Anche gli Usa l'hanno appoggiata, con un netto cambiamento
di rotta nella loro politica rispetto a soli pochi giorni fa


Approvata la risoluzione Onu:
"Israele si ritiri dai Territori"


NEW YORK - Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1042 che chiede il ritiro di Israele dai territori occupati. Anche gli Stati Uniti hanno votato a favore, con un deciso cambiamento di rotta per Washington, dopo che, ieri, il segretario di Stato americano Colin Powell aveva di fatto giustificato l'assedio deciso dal governo dello Stato ebraico al quartier generale di Ramallah del leader palestinese Yasser Arafat.

I negoziati però, dopo le cinque ore di dibattito a porte aperte della notte scorsa e la pausa di riflessione chiesta dagli Usa, continuano. La Siria, uno dei 15 membri dell'esecutivo del Palazzo di Vetro, chiede un testo più duro e incentrato sull'occupazione dei territori palestinesi catturati con la guerra del 1967.

"Distruggere l'Autorità nazionale palestinese non renderà più vicina la pace per Israele", ha dichiarato in apertura della sessione il segretario generale Kofi Annan. Allo stesso tempo, Annan ha chiesto ai palestinesi di fermare "gli orrendi attacchi" contro i civili israeliani perché il terrorismo "non avvicinerà i palestinesi al raggiungimento, meritato, del diritto all'autodeterminazione".

Nel vertice convocato nella notte al Palazzo di vetro i quindici membri dell'esecutivo sono stati compatti nella decisione di chiedere al governo israeliano di ritirare i militari dalle città occupate e nel condannare allo stesso tempo gli attentati. Ma gli Stati Uniti avevano insistito sulla necessità di attribuire agli stessi "terroristi" palestinesi la responsabilità dell'aggravamento della crisi e su questo il Consiglio si era spaccato.

Gli Usa, però, non avevano chiuso la porta alle trattative e hanno valutato - e poi accettato - una proposta di risoluzione presentata dal presidente di turno, il norvegese Ole Peter Kolby, che sposa la linea dura contro Israele. Si tratta della seconda risoluzione in poco più di due settimane varata con l'appoggio Usa, dopo la richiesta alle parti di un cessate-il-fuoco approvata il 12 marzo.

L'ambasciatore americano James Cunningham, nel corso della discussione che ha visto l'intervento di oltre 30 esponenti di diversi Paesi, ha spiegato di non avere dubbi sulle cause del fallimento delle speranze di pace dovute agli sforzi diplomatici internazionali. "Siamo chiari sulle cause che hanno portato a un blocco di tutto questo: il terrorismo", ha spiegato, di cui sono responsabili coloro che "colpiscono civili innocenti con lo scopo esplicito di distruggere le speranze di pace". Ma facendo sue le parole pronunciate ieri da Powell, il rappresentante Usa ha invitato Sharon a "valutare con grande attenzione le conseguenze delle sue azioni".

Durissimi contro il governo dello Stato ebraico sono stati gli interventi dei rappresentanti dei Paesi arabi, a cominciare dall'esponente palestinese. "Quanto accade rappresenta l'inizio della distruzione dell'Autorità palestinese democraticamente eletta, dell'annientamento di Arafat e della nuova occupazione dei territori palestinesi", ha dichiarato Nasser al Kidwa. Ma Sharon si è imbarcato "in un'impresa folle" e qualunque danno arrecato ad Arafat "sarebbe la madre di tutti gli errori".

L'ambasciatore israeliano Yehuda Lancry, che ha voluto che la discussione si tenesse a porte aperte, ha ricordato che il responsabile dell'attentato di Netanya in cui mercoledì hanno perso la vita 22 persone era sulla lista nera del governo che aveva chiesto quattro anni fa ad Arafat di arrestarlo. Israele, ha assicurato Lancry, "non ha intenzione di occupare i territori sotto il controllo palestinese, ma di sradicare la rete terroristica che esiste in quelle zone e nel farlo continua a tendere la mano alla pace". Il governo, ha sostenuto ancora, nonostante gli attacchi della settimana scorsa aveva dimostrato "il massimo contenimento ed evitato di rispondere", ma "Israele non può camminare da solo sulla strada verso la cessazione delle violenze e la ripresa del dialogo politico".

(30 marzo 2002)