Dalla parte dei palestinesi

Gennaro Migliore da Gerusalemme


Non riusciremo mai a comprendere l’orrore della guerra senza guardare i volti stravolti degli uomini e delle donne che la subiscono da tutta una vita. Eppure la guerra può diventare sempre più feroce di come la si è immaginata. Israele ha deciso di scatenare una guerra per mettere fine alla questione palestinese. Ha deciso che non vuole più intralci né responsabilità per risolvere questo conflitto. Mentre scrivo, le notizie si susseguono frenetiche ed orribili, così come l’esperienza diretta di tutti noi che partecipiamo alla delegazione di Action for Peace ci restituisce sensazioni e pensieri di tristezza ed indignazione.
Sharon ha deciso di annientare fisicamente l’autorità nazionale palestinese ed il suo presidente Arafat. Mai come in queste ore è stata così minacciata l’esistenza stessa della "questione palestinese". Ogni campo profughi, ogni città dei territori occupati, ogni palestinese è il bersaglio dell’inaudita violenza distruttrice dell’esercito e della politica voluta da Ariel Sharon. Durante la notte scorsa Arafat aveva provato, con una dichiarazione unilaterale di cessate il fuoco, a frenare l’avvio dell’ultima gigantesca operazione militare. Oggi asserragliato nel bunker sotterraneo della sua residenza a Ramallah, invasa dall’esercito, ha lanciato l’estremo appello alla resistenza a tutto il suo popolo. Questo conflitto voluto dal governo israeliano è in realtà una azione terroristica che non provocherà di certo la cessazione ma il moltiplicarsi degli attentati suicidi. A Gerusalemme, oggi ci sono stati attentati e sulla spianata delle moschee, dove si consumò la provocazione del presidente Israeliano che diede vita a questa seconda Intifada, l’esercito spara sui palestinesi che escono dalla moschea di Al Axa.
Il dolore di questo popolo ha il suono delle sirene che attraversano le città ferite e Gerusalemme terrorizzata. Questa furia è guidata però da un ragionamento lucido, Sharon ha determinato nel corso degli ultimi mesi le condizioni per sferrare il suo attacco finale. In questo criminale di guerra non c’è mai stata neppure la più tenue volontà di proporre una strategia per la pace. Vuole la guerra per cancellare ogni traccia di una lotta di liberazione che dura dalla stessa nascita dello stato di Israele. Intanto l’esercito agisce come nei peggiori incubi a Ramallah, a Nablus, a Gaza. Dove impedisce addirittura di raccogliere i feriti, dove esegue massacri indiscriminati e dove i bambini che vanno a scuola stanno perdendo la speranza e pensano magari di farsi esplodere contro i "nemici".
Questa guerra ha però molte complicità. Innanzitutto quella della comunità internazionale, che ancora oggi è paralizzata. Paralisi colpevole perché ci sarebbero tutti gli strumenti per mettere fine al massacro: dalla risoluzione dell’Onu che dichiara la legittimità dello Stato palestinese agli appelli delle più alte autorità morali, a partire dal papa, per il rispetto delle popolazioni civili e per una ricerca di una pace giusta. I capi dei governi europei invece mantengono una posizione che attribuisce ad Arafat responsabilità non sue e si sfrutta la guerra al terrorismo per delegittimarlo. Sharon però non può vincere.
Questa recrudescenza del conflitto è anche un segno di debolezza. Sharon però può annientare il gruppo dirigente dell’Anp. Occorre dunque una immediata mobilitazione generale che difenda l’autorità nazionale palestinese e il diritto alla vita di quel popolo. E’ necessaria una campagna di informazione che smascheri le falsità dei media arruolati alla guerra che in questi anni nulla hanno detto sullo strangolamento quotidiano dovuto all’occupazione e che nulla continuano a dire sulle reali responsabilità in questo conflitto. Il lavoro di testimonianza e di controinformazione è stato in questi anni perseguito dalle molte delegazioni di osservatori di pace internazionali. E il significato della nostra presenza qui riannoda il filo di queste esperienze ma denuncia immediatamente l’attuale situazione di negazione delle più elementari libertà democratiche in Israele. Siamo stati trattenuti negli aeroporti, fermati dall’esercito ai check point, caricati dalla polizia a cavallo davanti a quello che fu il simbolo dell’Autorità palestinese a Gerusalemme, l’Orient House; scherniti e minacciati dai coloni durante le manifestazioni con le donne in nero. Così come sono oggi di fatto degli ostaggi che rischiano la vita gli osservatori a Ramallah o i cooperatori nei campi profughi, moltissimi italiani, che hanno offerto solo il proprio lavoro e il proprio corpo per proteggere le popolazioni palestinesi.
Eppure è impossibile per Sharon eliminare fisicamente ogni arabo dalla terra che fu di Abramo, per questo continua la resistenza di un popolo anche sotto il fragore delle bombe ma continua anche la ricerca della pace. Oggi assistiamo con dolore ad uno scontro per la vita e oggi più che mai siamo dalla parte delle vittime, dalla parte di chi si difende con l’Intifada. Continueremo la mobilitazione per la verità e la pace in Palestina. La continueremo qui in Israele anche se indesiderati ed in Europa, dove la nostra voce sarà rivolta a tutte le coscienze degli uomini che vogliono la pace e contro tutti i potenti che sanno solamente schierarsi dalla parte degli oppressori.
29 marzo 2002