ROMA - Una
missione tutta spagnola sta tentando con fatica
di riportare la pace in Medio Oriente. Potrebbe
essere il premier Josè Maria Aznar, oggi stesso,
in qualità di presidente europeo di turno, a
cercare di incontrare direttamente Sharon e
Arafat in quella che fonti diplomatiche
definiscono "una missione difficile, ma non
impossibile". Ma se le condizioni - cioè la
disponibilità di uno Sharon già spazientito nei
confronti dell'Ue - non permetteranno la visita,
saranno allora il ministro degli Esteri di
Madrid, Josep Piquè, e il capo della diplomazia
europea Javier Solana a partire per Gerusalemme.
Si è conclusa con questa decisione, a notte
ormai alta, la conferenza straordinaria dei
ministri Esteri dei Quindici convocata ieri a
Lussemburgo.
Una riunione di emergenza da cui è scaturito un
primo risultato pratico, eliminando almeno
l'impressione di un immobilismo europeo nella
questione mediorientale, dopo le aspre critiche
piovute da più parti su Bruxelles. Un incontro
che ha cercato, nello sbandamento seguito
all'esplodere delle violenze tra israeliani e
palestinesi, di trovare una voce unita fra tanti
leader in ordine sparso. E, al di là della
decisione finale, al tavolo della conferenza
almeno un tema è apparso accomunare i ministri
accorsi nel Granducato: l'insofferenza verso
l'operato degli Stati Uniti.
Nella discussione tra i Quindici è infatti via
via emersa, mentre il buio calava su Lussemburgo
e anche il ministro degli Esteri italiano Silvio
Berlusconi riusciva a raggiungere i colleghi da
Mosca, una crescente disapprovazione nei
confronti di Washington per il via libera dato
dall'America all'invasione militare israeliana
nelle città palestinesi. Romano Prodi, il primo
a parlare, ha fatto notare che la
"mediazione isolata" statunitense era
fallita, e rivendicando che l'Europa "non è
un nano politico" ha sollecitato colloqui
multilaterali di pacificazione con la
partecipazione di Ue, Onu, Usa, Russia e Paesi
arabi moderati, oltre che Israele e Autorità
nazionale palestinese. "Non può esserci
soluzione militare alla crisi - ha detto con
forza il presidente della commissione europea
l'unica via per andare avanti è la trattativa, e
Arafat è l'unico interlocutore valido per
Israele".
Tuttavia la proposta è stata subito stoppata dal
governo israeliano, un cui portavoce ha detto che
"una conferenza di questo tipo non può aver
luogo prima di un vero cessate il fuoco sul
campo, rispettato dai palestinesi. Il viaggio
degli spagnoli era comunque una decisione ieri
già nell'aria. Aznar aveva trascorso l'intera
giornata al telefono con quasi tutti i leader
europei, Schroeder, Blair, Jospin, sondando la
possibilità di andare personalmente in Medio
Oriente dopo aver parlato per un'ora e mezza con
Sharon. La proposta del viaggio è stata posta
con particolare vigore dal presidente francese
Jacques Chirac. Il premier israeliano è sembrato
in un primo momento molto contrario, poi, nel
corso del colloquio, è apparso più disponibile.
Ma nella sala del Consiglio, pur nel tentativo di
farsi sentire uniti, i Quindici hanno tuttavia
manifestato sensibilità diverse. Silvio
Berlusconi ha ricordato che è "urgente la
convocazione a Bruxelles di tutti i
protagonisti" del processo di pace: e ha
ricordato la necessità di "tutelare
l'incolumità dei luoghi sacri e dei
sacerdoti".
A chiedere il dispiegamento di una forza
internazionale è stato la Francia. La posizione
tedesca, presentata da Fischer, ha sollecitato la
fine delle violenze e il ritiro di Israele, oltre
a chiedere la ripresa dei colloqui di pace. E il
britannico Straw ha chiesto a gran voce il ritiro
delle truppe. Infine, a notte fonda, la decisione
di inviare Aznar in missione. Un'iniziativa che
cade oggi sotto il giudizio di Sharon, e che
perciò molti considerano a rischio.
(4 aprile 2002)
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