Lavoro comandato e lavoro costituente

di wanda piccinonno

Considerato l’argomento che sto trattando , ritengo imprescindibile un esplicito riferimento all’art. 18 . La difesa di questo articolo ha un’altissima valenza etica e sociale , vuoi perché concerne la libertà di licenziamento per ingiusta causa , vuoi perché investe lo stato di diritto tout court . E’ bene rilevare , però, che le palesi angherie del regime-azienda berlusconiano rappresentano l’acme di un processo , in cui via via si è smantellato lo stato sociale , introducendo forme di lavoro atipico , interinale , flessibile , coatto . Pertanto, pur condividendo appieno le contestazioni , penso che siano necessarie alcune osservazioni. I quesiti che si pongono sono : non è forse riduttivo circoscrivere i momenti di resistenza all’art. 18 ? Non sarebbe utile cambiare radicalmente registro e optare per la liberazione del lavoro vivo ? La vittoria di Le Pen in Francia non insegna nulla ?

Pur prendendo atto che il lavoro , sia pure in guise diverse, è stato sempre fonte di discriminazione , ritengo , anche se può sembrare paradossale , che oggi sussistano le condizioni oggettive per operare un salto di paradigma . Valicare le secche del lavoro comandato esige , però , una rottura epistemologica e l’assunzione di nuove categorie concettuali , infatti , occorre superare la logica della concertazione e , al tempo stesso , optare per una sfera pubblica non-statale . Vero è che l’impresa non è scevra di difficoltà , dal momento che nel nostro paese l’ ideologia del compromesso è ben radicata , e ciò è suffragato anche dal fatto che l’operaismo è stato mistificato e distorto . Il togliattismo , con la sua ideologia della sintesi ad ogni costo , ha inficiato le possibilità di alternativa , anche se i tentativi rivoluzionari non sono mancati . Difatti , come si evince da un excursus storico esistono testimonianze politiche e culturali di altissima valenza , sia perché esprimono un approccio critico alternativo all’appiattimento categoriale , sia perché rivelano un metodo di ricerca militante di grande spessore . Basti pensare ai " Quaderni rossi ", a " Gatto selvaggio ", a " Potere operaio ", all’esperienza di " Autonomia ", a "Rosso".

Questa tradizione politica rappresenta un prezioso contributo anche nella fase odierna , tant’è che i testi continuano ad essere tradotti in molti paesi . Oggi , anche in Italia il laboratorio politico sull’operaismo viene valorizzato , infatti, è stato pubblicato un libro di conricerca sull’argomento , edito da Derive-Approdi . Ciò significa che anche nel nostro paese , grazie alla presenza di intellettuali non- organici al sistema , si sta vivificando il filo rosso tra passato e presente . Se la rivisitazione del passato fa registrare significative attività di ricerca e pratiche rivoluzionarie , è altresì vero che , sul piano della prassi istituzionale , ciò che emerge è la vocazione compromissoria . Di qui una sorta di continuismo , pregno di misfatti , di provincialismo , di mistificazioni piciste .

Ma , a questo punto conviene indagare sui parametri del Diritto del lavoro nell’epoca della globalizzazione economica . Sul terreno giuslavoristico i livelli di regolazione sono soprattutto sovranazionali , infatti, con il postfordismo , le multinazionali possono operare scelte significative , che investono i sistemi di regolazione e i luoghi di insediamento .

Ne consegue che gli standard sovranazionali finiscono col campeggiare , anche se sussistono sul piano nazionale lievi e irrilevanti differenze . D’altro canto , analizzando il protocollo di Maastricht, si evince che l’integrazione europea si traduce , sul piano fattuale , in "un’integrazione negativa " . Ulrich Muckenberger, con un’indagine doviziosa e puntuale sull’aspetto giuslavoristico , ha osservato che il lavoro è anche uno strumento di integrazione sociale . " Perciò all’occupazione appartiene uno status inaggirabile che non è riducibile al mercato e al contratto " . Il fondamento di questo status , dunque, non è solo la cittadinanza politica , ma soprattutto la cittadinanza sociale . Ma , un’autentica dimensione sociale presuppone uno spazio pubblico , in cui si coniughino la cittadinanza , il genere , il lavoro , il mondo delle differenze , il tempo della vita . I problemi inerenti la cittadinanza , la democrazia , lo stato di diritto vanno ,pertanto , decodificati alla luce delle sostanziali trasformazioni del postmoderno . Per quanto concerne l’attuale organizzazione del lavoro , occorre registrare il passaggio dall’operaio-massa all’operaio sociale . Vero è che questa definizione non può essere intesa in modo rigido , perché nel postfordismo convivono forme variegate di organizzazione , infatti , " i modelli di produzione sono caratterizzati da una proliferazione di differenze e da una frantumazione di forme organizzative " . Esiste , però , come osserva Paolo Virno , una sorta di collante che collega tutte le attività , ossia il General intellect . Ciò avviene per via di " un ethos omogeneo " che finisce per accomunare i precari , i disoccupati , gli operai , gli studenti . E’ evidente che esiste una sostanziale differenza tra fordismo e postfordismo . Il primo era caratterizzato dalla centralità della fabbrica , il secondo , invece , vede " la centralità dell’impresa ". "E’ una differenza di non poco conto . Comporta infatti il passaggio dalla rigidità della produzione materiale alla flessibilità di quella immateriale e una estensione pressochè illimitata della sfera dello sfruttamento all’insieme delle capacità umane " (Marco Bascetta ) . Questo nuovo assetto rende superata la storica linea di demarcazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale . Difatti , la prestazione lavorativa , per via dell’utilizzo dei sistemi informatici , implica la subordinazione del cervello , sicché la sussunzione avviene sul piano mentale e incide sulle capacità logico- discorsive . " Ciò che ora viene normalizzato e colonizzato , nel nuovo sistema forza-lavoro mentale – macchina - informatica, non è più il corpo ma la mente " ( R. Finelli ) . In questo contesto , pur rimanendo invariati i meccanismi strutturali del modo di produzione capitalistico , ciò che muta è l’identità e la centralità della classe operaia . In altri termini , la sostituzione del lavoro manuale al lavoro mentale , tende a produrre una sorta di omologazione tra proletariato tradizionale e lavoratori dei servizi . Ne consegue che nel postmoderno è il lavoro umano-linguistico che crea valore , perché il capitale cognitivo è capitale-denaro, prodotto attraverso il controllo dei modi e dei mezzi di produzione della conoscenza .

Considerando che , come voleva Marx , il lavoro è la sostanza del valore , ossia l’imput e l’output della produzione capitalistica , si evince che anche nel postfordismo le categorie marxiane si rivelano fertili per decostruire la relazione lavoro vivo- lavoro morto . Occorre evidenziare che il modo di essere odierno , " come tutti i modi di essere, è ambivalente , ossia contiene in sé perdita e salvezza , acquiescenza e conflitto , servilismo e libertà . Il punto cruciale è che queste possibilità alternative hanno una fisionomia peculiare , diversa da quella con cui comparivano nella costellazione popolo-volontà generale - Stato " ( Paolo Virno ) . Preso atto che i tratti salienti del postfordismo risiedono soprattutto nell’aver messo il linguaggio al lavoro , diviene conseguente che è proprio dalla dimensione dell’economia dei saperi che occorre partire per dipanare il bandolo della matassa . La parola –chiave che svela i mille piani delle fabbriche del sapere è, " formazione" . Basti pensare ai contratti di formazione-lavoro , agli stages , ai corsi di aggiornamento , alla formazione-riqualificazione dei sottocupati .

Questi sistemi , come sostiene Antonio Conti , perseguono l’obiettivo " di impegnare saperi per produrre saperi , impiegare passioni ed affetti per produrre nuove passioni ed affetti ". Il sapere , pertanto ,s’inscrive in un processo di riproduzione e trasformazione dei rapporti sociali , sicché anche i lavoratori , entrando in contatto con i nuovi criteri produttivi , rimodellano la loro identità . In questo contesto , peraltro variegato e complesso , si mescolano aspetti positivi e negativi , perché , oltre alla mercificazione delle intelligenze , si registra la valorizzazione di capacità auto-organizzative , sicché il lavoro , pur essendo alienato e comandato , apre prospettive di liberazione . D’altra parte , il postfordismo non solo è caratterizzato dalla convivenza di diversi modelli produttivi , ma presenta anche " una socializzazione extralavorativa omogenea " . Inoltre , il lavoro cognitivo e l’inafferrabile economia delle reti rivelano una sostanza sociale , fatta di corpi , di cervelli ,di impulsi e di desideri . Di qui l’intelletto generale , che ingloba " conoscenze formali ed informali , immaginazione , mentalità " . Le osservazioni fatte mettono in luce che l’intellettualità di massa non può essere tradotta , sic et simpliciter, in termini economico-produttivi . Un approccio critico mostra , infatti , che " l’alveare metropolitano è un insieme di luoghi e non-luoghi , l’importante , anzi il fondamentale, è di cogliere questo insieme come relazione di vecchio e di nuovo , di luogo di fabbrica e di non-luogo di dissipazione metropolitana del proletariato " ( T. Negri ) .

E’ proprio , dunque, in queste relazioni , in una spazialità senza misura che si possono produrre soggettività e si può liberare il lavoro vivo dal lavoro morto . Ciò non è utopistico , perché il General intellect , pur essendo ambivalente , valica i parametri del sistema proprietario e , al tempo stesso , supera i confini dello stato-nazione , configurandosi come lavoro vivo . La commistione di complessi elementi crea le condizioni per promuovere la cooperazione sociale e tende ad incrementare le pulsioni antagoniste . Da qui la moltitudine postfordista che apre prospettive al potere costituente e al lavoro costituente . Senza indulgere né al catastrofismo né all’ottimismo , si rileva che esiste un potente accumulo soggettivo e conflittuale , basti pensare al movimento plurale di Seattle , di Praga , di Genova . E’ evidente che , dopo l’accumularsi del lavoro morto , con la sussunzione del mondo al processo capitalistico , il lavoro complesso diventa lavoro vivo , e ciò libera la potenza del comune . Le osservazioni fatte evidenziano che all’interno della dinamica produttiva , il lavoro postfordista desostanzializza le categorie del moderno , perché si esplicita come " comunismo del capitale ", espressione questa usata da Marx per definire il sorgere delle società per azioni . A questo proposito P. Virno sostiene : "Il postfordismo , incardinato com’è al general intellect e alla moltitudine , declina a suo modo istanze tipiche del comunismo ( abolizione del lavoro , dissoluzione dello Stato ecc.) . Il postfordismo è il comunismo del capitale ." In questo contesto la moltitudine non è massa , non è popolo , infatti , i corpi linguistici " non si piegano a nessuna equazione della sovranità , perché la moltitudine è un insieme di singolarità " . Questo assetto fomenta il collasso della rappresentanza politica e , al tempo stesso , incrementa pratiche politiche nuove . Considerate , dunque, le significative trasformazioni , risulta evidente che Cofferati non può essere considerato l’uomo della provvidenza . In realtà , il Cinese è piuttosto dèmodè , infatti, non solo si avvale di un copione obsoleto , ma i suoi comizi rievocano anche un contesto storico ormai superato . D’altra parte , al di là delle immagini semplificate e di una retorica demagogica , si evince che anche il pragmatismo del Cinese e la logica della concertazione hanno consentito il lavoro atipico , ultraflessibile . Inoltre , conviene evidenziare che non è stato solo il distintivo rosso della Cgil a provocare la grande partecipazione di piazza , ma una moltitudine variegata .

Queste precisazioni discendono da un esame spregiudicato della realtà fattuale , che non può prescindere dal contesto globale . Difatti , le moltitudini di Seattle , di Goteborg , di Genova ecc., sono la prova tangibile di un processo costituente dinamico ascrivibile alla cittadinanza globale .

Occorre , pertanto , ribadire che tra popolo e moltitudine esiste una netta linea di demarcazione , come si rileva dalle analisi di M. Hardt , T. Negri , P. Virno , C. Harlock ecc . A questo punto , considerando che Hobbes , insieme a Locke , è stato l’ideologo del paleocapitalismo e dell’individualismo proprietario , è utile fare esplicito riferimento al filosofo . Hobbes , grande teorico del diritto borghese , ritiene che lo stato di natura sia uno stato di guerra , sicché , per perseguire la pace , è necessario il potere sovrano che si fa garante della proprietà privata . Da qui lo Stato dei proprietari e un potere politico delegato alla repressione . Partendo da questi presupposti, Hobbes collega la moltitudine allo stato di natura , che così concepita assume una valenza negativa , infatti , secondo Hobbes essa spinge alla disobbedienza e "rifugge dall’unità politica " . Se per Hobbes la moltitudine si configura in termini decisamente negativi, per Spinoza , invece, la moltitudine è pluralità , è resistenza attiva : è , in altri termini, contropotere . Ma , anche , per quanto concerne la resistenza , giova fare alcune precisazioni . Difatti , occorre operare un distinguo tra resistenza rivoluzionaria e resistenza riformista . Come si rileva dalle affermazioni fatte , Locke è l’altro ideologo della borghesia , sicché è utile esplicitare la sua dottrina della resistenza . Per Locke, protagonista della resistenza è sempre e solo il corpo politico già costituito , e ciò significa che il diritto di resistenza si configura come strumento della dittatura della borghesia . Qualcuno può pensare che questo discorso sia dispersivo , ma, in realtà non è così , vuoi perché investe la relazione popolo - moltitudine , vuoi perché mette in gioco la militanza critica . In altre parole , l’impianto teorico e pratico del centro –sinistra e del sindacato si rivela palesemente riformista , e ciò è suffragato dal fatto che si ripropongono vecchie categorie . Inoltre , mancano gli anticorpi dell’inquietudine e si ignora il dubbio , sicché non si valicano le logiche sistemiche .

E’ opportuno ricordare che il welfare , pur presentando aspetti positivi , è sempre inscritto in un quadro di compatibilità con il capitalismo .

Oggi , con il postfordismo , col capitalismo cognitivo , col processo di transnazionalizzazione della flessibilità , della precarietà , della variabilità , emerge una comunicazione linguistica universale , ed è proprio in virtù di queste caratteristiche che si può parlare di moltitudine .

D’altro canto , il linguaggio è l’elemento in cui noi , in quanto esseri sociali , viviamo , sicché ovunque si realizzi un processo di comunicazione , non solo siamo noi ad usare il linguaggio , ma è il linguaggio a darsi una forma . Non senza ragione Wittgenstein , parlando dei " giochi linguistici" , sosteneva che esistono molti linguaggi simili a giochi retti da regole proprie , ognuno dei quali appartiene a una certa forma di vita , da cui ricava il suo significato .

E’ evidente , pertanto , che forme di vita , significati , linguaggi , vanno contestualizzati e mai banalizzati , perché proprio l’assunzione di categorie statiche ingenera la dietrologia . Sicché , senza cadere nella trappola della futurologia , ritengo che per operare una svolta sia indispensabile penetrare nella fenomenologia del postfordismo .

Preso atto che oggi la nuova accumulazione originaria si avvale del capitalismo immateriale , occorre superare le gerarchie e la logica delle mediazioni , per entrare nelle nervature della quotidianità e nei terreni di mezzo dei non-luoghi . D’altro canto, fino alla seconda guerra mondiale , la società era , marxianamente parlando , " un immane ammasso di merci " , si trattava cioè di beni materiali prodotti dall’uomo in luoghi ben definiti . Oggi , dopo la fabbrica fordista , il mercato si avvale di parole , di immagini , di simboli , e ciò incrementa la produzione di informazione e , nel contempo , il decentramento della produzione . Se dilagano "le fabbriche migratrici " , gli " stabilimenti-rondine " , appaltatori e subappaltatori , è altresì vero che alla base di tutti i processi esiste l’intellettualità di massa ultraflessibile . Ciò, come osserva Y. M . Boutang , sfalda la coerenza del salario canonico , dando vita a una moltiplicazione di status misti , e soprattutto a forme nuove di nomadismo tra status . Boutang aggiunge che il monopolio della proprietà della scienza non è più garantito di fronte al cognitariato , perché il proletariato del lavoro cognitivo tende a sfuggire in attività non controllate . D’altra parte anche il web , malgrado il controllo operato dal mercato , innesca meccanismi innovativi e produce "un mercato non commerciale ". Inoltre , il lavoro postfordista , configurandosi come " esecuzione virtuosistica (senza opera ") , diviene sempre più lavoro vivo , incrementando l’intelletto pubblico . Ne consegue che il general intellect è ambivalente , nel senso che si manifesta come perpetuazione del lavoro salariato e , al tempo stesso , si esplicita come fondamento della cooperazione sociale . Risulta evidente che non si vuole negare la presenza del proletario , ma occorre prendere atto che il proletario odieno ha caratteristiche peculiari . Lucidamente Augusto Illuminati ha osservato : " Il proletario non è l’uomo senza qualità , ma si presenta sempre in una congiuntura data , da cui assume i tratti specifici e le rivendicazioni politiche " . La classe operaia industriale , dunque , non è scomparsa , ma è stata detronizzata dalla sua posizione egemonica nella composizione di classe del proletariato , perché le figure della produzione immateriale hanno assunto un ruolo preponderante . Inoltre , per decodificare lo spazio frattale e caotico della globalizzazione produttiva , non si possono sottovalutare i flussi mondiali del lavoro , le massicce migrazioni di forza-lavoro , la mobilità . Ciò significa che nel nuovo spazio multidimensionale e multiplanare , il disciplinamento fordista del lavoro viene superato , perché " l’attività produttiva si avvale di un intelletto e di un corpo generali fuori misura " .

E’, dunque, la commistione di variegati fattori che rende attuale la militanza della moltitudine e inattuale "la categoria popolo " . D’altra parte , compromessi , riformismo , corruzione , interagendo , hanno via via determinato una linea di demarcazione sempre più netta tra dimensione istituzionale ed extraistituzionale . Oggi , con i paradigmi dell’ultra-liberismo , con l’egemonia delle leggi di mercato , con la crisi dello stato sociale di diritto , ogni tentativo di ricomposizione risulta vano ed improponibile .

Se , in questo contesto , gli esiti non sono prevedibili , è altresì vero che il sindacato non può essere la panacea di tutti i mali , ma può solo assolvere la funzione di cinghia di trasmissione della resistenza . In realtà , le burocrazie sindacali risultano superate , vuoi perché i dirigenti sindacali hanno optato per la logica della concorrenza , vuoi perché il sindacato ha assunto un ruolo subalterno rispetto ai partiti .

Ma , al di là di queste considerazioni , il problema prioritario è che la portata storica- antropologica del postfordismo esige la rottura del profitto neoliberista e il superamento dei rapporti capitalistici . Ciò è di vitale importanza , perché l’esodo del capitale , la transnazionalizzazione delle imprese , la fine del nazionalismo economico, impongono l’espulsione di ogni demagogia e l’assunzione di responsabilità .

D’altro canto , dopo il compromesso keynesiano , la dialettica tra capitale e lavoro si è estinta , sicché ciò richiede un orizzonte progettuale che sia in grado di costruire un’Europa , in cui l’egemonia del comune abbia pieno diritto di cittadinanza . Per delineare questo progetto , però, è necessario esercitare contropotere e produrre una soggettività biopolitica . Contro la repressione del lavoro vivo si dovrebbe opporre il virtuosismo non-servile della moltitudine , e ciò implica il rifiuto del lavoro atipico , sommerso, nero, precario . Onde evitare che il progetto risulti generico e riduttivo , s’impone l’esigenza di un reddito garantito , universale .

Va precisato che quest’ultimo non è , come qualcuno pensa , una formula magica contestuale all’assetto sistemico odierno . Difatti , è stato Thomas Paine per primo ad avanzare la proposta di un " reddito minimo garantito " indipendente dal lavoro svolto e venduto . Due secoli dopo T. Paine , l’idea di separare il reddito minimo di sussistenza dall’occupazione è tornata a circolare in tutta Europa : in Francia è stata ventilata da J . Duboin negli anni trenta ; in Belgio dal Circolo C. Fourier negli anni ottanta ; in anni più recenti dai Verdi in Germania , in Olanda e in Spagna . Vero è che le interpretazioni sono diverse . Per esempio Y. Bresson e R. Passet parlano di " revenue d’existence " , P. V. Parijs di " assegno universale " , J. M. Ferrj di "reddito di cittadinanza " . Pur variando le chiavi di lettura esistono argomenti comuni inerenti i benefici del reddito , che metterebbe gli individui nelle condizioni di essere liberati dalla definizione di lavoro imposta dal mercato .

Giustamente Z. Bauman , analizzando le diverse interpretazioni , ritiene che si trascurino argomenti di grande rilievo , ossia i problemi della cittadinanza repubblicana e delle condizioni di vita . In altri termini , il reddito non può essere concepito come un altro espediente per gestire la crisi , né può essere inteso come rimedio di uno stato assistenziale , né come risoluzione di tutti i problemi concernenti il lavoro . A questo proposito Claus Offe , Ulrich Muckenberger , Ilona Ostner , sostengono che il reddito deve essere inscritto negli obblighi di uno stato sociale .

Se la proposta è valida , è altresì vero che è riduttiva . Difatti , come ha osservato

Trevor Hogan , non esistono misure che possano risolvere tutti i problemi , sicché il reddito garantito , da solo , non permetterebbe di evitare gli effetti collaterali del consumismo . In realtà , a mio avviso , il reddito universale , la libertà di scelta , l’autogestione , la liberazione del lavoro vivo , sono momenti interagenti e strettamente collegati . In altre parole , l’obiettivo è quello " di ampliare la gamma di opzioni , di rafforzare la libertà dell’individuo , di costruire significati , di scegliere forme di vita appaganti "

La proposta di un’alternativa reale deve , dunque , partire da una transvalutazione di valori , che non può prescindere dall’idea e dalla pratica del lavoro vivo .

E’ necessario soprattutto creare lavoro socialmente produttivo che , per la sua valenza intrinseca , nega la dipendenza dal comando capitalistico del lavoro .

E’ evidente che una democrazia di eguali presuppone " una democrazia fondata sull’assolutezza delle capacità produttive dei suoi soggetti , sull’eguaglianza assoluta dei diritti e dei doveri , e sull’effettività dei diritti " ( T. Negri ) .

Ciò detto , sarebbe auspicabile , come voleva Merleau Ponty , non solo penetrare nel significato della realtà , ma anche superare "la ragione di Stato " e optare per "la morale rivoluzionaria " . Solo partendo da questi presupposti la libertà creativa delle singolarità cooperative può diventare lavoro costituente , ossia contropotere in atto . In altri termini, occorre negare qualsiasi trasferimento di potere , qualsiasi delega , qualsiasi egemonia dei poteri esterni . In quest’ottica la democrazia diviene sostanziale , perché si svolge come processo dinamico costituente , come procedura e mai come potere costituito , in virtù del fatto che "è la moltitudine dei soggetti che costruisce la sua istituzionalità " .

Sulla scorta delle osservazioni fatte si evince che , per via della crisi irreversibile dei paradigmi della modernità , l’alternativa democratica , produttiva e cooperativa è diventata reale . Ciò non significa optare per un puerile fideismo , ma significa constatare che oggi i corpi-cervelli mostrano una radicalità inusitata .

D’altra parte , i protagonisti della resistenza planetaria non sono , come qualcuno pensa , nè professionisti della protesta , nè un ‘armata di marginali e straccioni , né un rassemblement confuso e regressivo , ma sono, invece , l’espressione di una densa sostanza sociale , fatta di corpi e di cervelli . Un movimento , dunque, che valica i paradigmi della logica imperiale e che rifiuta il presunto processo di democratizzazione istituzionale .

Questi temi sono stati trattati in modo caustico ed illuminante in un articolo pubblicato sul "Manifesto" , dalla rete no global di Napoli , il 30 aprile 2002 . Un articolo tanto conciso e convincente che spinge all’ottimismo e che mette in luce come la disobbedienza sia il punto di svolta della moltitudine postfordista . D’altra parte , una democrazia senza sovranità esige la disobbedienza radicale , l’Esodo . Quest’ultimo non va inteso come rinunzia , ma come defezione . A questo proposito Paolo Virno afferma : " Nulla è meno passivo di una fuga , di un esodo – la defezione modifica le condizioni entro cui la contesa ha luogo , anziché presupporle come un orizzonte inamovibile ; cambia il contesto in cui è insorto un problema , invece di affrontare quest’ultimo scegliendo l’una o l’altra delle alternative previste . In breve , l’exit consiste in una invenzione spregiudicata , che altera le regole del gioco e fa impazzire la bussola dell’avversario ".