E Jospin attacca: «Chirac? Ci farebbe fare la fine dell’Italia»

Hollande, segretario socialista: anche lui come Berlusconi moltiplica promesse contraddittorie. La replica: dichiarazioni indegne, una nuova sbandata verbale DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI - Un simbolo e un fantasma infiammano la campagna elettorale e trasformano in scontro politico una domanda in apparenza da salotto intellettuale: la Francia è ancora un’eccezione? Il simbolo è Jean-Marie Messier, il patron della Vivendi Universal, associato a quanto la Francia ufficiale teme di più: la colonizzazione americana dell’industria culturale, i matrimoni incestuosi fra sistema informativo e gruppi finanziari, lo «zapping» come arma di consenso dei cittadini teledipendenti. Riferimenti più che sufficienti a far apparire, accanto al simbolo, il fantasma: Silvio Berlusconi, in passato percepito come un’intrusione nel sistema televisivo e oggi agitato alla vigilia del voto come possibile sbocco di un’«exception» di altro tipo, quella italiana. Lionel Jospin e lo stato maggiore della «gauche» hanno cercato di spalmare l’avversario Jacques Chirac su presunte analogie d’intenzioni e comportamenti. «Se Chirac vincesse, la Francia si ritroverebbe in piazza come in Italia», ha detto Jospin, profetizzando profonde crisi nel corso della legislatura. Più duro, il suo delfino, François Hollande, che accusa Chirac di fare una campagna berlusconiana, a colpi di promesse contraddittorie («potrebbe far sognare biglietti d’aereo gratuiti», ha detto, alludendo all’inchiesta sui viaggi privati del Presidente) e ancora più pesante il comunista Vaillant, ministro dell’Interno, il quale sente «profumo d’impunità» nella rielezione di Chirac, con riferimento agli scandali che tormentano l’Eliseo. Anche i sondaggi, favorevoli all’estrema destra di Le Pen, vengono presentati come una possibile deriva autoritaria. Da destra, alcuni candidati, come Madellin e Mégret, vedono invece nel caso italiano una positiva via d’uscita all’«eccezione francese». Giudizi che Chirac si guarda dal condividere. Per lui parlano gli uomini della sua squadra, accusando Jospin di aver perso la testa e giudicando «indegne» dell’attuale capo di governo queste affermazioni. Per la destra, è facile ricordare a Jospin che proprio il suo governo ha dovuto fronteggiare fortissime proteste di piazza. I due sfidanti si scambiano le parti a seconda dei comizi che frequentano e il modello Italia resta lontano. Chirac dipinge una Francia in declino e vorrebbe rilanciarne il primato tagliando le tasse e riformando lo Stato. Jospin prova a dimostrare che si può essere innovatori anche aumentando le garanzie sociali. In realtà, Chirac e Jospin credono in correttivi «alla francese», nella convinzione che l’«exception» resisterà al «moderno» che avanza in Europa e nel mondo. Almeno metà della Francia pubblica e amministrativa vuole questo. E anche Chirac rassicura: «Vivendi resterà francese». Canal Plus ha rappresentato per anni la risposta francese a queste genere di preoccupazioni, come dimostra la levata di scudi con toni da patria in pericolo. Canal Plus è canale privato, in abbonamento, tutto calcio, cinema, un po’ di porno e poca informazione, non molto diverso da esperienze europee, ma obbligato per legge a contribuire alla protezione del cinema francese, riservando alla creatività del settore una parte dei profitti, sia per la produzione sia per l’acquisto di pellicole. Per un Paese che non parla di «zapping» ma di «zappeur» e che preferisce la «consommation rapide» al fast food, le parole pronunciate nel dicembre scorso a Nuova York da Messier, l’«americano», erano già suonate come una dichiarazione di guerra al sistema: «L’eccezione culturale francese è morta». Le istituzioni avevano reagito con altrettanta franchezza, trovando d’accordo Chirac e Jospin: «Profonda aberrazione mentale considerare i beni culturali alla stregua di qualsiasi prodotto di mercato». L’«exception» non è questione nuova, come una «certa idea della Francia» di cui parlava de Gaulle, ma la campagna elettorale, in una straordinaria auto analisi collettiva, l’ha collegata ai programmi dei candidati, alla domanda di riforme, ai timori del cambiamento, all’attualità di uno Stato che sovrintende, eroga servizi, sovvenziona la cultura, con diffidenze un po’ ipocrite verso il mercato, anche quando, come nel caso di Messier, si apre alle scorrerie internazionali di capitali francesi. Auto analisi drammatica dal momento in cui la Francia ha smesso di essere un’«exception» dal punto di vista dei comportamenti e degli umori dell’elettorato, come dimostrano l’assenteismo, la frammentazione dei partiti, la crisi di consenso delle istituzioni, le spinte centrifughe verso l’estrema destra e verso l’estrema sinistra che intercettano e paralizzano i propositi riformisti. Non è il sistema, ma la sua gestione a essere entrata in collisione con i cambiamenti della società. Collisione esasperata, se hanno un senso i riferimenti a Berlusconi, reciproche aggressioni verbali e torte in faccia contro i candidati, senza «exception». Ieri è toccato a Jospin subire l’onta di un americanissimo ketchup.