserma "Raniero"
NAPOLI - Presi
a calci, schiaffi e manganellate, obbligati a restare per
ore con la faccia contro il muro e senza poter comunicare
con l'esterno, denudati e costretti a subire umilianti
perquisizioni personali. E' un'atmosfera da incubo quella
evocata dai racconti dei ragazzi e delle ragazze condotti
il 17 marzo 2001 nella caserma "Raniero".
Racconti che costituiscono il nucleo centrale della
ordinanza con cui il gip presso il Tribunale di Napoli,
Isabella Iaselli, ha disposto gli arresti domiciliari per
otto agenti di polizia.
A Giuseppe
N. gli agenti
dicono "di seguirli in bagno, ove doveva essere
perquisito". "Erano in 4", testimonia il
ragazzo, "uno è rimasto fuori e gli altri tre sono
entrati con me". Gli fracassano "la macchina
fotografica e il telefonino", lo prendono "a
calci e pugni", lo fanno "spogliare nudo"
e lo costringono "a fare delle flessioni".
Lua
A., arrivata in caserma tra le prime,
appena scesa dalla macchina riceve invece da un agente in
borghese, "una manata sul viso"; condotta in
uno stanzone, le ordinano di mettersi spalle al muro e la
coprono di insulti.
Andrea
C., praticante
procuratore, coinvolto per aver accompagnato al pronto
soccorso un'amica, racconta di essere stato
"costretto ad inginocchiarsi con la faccia al muro e
le mani incrociate dietro la testa, insieme con altre 10
-15 persone". (...) "Ognuno che arrivava",
continua, "veniva fatto inginocchiare. Le minacce
erano pesanti e in particolare le ragazze venivano
minacciate di violenza sessuale".
A Francesco
C. rompono la
macchina fotografica, poi lo prendono a calci e
manganellate: "condotto in bagno e spogliato nudo
per essere perquisito", riceve "schiaffi, calci
ed insulti" e vede "ragazzi ricevere pugni e
botte", mentre ad altri "strappavano il
piercing".
A Chiara
P., anche lei
condotta in bagno e costretta a togliersi gli abiti, una
poliziotta consiglia di togliersi il piercing, "per
evitare di farsi male".
Donatella R., "con la faccia contro il muro,
una volta si girò e immediatamente ebbe uno schiaffo: fu
portata in bagno per subire la perquisizione e l'agente
donna aveva chiuso la porta ma i colleghi le dissero di
riaprirla; le fu ordinato di denudarsi ma lei riuscì a
mantenere la biancheria intima".
Filippo
R., obbligato a
stare con la faccia contro il muro, "ogni volta che
provava a girarsi veniva picchiato. Dopo mezz'ora -
ricorda - iniziarono le perquisizioni": un agente
"gli svuotò lo zaino e poi gli ordinò di
raccogliere gli oggetti a terra, e ogni volta che si
abbassava per raccogliere riceveva un calcio in
faccia".
Stefano
C., che durante
una carica non è riuscito a scappare per una parapresi
spastica agli arti inferiori, viene raggiunto da alcune
manganellate e, più tardi, da sputi e calci: una volta
in caserma, "è stato costretto a stare in piedi
lungo il perimetro della stanza e sottoposto ad ispezione
anale". Ma quando i poliziotti scoprono dai suoi
documenti che è iscritto all'associazione dei ciechi
"moderano un poco i toni".
Su un punto convergono molte testimonianze: "tutti
affermano - scrive l'ordinanza - che i poliziotti
presenti erano particolarmente agitati e riservavano un
trattamento violento nei confronti di chi era vestito
meno bene o aveva il piercing o, tra i ragazzi, portava
capelli lunghi".
Fedele
F. racconta di
essere "stato perquisito facendolo spogliare nudo e
facendogli fare delle flessioni". Mauro B. dice di
essere "stato denudato in un bagno molto sporco,
presso un urinatoio mentre altri tre ragazzi erano tenuti
faccia al muro".
Rosario
D.C. ricorda di
aver visto "numerosi ragazzi in ginocchio con la
faccia al muro e le mani dietro la testa": lui ed un
suo amico "vengono presi a calci, mentre le ragazze
venivano chiamate 'troia' e 'puttana'. Il bagno era
maleodorante di vomito, c'erano indumenti a terra sporchi
di sangue, e urina".
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