Non saranno
licenziati
ma saranno depurati
di
EUGENIO SCALFARI La
sortita del presidente del Consiglio sulla Rai nel corso
d'una sua visita di Stato a Sofia si è risolta in un
boomerang politico di prima grandezza. Alcune voci
significative all'interno della sua stessa maggioranza si
sono espresse criticamente nei suoi confronti; tra di
esse meritano di esser segnalate quella di Giuliano
Ferrara direttore del "Foglio" e quella di
Vittorio Feltri direttore di "Libero". Le
reazioni del centrosinistra erano scontate ma la durezza
di accenti usata in quest'occasione da Rutelli, Fassino,
D'Alema, ha avuto una particolare intensità.
E' anche arrivata la bacchettata del presidente della
Repubblica e questa, tra le tante voci che in coro
avevano deplorato l'intervento berlusconiano, è stata
non solo la più autorevole ma anche la più incisiva non
soltanto perché Ciampi ha messo al primo posto della sua
dichiarazione l'autonomia editoriale, concetto fin qui
assai poco considerato dai politici di ogni colore, ma
anche - vorrei dire soprattutto - per la tempistica
scelta dal Capo dello Stato.
Una sua dichiarazione sulla necessità del pluralismo
nell'informazione (del resto da lui già più volte
sottolineata nelle scorse settimane) che fosse avvenuta
tra qualche giorno non avrebbe avuto il senso di botta e
risposta che ha invece assunto a sole ventiquattr'ore di
distanza dalla sortita di Berlusconi. E' la prima volta
che ciò accade pubblicamente; il presidente del
Consiglio ha risposto anche lui a tambur battente,
ribadendo quanto aveva detto il giorno prima e anzi -
scandendo le parole - confermando di non avere una sola
virgola da ritirare da quanto aveva già detto a Sofia.
Siamo pertanto in presenza del primo vero contrasto
pubblico tra il presidente della Repubblica e il titolare
del potere esecutivo.
La motivazione di fondo non è certo l'ipotesi di
un'epurazione di giornalisti incomodi dalla Rai
(questione di governance aziendale nella quale il Capo
dello Stato non è tenuto ad entrare) ma l'esplicita
pretesa padronale di chi guida il governo di indicare ad
un'azienda pubblica e agli organi che la amministrano
sotto la vigilanza del Parlamento quale sarà la linea da
seguire scendendo fino ai dettagli della politica del
personale nei confronti di alcuni dipendenti.
Il governo cioè ha scavalcato le distinzioni formali e
sostanziali che regolano i suoi rapporti con altre
istituzioni e altri soggetti giuridici. Non è la prima
volta che ciò avviene negli ultimi undici mesi. Analoghi
scavalcamenti si sono verificati tra governo e
magistratura, tra governo e sindacati, tra governo e
Parlamento. In ciascuno di questi casi il Capo dello
Stato non aveva fatto mancare la sua voce oltre all'opera
silenziosa di suggerimento e di persuasione; ma questa
volta il contrasto non è stato indiretto ma diretto, la
replica di Ciampi è stata immediata e fermissima;
altrettanto lo è stata la controreplica di Berlusconi.
Il tema per di più è di quelli estremamente scottanti
perché riguarda quel diritto alla libertà di
espressione e di stampa che è solennemente garantito e
protetto dalla Costituzione.
Ecco perché sostengo che è avvenuto in quest'occasione
un fatto nuovo di grande rilievo. Un'ultima osservazione
su questo punto: è strano che si siano invece chiusi in
un riserbo direi allarmante i due presidenti delle Camere
che, col presidente della Repubblica e con quello della
Corte costituzionale, compongono una sorta di quadrato di
garanzia istituzionale. Tanto più strano quel riserbo
per il fatto che la legge conferisce ad essi il potere di
nominare in assoluta autonomia i membri del consiglio
d'amministrazione della Rai.
La pretesa padronale di Berlusconi sull'azienda
televisiva pubblica ha dunque leso in primissima battuta
proprio l'autonomia dei presidenti della Camera e del
Senato mettendo in chiaro - ove mai ce ne fosse stato
bisogno - che quelle nomine non erano state fatte in
piena autonomia ma in piena sudditanza rispetto al capo
del governo.
Un segreto di Pulcinella, si dirà. Vero, ma Pulcinella
è una maschera del teatro dei burattini; nel caso
specifico Casini e Pera sono stati degradati a burattini
nelle mani del burattinaio ed hanno subìto l'affronto
senza fiatare.
Importa poco per quanto riguarda le due persone in
questione, ma importa invece moltissimo la perdita di
dignità e di funzione delle istituzioni che essi
rappresentano e questa è un'altra delle devastazioni che
il nascente regime sta producendo nel tessuto
costituzionale dello Stato italiano.
***
Io non credo che Biagi e Santoro saranno licenziati.
Baldassarre l'ha già detto e c'è da credergli anche
perché l'attacco di Berlusconi nell'immediato ha avuto
il prevedibile effetto di rafforzarli. Non saranno dunque
licenziati ma certamente svuotati sì. Si farà in modo
di spegnere o diminuire il volume dei microfoni davanti
alle loro bocche. Non è poi così difficile. A Biagi
sarà spostato l'orario di trasmissione dalla prima
serata alla seconda o alla fascia pomeridiana, magari non
subito ma tra qualche mese. A Santoro cercheranno di
stravolgere lo spettacolo oppure, se questo risultasse
troppo difficile, di trasferirlo dalla rete Due alla Tre.
La rete Tre, come il Tg3, avranno d'ora in avanti la
funzione di riserva indiana ed è anzi interesse del
governo di concentrare in quel luogo il dissenso. Lo dico
di passaggio: che negli spazi della rete Tre il dissenso
sia il più militante e fazioso possibile rappresenta un
risultato positivo per la destra, le consente di
sostenere che il pluralismo è garantito e di additare la
faziosità agli occhi del pubblico. Perciò il
trasferimento di Santoro dalla Due alla Tre realizza
un'operazione politica molto redditizia, analoga in
qualche modo alla sedia che Bruno Vespa riserva
costantemente nelle sue trasmissioni a Bertinotti e a
Pecoraro Scanio. Gli addetti ai lavori comprendono questi
trucchi, ma i più ci cascano e così va il mondo nella
civiltà dello spettacolo.
Ho letto sulla Repubblica di ieri il bell'articolo di
Umberto Eco e la sua proposta di boicottare le ditte che
inseriscono pubblicità sulle reti Mediaset, ma sono
molto scettico sulla sua praticabilità. Essa presuppone
una costanza ed un'attenzione di lungo periodo che
pochissimi hanno. E del resto, quand'anche un qualche
risultato apprezzabile ci fosse, esso si risolverebbe in
uno spostamento di inserzionisti dalla Mediaset di
Confalonieri e di Piersilvio Berlusconi alla Rai di
Baldassarre e di Saccà. Francamente, caro Umberto, mi
sembra da questo punto di vista una partita persa in
partenza.
Resta comunque il problema aperto: quello d'un paese
europeo nel quale i mezzi d'informazione televisivi e
buona parte di quelli della carta stampata sono nelle
mani d'un solo padrone. Per di più nell'imminenza di una
legge che toglierà i limiti tuttora vigenti all'incrocio
tra proprietà di emittenti televisive e proprietà di
giornali. Col tipo di capitalismo che ci ritroviamo non
è certo una prospettiva allegra.
***
Allo stato dei fatti una cosa mi sembra evidente:
l'opposizione non ha più alcun interesse - ammesso che
l'abbia mai avuto - a mantenere foglie di fico che
nascondano le vergogne d'un potere arrogante e
anti-liberale. Perciò è molto meglio per tutti che i
due membri del Cda della Rai che in qualche modo sono
riconducibili alle forze dell'opposizione si dimettano
motivatamente e che al posto di un Cda basato sulla
ingannevole formula tre più due si sostituisca un
monocolore di destra. Saranno chiare a quel punto le
responsabilità delle scelte e dei risultati.
Naturalmente, perché ciò avvenga, è necessaria una
condizione preliminare e cioè che tutti i partiti
d'opposizione assumano pubblico impegno di rifiutare ogni
invito a fornire candidati che colmino il vuoto lasciato
nel Cda Rai dai due dimissionari.
Rifondazione, i Verdi, Di Pietro, Mastella e ovviamente
Margherita e Ds debbono assumere pubblico e vincolante
impegno in tal senso; Rutelli e Fassino debbono chiederlo
agli altri nelle prossime ore. Se l'impegno verrà
solidalmente preso (e francamente non vedo come potrebbe
essere rifiutato) Donzelli e Zanda si dimettano. Non alle
calende greche ma nelle prossime quarantotto o
settantadue ore poiché questa loro posizione di
cattività si è ormai fatta decisamente insostenibile e
impresentabile.
C'è un'altra strada? In teoria sì, ci sarebbe. Si
dovrebbe dimettere l'intero consiglio d'amministrazione e
i presidenti delle Camere dovrebbero nominarne un altro
come in realtà avrebbero dovuto fare fin dall'inizio. Un
altro, basato su personalità assolutamente indipendenti
e con un presidente la cui autonomia rispetto a ogni
forza politica risulti a prova di bomba. L'opposto cioè
d'un Baldassarre candidato da Fini fin dall'inizio, che
aveva fin dall'inizio contrattato la nomina di Saccà a
direttore generale.
Esiste la possibilità d'un ribaltone di questo genere?
Neppure la più remota. Dunque non resta che il
monocolore della destra, senza foglie di fico saranno
forse più pudichi di quanto fin qui non siano stati.
P.S.: Pannella è ormai prossimo al ricovero in ospedale
a causa dello sciopero della sete e tutto, anche il
peggio, potrebbe accadergli. Ma non è solo questa
tremenda prospettiva quanto l'insopportabile inadempienza
del Parlamento a eleggere i due giudici costituzionali
mancanti. Ancora una volta a questo punto la
responsabilità incombe sui presidenti delle due Camere.
Hanno già stabilito sia pure tardivamente che da
martedì prossimo il plenum del Parlamento sia convocato
tutti i giorni tre volte al giorno, ma forse non basta.
Decidano invece che da martedì le due Camere si
riuniscano in una seduta che andrà avanti senza
interruzione giorno e notte e duri, di votazione in
votazione, fino a risultato raggiunto.
Sarebbe auspicabile e anche logico che di fronte a questa
procedura Pannella receda dal suo sciopero. E se poi la
seduta a oltranza dovesse durare oltre il prevedibile,
andremo a scoperchiare il tetto di Montecitorio come
fecero i viterbesi per affrettare l'esito d'un infinito
conclave.
(21 aprile 2002)
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