IL COMMENTO

Bulldozer sui simboli
della Storia



di BERNARDO VALLI

SE IN TERRA SANTA ti muovi con bulldozer e carri armati, se vi scateni kamikaze ansiosi di trascinare nella morte più gente possibile, uccidi o ferisci inevitabilmente uomini e simboli dei tre monoteismi che da millenni si contendono anime e pietre. Ad ogni passo ti imbatti in una chiesa, in una moschea, in una sinagoga. Se abbatti un muro, se spalanchi una porta, se perquisisci una casa puoi investire un rabbino, un mullah, un sacerdote. Una raffica sparata a un incrocio può colpire un ebreo, un cristiano, un musulmano. Anzi un esemplare delle tante varietà di ebrei, di cristiani, di musulmani che pensano alla stesso dio con umori diversi.

Quel che altrove nel mondo è il cittadino di una nazione o il suddito di un sovrano, in Terra Santa è inevitabilmente il credente in una delle tre fedi che predicano la verità eterna. I proiettili di Tsahal, l'esercito israeliano, o le bombe dei suicidi di Hamas, il Movimento islamico di liberazione, distruggono luoghi su cui, ispirato dalla storia o dalla leggenda, puoi mettere la croce di Cristo, la mezzaluna dell'Islam, la stella di David. Ovunque finiscano, le esplosioni rischiano di insanguinare i riti, i momenti sacri, di questa o quella religione: la preghiera del venerdì, sulla spianata delle moschee, a Gerusalemme; la Pasqua ebraica, che ricorda la fuga d'Egitto guidata da Mosè, ossia la liberazione del popolo di Israele; la quiete nei luoghi santi ai quali è rivolta l'attenzione dei cristiani nelle grandi ricorrenze. Ovunque si svolga, la guerra è una sciagura.

Ma la guerra in Terra Santa è particolarmente insidiosa. Risveglia, sollecita antichi istinti e pregiudizi, che l'uomo del Ventunesimo secolo dovrebbe ripudiare. Ed è un veleno che va ben oltre i confini del Vicino Oriente.

Benché non ispirati dal vecchio antisemitismo, gli attentati alle sinagoghe in Francia sono gesti aberranti anche perché confermano che la storia, non tanto remota da essere dimenticata, ha insegnato ben poco alle nuove generazioni. I giovani che li hanno compiuti sono probabilmente di origine magrebina, tunisini o algerini o marocchini, spinti dalle emozioni suscitate da quanto accade in Palestina.

I loro gesti sono rivolti contro Israele, ma il fatto che colpiscano luoghi riservati al culto, edifici religiosi, li fa diventare gesti anti-ebrei. Quindi ancor più preoccupanti. Il termine antisemitismo (con tutto quel che l'espressione può accendere nelle memorie) sarebbe fuori posto. Esso non si addice alla Francia d'oggi, dove vive, rispettata e dinamica, la più folta comunità ebraica d'Europa. Una comunità per lo più di origine sefardita, ossia proveniente dall'Africa del Nord, che ha sostituito in larga parte quella di origine askenazita, con radici nell'Europa del Nord, decimata dalla Shoah.

Resta tuttavia inquietante che lo scontro tra israeliani e palestinesi si trasferisca nel cuore dell'Europa con quelle odiose caratteristiche. I giovani magrebini diventati francesi, o sul punto di diventarlo, vivono spesso nelle periferie delle metropoli (Marsiglia, Lione), e si identificano nei palestinesi diseredati dei territori occupati da Tsahal; e vedono negli ebrei francesi, benestanti e integrati, la controfigura degli israeliani. La Terra Santa, in cui si addensano passioni nazionaliste e religiose, sparge molto lontano i suoi veleni.

Uno storico italiano ha lanciato tempo fa uno degli interrogativi più stolti che abbia mai raccolto. Perché mai, ha chiesto, i mass media europei si occupano tanto del conflitto israelo-palestinese, quando ne esistono tanti altri nel mondo molto simili, e altrettanto sanguinosi? All'epoca la crisi non aveva ancora i tragici accenti d'oggi, ma aveva già scavato in profondità nelle menti e nei sentimenti occidentali. Quel conflitto è un'ulcera, una piaga per numerosi popoli non direttamente coinvolti, ma collegati a quella terra da vicende millenarie. Negli avvenimenti quotidiani intravediamo una dimensione che va ben al di là delle verità del momento. Ariel Sharon è un uomo di guerra, un vecchio soldato, che sta mettendo a repentaglio non solo l'anima del popolo israeliano (come sostengono tanti intellettuali di Gerusalemme e di Tel Aviv) ma probabilmente lo stesso avvenire di Israele.

Egli sta infatti allargando, attizzando, consolidando l'odio dei cento milioni di arabi tra i quali Israele dovrà vivere nei secoli a venire. E per l'effetto che ha la Terra Santa, anche l'inimicizia di un miliardo di musulmani. Israele ha tante anime. E' nato laico. I suoi fondatori consideravano la Bibbia la storia del popolo ebraico. Diffidavano dei religiosi. I pionieri erano spinti da un'ideologia. Poi l'anima religiosa si è affiancata a quella laica.

L'ideologia iniziale si è scontrata al messianismo dei sefarditi, gli ebrei arrivati dal mondo arabo, estranei alla cultura del sionismo laico fondatore e risparmiati dalla Shoah. La destra israeliana (il revisionismo sionista), oggi incarnata da Ariel Sharon, ha cavalcato il messianismo, e con accenti populisti ha saputo sottrarre alla sinistra laburista, askenazita, quello che era il proletariato della nuova nazione. Questo fa emettere una sentenza sommaria, secondo la quale la sinistra è con i ricchi e la destra con i poveri. Le differenze sociali e lo scontro tra laici e religiosi sono arrivati a tal punto da far temere "una guerra civile". La seconda intifada e gli attentati terroristici hanno creato un'unità nazionale che ha anestetizzato le rivalità interne.

Adesso Sharon conduce un'azione alimentata al tempo stesso: dal nazionalismo espansionista, che è la sua personale vocazione; dal desiderio di sicurezza, comune a un popolo provato dalla storia; e dal messianismo, cui si affidano le masse popolari e in cui è sottinteso il desiderio di un Grande Israele. La Terra Santa resta aperta alle passioni ed estranea alla ragione.

(3 aprile 2002)