Lettera del segretario dei Ds al leader uscente della Cgil
I due si incontreranno a quattr'occhi la prossima settimana
Fassino scrive a Cofferati

"Contiamo su di te"

ROMA - Una lettera del segretario dei Ds: questo il primo saluto ufficiale a Sergio Cofferati alla vigilia del suo addio alla Cgil. Piero Fassino ha voluto rendere omaggio al leader sindacale, suo avversario interno al momento del congresso dicendogli: "Contiamo su di te per tornare al governo". Un atto di cortesia politica ma anche il riconoscimento del ruolo assunto da Cofferati negli ultimi mesi. Una lettera seguita da una telefonata e poi da un appuntamento per vedersi a quattro occhi la prossima settimana.

"Caro Sergio - ha scritto Fassino - nel momento in cui giunge a maturazione la tua lunghissima esperienza sindacale, desidero esprimerti la gratitudine più affettuosa di tutti noi per quanto hai voluto dare al movimento operaio, al sindacato, alla sinistra e alla democrazia italiana".

"L'attenzione costante ai diritti della persona - continua Fassino - il rigoroso sforzo per attenersi sempre al merito dei problemi, la tensione morale che ha ispirato il tuo modo di essere dirigente: sono questi i tratti forti che ti hanno reso dirigente stimato, popolare e riconosciuto da milioni di donne e di uomini del nostro Paese. E sono anche i tratti che ti consentiranno di essere una delle personalità su cui il centrosinistra sa di poter contare per riconquistare quei consensi e quella fiducia essenziali per tornare ad essere maggioranza di governo".

"Da tutti i democratici di sinistra ricevi un abbraccio forte e affettuoso - conclude Fassino - con la certezza di condurre insieme ancora tante comuni battaglie per l'affermazione di quei valori e di quegli ideali in cui crediamo".

(19 settembre 2002)

L'attesa nella storica sede di Corso Italia: "Sergio ci mancherà


ma il 18 c'è la mobilitazione generale, non c'è tempo per le malinconia"
Cofferati dice addio alla Cgil
ma lo sciopero caccia le lacrime
Il segretario lascia domani il timone al vice Guglielmo Epifani
Sabato al palazzetto dello sport il saluto del sindacato
di MARCO BRACCONI

ROMA - Al quarto piano di corso Italia, dalla finestra, si vede villa Borghese. Bella da mozzare il fiato. Da via Chiese, sede milanese del centro studi Pirelli, la vista sarà forse meno fascinosa. Ma il futuro di Sergio Cofferati, chi può dirlo. Il calendario segna il 19 settembre, giovedì. Nello storico palazzo della Cgil sembra un giorno qualunque. Invece non lo è. Domani il "cinese" va via. E mai un addio era stato così carico di aspettative.

Al cambio della guardia mancano solo 24 ore, però da queste parti non è (ancora) tempo di lucciconi. Segretarie e funzionari sono alle prese con la mobilitazione di autunno: le "cene per i diritti", in 120 città italiane, e poi lo sciopero generale. E la malinconia? Adesso non c'è tempo.

Chi non ci crede vada al pian terreno, primo corridoio a destra. Nella sala, nuova di zecca, sta per cominciare il direttivo dei chimici. Sergio? "Un grande segretario", ma ora c'è da discutere dei contratti. Il bar è due porte avanti. Sulle pareti le fotografie di un campo di calcio. Atleti vispi, ma con la pancetta. Nella squadra con la maglietta azzurra c'è D'Alema, in quella rossa Cofferati. Era il '94. Uno era appena stato eletto segretario ds, l'altro leader della Cgil. "Le fotografie restano", dice Domenico, il barista. Anche quella della Ferilli? "Figurarsi, è grazie a Cofferati che l'ho conosciuta".

Anche lui non ha tanto tempo, come gli altri. E' l'ultimo ("Forse il più importante") successo di Cofferati. Lasciare la Cgil da leader carismatico, oggi come non mai, eppure lasciarla nel pieno di un'altra mobilitazione. Achille Passoni, con il "cinese", ci lavora da vent'anni: capo della "macchina" organizzativa. "Se sta andando così - dice - è tutto merito di Sergio. La sua era la successione più difficile, ed è riuscito a renderla del tutto naturale". D'accordo. Ma lei, dopodomani, come starà? "Beh, sarà dura. Già so che mi commuoverò".

E' domani che Guglielmo Epifani diventa segretario, ma è sabato il giorno dell'addio. "Per la prima volta affittiamo un palazzetto dello sport per un saluto al segretario", ricordano al secondo piano. Non vuol dire che Cofferati sia il più amato di sempre. Nessuno qui, per esempio, si è scordato di Lama. "Però Sergio...".

Così tra due giorni va in scena in prima assoluta la "convention" dell'addio: "Allora ne vedrete di lucciconi", dice chi sta preparando la giornata. Poche cose, palco sobrio, ma rosso, e uno schermo neanche tanto maxi. Il resto sono poltroncine e gradinate: "roba da dipendenti della Pirelli". Per l'esattezza da "quadro dell'ufficio studi sociali e ambientali". Dal 1 ottobre, dal lunedì al venerdì. Nel week-end Cofferati farà il presidente della fondazione Di Vittorio. "Io vado con lui", dice Massimo Gibelli, che per otto anni è stata la sua ombra. Guai a chiedergli altro, che si rischia una rispostaccia. "Alle relazioni esterne della Di Vittorio". E stop.

Lo seguirà anche la mitica segretaria, Magda Skutanova, una specie di soldato. La nuova Magda, invece, si chiama Micaela Aureli, trent'anni. Né lei né Epifani cambieranno stanza. Il motivo è anche un quadro di Jaber, che è enorme. Il neosegretario gli è affezionato, e il dipinto non esce dalla porta. Ergo, si resta lì. Di fronte, nella stanza di Cofferati, ci andrà Giorgio Ghezzi.

Nell'altro corridoio ci sono le stanze - blindate - dei leader confederali. Fa niente, tanto sulla storia del Cofferati "politico" neppure le segretarie hanno voglia di sbilanciarsi. Non è reticenza, né rimozione. Più che altro sembra che lo vogliano proteggere: "E poi alla Pirelli ci va davvero, o no?". Nessuno, degli altri, là fuori, voleva crederci. Invece loro erano sicure: "Sergio è uno così, serio e rigoroso, e quando dice una cosa la fa". Oddio, mica saranno state tutte rose e fiori? Certo che no: "Cofferati è uno che lavora, e tanto", raccontano. "E' stato faticoso", confessano all'ufficio stampa. Però gratificante.

"Il Paese ha bisogno di lui", parola di Epifani. E come? "Si vedrà". Così ripetono in Corso Italia, per ora senza malinconia, ma sabato chissà. Al palazzetto dello sport la Cgil gli regalerà un orologio, e un funzionario chiede a tutti se anche a Lama, allora, regalarono un orologio. Nessuno se lo ricorda. Sarà che c'è da preparare lo sciopero generale. I ricordi, meglio di sabato.

Uscendo si vede una montagna di fax. Sono le firme per l'articolo 18 e i comunicati per il 18 di ottobre. Sergio? "Certo che ci mancherà", dicono mentre ce ne andiamo. Per forza. Mai un addio era stato così carico di aspettative. Però uscendo dal portone di Corso Italia 25, dove tutto c'è meno che l'aria di un trasloco, viene il sospetto che solo la Cgil, oggi, a sinistra, possa fare a meno di uno come l'ex segretario generale Sergio Cofferati.

(19 settembre 2002)

Il testo integrale dell'intervista rilasciata
del leader di An al quotidiano israeliano Haaretz
Fini: "Chiedo scusa
per le leggi razziali"

di ADAR PRIMOR

Nei media europei c'è ancora chi parla di lei e del suo partito come dell'estrema destra. Lei come lo descriverebbe? E chi designerebbe come suo modello in Europa: Stoiber, Aznar, Rasmussen?


"La descrizione più chiara è anche la più semplice: destra. Una destra democratica, che fa propri i valori libertà, uguaglianza, solidarietà del popolo e tra i popoli. Respingo risolutamente le definizioni di 'destra radicale' o 'neofascista', così come quella di 'postfascista'. Si tratta di rappresentazioni semplicistiche, diffuse dai media, derivanti dal fatto che il Movimento sociale italiano (MSI) è stato, in un certo senso, l'erede del fascismo. Ma il fascismo, noi di Alleanza Nazionale lo abbiamo condannato.
Quanto al nostro modello, in tutta Europa la destra è radicata nelle tradizioni locali e nazionali, per cui non esiste un unico modello in assoluto. De Gaulle potrebbe essere tra tutti il modello migliore. E' stato uno dei maggiori statisti, l'uomo che è riuscito a integrare due valori essenziali: la democrazia e lo spirito nazionale. Il fascismo, che esaltava soprattutto quest'ultimo, si è trasformato in un nazionalismo aggressivo, il quale a sua volta ha portato all'esclusione della democrazia. Per converso, de Gaulle è riuscito a raggiungere un buon equilibrio tra i due valori della destra la democrazia, che ha portato con sé la libertà, e lo spirito nazionale e patriottico".

Tuttavia, De Gaulle si addice alla destra francese, mentre l'Italia ha bisogno di un modello diverso e suo proprio.


"Ma al di là di questo, io credo nella necessità di guardare al futuro, verso un modello che sarà quello europeo. Io rappresento dell'Italia alla Convenzione europea che sta elaborando la Costituzione dell'UE: una Costituzione che sarà fondata sui valori condivisi da tutti gli europei, e non sulla legge fondamentale di uno Stato specifico. Allo stesso modo, non c'è motivo per ricercare oggi un particolare modello nazionale".

Voi vi presentate come un partito di destra borghese e moderato, che si è completamente dissociato dall'ideologia e dal passato fascista. Cosa vi distingue da Forza Italia e dalla Lega Nord, che insieme a voi fanno parte della coalizione di governo?


"Non solo ci siamo dissociati dall'esperienza fascista, ma l'abbiamo condannata. Questa condanna appare nel modo più inequivocabile nei documenti approvati al Congresso di Fiuggi, in occasione della fondazione di Alleanza Nazionale. Anche noi, come Forza Italia, crediamo in un libero mercato, l'unico che consenta di generare ricchezza. Ma crediamo anche di dover prestare attenzione alle fasce più povere della popolazione. Noi dedichiamo molta attenzione ai problemi sociali: questo è ciò che chiamiamo la "vocazione sociale" - l'esigenza di una solidarietà sociale.
La Lega, a differenza di Alleanza Nazionale, è un movimento regionale, che rappresenta solo gli interessi dell'Italia del Nord. Io ritengo che in ogni campo, la politica debba fare riferimento al paese nel suo complesso, e anche al di là dei suoi confini, a tutta l'Europa. Ma a parte il fattore geografico, esistono differenze culturali tra Alleanza Nazionale e la Lega Nord".

Che ne è della tradizionale politica dell'Italia nei confronti dei paesi arabi? Il vostro appoggio a Israele è influenzato dal fatto che oggi questo paese è controllato in larga misura da un governo di destra? Lei definirebbe incondizionato questo sostegno?


"Noi sosteniamo lo Stato e il popolo di Israele, indipendentemente dall'identità politica dell'attuale governo. Io sono convinto che oggi, soprattutto dopo l'11 settembre, la sicurezza di Israele sia la sicurezza dell'Occidente e quella di tutte le nazioni democratiche. C'è chi lo dimentica, in Italia come in Europa; ma di fatto, Israele è l'unica democrazia in Medio Oriente, mentre i regimi delle nazioni arabe sono diversi da quelli che troviamo nell'Occidente democratico.
L'Italia e l'UE dovrebbero contribuire a promuovere una pace confortata da garanzie internazionali, e basata su due principi: la sicurezza per Israele e uno stato per i palestinesi. Ma solo se si tratterà di uno Stato palestinese democratico, che si assuma un obbligo nei riguardi della sicurezza di Israele. Sono convinto che per perseguire questo obiettivo sia indispensabile la rottura di ogni legame tra il terrorismo palestinese e alcuni dei leader palestinesi".

Quali leader palestinesi?


"Non so se si tratti del signor X o del signor Y, ma sono certo che una parte della leadership palestinese sia legata al terrorismo. Lo sanno tutti ormai".

Lei ha parlato di un ruolo italiano e di un ruolo europeo.


"Mi riferivo in primo luogo a un ruolo europeo. L'Italia da sola non può fare assolutamente nulla".

Sta forse alludendo al fatto che le posizioni da lei rappresentate oggi non sono largamente accettate in Europa?


"I punti di vista sono diversi, ma non dimentichiamo che quando, ad esempio, i palestinesi si sono barricati nella Chiesa di Betlemme, e Colin Powell ci ha chiesto di autorizzarli a entrare in Italia, il presidente del consiglio Berlusconi ha risposto che non si trattava di un problema italiano, bensì di un problema europeo, da discutere a Bruxelles. E questo è stato fatto. Dopo di che, per la prima volta, l'Europa ha potuto parlare sulla questione del Medio Oriente con una sola voce".

Quali sono i riflessi delle differenze tra l'approccio dell'Italia e quello degli altri paesi dell'UE?


"Sono convinto che dobbiamo avere una politica di amicizia verso Israele, ma come ha detto Berlusconi, dobbiamo anche aiutare i palestinesi attraverso un nuovo 'Piano Marshall'. Per noi infatti è evidente che la disoccupazione e la povertà possono solo gettare i semi del terrorismo. Il governo italiano ha chiesto all'Europa di adottare una politica di appoggio a Israele e di promozione della pace, ma anche di sostenere lo sviluppo democratico dei palestinesi".

Quali sono allora le differenze?


"Sono sfumature, non vere e proprie differenze. Ad esempio, in Europa c'è ancora chi ritiene Israele responsabile del deterioramento oggi in atto, dato che i territori palestinesi sono tuttora sotto occupazione militare".

C'è stato uno spostamento della politica tradizionale dell'Italia nei confronti del Medio Oriente, dopo la formazione del vostro governo?


(risolutamente) "Senza alcun dubbio. La vecchia politica era poco chiara, ambivalente. Storicamente, va ricordato che il mondo era diviso tra l'Occidente e l'Unione Sovietica. L'Italia ha dovuto tirare le somme, dato che per circa quarant'anni siamo stati sulla linea di confine dell'Europa occidentale, con il totalitarismo comunista all'Est. L'attuale governo italiano è amico dell'Occidente, amico degli USA e amico di Israele. Se non vado errato, l'Italia è stata l'unico paese che dopo l'11 settembre ha celebrato l'Israel Day: una grande manifestazione popolare di sostegno alla sicurezza e alla pace in Israele".

In altri termini, intende dire che con la formazione del nuovo governo si è affermata la tendenza a sostenere la parte israeliana?


"Sì, decisamente. La sinistra è confusa e ambivalente. C'è chi, a sinistra, accusa Israele di negare ai palestinesi il diritto ad avere una patria. E c'è anche chi dichiara: "Sono contro Israele perché sono favorevole ai palestinesi". Del resto, di questo esiste una documentazione fotografica: nelle manifestazioni dell'estrema sinistra si sono visti militanti italiani travestiti da kamikaze".

E nella destra italiana non avvengono cose del genere?


"Forse nell'estrema destra, tra quelli che vengono chiamati tuttora fascisti o nazisti. L'autore del tentato assassinio del presidente francese Chirac era un militante dell'estrema destra, contrario agli USA, a Israele e al sionismo, e sostenuto dai kamikaze palestinesi. Questo fenomeno esiste anche in Italia, ma si riflette nell'estrema sinistra più acutamente che nell'estrema destra. In ogni caso, se nell'ambito della destra estrema esistono personaggi del genere, non hanno sulla a che fare con Alleanza Nazionale".

Nel luglio scorso, il presidente del consiglio Berlusconi ha annullato all'ultimo momento una visita in Israele per non incontrare Arafat. E ha anche dichiarato che Arafat dovrebbe dimettersi. Lei pensa che i palestinesi abbiano bisogno di una nuova leadership? E a suo parere, con quali mezzi sarebbe possibile crearla?


"E difficile dirlo. In pratica, io sono convinto che Arafat non vuole, o non può sottoscrivere con Israele un accordo realizzabile e affidabile. La situazione è evidente: al momento i palestinesi non hanno un leader politicamente e spiritualmente forte. Ecco perché Berlusconi e Bush hanno detto che Arafat farebbe meglio a dimettersi e a dare spazio a una nuova leadership palestinese. Ma questa decisione spetta soltanto ai palestinesi".

In altri termini, attraverso il voto?


"E' esattamente ciò che ho appena detto. I risultati delle elezioni della Knesset potevano anche non rendermi felice, ma si è comunque trattato di elezioni democratiche. La situazione palestinese è diversa, e qui l'esito delle elezioni è indubbiamente una questione difficile. Ci saranno elezioni democratiche? Non lo so. Ma noi dobbiamo pensare alla popolazione palestinese che non ha alcun legame con il terrorismo, e vuole poter scegliere i propri leader. C'è forse un'alternativa?".

Lei non ne vede nessuna?


"No. Se fosse l'Occidente a scegliere la leadership palestinese, la popolazione potrebbe rifiutare di accettare questa scelta".

Cosa farebbe nel caso in cui Arafat fosse eletto?


"Arafat ha detto che potrebbe dimettersi. Se fosse eletto, (la situazione, ndr) sarebbe molto complicata".

Sarebbe necessario parlare con lui?


"Bisognerebbe parlare, fare uno sforzo per la pace. Io comunque sono ottimista, poiché Arafat ha già detto che potrebbe dimettersi; e quindi, evidentemente comprende come stanno le cose. Bisogna ricordare un altro punto importante: a Washington oggi c'è una leadership molto risoluta; e non soltanto Bush, ma tutta l'amministrazione ritiene che discutere con Arafat non sia produttivo. E' un uomo isolato".

Nel corso di una visita a Israele, lei prevede di fare qualche dichiarazione sul passato fascista dell'Italia, sull'esempio di quelle pronunciate da esponenti tedeschi, quando hanno riconosciuto le responsabilità della Germania per i crimini nazisti? O di quelle del presidente Chirac, quando, nel 1996, riconobbe la responsabilità della Repubblica francese per i crimini commessi dal regime di Vichy, in collaborazione con i nazisti?


"Ho già fatto dichiarazioni molto simili in Italia: ho detto che il fascismo ha soppresso i diritti umani, e ho aggiunto che le leggi razziste hanno istigato alle peggiori atrocità perpetrate in tutta la storia dell'umanità.

(Nota: questa intervista si è svolta in francese, ma Fini ha pronunciato quest'ultima frase in italiano perché considera molto importante che ogni sua parola sia compresa nel significato esatto che ha inteso darle). Quando sono stato ad Auschwitz, ho scritto nell'album dei visitatori: Questo luogo è l'inferno in terra".



Dopo la dichiarazione di Chirac, i francesi non hanno mancato di ribadire le più pesanti accuse contro Vichy, ma si sono dissociati dalle responsabilità per quei crimini, sostenendo che la libera repubblica francese del dopoguerra non ha alcun collegamento, né alcuna responsabilità per il regime che collaborò con i nazisti. Chirac ha modificato questo atteggiamento, dichiarando che lo stato francese di oggi non soltanto denuncia questi crimini, ma ne accetta la responsabilità. Non pensa che oggi anche l'Italia dovrebbe agire allo stesso modo? Non c'è spazio oggi per accettare una genuina responsabilità per i crimini perpetrati dal fascismo? Un conto è sentirsi imbarazzati, o anche chiedere perdono per determinate azioni; altro è accettarne la responsabilità.


"Comprendo. Personalmente no - sono nato nel 1952, e ovviamente...".

Ma neppure Chirac è stato coinvolto nel governo di Vichy.


"In effetti, in quanto italiano devo accettare la responsabilità. Lo devo fare a nome degli italiani, i quali portano la responsabilità per ciò che accadde dopo il 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali. Hanno una responsabilità storica, una responsabilità che è iscritta nella storia, e quindi sono tenuti a pronunciare dichiarazioni, a chiedere perdono. Sto parlando di una responsabilità nazionale, non personale".

In altri termini, potrebbe sottoscrivere una dichiarazione così formulata: "Noi italiani accettiamo la responsabilità per i crimini commessi dal regime fascista"?


"... Che sono stati perpetrati tra il 1938 e il 1945. Sì, naturalmente".

In passato, e a quanto sembra anche recentemente, lei ha fatto una distinzione tra il periodo criminale del fascismo le leggi razziali, lo scatenamento delle guerre, la Repubblica di Salò (il regime fantoccio creato da Mussolini nel 1943, nell'Italia del Nord occupata) e nel periodo successivo. Non ha critiche da muovere a un regime che per sua stessa definizione era antidemocratico? Sarebbe disposto a dire che non è possibile distinguere tra "fascismo buono" e fascismo cattivo"?


"No, no: non ho mai parlato di fascismo buono e fascismo cattivo".

Se è così, se la sentirebbe di denunciare il fascismo senza riserve, di denunciarlo in quanto movimento e in quanto ideologia?


"
Lo abbiamo già fatto. Abbiamo denunciato il fascismo per aver soppresso i diritti democratici in Italia. Lo abbiamo dichiarato a Fiuggi, e sta di fatto che a quel punto il partito si è spaccato. Tutti coloro che non erano d'accordo con me e con quanto avevo detto, e mi avevano chiamato traditore, sono usciti".

In altri termini, non esiste un fascismo buono e un fascismo cattivo?


"No, no. La storia, amico mio, non è una baguette da poter tagliare a fette. Non si può dire: a me piace questo pezzo e quest'altro no. La storia è un tutto unico. Non si può, oggi, giudicare un periodo storico dividendolo in una parte buona e in una cattiva. La storia ha già dato la risposta finale (in merito alla natura del fascismo, ndr)".

Questo significa che si deve denunciare il movimento fascista e l'ideologia fascista?


"Certamente, dal momento che hanno distrutto la democrazia".

Chiederebbe perdono al popolo ebraico, se venisse in visita in Israele?


"Sicuramente".

Ma se lo facesse in Israele, nell'ambito di una dichiarazione ufficiale, non correrebbe il rischio di spaccare il suo partito? Non la preoccupa la sua ala destra? Quanto conta? Quanto conta ad esempio Alessandra Mussolini? Ha peso come membro del partito, o rappresenta piuttosto un ingombro?


"E' una parlamentare; e non è radicale. (A questo punto il portavoce di Fini interloquisce osservando: "è di famiglia". E Fini scoppia a ridere) Ha fatto bene a dire che è della famiglia. Il fatto che porti quel cognome non ha importanza politica. In realtà, tutti coloro che non avevano accettato la condanna del fascismo hanno già lasciato il partito".

Anche persone come Tremaglia denunciano il fascismo?


"Tremaglia? Tremaglia oggi è un ministro che ha giurato fedeltà alla costituzione democratica".

Sarebbe corretto dire che tutti i membri di Alleanza Nazionale oggi titolari di un dicastero denunciano il fascismo?


"Questo è ciò che mi risulta".

Israele potrebbe trovarsi di fronte al seguente dilemma: un leader di Alleanza Nazionale può aver attraversato, in tutta sincerità, un processo di trasformazione; ma altri leader potrebbero essere nostalgici il genere di persone che rimpiangono il fascismo e sono antisemite. Qual'è, a suo parere, il peso l'ala radicale del suo partito?


"
Non lo so. Ma non ci sono antisemiti. Io non conosco neppure un unico antisemita. Non ne ho mai conosciuti. Bisogna guardare alla storia. Lo stesso Movimento Sociale Italiano non ha mai avuto membri antisemiti. Alla periferia ci potrà essere magari qualche nostalgico, in particolare tra i più anziani, che erano giovani allora. Ma questa nostalgia non ha nulla a che fare con la politica del partito. Il partito agisce secondo le decisioni della leadership e in base ai documenti scritti: non c'è spazio per le emozioni personali.
Il Parlamento italiano ha commemorato una data del 1943, quella in cui i tedeschi deportarono gli ebrei. E tutti i membri di Alleanza Nazionale erano presenti a quella cerimonia: nessuno ha mosso obiezioni. E le dirò di più; se qualcuno avesse espresso qualche obiezione, la mattina dopo si sarebbe trovato fuori dal partito. Se c'è qualche membro del partito che nasconde la propria vera opinione - beh, io non sono uno psichiatra".

Poche ore prima la sua nomina alla Convenzione europea per le riforme e la Costituzione dell'UE, lei ha dichiarato che oggi non definirebbe Mussolini "il più grande statista del XX secolo".


"
Questa dichiarazione era stata fatta prima della fondazione di Alleanza Nazionale".

E l'anno scorso, lei disse che non l'avrebbe ripetuta. E' una dichiarazione sincera, o ha qualcosa a che fare con la sua nomina? Oggi per lei Mussolini è, in ordine di importanza, il secondo statista del XX secolo, o magari il terzo?


"
No, no; fa parte della storia, e la storia ha già emesso il suo verdetto in proposito. Siamo tutti soggetti a cambiare, e io non faccio eccezione. Voglio credere di aver giocato un piccolo ruolo nei cambiamenti avvenuti nella destra italiana. Bisogna guardare ai cambiamenti".

In tal caso, cosa rappresenta oggi per lei Mussolini? Lo descriverebbe come un criminale?


(esitante) "Mussolini è un uomo che ha posto tra parentesi la democrazia italiana. Ciò può essere considerato come un semplice dettaglio, ma è qualcosa di molto significativo. Nella storia, c'è stato chi non ha riconosciuto alcun valore alla democrazia. Mussolini non era il solo. D'altra parte, oggi ciascuno è consapevole dell'importanza della democrazia. Noi vi facciamo riferimento come a un valore supremo per l'intera popolazione. Agli occhi di chiunque creda nella democrazia, (Mussolini) appare oggi in una luce negativa".

Se Mussolini non rappresenta più per lei una figura di riferimento, chi allora le serve da modello, da fonte d'ispirazione? Forse De Gasperi?


"Io preferisco guardare al futuro anziché al passato, innanzitutto perché la società italiana è tanto cambiata rispetto al passato".

Intende dire che De Gasperi non può servirle da modello?


"De Gasperi, insieme con altri, ha dato all'Italia una Costituzione democratica. E' considerato il padre fondatore, o uno dei padri fondatori della Repubblica democratica italiana".

E cosa rappresenta oggi per lei Almirante?


"Almirante è stato alla guida di coloro che dopo la guerra sono rimasti leali verso il fascismo, e li ha permeati di democrazia. Ha accettato il concetto di elezioni, e nel 1948 è stato eletto lui stesso in parlamento. Al momento della sua morte, gli stessi comunisti vedevano ormai in lui un rivale, o anche un nemico, ma un nemico che accettava la democrazia. E' stato un fascista che ha saputo cambiare, e ha lavorato per 40 anni in un contesto democratico".

In altri termini, ai suoi occhi è una persona che in passato aveva commesso degli errori, ma li ha emendati nel suo percorso successivo.


"Possiamo metterla così".

Pensa che vi sia stato un impegno sufficiente per educare la giovane generazione, nelle diverse istituzioni del partito? Le diverse cerimonie organizzate a livello locale, per commemorare ricorrenze e leader fascisti, non dimostrano forse il contrario? Perché non denuncia queste celebrazioni?


"Evidentemente, in questo campo c'è molta confusione. Lei si riferisce ad Anzio, dove sono sbarcate le forze americane. Il governo locale è controllato da Alleanza Nazionale; ma ogni anno, l'intera cittadinanza partecipa a quella cerimonia, compreso il sindaco...".

La mia domanda si riferiva a celebrazioni fasciste che hanno avuto luogo a Trieste e in altre città.


"Il più grave di tutti i colpi subiti da Trieste è stato quello inferto dai comunisti di Tito".

Nel partito c'è ancora una componente anti-slovena.


"Può darsi, ma questo cosa significa? Dopo tutto, oggi non abbiamo alcuna rivendicazione territoriale nei confronti della Slovenia. Io sono certo di una cosa: la Slovenia fa parte dell'Europa. è candidata all'ingresso nell'UE, ma bisogna che riconosca la piccola minoranza italiana che vive in quel paese, così come la sua lingua, l'italiano".

Torniamo alla questione dell'educazione. I suoi critici sostengono che lei non abbia mai promosso una vera discussione sul passato dell'Italia.


"Sono accuse che mi vengono mosse dalla sinistra: fanno parte della lotta politica interna in Italia".

Ha mai dedicato qualche riflessione al problema dell'educazione? E' veramente sufficiente quello che si sta facendo in questo campo per i giovani? L'Italia ha mai fatto un vero esame di coscienza, sull'esempio di quello compiuto dalla Germania?


"Certo, certo. Io penso senz'altro che dobbiamo dedicare maggiore attenzione all'educazione dei giovani. Ma al tempo stesso si deve notare che a differenza dalla Germania, in Italia non c'è razzismo. A volte vi sono episodi di xenofobia da noi, che pure vanno condannati. Ma si tratta di qualcosa di completamente diverso. Nessuno, in Italia, sosterrebbe mai che un dato popolo sia superiore a un altro".

In Israele, c'è chi si preoccupa del crescente fenomeno del "nuovo antisemitismo". Pensa anche lei che si possa discernere un tipo di antisemitismo diverso da quello definito "classico", o "tradizionale"? E pensa che anche in Italia qualcuno potrebbe compiere atti simili a quelli avvenuti in questi ultimi mesi in Francia?


"Penso che In Italia non vi sia alcun pericolo di manifestazioni di antisemitismo sull'esempio di quanto è accaduto in Francia. Non conosco nessuno che si proclamerebbe apertamente antisemita, o ostile agli ebrei. A mio parere, il vero pericolo proviene da chi accusa Israele e il sionismo di rappresentare un pericolo per la pace, e sostiene che la politica israeliana neghi i diritti umani dei palestinesi. Ho scritto una volta che noi 'condanniamo gli antisemiti anche quando si camuffano da antisionisti'".

Come spiega l'ascesa della destra estrema o populista in Europa?


"Alcuni segmenti della società europea guardano con sfiducia al futuro. Il mondo dei concetti e dei valori nel quale siamo cresciuti si sta sgretolando. Le certezze di un tempo sono svanite. In passato, l'Occidente si contrapponeva all'Impero sovietico. L'Europa era divisa. Oggi il mondo è diverso, e i pericoli sono molti, soprattutto dopo l'11 settembre. La gente si chiede se lo stato- nazione in cui è cresciuta e con il quale si identifica continuerà ad esistere nella sua forma attuale. Questi timori rendono possibile il raggiungimento di un consenso populista che accomuna l'estrema sinistra e l'estrema destra".

In passato, lei ha ricevuto Le Pen a Roma. Sarebbe disposto a riceverlo oggi? Condivide alcune delle sue opinioni?


"No, no. Dopo la fondazione di Alleanza Nazionale abbiamo rotto i contatti, e siamo andati avanti in una direzione completamente diversa. Al Parlamento europeo stiamo oggi collaborando con i partiti della destra moderata, ma non con quello di Le Pen".

Vi sono rapporti, ufficiali o meno, tra Alleanza Nazionale e i partiti della destra estrema in Europa?


"Chi è di estrema destra oggi?".

Come risponderebbe lei a questa domanda?


"Tutti coloro che non rispettano la democrazia. E chiunque ritenga che un essere umano sia superiore a un altro essere umano".

Haider?


"Haider non appartiene al raggruppamento del Parlamento europeo di cui fa parte Alleanza Nazionale. Non ho contatti con lui, né con nessun altro partito estremista".

Si potrebbe desumere, dalla sua partecipazione a un organismo che sta dibattendo sulla futura Costituzione europea, che lei sostiene il rafforzamento delle istituzioni europee a discapito della sovranità nazionale degli stati membri dell'UE?


"No, L'Europa futura sarà una federazione di stati-nazione, e vi saranno nuove autorità, ad esempio nel campo della difesa, nel quale c'è bisogno di un'autorità non nazionale ma europea. Ciò nondimeno, lo stato-nazione non scomparirà. Sebbene l'Italia abbia deciso di adottare l'euro e di abolire la lira, lo stato italiano continua ad esistere, ed esisterà anche in futuro".

Lei era contrario all'abolizione della lira italiana?


"No, avevo soltanto una preoccupazione per quanto riguardava i tempi dell'introduzione della moneta unica in tutto il continente".

E ora, cosa ne pensa?


"Abbiamo bisogno di un'Europa più forte anche politicamente, e non solo economicamente. Non esiste al mondo neppure una sola democrazia che sia una potenza economica senza essere al tempo stesso una potenza politica".

Lei si definirebbe un "federalista"?


"Cosa s'intende con il termine 'federalista'? Io sono certo che avremo in Europa una federazione di stati- nazione. Alcuni preferiscono parlare di 'Unione' anziché di 'Federazione'. Ma dove sta la differenza? E' la stessa cosa".

Come spiega il fatto di non essere mai stato invitato ufficialmente in nessuna delle maggiori capitali europee? Potrebbe darsi che i maggiori leader del continente preferiscano lasciare ai loro colleghi il compito della sua "purificazione"?


"No; semplicemente, non ho mai ricercato l'occasione per visite del genere. Dato che faccio parte della Convenzione europea, potrei senz'altro chiedere ai miei colleghi di convocare un incontro a Madrid o a Londra".

Anche a Parigi o a Berlino?


(con esitazione) "Penso di sì".

Il cancelliere Schroeder non potrebbe temere che un invito del genere lo danneggi sul piano elettorale, alla vigilia delle elezioni in Germania?


"Bisogna rispettare la democrazia tedesca. In questo momento, tutta l'Europa dovrebbe guardare a ciò che sta accadendo in Germania. Spero che a vincere sia la destra, che è essenzialmente di centro- destra".

E' davvero così sicuro di poter essere accolto ufficialmente a Berlino o a Parigi?


"Certo, se lo chiedessi. L'Europa, dopo tutto, non può esistere senza l'Italia (sorrisi), e sono stati gli elettori italiani a decidere la partecipazione del mio partito alla coalizione di governo. Ora, in questa Italia, la mia posizione non può certo essere definita subalterna, dato che sono il 'numero 2', il vice capo del governo; e questo governo, lo rappresento anche alla Convenzione, dove contribuisco al dibattito con i rappresentanti dell'intero arco della politica europea - destra, sinistra e centro; perciò, non vedo nessun problema".

Berlusconi è considerato come il primo presidente del consiglio italiano desideroso di indebolire i legami del suo paese con l'UE, in nome di rapporti più stretti con gli USA. C'è chi sostiene che l'Italia sia diventata una sorta di satellite dell'America, sull'esempio dell'Inghilterra.


"No, questo non è vero".

E' una descrizione esagerata?


"E' una descrizione della sinistra, non una descrizione esagerata (risate). Anche se dopo l'11 settembre siamo più filo-americani. Io penso però che oggi sia dovere di ciascuno essere un po' più filo- americano".

Il suo partito sta a fianco degli USA sulla questione del Tribunale penale internazionale?


"No, no, no. Su questo punto io sostengo la posizione europea. Sono un europeo, e un italiano che crede nell'obbligo di essere oggi amici degli Stati Uniti".

Lei sostiene che i criminali di guerra debbano essere sottoposti al giudizio del nuovo Tribunale penale dell'Aja?


"Sì, naturalmente".

E condivide le parole di Berlusconi sulla superiorità della cultura occidentale rispetto a quella musulmana?


"Berlusconi ha detto che vi sono differenze storiche e culturali tra l'Occidente e la cultura islamica. Questa è la sua posizione reale. Secondo la mia opinione, non ha senso parlare di superiorità, anche se ovviamente esistono molte differenze".

E' d'accordo con le teorie di Oriana Fallaci, così come le ha espresse nel suo libro?


(risolutamente) "Sì".

In passato, lei si è dichiarato favorevole alla trasformazione della repubblica italiana in un sistema presidenziale simile a quello francese.


"Non esistono modelli che possano essere perfettamente replicati per importarli in Italia. La verità è che il sistema è già pressoché presidenziale".

Vuol dire che non c'è l'esigenza di altre riforme?


"Sebbene la nostra Costituzione non sia stata riscritta, il sistema politico è stato modificato attraverso una legge elettorale. Tuttavia, esiste sicuramente la necessità di un processo continuativo di riforme. Esiste soltanto un modello che non dobbiamo importare: quello israeliano. Un sistema (di partiti) proporzionale con un primo ministro eletto direttamente: no grazie".

Secondo alcuni osservatori, Berlusconi sarà, dalla fine della seconda guerra mondiale, il primo presidente del consiglio italiano a rimanere in carica fino alla scadenza del suo mandato. Il nome del suo successore sarà Fini?


(risate) "Il suo nome sarà Berlusconi".

L'idea della sua nomina a presidente del consiglio non le è neppure venuta in mente?


(altre risate) "Viene in mente a molti giornalisti in Italia, a qualche amico, a qualche rivale, ma non a me. Le cose vanno affrontate al presente".

Sarebbe interessato alla carica di ministro degli Esteri?


"In questo momento, tutte le mie energie sono dedicate a rappresentare l'Italia in seno alla Convenzione europea, in aggiunta alla mia carica di vice-presidente del consiglio e al mio lavoro nel partito. Ho abbastanza da fare".

(13 settembre 2002)

La Guerra Non Fa Bene All’Economia
di Paolo Leon

Mentre si discutono gli effetti economici della possibile guerra all'Iraq, non vorrei che i sostenitori dell'intervento militare cercassero la complicità dei cittadini, dando risalto ai vantaggi per le nostre economie e per l'occupazione.
Il ragionamento è noto: quasi qualsiasi guerra accresce la domanda, prima di strumenti bellici, poi di materie prime, poi di lavoro, poi di investimenti, poi di beni di consumo. Guerre molto piccole possono semplicemente contribuire a svuotare magazzini di materiali rimasti invenduti nel periodo di pace, e in questo caso non cresce la domanda di beni e di lavoro, ma crescono i profitti delle imprese e gli indici di Borsa.
Guerre molto grandi avranno invece effetti sull'occupazione, gli investimenti e il reddito, e se la somma della domanda civile e della domanda militare dovesse superare la capacità produttiva, creando inflazione, i governi introdurranno forme di patriottica austerità, che fa crescere i profitti, genera piena occupazione, e tiene bassi i salari.
L'effetto delle spese militari sulla domanda di beni e servizi non è molto diverso, per verità, dall'effetto di spese pubbliche per infrastrutture, per l'ambiente, per nuove industrie, per ricerca scientifica, per lo Stato sociale: così, se si dovesse fare una guerra soltanto per ridare vigore all'economia, si potrebbe benissimo immaginare un pacchetto alternativo di spesa pubblica destinato ad avere gli stessi effetti della guerra.
Mi si dirà che Bush ha già provato a risvegliare la domanda privata, detassando i redditi e aumentando le spese militari, senza riuscire a far altro che aumentare il disavanzo pubblico: ma è l'avversione dei repubblicani a qualsiasi intervento pubblico sostitutivo del mercato che rende così poco efficace oggi la politica economica americana. È forse questa resistenza ideologica dei conservatori americani che può aver motivato il governo Usa all'intervento militare.
Non voglio dire che la guerra nasce dalla politica economica, e vi sono molte altre ragioni che spingono Bush a questo passo, non tutte per verità nobili (le elezioni di medio termine, il controllo del Congresso, la sua possibile futura rielezione, l'effetto Falkland per la Thatcher), ma è plausibile che tra le altre motivazioni vi sia anche quella economica. La guerra all'Iraq, però, ha effetti economici un po' diversi da quelli appena descritti. Anche se si parla di un'ingente mobilitazione di forze di terra, proprio il particolare periodo elettorale negli Usa impedirà uno spiegamento che possa mettere a rischio molte vite umane: lo spettro del Vietnam resta sempre presente, anche se oggi sembra oscurato dalla tragedia dell'11 settembre.
Così, nelle fasi iniziali, la spesa militare sarà modesta e, di conseguenza, anche il riflesso sulla domanda effettiva. Immediatamente, invece, l'effetto più rilevante sarà sui prezzi del petrolio greggio e del gas naturale, che non potranno non aumentare. L'Arabia Saudita non gradisce l'intervento in Iraq, e dunque non sarà pronta, come nel passato, ad aumentare la propria produzione. Anche Putin non vuole la guerra, ed anche il suo petrolio ed il suo gas potranno registrare forti aumenti di prezzo. Gli Usa però non temono affatto un aumento dei prezzi del petrolio. Da un lato, perché hanno accumulato negli ultimi mesi una considerevole riserva strategica, presumibilmente in previsione della guerra. D'altro lato, perché l'aumento dei prezzi del petrolio fa crescere la domanda di dollari, rafforza il dollaro rispetto alle altre monete, stimola l'afflusso dei capitali internazionali (compresi quelli russi e mediorientali) a Wall Street.
Questo spiega bene la posizione dell'Europa, avversa alla guerra: non si vede perché partecipare ad un conflitto non sufficientemente motivato, se poi il costo maggiore ricade in prima istanza sui cittadini europei, proprio attraverso la maggiore spesa per il rifornimento energetico.
Mi auguro che Usa ed Europa trovino le strade per evitare il conflitto. Intanto, l'Unione Europea potrebbe trarre vantaggio dalla moneta unica per rafforzare la propria posizione politica internazionale, avviando trattative con la Russia e con i paesi del Medio Oriente per denominare in Euro i contratti petroliferi: forse a Blair non piacerà, ma sarebbe un utile stimolo al suo fantomatico europeismo.