I giorni della Palestina Di Silvio Cinque Siamo nellaprile del 2002. Le cose sono tragicamente precipitate in Palestina. Dopo la passeggiata di Sharon nella spianata delle moschee tutto ha assunto dimensioni e ritmi assordanti. Si è sperato a lungo che ci fosse uno spiraglio, una sorta di tenue filo di luce che portasse a dirimere uno dei conflitti più dolorosi della storia contemporanea. Dolorosi non solo per lalto numero di vittime, per la ferocia dei soprusi e degli abusi e lefferatezza delle stragi e delle crudeltà, doloroso perché ha rimarcato lassenza dell Europa come forza capace di designare ed indicare condizioni ed esempi vita. Ancora una volta, dopo lIraq, la Yugoslavja, lAfghanistan, ancora una volta lEuropa china la testa sopraffatta da quel senso di colpa e vergogna mai più abbandonato dalla fine della seconda guerra mondiale. Tutto è cominciato dal tentativo di riscattare il torto gravissimo fatto agli ebrei del mondo riconoscendo loro il diritto ad una stato ed a una nazione. Quella nazione fu riconosciuta nella Palestina. Allinizio si era pensato di dare a ciascun popolo esistente in Palestina un territorio rispondete alla propria nazione. Ma a questa proposta la fazione terrorista ebraica Nyrgud cominciò a fare una guerra spietata alla Gran Bretagna, attentando alle sue ambasciate ed ai suoi funzionari. Fu per questo che la G.B. rinunciò presto al progetto una Palestina due stati e si accordò con le Associazioni ebraiche. Fu per questo che nel marzo del 1948, venendo meno agli accordi di un ritiro degli inglesi in una settimana, tradendo la fiducia dei palestinesi, Haifa, abitata dai Palestinesi fu ceduta agli ebrei che la occuparono militarmente cacciando ed uccidendo gli occupanti ed obbligandoli, come in molte altre città, a disperdersi, diaspora palestinese, nel mondo. Di questo parla e ricorda il piccolo racconto di Gossian Kanafani Ritorno ad Haifa, scritto nel 1969, edito da Edizioni Lavoro per la collana Il lato dellombra, tre anni prima che un attentato dinamitardo facesse esplodere a Beirut la sua macchina, causandone la morte. Ben sapevano i terroristi israeliani, o meglio quello che è poi dalla costola del Nyrgud diventato Mossad, i servizi segreti, quando uccisero questo intellettuale emerito, giornalista e scrittore, poeta e pittore, ben sapevano quanta forza ed intelligenza ed umanità avrebbero spento ritardando con questo assassinio un processo di dialogo e di pace che sicuramente Kanafani sarebbe stato in grado di attuare. Perché in lui cera una grande capacità, umanità e forza che risiedeva soprattutto nella consapevolezza di sé, nei valori politici ed intellettuali di palestinese ma anche nel riconoscimento dellaltro, anche se nemico, condizione fondamentale senza la quale non è possibile procedere oltre. In questo breve denso e drammatico racconto, in parte autobiografico, cè la forza e la sensibilità di chi esprime tutto il dolore del popolo palestinese. Tutto il dolore di sé, ma anche tutto il dolore dellaltro. Almeno un altro che nel 1948, anno in cui si svolge il racconto, conserva ancora quella umanità, quella sofferenza che lo fanno simile e gli permette di dialogare in unatmosfera assurda, ma non impossibile. Kanafani esprime il dolore e la collera della perdita, dellingiustizia subita, che si sintetizzano e simboleggiano non solo nella perdita della terra e della casa, ma anche del figlio, costretti a fuggire durante il bombardamento, e perciò abbandonato al suo destino. Questo abbandono, vissuto per 20 anni con colpevole rimorso e senso di responsabilità frustrata, questo abbandono è letica, il significato del palestinese. Said e Safyia, una Safiya meno fortunata di quella nigeriana dei nostri giorni, compiono perciò il ritorno ad Haifa come pellegrinaggio non solo nella memoria, non solo nel rimorso, ma in sé stessi: È una presa di coscienza che li libera e li schiarisce. Immaginiamo il racconto quasi come una piece teatrale. I personaggi si aggirano sicuri e nitidi soprattutto quando rimangono in un ambito descrittivo ed intimistico, immersi nei loro pensieri e ricordi. Nel complesso il racconto è vivace ed incisivo, ma lascia nel finale lamaro sapore di una decisione. Se Kanafani fa dire allebrea polacca: (piango) perché oggi è un sabato vero, ma qui non cè più nessun venerdì e nessuna domenica, è anche vero che alla conclusione di una dialogo difficile e drammatico con il figlio diventato soldato israeliano, Said constata che: la patria è perché tutto questo non succeda. Il dialogo tra padre e figlio si conclude con queste parole che più che da padre sono quasi dette da combattente il delitto più grave che possa commettere un uomo, chiunque sia, è quello di credere anche per un solo istante che la debolezza e gli errori degli altri gli diano il diritto di esistere a spese loro e di giustificare i propri errori e i propri delitti . Per questo nellaccomiatarsi dalla casa, chiarito a sé stesso il significato di quei lunghi anni di attesa del ritorno, rivendica alle armi ed alla guerra la decisione estrema e definitiva che ventanni prima era stata interrotta, malgrado Miriam proponesse: non potete andarvene così, non abbiamo parlato abbastanza. Così la speranza di questo padre, che ha già pagato con un figlio il prezzo della storia è quella di sperare che anche laltro, quello rimasto a casa possa essere già andato ad arruolarsi. Kaldhoum e Kaled, figli di Said, come un ritorno della tragedia biblica, si ritrovano ancora per una tragica volta ad essere nemici. Alcuni siti: http://www.tmcrew.org/int/palestina/document.htm una bella poesia di Tewfiq Zayad http://gstocchi.web.planet.it/la.htm su Kanafani http://www.ecn.org/reds/palestina0101kanafani.html sulla letteratura israeliana e palestinese (edizione 2000) http://web.tiscali.it/silviocinque/MEDIORIENTE/palestina.htm |