Al palazzetto dello sport di Roma l'ultimo discorso del "Cinese"
In sala oltre 2000 delegati da tutta Italia: applausi e commozione
Cofferati dà l'addio alla Cgil
"Felice di essere uno di voi"
Guglielmo Epifani: "Ciao Sergio, sei un vero riformista"
Sulle tribune uno striscione: "Non perdiamoci di vista"
di MATTEO TONELLI

ROMA - "Sono felice di essere uno di voi". Eppoi un lungo applauso, molti occhi lucidi, bandiere della Cgil che sventolano e una lacrima improvvisa che gli solca il volto. E' il giorno dell'addio per Sergio Cofferati. Il giorno di abbandonare la segreteria della Cgil e passare il testimone a Guglielmo Epifani. Doveva succedere qualche mese fa, ma il ritorno del terrorismo e l'omicidio Biagi, avevano convinto Cofferati a rimandare. "Dopo l'estate vado via" promise allora. E oggi, quelle parole prendono forma. Lo fanno a Roma, davanti a più di duemila sindacalisti riuniti nel palazzetto dello Sport. Lo fanno senza particolari scenografia, all'insegna della sobrietà. Pochi striscioni, nessuna colonna sonora, un palco sobrio al limite dello scarno.

Hanno deciso così Cofferati ed Epifani. Toni moderati per un giorno che è di addio e di benvenuto nello stesso tempo. Un giorno di tristezza, ma anche di speranza. Lo capisci quando Cofferati si affaccia in sala e incassa i primi applausi. Firma qualsiasi cosa, il Cinese: foto, tessere della Cgil, foglietti, libri. Si avverte ascoltando le voci delle platea. Sindacalista di Bologna: "E' un giorno triste, in Cofferati avevamo riposto le nostre speranze, ma la Cgil non cambierà". Delegato di Milano: "E' giorno triste perché salutiamo uno dei più grandi segretari della storia della Cgil, ma anche importante perché le sfide che abbiamo davanti sono tante e impegnative".
Già le sfide. Quell'attacco ai diritti che Cofferati rilancia dal palco come linea conduttrice del suo agire alla guida della Cgil. E allora proclamare, da soli, un nuovo sciopero generale il 18 ottobre non è una scelta "avventata". E, dopo averne proclamati tanti "adesso Cofferati dovrà farne uno" scherza un sindacalista romano. Ed arriva adesso, per bocca di Cofferati, un preciso messaggio a Cisl e Uil. "Per noi l'unità è sempre importante, anche dopo gli atti di rottura clamorosi e i gravi errori da parte degli altri, ma noi non ci condanneremo mai all'immobilismo e saremo sempre in campo con le nostre proposte".

La platea applaude. A salutare il segretario che se ne va, sono venuti due leader dei girotondini, Paolo Flores D'arcais e Pancho Pardi. Sindacalisti come Bruno Trentin, Ottaviano Del Turco, Antonio Pizzinato. Per i Ds c'è solo Giovanni Berlinguer. Sugli spalti uno striscione: "Grazie Sergio, non perdiamoci di vista". All'ingresso viene distribuito un foglio con i testi di due poesie. Una, per Cofferati, è "E qui finisco" di Neruda. L'altra è "Piaceri" di Bertold Brecht, indirizzata ad Epifani. Ed è proprio il neosegretario che, per salutare Cofferati, tocca le corde della storia del sindacato. "Sergio rappresenta meglio di chiunque altro l'ansia di cambiamento, la voglia di rialzare la testa dell'Italia dei diritti. Come Luciano Lama il suo maestro, un altro vero riformista".

Poi tocca a Cofferati accomodarsi dietro il leggio di plexiglass con il simbolo della Cgil. Mezz'ora di discorso per rivendicare le scelte fatte, per indicare nei diritti la stella polare seguita, in particolare nei difficili 12 mesi alle spalle. La rivendicazione delle scelte sindacali "e non politiche", del sindacato, la battaglia contro il terrorismo, il difficile rapporto con Cisl e Uil. La convinzione, netta, che sia un errore, "una sciocchezza", l'idea "che vi sia da parte del sindacato una neutralità tra le proposte politiche della destra e della sinistra". E ancora l'apertura della Cgil ai movimenti, ai no global, ai girotondi, e l'impegno contro la guerra, per il quale, promette l'ormai ex segretario, "saremo ancora insieme".

Al suo congedo a quello che sarà domani, alle sue emozioni, Cofferati concede due momenti del suo discorso: l'inizio e la fine. Comincia usando una citazione colta, come spesso ha usato fare in passato. Stavolta è un brano del "Viaggiatore cortese" di Giorgio Caproni: "Non so dove mi porterà il treno, dove sarà la mia stazione futura, ma so che ci sarà un disco rosso: mi accompagnerà, ne sono certo, il vostro affetto". Del suo futuro Cofferati di più non svela. Tornerà in Pirelli certo, si dedicherà alla Fondazione Di Vittorio, e poi? La domanda resta sospesa. Oggi è il tempo del saluto e del congedo: "Siete una grande speranza, per milioni di persone. Siatene consapevoli. Io mi porterò dietro il vostro affetto. Sono felice di essere uno di voi".

(21 settembre 2002)

Il ministro dell'Economia accusato di scarsa collegialità Si parla della voglia del premier di sostituirlo con Fazio

Tremonti sotto assedio "Stanco di questa via crucis"

Berlusconi irritato con la Confindustria di BARBARA JERKOV

ROMA - Quanti indizi servono a fare una prova? Il proverbio dice tre. Qui ce ne sono quanti vogliamo. Parlano tutti di un Berlusconi seriamente preoccupato e di un Tremonti sempre più sotto assedio. Un Tremonti che, in un futuro non troppo lontano, potrebbe perfino essere chiamato a lasciare il suo superministero. Bruno Tabacci lo previde già mesi fa: "Con i conti le cose sono destinate ad andare di male in peggio. E poiché il premier non sbaglia per definizione, alla fine la croce cadrà tutta su Tremonti". Ecco, ci siamo. "Berlusconi vorrebbe liberarsene ma come fa, poi Bossi chi lo sente?", era pronto a giurare un ministro forzista, appena uscito dal Consiglio dei ministri di ieri mattina. Durante la riunione, Tremonti non ha fatto altro che difendersi dalle accuse dei colleghi, sul piede di guerra per la Finanziaria, senza che il premier battesse ciglio. A Fini che gli diceva "non puoi fare tutto da solo" e a Buttiglione che chiedeva "maggiore collegialità", lui, il superministro fino all'altro giorno invincibile rispondeva: "Avete ragione ma come ve lo devo ripetere? Il testo ancora non è pronto, non c'è, non esiste, prima sentirò tutti, state tranquilli". E Alemanno di rincalzo: "Ma come è possibile, se la devi presentare martedì..?" Alla conferenza stampa convocata subito dopo da Berlusconi per illustrare il decreto fiscale, il padre del provvedimento non s'è visto. Nel pomeriggio, l'attacco ad alzo zero di Confindustria. Un attacco che ha fatto particolarmente male visto che giovedì era trapelata la voce che il premier aveva rassicurato D'Amato. "Quella voce non siamo stati noi a metterla in giro", assicurano in viale dell'Astronomia. E ora c'è anche chi parla di uno sfogo di Berlusconi contro la Confindustria. Fra mille sospetti, quello del rimpasto. "Secondo lei, se non c'è ancora il nuovo ministro degli Esteri, da cosa dipende?", continua il collega di governo. "E' chiaro che la Farnesina è la soluzione ideale per trasferire Tremonti senza troppe polemiche, mettendo Fazio al suo posto". Solo che, evidentemente, l'operazione non si può fare a Finanziaria in corso, dal primo gennaio però... Ieri pomeriggio Berlusconi è salito prima al Quirinale, poi ha avuto un'ora di colloquio riservatissimo con Fazio. Un altro indizio del prossimo cambio della guardia? La voce, sia chiaro, non nasce oggi. E il portavoce di Palazzo Chigi, Bonaiuti, la liquida indignato: "E' tutto semplicemente ridicolo". No, non c'è niente di ridicolo, obietta un centrista esperto di queste cose: "Ma perché Fazio dovrebbe accettare di assumere la guida di un ministero quando potrebbe essere presto a capo di un governo istituzionale?". Poi scavi ancora, e trovi che in alcuni colloqui avuti nei giorni scorsi con un esponente di spicco del Parlamento, Tremonti si sarebbe sfogato, confessando di essere "stanco davvero" di questa via crucis cui è sottoposto ormai da settimane. Il Tremonti che appena prima dell'estate ebbe a dire "non farei mai il ministro degli Esteri in un governo che non avesse me all'Economia" sembra davvero far parte di un'altra era. Ieri sera Bossi è intervenuto, alla sua maniera, per dire che il nuovo ministro degli Esteri serve, ma serve ora, subito: "Spero che Berlusconi perda l'ideologia del "circolare è bello" e resti a casa a dare ordini a tutta la macchina". La conferma che i lumbard gli amici li difendono fino in fondo. (21 settembre 2002)

Il primo atto ufficiale del nuovo leader
la proclamazione dello sciopero generale
Cgil, Epifani eletto
segretario generale
Gelido commento di Pezzotta
"Giudicheremo la sua politica"

ROMA - Un applauso di quattro minuti e un lungo, caloroso abbraccio con Sergio Cofferati. Così il direttivo della Cgil ha festeggiato l'elezione di Guglielmo Epifani alla segreteria generale del sindacato. Il nuovo leader dovrà gestire la pesante eredità che gli lascia il Cinese e tutte le vertenze aperte con il governo e con gli industriali per la stagione di rinnovi contrattuali, ma i numeri dell'elezione (141 sì, 3 contrari e 2 astenuti) gli danno la sicurezza di avere con sé l'organizzazione. Primo atto della segreteria Epifani è stata la proclamazione dello sciopero generale per il 18 ottobre. "Giusto e doveroso" lo definisce il nuovo leader che poi spiega le prime mosse della sua strategia: "'lo sciopero è in favore di una politica di sviluppo e per i diritti. Continueremo la raccolta delle firme e il 27 settembre in 120 città italiane organizzeremo feste per i diritti".

Epifani, 52 anni, è il primo segretario della Cgil che proviene dalle fila del partito socialista. Ha iniziato la sua carriera in Cgil dalla Esi, la casa editrice del sindacato e nel 1979 è eletto segretario aggiunto dei poligrafici della Cgil di cui diventa segretario generale nel 1981. Dal 1990 (alla guida del sindacato c'era Bruno Trentin) diventa segretario confederale mentre nel 1994 succede a Ottaviano del Turco come segretario generale aggiunto (carica destinata alla componente socialista della Cgil).

Adesso dovrà farsi carico in prima linea delle tante vertenze lasciate aperte dal suo predecessore a partire dallo scontro con il governo contro il quale ha subito proclamato lo sciopero generale.

Il primo a congratularsi è stato il suo collega della Uil Luigi Angeletti. "Caro Guglielmo, - ha scritto Angeletti - desidero esprimerti i miei più sinceri auguri per la tua elezione a segretario generale della Cgil. Un incarico prestigioso che, ne sono certo, saprai svolgere con passione e onorare con la tua intelligenza e capacità. Credo inoltre che, con spirito dialettico e costruttivo, potremo affrontare le difficili questioni che richiedono risposte adeguate agli interessi dei lavoratori e per la crescita del nostro paese".

Caloroso il saluto di Piero Fassino. "Caro Guglielmo - scrive il segretario dei Ds - la tua elezione a segretario generale giunge all'inizio di una stagione che si preannuncia come un banco di prova per l'opposizione e per il movimento sindacale. Raccogli una eredità straordinaria e di enorme responsabilità. Un insieme di ideali, valori, passioni e speranze, ma anche una comunità di milioni di uomini e donne che costituisce un patrimonio prezioso per l'Italia".

Gelido, invece, il commento di Pezzotta: "Ho grande rispetto per le persone. Le persone sono tutte rispettabili e proprio per questo non do giudizi. I giudizi si danno sulle politiche che si adottano".

Dalla Confindustria arrivano, invece, un telegramma del presidente Antonio D'Amato che invita Epifani a "recuperare il senso e il percorso di un vero e responsabile confronto" per dare al paese "sviluppo ed equità sociale, a partire dal sud". Poco prima era stato il direttore generale Stefano Parisi ad attaccare, senza citarlo, Cofferati. "Ci auguriamo - ha detto Parisi - che Epifani possa abbandonare la linea politicizzata fin qui seguita dalla Cgil negli ultimi anni e che possa invece contribuire a riportare la Cgil a un confronto puramente sindacale".

Parisi, augura "buon lavoro" al nuovo segretario generale della Cgil, che, dice, "oltre ad essere un caro amico, è sempre stato un sindacalista moderato, appartenente alla componente più moderata della Cgil".

(20 settembre 2002)

19.09.2002

Dalla Pirelli alla Pirelli

ventisei anni di Cgil di Bruno Ugolini L’uomo chiamato il «cinese», è uscito da questa antica fabbrica, la Pirelli Bicocca, 26 anni or sono. Ora ritorna. E’ un luogo, un territorio trasformato, irriconoscibile. E lui? E’ cambiato? Non è più il Sergio Cofferati ventenne approdato nel 1969 all’ufficio tempi e metodi? Molti maliziosamente rispondono di sì che è cambiato, eccome. Era, sostengono, un riformista, anzi un «migliorista», assai moderato, capace di far digerire ai suoi compagni spesso estremisti, magari quelli dei comitati di base, i terribili Cub capitanati da Mario Mosca, compromessi, mediazioni spesso intese come arretramenti. Ora, dicono i malevoli, appare fatto di tutt’altra pasta, etichettato come un pasdaran della sinistra. Una che all’epoca militava proprio nei Cub della Bicocca, Jole Magni, usa una definizione che ci sembra azzeccata: «Cofferati è rimasto fermo, sono gli altri che sono cambiati». Rievoca le discussioni di allora, nella sede del Consiglio di fabbrica e anche fuori, nei locali angusti della sezione Cgil. Luoghi che anche il cronista ha frequentato, visto che la sede dell’Unità di Milano era a due passi e bastava stare alla finestra per vedere sfilare i cortei delle tute bianche. Sergio, rievoca Jole, non alzava mai la voce. Era quello di oggi: calmo, tranquillo, attento, capace di pesare le parole. «Sono cambiati gli altri», insiste Jole. Un tratto diverso, a pensarci bene, forse c’è. Cofferati, all’epoca, s’interessava poco di politica. Andava alle riunioni, ai congressi del Partito Comunista, ma non rimaneva troppo impigliato nelle discussioni interne, nelle cordate. Oggi il dirigente Cgil ha, invece, deciso di spendere le proprie energie, anche in campo politico, nella sinistra, tra gli eredi dell’antico Pci, i Diesse. Lo ha fatto al congresso di Pesaro, quello che doveva scegliere tra le mozioni di Piero Fassino, Giovanni Berlinguer e Morando. Ha scelto Berlinguer. Un impegno di primo piano. Perché è successo questo? Solo per ambizione personale, per imbracciare una carriera politica, dopo aver raggiunto i massimi livelli nella «carriera» sindacale, come dicono i soliti malevoli? Ho il sospetto che un tale approdo, così impegnativo, sia invece derivato proprio dall’esperienza sindacale di questi anni. Sergio Cofferati ha toccato con mano, dal suo osservatorio privilegiato, lacune, difficoltà, divisioni, contraddizioni, ostacoli, nella stessa cultura di governo dell’Ulivo. E’ stato al centro, spesso e volentieri, d’aspre polemiche, con Massimo d’Alema, ma anche con Romano Prodi, intento a rivendicare linee d’equità, contro atti che considerava ingiusti oppure fughe precipitose, controproducenti. Ha polemizzato su argomenti diversi: il tentativo di usare con troppa disinvoltura strumenti di flessibilità del lavoro, ma anche di varare per legge, saltando la contrattazione, le 35 ore care a Fausto Bertinotti. Nello stesso tempo è stato lui medesimo sottoposto a critiche e reprimende, accusato d’essere troppo statico, troppo conservatore, troppo intento a difendere diritti e tutele per il popolo del posto fisso, il popolo «fordista». Erano rimproveri che non venivano solo da Massimo D’Alema o da Nicola Rossi e altri. Anche uomini non certo estranei al sindacato, come Vittorio Foa e Bruno Trentin, hanno sovente incitato la Cgil ad un maggior coraggio, sia nell’affrontare le nuove realtà del lavoro, sia nel sapere spezzare l’accerchiamento, onde ricucire rapporti positivi con Cisl e Uil. C’è da dire che una parte di tali pressioni - non certo quelle di Foa e Trentin - sembravano ripercorrere genericamente orientamenti cari a settori dell’imprenditoria. E’ stato, ad esempio, il caso di una discussione verificatasi attorno alla possibilità di mettere mano al sistema contrattuale varato nell’accordo con Ciampi nel 1993 e basato su due livelli. Tali interventi, spesso accompagnati da etichettature disinvolte, hanno ottenuto l’effetto contrario: hanno spinto la Cgil a far quadrato. Credo che la scelta di Cofferati di imbarcarsi più direttamente nell’agone politico sia nata anche da tali vicende. C’è chi ha detto: farà la fine di Luciano Lama che quando uscì dalla Cgil, fu dislocato in un ufficio di Botteghe Oscure e un po’ dimenticato. Una non più giovane militante del sindacato e dell’ex Pci, Nella Marcellino, mi ha fatto notare come la differenza tra i due segretari stia nel fatto che Lama, a differenza di Cofferati, non aveva nel partito, un seguito anche organizzativo, benché possedesse un carisma di grande rilievo. Non aveva, insomma, saputo conquistare quelle adesioni di cui gode Cofferati, accolto nelle feste dell’Unità come una specie di Madonna Pellegrina. Una popolarità, nella sinistra (non so se anche nell’apparato di sinistra), quasi senza precedenti. E’ questo l’impiegato Sergio Cofferati che torna alla Pirelli. Quale è il bilancio della sua lunga permanenza nella Cgil? Non si può non accennare al suo contributo determinante, negli anni Ottanta, al governo delle ristrutturazioni nella chimica. Il giovane Sergio era allora a favore di una linea che non rifiutava l’ipotesi di un sindacato capace di «sporcarsi le mani», trattando anche forme di mobilità, casse integrazioni, purché alla presenza di un piano industriale che desse certezze. E’ lo stesso Cofferati che, sotto la segreteria Trentin, assume un ruolo importante nell’accordo del 1992, con Giuliano Amato. Così nella trattativa del 1993, quella che sfociò in un’intesa che ancora oggi potrebbe essere il pilastro delle relazioni industriali. Sono gli anni della concertazione e della politica dei redditi, mandata a picco dagli sforzi congiunti di Berlusconi, Maroni e D’Amato, con i loro suggeritori d’origine socialista: Parisi e Sacconi. Quando Cofferati subentra a Trentin, dopo una consultazione interna e dopo un «duello» con Alfiero Grandi, c’è chi pensa ad un ancora lungo e faticoso tirocinio. Non è così. Cofferati balza subito alla ribalta, s’impadronisce delle prime pagine dei giornali. Siamo nel 1994 e, in fondo, chi costruisce un’aureola al leader sindacale, è proprio Silvio Berlusconi con le sue minacce sulle pensioni. Nasce lì, al Circo Massimo, nel corso di una manifestazione imponente, ripetuta e moltiplicata nel marzo 2002, il Cinese, l’antagonista al centrodestra, l’uomo dei diritti e dell’equità. Un oppositore che ha dimostrato, però, la sua disponibilità a negoziare. Lo ha fatto sulle pensioni, con lo Berlusconi e poi con Lamberto Dini. Lo ha fatto, con Prodi e D’Alema, accettando ipotesi di flessibilità come quelle del pacchetto Treu. La Cgil ha conquistato, così, sotto la sua direzione, un patrimonio importante di fiducia, ha rinnovato un legame stretto e forte col mondo del lavoro tradizionale. Qualche spiraglio si è aperto anche nei nuovi lavori, con il Nidil, il sindacato dei cosiddetti atipici, uno spazio inaugurato da Trentin, dove si gioca il futuro del sindacato. Un altro aspetto importante riguarda il fatto che la Cgil, a differenza d’altri «contenitori» della sinistra, ha mantenuto e allargato la propria influenza, il proprio radicamento sociale, la propria unità interna. C’è, in tale panorama, la ferita dei rapporti con Cisl e Uil. Si poteva fare di più per impedire gli strappi? Cofferati ha spiegato che lui sa bene, fin da quando era alla Bicocca, quanto sia importante l’unità. Ha aggiunto che su tutto si può mediare, ma non su certi diritti non negoziabili, come quelli contemplati dall’articolo diciotto dello Statuto dei lavoratori. La verità è che qualcuno - il governo, la Confindustria - ha puntato sulla rottura sindacale. Con un calcolo miope che potrebbe portare danni gravissimi al Paese. Che cosa farà il «cinese»? Farà quel che ha sempre fatto, direbbe la Jole Magni, ex Pirelli. «Perché lui non cambia, cambiano gli altri». Continuerà, dunque, a fare il riformista, incrociando problemi concreti. E’ la sua arma segreta. Lui ne sa di più di tanti su diritti, stato sociale, nuovi lavori. Può dimostrare come si costruisce l’innovazione e anche l’unità vera del mondo di tutti i lavori, contribuire a porre le basi di un’alternativa al centrodestra. Può aiutare, con la fondazione Di Vittorio, a ricostruire l’unità dei soggetti sindacali. E’ certo che rappresenterà una risorsa importante per la sinistra. Non seguirà i consigli di Bertinotti che l’altra sera, ad un dibattito alla Festa di Rifondazione a Roma, lo invitava quasi alla scissione, «ad uscire dalla prigione». Lui ha guardato Castel Sant’Angelo, possente e inondato di luce, e ha detto ridendo: «Non farò certo come Tosca, non mi lascerò cadere nel vuoto…».

18.09.2002
Eco: "Il premier dà un ordine e questo viene eseguito, qui è lo scandalo"

MODENA Se gli viene chiesto cosa non gli piaccia di Silvio Berlusconi, Umberto Eco risponde col sorriso sulle labbra: «L’assoluta identità di interessi». Altro che conflitto, risponde il semiologo, ieri ospite alla festa dell’Unità di Modena. Berlusconi «è l’unico in Italia che non ha conflitto di interessi, perché ha l’assoluta identità di interessi: quelli dell’uomo d’affari e quelli di presidente del Consiglio». Il sorriso scompare quando aggiunge che se si prosegue su questa strada si finirà in una situazione «di potere o di regime personale. È successo a Giulio Cesare e a tanti altri». Questo è il punto fondamentale, spiega. Il resto conta meno. Le bugie? «Le dicono in tanti», dice ancora abbozzando un sorriso. Poi, di nuovo serio: «Si ha vergogna quando si è fuori dall’Italia. Come se avessimo un Menem, come se fossimo in Argentina». Critica il diktat bulgaro del presidente del Consiglio e chi quell’ordine ha eseguito, facendo sparire dai palinsesti Rai le trasmissioni condotte da Enzo Biagi e da Michele Santoro.
L’informazione in Italia? «Non è autonoma». Secondo il semiologo, la mancanza di una netta divisione tra potere economico e mondo dell’informazione è il «vizio italiano che ha reso accettabile l’idea che un solo uomo controlli sei televisioni e una parte consistente della stampa».


Professor Eco, i vertici Rai hanno sostituito un programma d’informazione come "Il Fatto" con delle comiche come "Max e Tux". Cosa pensa di questa decisione?


«Che fa parte dell’addomesticamento».
Prego?


«Ma sì, addomesticamento. Ormai non c’è più niente di cui stupirsi».


La trasmissione è stata accolta con critiche negative.


«Non è questo il punto. Indipendentemente dal fatto se possa divertire o meno, la sostituzione fa parte di un’opera di stravolgimento dei palinsesti che fa riflettere».


Una decisione che rientra in un quadro più generale, quindi?


«Le racconto una cosa. Sabato ero in viaggio. La sera ho acceso la televisione per avere qualche notizia della manifestazione di piazza San Giovanni. Beh, non sono riuscito a trovare un telegiornale che ne parlasse. Alla fine, era già tarda sera, sono riuscito a saperne qualcosa guardando lo speciale del Tg3».


In effetti, gli altri tg non gli hanno dedicato molto spazio…


«Diciamo pure che guardandoli sembrava che non fosse successo nulla, tranne per quella battuta di Berlusconi...».


Se questa è l’informazione oggi in Italia, secondo lei cosa può fare una persona che voglia sapere quel che realmente accade ogni giorno?


«Leggere, ma leggere fra le righe, per capire qual è la notizia data e per capire qual è la notizia che non è stata data».


Tornando alla sostituzione de "Il Fatto" con "Max e Tux". Secondo lei, preferire delle comiche a un programma d’informazione può significare che la Rai sta inseguendo Mediaset, per così dire al ribasso, offrendo al pubblico programmi più leggeri, meno impegnativi?


«Veramente mi sembra che la Rai non stia inseguendo nessuno, sta ferma dov’è per non dare fastidio».


Anche Santoro, oltre a Biagi, non è nei palinsesti della tv pubblica.


«Un direttore di telegiornale può decidere chi far lavorare, chi tenere e chi no. Se il direttore di un quotidiano sceglie di far scrivere un collaboratore e di non far scrivere un altro, la cosa è normale. È però anormale se simili decisioni non le prende in autonomia, ma perché glielo ha detto qualcun altro».


Si sta riferendo all’ormai famoso diktat bulgaro di Silvio Berlusconi su Santoro, Biagi e Luttazzi?


«È chiaro. È qui l’anomalia, perché il presidente del Consiglio dà un ordine e quest’ordine viene subito eseguito. Questo è lo scandalo».

Il segretario della Cgil chiude la grande manifestazione
"Sull'articolo 18 la loro intenzione è subdola"


Cofferati: "Questa piazza
la risposta contro il terrore"

ROMA - Sergio Cofferati sale sul palco dopo il minuto di silenzio dedicato alla memoria di Marco Biagi, ucciso martedì dalle Br. E da "quell'uomo barbaramente ucciso" parte il segretario della Cgil nel suo discorso. "Il terrorismo è tornato a colpire e lo ha fatto in un momento particolare. Il terrorismo punta a stravolgere le relazioni sociali. Perché non ci sfugge il momento determinato in cui l'assassinio è stato compiuto".

Quella di Cofferati è un'arringa decisa, accorata: "La nostra risposta a questi criminali è forte e democratica. La nostra risposta siete voi". Ed è anche un attacco duro al governo e alle sue politiche sociali: in tutto il discorso la contrapposizione è evidente anche sul piano verbale, visto che il leader Cgil utilizza continuamente la contrapposizione tra "noi" e "loro". Ecco tutti i temi del suo discorso.

La lotta al terrorismo. "Noi non abbiamo mai accettato la logica della violenza: né quella pratica, né quella verbale. E chi ci accusa di essere componente di questo clima di odio ci offende, offende la nostra storia e l'intelligenza dei cittadini italiani. La storia di uomini e donne che hanno lottato a viso aperto contro il terrorismo, sempre. Abbiamo mutato i nostri obiettivi abbiamo messo al centro la lotta al terrorismo, per la democrazia, e lo dimostriamo con la compostezza, la fermezza e la serenità di tutti voi".

Il delitto Biagi. Cofferati chiude la lunga premessa dedicata all'economista ucciso con un appello e una promessa: "Noi siamo stati e saremo sempre vicini ai magistrati, esposti più che mai ai pericoli in questo periodo. E siamo stati e saremo vicini alle forze dell'ordine, impegnate a cercare i colpevoli dell'omicidio Biagi. A tutti diciamo che le nostre lotte sono la risposta migliore e più efficace al terrorismo".

Il confronto sul welfare. Su questo tema, spiega il leader della Cgil, "siamo preoccupati dalla scelta delle deleghe. Non mettiamo in discussione la legittimità di uno strumento previsto dal nostro ordinamento. E' un'altra la cosa che ci preoccupa: il fatto che nello stesso arco di tempo si utilizzino deleghe su temi come le normative ambientali, la scuola, il fisco, la previdenza, il mercato del lavoro e i diritti. La delega è legittima ma esautora e impoverisce il confronto".

Gli errori del governo. "Siamo convinti che una parte consistente delle difficoltà dell'oggi siano da attribuire a politiche inefficaci per sostenere la crescita e ancor di più per rovesciare il suo rallentamento". E così "si rischia l'interruzione el ciclo positivo innescato negli anni passati dal risanamento. L'economia era tornata a crescere, il lavoro era diventato un obiettivo raggiungibile per tante ragazze e ragazzi, anche nel Mezzogiorno. Il rallentamento ci preoccupa".

L'articolo 18. Sulla questione Cofferati va giù duro contro l'esecutivo: "Sappiamo che la loro intenzione è subdola. Quello che prospettano è un patto neo corporativo". Perché "non si può pensare di dare ai giovani, come noi riteniamo sia indispensabile, dei diritti universali e nel contempo accettare l'idea di toglierli ai padri". A chi "affaccia l'idea" che con l'articolo 18 si voglia agire per rendere possibile un lavoro per i giovani "noi rispondiamo così: non c'è nessun rapporto, non c'è mai stato, tra la possibilità per un'impresa di licenziare senza una ragione e la possibilità per la stessa impresa di assumere delle persone". La Cgil, invece, vuole estendere "i diritti, per i nuovi lavori e per i tanti giovani che oggi non hanno nè tutele nè diritti riconosciuti".

A chiudere il discorso le parole di un anonimo poeta indiano, dedicate da Tonino Guerra alla manifestazione: "Il corpo del popolo cadrebbe in pezzi se non fosse legato ben stretto dal filo dei sogni". Finito il discorso, inizia il lungo applauso della folla, che dura cinque minuti.

(23 marzo 2002)

Per la prima volta unite le mille anime dell'opposizione
ora con un nemico in più da combattere: le Brigate Rosse


Tutti in piazza con Cofferati:
"Per il lavoro contro il terrore"

Lo storico Scoppola: "Appuntamento carico di significati"

di ANDREA DI NICOLA

ROMA - Doveva essere la giornata del "sorriso" con cui fermare il governo nella sua volontà di smantellare l'articolo 18. "Li fermeremo con un sorriso" aveva detto infatti Sergio Cofferati prima che un commando di assassini intervenisse a modo suo, uccidendo Marco Biagi, nella dialettica fra governo e sindacati. Ma se le pistolettate di Bologna toglieranno "il sorriso" alla piazza non hanno dissolto quell'inedita alleanza fra Cgil, partiti del centrosinistra, "girotondisti", movimento No global, sindacati di base che Cofferati era riuscito a coagulare intorno alla parola d'ordine della difesa dei diritti. E adesso si aggiunge un "No al terrorismo", un motivo in più per rinsaldare la voglia di stare in piazza di quel milione, milione e mezzo di persone che domani sfileranno per le vie di Roma.

Nella piazza convocata da Cofferati arriveranno le truppe del centrosinistra (e questo era scontato, almeno per i diessini), confluiranno i professori indignati contro la sinistra e inferociti con Berlusconi, i "girotondisti" e la loro rivolta morale, i Social forum antiliberisti e pacifisti, ma anche i sindacati di base che solo qualche tempo fa all'idea di sfilare sotto le insegne della Cgil avrebbero avuto degli attacchi di orticaria. E poi gli intellettuali che firmano appelli e i registi che filmano i cortei.

Risultato: più di un milione nelle strade di Roma per una manifestazione sindacale che rischia, di diventare, o forse è già diventata, qualcos'altro.

Forse una prova di dialogo fra partiti, movimenti e sindacati che finora si sono guardati di sottecchi, hanno provato a parlare ma senza grandi risultati, di sicuro, lo ha detto a più riprese Cofferati, un enorme no alle follie del partito armato.

E, nonostante la morte di Marco Biagi, la giornata del 23 resta emblematica per capire i percorsi di un'opposizione che tenta di risvegliarsi e vuole far sentire la propria voce.

"E' una mobilitazione nata con caratteri sindacali - dice lo storico Pietro Scoppola animatore del movimento referendario degli anni Novanta - che si salda con le manifestazioni degli ultimi mesi, quelle sulla legalità, sulla libertà di informazione, in difesa di un quadro politico più aperto ma che adesso assume tutt'altro significato di lotta contro il terrorismo che va isolato e battuto".

Tutto cambia, dunque, anche se lo stesso Cofferati non rinuncia all'aspetto di lotta per i diritti che la manifestazione aveva in origine. E resta pure la domanda su come può andare avanti un movimento che vede nella stessa piazza le mille anime dell'opposizione. E il sangue di Bologna rende ancora più difficile la sfida dello stare insieme. Toccherà a Cofferati trovare i modi e le parole per rispondere agli interrogativi del milione che saranno in corteo contro il terrorismo ma anche per opporsi alle politiche del governo Berlusconi.

(21 marzo 2002)