Al palazzetto dello sport di Roma
l'ultimo discorso del "Cinese" In sala oltre 2000 delegati da tutta Italia: applausi e commozione Cofferati dà l'addio alla Cgil "Felice di essere uno di voi" Guglielmo Epifani: "Ciao Sergio, sei un vero riformista" Sulle tribune uno striscione: "Non perdiamoci di vista" di MATTEO TONELLI ROMA - "Sono
felice di essere uno di voi". Eppoi un lungo
applauso, molti occhi lucidi, bandiere della Cgil che
sventolano e una lacrima improvvisa che gli solca il
volto. E' il giorno dell'addio per Sergio Cofferati. Il
giorno di abbandonare la segreteria della Cgil e passare
il testimone a Guglielmo Epifani. Doveva succedere
qualche mese fa, ma il ritorno del terrorismo e
l'omicidio Biagi, avevano convinto Cofferati a rimandare.
"Dopo l'estate vado via" promise allora. E
oggi, quelle parole prendono forma. Lo fanno a Roma,
davanti a più di duemila sindacalisti riuniti nel
palazzetto dello Sport. Lo fanno senza particolari
scenografia, all'insegna della sobrietà. Pochi
striscioni, nessuna colonna sonora, un palco sobrio al
limite dello scarno. La platea applaude. A salutare
il segretario che se ne va, sono venuti due leader dei
girotondini, Paolo Flores D'arcais e Pancho Pardi.
Sindacalisti come Bruno Trentin, Ottaviano Del Turco,
Antonio Pizzinato. Per i Ds c'è solo Giovanni
Berlinguer. Sugli spalti uno striscione: "Grazie
Sergio, non perdiamoci di vista". All'ingresso viene
distribuito un foglio con i testi di due poesie. Una, per
Cofferati, è "E qui finisco" di Neruda.
L'altra è "Piaceri" di Bertold Brecht,
indirizzata ad Epifani. Ed è proprio il neosegretario
che, per salutare Cofferati, tocca le corde della storia
del sindacato. "Sergio rappresenta meglio di
chiunque altro l'ansia di cambiamento, la voglia di
rialzare la testa dell'Italia dei diritti. Come Luciano
Lama il suo maestro, un altro vero riformista". |
Il ministro dell'Economia accusato di scarsa
collegialità Si parla della voglia del premier di
sostituirlo con Fazio Tremonti sotto assedio "Stanco di questa via crucis" Berlusconi irritato con la Confindustria di BARBARA JERKOV ROMA - Quanti indizi servono a fare una prova? Il proverbio dice tre. Qui ce ne sono quanti vogliamo. Parlano tutti di un Berlusconi seriamente preoccupato e di un Tremonti sempre più sotto assedio. Un Tremonti che, in un futuro non troppo lontano, potrebbe perfino essere chiamato a lasciare il suo superministero. Bruno Tabacci lo previde già mesi fa: "Con i conti le cose sono destinate ad andare di male in peggio. E poiché il premier non sbaglia per definizione, alla fine la croce cadrà tutta su Tremonti". Ecco, ci siamo. "Berlusconi vorrebbe liberarsene ma come fa, poi Bossi chi lo sente?", era pronto a giurare un ministro forzista, appena uscito dal Consiglio dei ministri di ieri mattina. Durante la riunione, Tremonti non ha fatto altro che difendersi dalle accuse dei colleghi, sul piede di guerra per la Finanziaria, senza che il premier battesse ciglio. A Fini che gli diceva "non puoi fare tutto da solo" e a Buttiglione che chiedeva "maggiore collegialità", lui, il superministro fino all'altro giorno invincibile rispondeva: "Avete ragione ma come ve lo devo ripetere? Il testo ancora non è pronto, non c'è, non esiste, prima sentirò tutti, state tranquilli". E Alemanno di rincalzo: "Ma come è possibile, se la devi presentare martedì..?" Alla conferenza stampa convocata subito dopo da Berlusconi per illustrare il decreto fiscale, il padre del provvedimento non s'è visto. Nel pomeriggio, l'attacco ad alzo zero di Confindustria. Un attacco che ha fatto particolarmente male visto che giovedì era trapelata la voce che il premier aveva rassicurato D'Amato. "Quella voce non siamo stati noi a metterla in giro", assicurano in viale dell'Astronomia. E ora c'è anche chi parla di uno sfogo di Berlusconi contro la Confindustria. Fra mille sospetti, quello del rimpasto. "Secondo lei, se non c'è ancora il nuovo ministro degli Esteri, da cosa dipende?", continua il collega di governo. "E' chiaro che la Farnesina è la soluzione ideale per trasferire Tremonti senza troppe polemiche, mettendo Fazio al suo posto". Solo che, evidentemente, l'operazione non si può fare a Finanziaria in corso, dal primo gennaio però... Ieri pomeriggio Berlusconi è salito prima al Quirinale, poi ha avuto un'ora di colloquio riservatissimo con Fazio. Un altro indizio del prossimo cambio della guardia? La voce, sia chiaro, non nasce oggi. E il portavoce di Palazzo Chigi, Bonaiuti, la liquida indignato: "E' tutto semplicemente ridicolo". No, non c'è niente di ridicolo, obietta un centrista esperto di queste cose: "Ma perché Fazio dovrebbe accettare di assumere la guida di un ministero quando potrebbe essere presto a capo di un governo istituzionale?". Poi scavi ancora, e trovi che in alcuni colloqui avuti nei giorni scorsi con un esponente di spicco del Parlamento, Tremonti si sarebbe sfogato, confessando di essere "stanco davvero" di questa via crucis cui è sottoposto ormai da settimane. Il Tremonti che appena prima dell'estate ebbe a dire "non farei mai il ministro degli Esteri in un governo che non avesse me all'Economia" sembra davvero far parte di un'altra era. Ieri sera Bossi è intervenuto, alla sua maniera, per dire che il nuovo ministro degli Esteri serve, ma serve ora, subito: "Spero che Berlusconi perda l'ideologia del "circolare è bello" e resti a casa a dare ordini a tutta la macchina". La conferma che i lumbard gli amici li difendono fino in fondo. (21 settembre 2002) |
Il primo atto ufficiale del
nuovo leader la proclamazione dello sciopero generale Cgil, Epifani eletto segretario generale Gelido commento di Pezzotta "Giudicheremo la sua politica" ROMA - Un
applauso di quattro minuti e un lungo, caloroso abbraccio
con Sergio Cofferati. Così il direttivo della Cgil ha
festeggiato l'elezione di Guglielmo Epifani alla
segreteria generale del sindacato. Il nuovo leader dovrà
gestire la pesante eredità che gli lascia il Cinese e
tutte le vertenze aperte con il governo e con gli
industriali per la stagione di rinnovi contrattuali, ma i
numeri dell'elezione (141 sì, 3 contrari e 2 astenuti)
gli danno la sicurezza di avere con sé l'organizzazione.
Primo atto della segreteria Epifani è stata la
proclamazione dello sciopero generale per il 18 ottobre.
"Giusto e doveroso" lo definisce il nuovo
leader che poi spiega le prime mosse della sua strategia:
"'lo sciopero è in favore di una politica di
sviluppo e per i diritti. Continueremo la raccolta delle
firme e il 27 settembre in 120 città italiane
organizzeremo feste per i diritti". Epifani, 52 anni, è il primo
segretario della Cgil che proviene dalle fila del partito
socialista. Ha iniziato la sua carriera in Cgil dalla
Esi, la casa editrice del sindacato e nel 1979 è eletto
segretario aggiunto dei poligrafici della Cgil di cui
diventa segretario generale nel 1981. Dal 1990 (alla
guida del sindacato c'era Bruno Trentin) diventa
segretario confederale mentre nel 1994 succede a
Ottaviano del Turco come segretario generale aggiunto
(carica destinata alla componente socialista della Cgil). |
19.09.2002 Dalla Pirelli alla Pirelli ventisei anni di Cgil di Bruno Ugolini Luomo chiamato il «cinese», è uscito da questa antica fabbrica, la Pirelli Bicocca, 26 anni or sono. Ora ritorna. E un luogo, un territorio trasformato, irriconoscibile. E lui? E cambiato? Non è più il Sergio Cofferati ventenne approdato nel 1969 allufficio tempi e metodi? Molti maliziosamente rispondono di sì che è cambiato, eccome. Era, sostengono, un riformista, anzi un «migliorista», assai moderato, capace di far digerire ai suoi compagni spesso estremisti, magari quelli dei comitati di base, i terribili Cub capitanati da Mario Mosca, compromessi, mediazioni spesso intese come arretramenti. Ora, dicono i malevoli, appare fatto di tuttaltra pasta, etichettato come un pasdaran della sinistra. Una che allepoca militava proprio nei Cub della Bicocca, Jole Magni, usa una definizione che ci sembra azzeccata: «Cofferati è rimasto fermo, sono gli altri che sono cambiati». Rievoca le discussioni di allora, nella sede del Consiglio di fabbrica e anche fuori, nei locali angusti della sezione Cgil. Luoghi che anche il cronista ha frequentato, visto che la sede dellUnità di Milano era a due passi e bastava stare alla finestra per vedere sfilare i cortei delle tute bianche. Sergio, rievoca Jole, non alzava mai la voce. Era quello di oggi: calmo, tranquillo, attento, capace di pesare le parole. «Sono cambiati gli altri», insiste Jole. Un tratto diverso, a pensarci bene, forse cè. Cofferati, allepoca, sinteressava poco di politica. Andava alle riunioni, ai congressi del Partito Comunista, ma non rimaneva troppo impigliato nelle discussioni interne, nelle cordate. Oggi il dirigente Cgil ha, invece, deciso di spendere le proprie energie, anche in campo politico, nella sinistra, tra gli eredi dellantico Pci, i Diesse. Lo ha fatto al congresso di Pesaro, quello che doveva scegliere tra le mozioni di Piero Fassino, Giovanni Berlinguer e Morando. Ha scelto Berlinguer. Un impegno di primo piano. Perché è successo questo? Solo per ambizione personale, per imbracciare una carriera politica, dopo aver raggiunto i massimi livelli nella «carriera» sindacale, come dicono i soliti malevoli? Ho il sospetto che un tale approdo, così impegnativo, sia invece derivato proprio dallesperienza sindacale di questi anni. Sergio Cofferati ha toccato con mano, dal suo osservatorio privilegiato, lacune, difficoltà, divisioni, contraddizioni, ostacoli, nella stessa cultura di governo dellUlivo. E stato al centro, spesso e volentieri, daspre polemiche, con Massimo dAlema, ma anche con Romano Prodi, intento a rivendicare linee dequità, contro atti che considerava ingiusti oppure fughe precipitose, controproducenti. Ha polemizzato su argomenti diversi: il tentativo di usare con troppa disinvoltura strumenti di flessibilità del lavoro, ma anche di varare per legge, saltando la contrattazione, le 35 ore care a Fausto Bertinotti. Nello stesso tempo è stato lui medesimo sottoposto a critiche e reprimende, accusato dessere troppo statico, troppo conservatore, troppo intento a difendere diritti e tutele per il popolo del posto fisso, il popolo «fordista». Erano rimproveri che non venivano solo da Massimo DAlema o da Nicola Rossi e altri. Anche uomini non certo estranei al sindacato, come Vittorio Foa e Bruno Trentin, hanno sovente incitato la Cgil ad un maggior coraggio, sia nellaffrontare le nuove realtà del lavoro, sia nel sapere spezzare laccerchiamento, onde ricucire rapporti positivi con Cisl e Uil. Cè da dire che una parte di tali pressioni - non certo quelle di Foa e Trentin - sembravano ripercorrere genericamente orientamenti cari a settori dellimprenditoria. E stato, ad esempio, il caso di una discussione verificatasi attorno alla possibilità di mettere mano al sistema contrattuale varato nellaccordo con Ciampi nel 1993 e basato su due livelli. Tali interventi, spesso accompagnati da etichettature disinvolte, hanno ottenuto leffetto contrario: hanno spinto la Cgil a far quadrato. Credo che la scelta di Cofferati di imbarcarsi più direttamente nellagone politico sia nata anche da tali vicende. Cè chi ha detto: farà la fine di Luciano Lama che quando uscì dalla Cgil, fu dislocato in un ufficio di Botteghe Oscure e un po dimenticato. Una non più giovane militante del sindacato e dellex Pci, Nella Marcellino, mi ha fatto notare come la differenza tra i due segretari stia nel fatto che Lama, a differenza di Cofferati, non aveva nel partito, un seguito anche organizzativo, benché possedesse un carisma di grande rilievo. Non aveva, insomma, saputo conquistare quelle adesioni di cui gode Cofferati, accolto nelle feste dellUnità come una specie di Madonna Pellegrina. Una popolarità, nella sinistra (non so se anche nellapparato di sinistra), quasi senza precedenti. E questo limpiegato Sergio Cofferati che torna alla Pirelli. Quale è il bilancio della sua lunga permanenza nella Cgil? Non si può non accennare al suo contributo determinante, negli anni Ottanta, al governo delle ristrutturazioni nella chimica. Il giovane Sergio era allora a favore di una linea che non rifiutava lipotesi di un sindacato capace di «sporcarsi le mani», trattando anche forme di mobilità, casse integrazioni, purché alla presenza di un piano industriale che desse certezze. E lo stesso Cofferati che, sotto la segreteria Trentin, assume un ruolo importante nellaccordo del 1992, con Giuliano Amato. Così nella trattativa del 1993, quella che sfociò in unintesa che ancora oggi potrebbe essere il pilastro delle relazioni industriali. Sono gli anni della concertazione e della politica dei redditi, mandata a picco dagli sforzi congiunti di Berlusconi, Maroni e DAmato, con i loro suggeritori dorigine socialista: Parisi e Sacconi. Quando Cofferati subentra a Trentin, dopo una consultazione interna e dopo un «duello» con Alfiero Grandi, cè chi pensa ad un ancora lungo e faticoso tirocinio. Non è così. Cofferati balza subito alla ribalta, simpadronisce delle prime pagine dei giornali. Siamo nel 1994 e, in fondo, chi costruisce unaureola al leader sindacale, è proprio Silvio Berlusconi con le sue minacce sulle pensioni. Nasce lì, al Circo Massimo, nel corso di una manifestazione imponente, ripetuta e moltiplicata nel marzo 2002, il Cinese, lantagonista al centrodestra, luomo dei diritti e dellequità. Un oppositore che ha dimostrato, però, la sua disponibilità a negoziare. Lo ha fatto sulle pensioni, con lo Berlusconi e poi con Lamberto Dini. Lo ha fatto, con Prodi e DAlema, accettando ipotesi di flessibilità come quelle del pacchetto Treu. La Cgil ha conquistato, così, sotto la sua direzione, un patrimonio importante di fiducia, ha rinnovato un legame stretto e forte col mondo del lavoro tradizionale. Qualche spiraglio si è aperto anche nei nuovi lavori, con il Nidil, il sindacato dei cosiddetti atipici, uno spazio inaugurato da Trentin, dove si gioca il futuro del sindacato. Un altro aspetto importante riguarda il fatto che la Cgil, a differenza daltri «contenitori» della sinistra, ha mantenuto e allargato la propria influenza, il proprio radicamento sociale, la propria unità interna. Cè, in tale panorama, la ferita dei rapporti con Cisl e Uil. Si poteva fare di più per impedire gli strappi? Cofferati ha spiegato che lui sa bene, fin da quando era alla Bicocca, quanto sia importante lunità. Ha aggiunto che su tutto si può mediare, ma non su certi diritti non negoziabili, come quelli contemplati dallarticolo diciotto dello Statuto dei lavoratori. La verità è che qualcuno - il governo, la Confindustria - ha puntato sulla rottura sindacale. Con un calcolo miope che potrebbe portare danni gravissimi al Paese. Che cosa farà il «cinese»? Farà quel che ha sempre fatto, direbbe la Jole Magni, ex Pirelli. «Perché lui non cambia, cambiano gli altri». Continuerà, dunque, a fare il riformista, incrociando problemi concreti. E la sua arma segreta. Lui ne sa di più di tanti su diritti, stato sociale, nuovi lavori. Può dimostrare come si costruisce linnovazione e anche lunità vera del mondo di tutti i lavori, contribuire a porre le basi di unalternativa al centrodestra. Può aiutare, con la fondazione Di Vittorio, a ricostruire lunità dei soggetti sindacali. E certo che rappresenterà una risorsa importante per la sinistra. Non seguirà i consigli di Bertinotti che laltra sera, ad un dibattito alla Festa di Rifondazione a Roma, lo invitava quasi alla scissione, «ad uscire dalla prigione». Lui ha guardato Castel SantAngelo, possente e inondato di luce, e ha detto ridendo: «Non farò certo come Tosca, non mi lascerò cadere nel vuoto ». |
18.09.2002 Eco: "Il premier dà un ordine e questo viene eseguito, qui è lo scandalo" MODENA Se gli viene chiesto cosa non gli piaccia di Silvio Berlusconi, Umberto Eco risponde col sorriso sulle labbra: «Lassoluta identità di interessi». Altro che conflitto, risponde il semiologo, ieri ospite alla festa dellUnità di Modena. Berlusconi «è lunico in Italia che non ha conflitto di interessi, perché ha lassoluta identità di interessi: quelli delluomo daffari e quelli di presidente del Consiglio». Il sorriso scompare quando aggiunge che se si prosegue su questa strada si finirà in una situazione «di potere o di regime personale. È successo a Giulio Cesare e a tanti altri». Questo è il punto fondamentale, spiega. Il resto conta meno. Le bugie? «Le dicono in tanti», dice ancora abbozzando un sorriso. Poi, di nuovo serio: «Si ha vergogna quando si è fuori dallItalia. Come se avessimo un Menem, come se fossimo in Argentina». Critica il diktat bulgaro del presidente del Consiglio e chi quellordine ha eseguito, facendo sparire dai palinsesti Rai le trasmissioni condotte da Enzo Biagi e da Michele Santoro. Linformazione in Italia? «Non è autonoma». Secondo il semiologo, la mancanza di una netta divisione tra potere economico e mondo dellinformazione è il «vizio italiano che ha reso accettabile lidea che un solo uomo controlli sei televisioni e una parte consistente della stampa».
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Il segretario della
Cgil chiude la grande manifestazione "Sull'articolo 18 la loro intenzione è subdola" Cofferati: "Questa piazza la risposta contro il terrore" ROMA - Sergio Cofferati sale sul palco
dopo il minuto di silenzio dedicato alla memoria di Marco
Biagi, ucciso martedì dalle Br. E da "quell'uomo
barbaramente ucciso" parte il segretario della Cgil
nel suo discorso. "Il terrorismo è tornato a
colpire e lo ha fatto in un momento particolare. Il
terrorismo punta a stravolgere le relazioni sociali.
Perché non ci sfugge il momento determinato in cui
l'assassinio è stato compiuto". |
Per la prima volta unite le
mille anime dell'opposizione ora con un nemico in più da combattere: le Brigate Rosse Tutti in piazza con Cofferati: "Per il lavoro contro il terrore" Lo storico Scoppola: "Appuntamento carico di significati" di ANDREA DI NICOLA ROMA - Doveva essere la giornata del
"sorriso" con cui fermare il governo nella sua
volontà di smantellare l'articolo 18. "Li fermeremo
con un sorriso" aveva detto infatti Sergio Cofferati
prima che un commando di assassini intervenisse a modo
suo, uccidendo Marco Biagi, nella dialettica fra governo
e sindacati. Ma se le pistolettate di Bologna toglieranno
"il sorriso" alla piazza non hanno dissolto
quell'inedita alleanza fra Cgil, partiti del
centrosinistra, "girotondisti", movimento No
global, sindacati di base che Cofferati era riuscito a
coagulare intorno alla parola d'ordine della difesa dei
diritti. E adesso si aggiunge un "No al
terrorismo", un motivo in più per rinsaldare la
voglia di stare in piazza di quel milione, milione e
mezzo di persone che domani sfileranno per le vie di
Roma. Forse una prova di dialogo fra
partiti, movimenti e sindacati che finora si sono
guardati di sottecchi, hanno provato a parlare ma senza
grandi risultati, di sicuro, lo ha detto a più riprese
Cofferati, un enorme no alle follie del partito armato. |