Senza canone


Alla fine dell'allegra baldoria, finalmente sazi, Bossi, Berlusconi, Buttiglione e Fini hanno firmato (16 aprile 2002) l'atto di nascita di Mediaset 2 a viale Mazzini e Saxa Rubra (come, da facili profeti, avevamo battezzato l'operazione di spianamento, occupazione e omologazione del servizio pubblico). Sarebbe bene, d'ora in poi, che anche noi giornalisti mettessimo in soffitta il famoso copyright di Alberto Ronchey: altro che «lottizzazione», siamo tornati al latifondo. Restare fermi ai vecchi schemi può far commettere errori politici. Ne sanno qualcosa i Ds, cancellati in un sol colpo dai nostri schermi («siamo andati peggio delle peggiori fantasie», ha commentato con animo candido il consigliere Carmine Donzelli). I bulldozer del quadriumvirato berlusconiano hanno agito senza pudore, senza rispetto per l'avversario, tracciando un confine invalicabile attorno al 95 per cento del sistema radio-televisivo italiano. L'unico a non essersene accorto sembra il consigliere Luigi Zanda che prima riconosce l'evidenza («l'assenza di pluralismo determina conseguenze anche sulla tenuta dell'azienda»), e poi, sfiorando il patetico, lancia la proposta di «un potenziamento del Tg3 per farne una testata come Tg1 e Tg2». Andrebbe ricordato che quando a un tavolo siedono dei bari, innanzitutto bisogna saperli riconoscere e poi è consigliabile lasciare il tavolo.

Non aver capito per tempo la strategia dell'avversario ha fatto di Donzelli e Zanda due zimbelli, abbindolati dall'emerito e furbo presidente Baldassarre, uomo di fine ironia: «il clima è stato sereno e di collaborazione, abbiamo fatto delle invenzioni giornalistiche». La più ardita è sicuramente quella di promuovere alla direzione del Tg1 un direttore che ha fatto perdere al Tg2, in due anni, tre punti di share (la testata di Mimun nel gennaio 2000 aveva il 28,8 di share, sceso nello scorso gennaio al 25,7 per cento).

Ora che l'occupazione è completa, sarà bene pensare a qualche gesto politico.

I due consiglieri, in pratica dimissionati dalla maggioranza, dovrebbero, adesso, almeno abbandonare il Cda. Restare accampati nel box di un Tg3 dimezzato e di una Raitre marginale, equivale a sopravvivere in una riserva indiana.

Ma la cancellazione del servizio pubblico non è affare che riguarda solo i politici e i partiti. Riguarda anche noi, cittadini e utenti ai quali si chiede di pagare un canone in cambio di un servizio. Avendoci sbattuto in faccia la cancellazione di ogni forma di pluralismo, la tassa del canone assume, ora, i connotati di una provocazione. Perché dovremmo pagare 93,80 euro a Mediaset2? Tanto più che quel che già si intravvede all'orizzonte è l'anticamera della privatizzazione prossima futura, per il momento colorata con la vernice della partitocrazia. Un'azienda bollettino di partito si ridurrà all'ombra di se stessa, depotenziata, svuotata e non più concorrenziale a Mediaset1, quindi pronta per essere affettata e venduta. Pagheremmo noi un canone a una tv di un Romiti o di un Berlusconi? Evidentemente no. Cominciamo a pensarci, così risparmieremo qualche lira che potrebbe essere messa a miglior frutto. Per esempio sottoscrivendo un azionariato popolare per la fondazione di una nuova televisione, in grado di dare voce all'altra metà del paese.