Il leader della Cgil intervistato da La 7: "Sui diritti alleanza
con i cattolici". Poi, sul futuro:

"Farò politica nel week end"
Cofferati: "La sinistra
liberista è finita"

ROMA - Il modello Blair, sostenuto anche da Massimo
D'Alema, della sinistra liberista, aperta alle tendenze di un capitalismo globale e individualista, è ormai arrivato al tramonto: parola di Sergio Cofferati. In un'intervista a La7 alla domanda se quel tipo di modello politico si sta esaurendo il leder della Cgil ha risposto: "Credo di sì. E' difficile azzardare previsioni in materia, ma mi pare che si stia facendo strada l'idea di come sia importante la somma di regole che orientano e governano la globalizzazione. Le preoccupazioni che soprattutto i giovani hanno portato in piazza sono destinate a far riflettere tutti. Soprattutto la sinistra, che mi pare stia recuperando l'importanza dei diritti, delle tutele, della rappresentanza collettiva che non è alternativa al far da sè, dell'abbandono delle persone in una società complessa e articolata. Magari illudendo quella persona che senza regole e senza leggi è più libera. In verità è più sola e più debole".

Cofferati, sempre nell'intervista, ha sottolineato anche la profonda comunanza tra movimento dei lavoratori e mondo cattolico. "Nella storia italiana in generale - afferma nell'intervista tv - il processo di emancipazione delle persone è passato dall'attività di tanti soggetti diversi che si sono progressivamente affiancati.
Penso, ad esempio, al riformismo di stampo marxista che si è sempre affiancato a quello laico e a quello cattolico. Il filo che ha unito questa idea di progresso è stato spessissimo il filo delle protezioni sociali e ancor più dei diritti. E in questo ci sono elementi di comunanza profondi".

Poi ha parlato del suo futuro: "Tornerò alla mia attività professionale in Pirelli - ha spiegato - non a tempo parziale, ma per le ore previste per qualsiasi dipendente. Per fortuna, il sindacato le ha ridotte a non più di otto al giorno. Avrò quindi spazio ogni giorno e nel fine settimana per altre attività".

A cominciare da quella di presidente della Fondazione Di Vittorio. "Ma con compiti che riguardano il sindacato e non la politica. Penso che si possano sommare attività professionale ad il resto senza doverli considerare alternativi tra loro". Ci sarà tempo tuttavia anche per la politica. E soprattutto con l'impegno di dar vita anzitutto a un progetto di società, che poi può e deve diventare un programma politico".

(10 agosto 2002)

Intervista sull'autunno caldo al segretario della Cgil

"Il governo fa scelte irrazionali e inefficaci"

Cofferati: "Sciopero generale contro questa destra bugiarda"

Il 21 settembre lascerà la confederazione "Niente passaggio diretto in politica" di MASSIMO GIANNINI ROMA - "E ora, un grande sciopero generale".

Sergio Cofferati, l'estate non è servita a rasserenare i rapporti con il governo?

"Al contrario. Il presidente del Consiglio continua a vendere sogni, a lanciare messaggi rassicuranti e a descrivere un mondo che non c'è. Ma intanto le condizioni materiali dei cittadini peggiorano drasticamente, e le misure che il governo propone sono inefficaci, irrazionali e dannose. Oggi sono più che mai convinto che lo sciopero generale sia la risposta più adeguata che il sindacato possa dare".

Perché ne è così convinto?

"I fatti di questa estate confermano tutti i giudizi negativi formulati dalla Cgil nei mesi scorsi. Avevamo detto che i provvedimenti dei 100 giorni e il Dpef erano inadeguati a rilanciare lo sviluppo. Purtroppo oggi i numeri ci danno ragione. La crescita è enormemente inferiore a quella prevista nella Legge Finanziaria".

Ma Berlusconi l'ha spiegato al meeting di Rimini: è l'effetto dell'11 settembre.

"Una spiegazione penosa. La Finanziaria del 2002 era stata presentata dopo la tragedia delle Twin Towers, ed era stata approvata dopo che i suoi effetti negativi sulla congiuntura avevano cominciato a dispiegarsi in tutto il mondo. Non a caso, in quel periodo, gli Stati Uniti cambiavano radicalmente strategia e si affrettavano a varare una manovra di investimenti pubblici e di sostegno alla domanda interna, secondo i canoni keynesiani più classici. Solo il governo italiano ha continuato a marciare come se nulla fosse, limitandosi a ritoccare la crescita prevista nel 2002 dal 3 al 2,3%, comunque valori da sogno. Un folle azzardo, che ora il Paese paga pesantemente".

Però tutti i Paesi scontano una crescita più fiacca del previsto.

"Vero, ma in nessun Paese al mondo si registrano scostamenti tra obiettivi e risultati clamorosi come quelli italiani. Il Pil, quest'anno, crescerà molto meno dell'1%. Le misure varate finora si sono rivelate totalmente inutili, e non c'è 11 settembre che tenga. Su queste basi, è del tutto inattendibile anche il quadro programmatico del 2003, che prevede una crescita del 2.9%. Un puro miraggio".

In compenso, per fermare l'inflazione, Palazzo Chigi annuncia il decreto che congela le tariffe.

"Così Berlusconi somma irrazionalità e confusione. Fa l'ennesimo annuncio mediatico, e promuove una misura illogica e assurda. Parla di interventi sulle tariffe, ma di fatto produce effetti pratici solo sull'energia elettrica, visto che gli aumenti del gas e dei telefoni sono antecedenti al primo agosto. Siamo in presenza di due anomalie. Primo: un governo che si proclama liberista, rinunciando a qualunque logica di mercato, sospende alcuni aumenti di tariffe che non gli competono, mentre non fa nulla su quelle di cui ha la gestione, come poste e ferrovie. Secondo: entra a piedi uniti in un settore delicatissimo, e regolamentato da un'autorità amministrativa indipendente. Bell'esempio di scuola liberale".

L'avvocato del diavolo le obietterebbe che qualche segnale bisognava pur darlo.

"La verità è un'altra. Questo governo, di nuovo unico a livello internazionale, non ha mai preso in considerazione il problema dell'inflazione, come dimostrano il Dpef e quell'assurdo "Patto per l'Italia" firmato con Cisl e Uil. Un Patto di cui, curiosamente, oggi non si parla più: a conferma che, al di là dell'aggressione ai diritti, conteneva solo misure inutili e aveva come scopo unico e strumentale quello di dividere il sindacato. Risultato: oggi siamo in una situazione paradossale: la crescita è bassissima, i consumi sono depressi e l'inflazione, invece di diminuire, è in forte aumento".

Colpa dell'Euro, spiega il Cavaliere.

"Per il Cavaliere la colpa è sempre di qualcun altro. Il governo è in difficoltà, e riscopre puntualmente la sua forte vena ostile all'Europa. Se l'inflazione aumenta la colpa non è dell'Euro, ma della totale assenza di una politica sui prezzi e sulle tariffe. Il centrodestra ha distrutto la politica dei redditi, stroncando il circolo virtuoso prezzi-tariffe-salari che ha consentito il risanamento nel decennio scorso. Con le misure fiscali della delega ha sconvolto radicalmente i meccanismo redistributivi, a vantaggio esclusivo dei redditi alti".

Eppure giusto l'altro ieri, a Gubbio, Berlusconi ha confermato gli sgravi per le fasce di reddito sotto i 50 milioni l'anno.

"Altra bugia. Quei presunti sgravi ai meno abbienti altro non sono che le risorse già impegnate dai governi di centrosinistra per l'Irpef e la restituzione del fiscal drag. La seconda fase della riforma Tremonti, al contrario, contiene una modifica strutturale del prelievo che darà vantaggi solo ai ricchi. Almeno su questo, la strategia della maggioranza è chiara. Per compiacere certe categorie, punta a una divaricazione enorme tra i redditi alti e quelli medio-bassi. Per compiacere Confindustria, punta a creare un abisso tra le imprese e i lavoratori attraverso le politiche salariali".

Eppure Berlusconi, sempre a Rimini, aveva promesso che nei rinnovi contrattuali si sarebbe tenuto conto dell'inflazione reale.

"Altro esempio di uso spregiudicato delle promesse, prontamente negate dopo il pesante altolà della Confindustria".

Fini ieri ha chiarito che le cifre del Dpef non cambieranno, neanche sull'inflazione programmata.

"E' la conferma del tentativo esplicito che governo e Confindustria cercheranno di portare avanti: scaricare sui salari il contenimento dei prezzi. Cioè risparmiare le imprese e i settori della rendita, e far pagare il "costo" dell'inflazione solo ai lavoratori, cioè la parte debole del Paese. Tutto questo finirà inevitabilmente a moltiplicare le ragioni e i focolai del conflitto sociale".

Anche da parte di Cisl e Uil, secondo lei?

"Secondo me il governo sta sottovalutando gli effetti dell'assurda forzatura che ha tentato per dividere il sindacato. Oggi si trova di fronte a una contrarietà ormai esplicita di Cisl e Uil. Sia sui contenuti del Patto, sia sui rinnovi contrattuali: Pezzotta e Angeletti hanno confermato che avanzeranno richieste salariali sensibilmente più elevate rispetto ai valori cui volevano costringerli con la firma di quel Patto strampalato. Bel risultato, anche questo".

Quindi sarà lotta dura, sciopero generale?

"Oggi più che mai. Il 20 settembre ci riuniremo, e decideremo la data dello sciopero generale di ottobre. Le ragioni del conflitto sono tante. Ne segnalo almeno tre. Primo: il mercato del lavoro e i diritti, visto che la modifica dell'articolo 18 diventerà materia di confronto parlamentare e noi siamo confortati dall'eccellente esito della raccolta delle firme avviata ad agosto. Secondo: la previdenza, visto che il governo punta a fare cassa e la delega pensionistica sfascia il sistema con una decontribuzione dissennata. Terzo: la sanità e la scuola, visto che non c'è traccia di riforme, ma solo ipotesi regressive e, di nuovo, nefaste per la parte più debole della popolazione".

La Cgil si ritroverà sola un'altra volta?

"La Cgil è chiamata a un fisiologico esercizio di coerenza: portiamo avanti le nostre soluzioni alternative, e al tempo stesso rafforziamo la nostra lotta contro intenzioni del governo pericolose e negative per i cittadini. Io non ho dubbi: il consenso dell'opinione pubblica, intorno alle nostre posizioni, sta crescendo".

Parla bene, lei: la Cgil, dice il Cavaliere, è ormai "per metà sindacato, per metà corrente di un partito politico".

"La Cgil è un grande sindacato. E non c'è nulla di più banalmente sindacale dei salari, delle persone che lavorano, della sanità, dei diritti. Io di tutto questo mi occupo. Il fatto è che il premier, in stato confusionale, cerca ogni volta di accreditare intenzioni malevole e diverse verso i suoi interlocutori. Con la Cgil lo fa sistematicamente. Ma questi attacchi non mi toccano".

Ma alla lunga la logorano.

"Non sono certo io ad essere logorato, ma loro. Diventa sempre più ingovernabile la somma delle loro contraddizioni, e sempre più difficile il mantenimento delle promesse elettorali. Così si finisce per assistere alle ipotesi deprimenti di questi giorni. Il ricorso ai condoni, che incoraggiano e perpetuano l'illegalità. La mitica flessibilità, invocata a sproposito come motore di ogni idea di sviluppo, ma poi lestamente accantonata quando si tratta di garantire un diritto a un immigrato, che secondo Maroni (in violazione alla Carta di Nizza) dovrebbe avere un posto fisso per ottenere la regolarizzazione".

Vede un centrosinistra compatto, in questa offensiva d'autunno a fianco della Cgil?

"Io vedo che la ripresa di settembre offre un quadro pessimo e disastroso. E vedo nella maggioranza una pericolosissima miscela di pseudo-liberismo emulativo e di populismo. Tutto questo offre all'opposizione un oggettivo spazio di manovra. Io spero che lo colmi, con la convinzione e la coesione che finora gli sono mancate".

Il 21 settembre lei dice addio alla Cgil.

"Presiederò la Fondazione Di Vittorio, cercherò di approfondire il rapporto tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale...".

D'accordo, ma darà una mano al centrosinistra?

"Cercherò di dare una mano. Come libero cittadino, intendiamoci".

Quindi niente politica per Cofferati. Niente collegio Ds a Pisa?

"Ringrazio, ma niente passaggio diretto alla politica, e niente Pisa. L'ho detto e lo faccio: dal primo ottobre sarò in Pirelli".

Magari il 14 fa una passata al girotondo sulla giustizia?

"Sì. Condivido in pieno le ragioni di quella manifestazione. E da cittadino sarò in piazza anche io".

Darà un altro dispiacere al presidente del Senato. "La politica non si fa in piazza", ha detto Pera.

"La politica si fa in ogni luogo. Si fa in Parlamento, dove agiscono i soggetti legittimati dal voto democratico. Ma si fa altrettanto legittimamente in cento luoghi diversi. Compresa la piazza, dove si costruiscono e si rendono visibili progetti e idee alternative. Io penso che l'efficacia di una democrazia stia proprio nella diffusione dell'agire politico, attraverso il massimo coinvolgimento dei cittadini. Partecipi della propria sorte, non spettatori passivi e magari informati da un sistema radiotelevisivo privo del necessario pluralismo".

Non ce l'avrà mica col Cavaliere, padrone di Rai e Mediaset?

"Dalle sue reti, mi aspetto che proseguirà il tormentone inflitto quotidianamente agli italiani: "tutto va bene". E se qualcuno non è d'accordo è un disfattista. O peggio, non è democratico. Ebbene, lo ripeto: io non sono d'accordo". (31 agosto 2002)

Il segretario della Cgil arriva in piazza tra gli applausi
La gente: "Sergio salvaci tu", tra baci e strette di mano
Bagno di folla per Cofferati
"Sei la speranza della sinistra"

Il leader del sindacato: "Movimenti e politica si rafforzino insieme"
di ALESSANDRO RAMPIETTI

ROMA - Moretti sta parlando da una decina di minuti e piazza San Giovanni lo ascolta attenta, quando all'improvviso si sente un boato. "E' arrivato Sergio Cofferati", grida una signora e dietro di lei un'ala di folla comincia ad acclamare il segretario della Cgil.

Aveva annunciato di voler partecipare come semplice cittadino ma la gente lo chiama, lo invoca come un leader e gli chiede aiuto in modo che sembra quasi metterlo in imbarazzo. I manifestanti lo accerchiano e i suoi accompagnatori faticano per cercare di fargli strada. "Bravo. Bravo. Sei la nostra speranza", gli gridano intorno. "Allora siamo messi bene", risponde lui sorridendo e tira avanti per cercare di raggiungere uno dei quindici gazebo che la Cgil ha sparpagliato tutto intorno a San Giovanni per raccogliere le firme sull'articolo 18.

"Segretario una domanda?", prova a chiedere un giornalista. "Dopo, dopo - risponde Cofferati - sono qui per partecipare alla manifestazione e per dare una mano a raccogliere le firme". Ma la gente incalza. Il popolo dell'Ulivo sembra vedere nel "Cinese" qualcosa in più che nei politici "normali". All'ingresso della piazza si forma un ingorgo. I manifestanti spingono per avvicinarsi.

Qualcuno esagera: "Salvaci tu". Arrivati al gazebo, in molti si mettono in fila, questa volta per un autografo: chi passa il capellino, chi si toglie la maglietta, ma va bene anche un foglio di giornale o un volantino. "Non ci abbandonare, la Pirelli può aspettare", quasi implora un signore brizzolato con le mani di uno che, nella vita ha fatto lavori pesanti. "Non vi abbandonerò mai, ma riprendo il mio vecchio lavoro", risponde il Cinese. "Sergio, mandaci Fassino alla Pirelli", insistono ancora dal capannello.

Qualcuno, intorno al gazebo intona "Bella ciao", la cantano quasi tutti. Anche una signora del sindacato che però si lamenta: "Qui è un'ora che non raccogliamo una firma". Facendosi spazio tra la folla arriva il regista Mario Monicelli, anche lui vuole firmare a difesa dell'articolo 18.

Poi le domande a Cofferati. Che messaggio manda questa piazza alla politica? "La manifestazione di oggi, così come quella della Cgil, - risponde - sono la dimostrazione che anime diverse possono riunirsi per gli stessi motivi. Per difendere i diritti e chiederne la estensione contro chi vorrebbe ridurli. La giustizia è un elemento fondamentale della nostra vita democratica. Perché definisce delle condizioni che possono essere e debbono essere egualitarie tra tutti i cittadini".

E all'Ulivo? "La piazza è una parte della politica. Ed entrambe devono muoversi assieme. L'opposizione si fa in Parlamento ma bisogna tenere conto anche del consenso e dell'entusiasmo dei cittadini e dei movimenti che nascono. Il centrosinistra deve trarre da questa manifestazione anche elementi di forza e sostegno, perchè la battaglia parlamentare sia più efficace e determinata come lo è stata nelle ultime settimane. C'è una straordinaria necessità di rappresentanza e di questo la sinistra deve tenere conto. Parzialità e radicalità non sono limiti. La politica deve mediare tra le forme tradizionali di partecipazione e altre come questa che sono importanti".

E perché lei non va sotto il palco insieme agli altri politici? "L'ho già detto, il nostro lavoro è raccogliere le firme, stare con la gente". Così dopo due ore e mezza insieme allle sue persone Cofferati lascia la piazza. Ma i manifestanti insistono: "Sergio facci vincere".

(
14 settembre 2002)

Eletto segretario della Cgil nel 1994 con l'accusa di essere "morbido"
si trasforma nella battaglia contro tutti quelli che "minacciano i diritti"
Il moderato sale sulle barricate
ecco il lungo viaggio di Cofferati

La protesta contro i tagli alle pensioni, gli scontri con i Ds
la grande manifestazione per l'articolo 18 e lo sciopero generale
di ANDREA DI NICOLA

ROMA - "Soli e isolati, già siamo soli e isolati". Questo mormorava a bassa voce Sergio Cofferati dal grande palco sul circo Massimo guardando i due, tre milioni di persone che aspettavano il suo discorso nella più grande manifestazione sindacale vista in Italia. Forse quel giorno, il 23 marzo 2002, il Cinese aveva raggiunto il punto più alto della sua carriera di sindacalista ed aveva iniziato la trasformazione in leader amato dall'intero popolo della sinistra. Una trasformazione sconfessata dall'interessato ma cresciuta di giorno in giorno a partire dal bagno di folla di quell'inizio di primavera.

Un finale imprevedibile il 29 giugno del 1994 quando Sergio Cofferati a 46 anni viene eletto segretario generale della Cgil fra lo scetticismo della sinistra interna: troppi accordi filopadronali quando era a capo dei chimici, troppe innovazioni nei contratti firmati, troppo di destra per il sindacatone rosso e, per di più, senza quel blasone che tutti i suoi predecessori si portavano dietro a partire da Bruno Trentin che gli lasciava il posto.

Pochi lo conoscevano all'epoca: i suoi chimici, certamente, apprezzavano quel segretario sempre pronto a parlare nelle fabbriche, a ricordarsi di tutti; gli imprenditori che ne riconoscevano la grande capacità di contrattazione senza isterismi ne impuntature. Ma fuori da corso d'Italia, fra il grande pubblico quel cremonese schivo amante della musica e del gioco del calcio (ala sinistra della squadra della Cgil) diceva poco.

Eppure la sua gavetta l'aveva fatta tutta: segretario dei chimici per i quali firmò accordi innovativi, responsabile industria della segreteria confederale da cui gestì la dura ristrutturazione della chimica nazionale, uno dei più esposti a spingere la Cgil a dire sì all'accordo di luglio 1992 con Amato, quello che sbaraccava la scala mobile e sospendeva per due anni le contrattazioni. Trattativa che finì con i sindacalisti a prendere bulloni sui palchi dei comizi. Un riformista, insomma, uno di destra diceva la vulgata.

In realtà di un riformismo anomalo, fuori dalla tradizione italiana. Infatti nel novembre 1994, a pochi mesi dall'investitura, si mise di traverso al governo Berlusconi e alla sua riforma delle pensioni fino a portare un milione di persone in piazza e a vincere. Nel suo discorso d'insediamento, d'altra parte, aveva avvertito: "Sappia il governo di centrodestra che la Cgil combatterà aspramente ogni idea di liberismo che vede nella soppressione dei diritti dei lavoratori un'occasione di libertà". Parole ripetute adesso che il riformista, sempre nella vulgata, si è trasformato nel "signor No", nel conservatore, quasi un estremista. "Sui diritti non si media" ha detto all'ultimo congresso della Cgil nel 2002.

Un riformista anomalo che non ha paura di rompere con il suo partito e i suoi segretari: Veltroni e D'Alema e con i governi di centrosinistra. Epico lo scontro al Congresso del Pds del 1997 quando Veltroni lo invitò a lasciar campo libero alla flessibilità e lui, nel gelo della dirigenza ma nell'ovazione dei congressisti rispose: "Caro Walter, il coraggio a volte è nella decisione, banale, di non partecipare al coro dei falsi innovatori". E poi bordate al governo Prodi che in "10 mesi ha accumulato solo gravissimi ritardi". Cofferati? "sta fuori dalle fabbriche, sventolando il contratto di lavoro mentre dentro e fuori, in tuto il Paese dilaga il lavoro nero", rispose perfido D'Alema il giorno dopo chiudendo il congresso del Pds.

Con D'alema le sciabolate sono ricorrenti. Cofferati votò per lui alla segreteria del partito dopo la sconfitta del 1994 ma i due non possono stare insieme: il presidente dei Ds scrive libri teorici per spronare la sinistra alla modernità, Cofferati difende la storia e i simboli della sinistra, pubblica un libro di ricette, ama Tex Willer e se deve indicare un libro parla del "Discorso sul metodo" di Cartesio, se deve indicare un autore parla di Philip K. Dick. E, per finire, D'Alema è uomo di mare, Cofferati non sa nuotare. Due uomini e due concezioni diverse, insomma.

E infatti, nel 1998 quando D'alema chiede salari minori al sud per lo sviluppo Cofferati chiosa, "è una sciocchezza", un anno dopo il presidente del consiglio vuole la revisione dell'articolo 18 e il leader sindacale si infuria. D'Alema insegue il sogno blairiano della terza via e Cofferati rimprovera alla sinistra "la mancanza di spazio per il riformismo sociale alla cui base c'è la rappresentanza del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori". Visioni diverse del mondo e del ruolo della sinistra, incomprensioni che non si placheranno nemmeno dopo la vittoria di Berlusconi nel 2001. L'anno in cui inizia la trasformazione di Cofferati da leader sindacale ad icona della sinistra.

Il 2001 è un anno difficile per il leader della Cgil. Con Cisl e Uil la rottura è sempre più vicina ed infatti la Fiom non firmerà a differenza delle consorelle il contratto dei metalmeccanici. L'asse fra governo e Confindustria si salda sempre più. Nel partito si schiera contro D'Alema e il suo candidato Fassino al congresso di Pesaro dove ancora una volta ripete: "La sfida non è quella della modernizzazione ma la difesa delle libertà delle persone e dei loro diritti". Ma viene sconfitto malamente, isolato e accusato di voler fare una scissione. Unica soddisfazione in un anno terribile, la Legion d'Onore che il governo francese gli conferisce a luglio e che lo fa entrare nel Panteon dei francesi. Per il resto nulla.

Nulla fino al 15 novembre quando Berlusconi mette sul tavolo delle trattative sul lavoro la riforma dell'articolo 18. Da allora Cofferati si trasforma: "Stralcio dell'articolo 18" ripete ad ogni incontro. Scava una trincea e la difende contro tutto e tutti: a Pesaro durante il congresso annuncia nello stupore generale lo sciopero generale, che riesce alla grande, indice, da solo, il 23 marzo la più grande manifestazione sindacale di tutti i tempi, confermata nonostante l'omicidio di Marco Biagi a poche ore dall'inizio, e le speculazioni della maggioranza che volevano gettare sul Cinese la croce della responsabilità morale di quell'omicidio. Difende se stesso e la Cgil dai veleni seguiti alle lettere del sindacalista ucciso ritrovate in giugno. E quando Cisl e Uil cederanno e firmeranno il Patto per l'Italia lui e la sua Cgil resteranno fermi sulla linea della "difesa dei diritti".

Ma a quel punto è un sindacalista in scadenza e un leader popolare in fieri. Ha stretto intorno al suo sindacato e alla sua linea i movimenti: dai no global dei quali unico fra i leader presenti ha preso l'applauso a Genova durante la commemorazione di Carlo Giuliani ad un anno dalla morte, ai girotondi ai quali insegna ad organizzare le manifestazioni; lo applaudono alla festa del Campanile dell'Udeur e trionfa alle feste dell'Unità.

Alla maxi-manifestazione del 14 ottobre mentre i leader del centrosinistra si accalcavano sotto al palco, stava solo, in mezzo alla piazza, sotto le insegne della sua Cgil. Un nuovo capo carismatico è pronto ma lui smentisce. "Io sono un vasetto di yogurt su cui è scritta una data di scadenza. La mia dice 29 giugno 2002, giorno in cui scade il mio mandato alla segreteria della Cgil". La data di scadenza è stata posposta la nascita di un nuovo leader chissà.

(19 settembre 2002)