Intervista
all'ex segretario della Cgil, Sergio Cofferati
"La regola delle
decisioni a maggioranza è un atto folle"
"Centrosinistra
al suicidio
no a centralismo democratico"
"Lo sciopero generale? Ce ne vorrebbero
due"
di MASSIMO GIANNINI
ROMA - "La regola delle
decisioni a maggioranza è un suicidio, un atto di
autolesionismo". "Il centrosinistra si
auto-infligge il centralismo democratico, e così si
condanna all'asfissia". "L'opposizione è
debole su tutto, sulla pace, sui diritti, sulla politica
economica, sulla giustizia: semplicemente non c'è, non
sta in campo con la sua proposta alternativa".
"Non condivido le scelte del gruppo dirigente
dell'Ulivo: l'unica cosa che sanno fare è polemizzare
con i movimenti". "Dico no alla guerra, sempre
e comunque". "Rivendico lo sciopero generale:
ce ne vorrebbero altri due". Da bravo impiegato,
Sergio Cofferati è appena uscito dal suo ufficio della
Pirelli. Ha aspettato un mese esatto, dopo il suo addio
alla Cgil. Ma oggi torna a parlare. Lo fa nel giorno in
cui si riunisce l'assemblea dei parlamentari dell'Ulivo.
Lo fa per dire: "State sbagliando tutto".
Cofferati, cosa
c'è che non va? Oggi l'Ulivo può rinascere con
l'assemblea dei suoi parlamentari.
"Con l'assemblea dei
parlamentari non rinasce proprio niente. L'Ulivo, o
quella cosa che si va formando oggi, rischia un suicidio
politico. Accade una cosa che non avevo mai visto: si
decide a maggioranza di decidere a maggioranza su temi
fondamentali, che marcano l'identità di uno schieramento
politico".
Che ci trova di
tanto scandaloso?
"Non capisco a quale modello
di organizzazione risponda un sistema in cui, tra forze
politiche diverse per storia e cultura, si decida a
maggioranza. E' un inedito, che fa parte della vocazione
autolesionista dell'opposizione: il gruppo dirigente
risolve drasticamente la disputa di queste settimane, tra
"grande Ulivo" e "Ulivo ristretto".
Decide di ridurre il perimetro dello schieramento futuro,
rinunciando in partenza al progetto di un'alleanza
allargata. E' un'idea distruttiva. Ma non dubito che
incontrerà il plauso dei "veri riformisti" che
diranno: bravi, avete fatto la scelta giusta".
Lei è libero di
ironizzare. Ma non è che finora, con l'anarchia creativa
di questi mesi, il centrosinistra abbia funzionato a
meraviglia, sa?
"E' fuor di dubbio che finora
è stato un disastro. Ma adesso l'operazione politica che
va fatta è esattamente opposta a quella che si vuole
fare. Per cementare un'alleanza bisogna cominciare sempre
dal merito, mai dal metodo. Loro sfuggono al merito
perché su questo sono divisi. Ma questo è un
rovesciamento logico dannoso e pericoloso: determina le
condizioni che renderanno difficilissima la vita della
coalizione. Non trovo elementi logici e razionali, in
questa scelta. E questo alimenta i peggiori
sospetti".
Cioè? Rutelli,
Fassino e D'Alema vogliono spingere l'ala radicale fuori
dall'alleanza? Vogliono costringere il correntone alla
scissione nei Ds?
"No, non arrivo a pensare a
tanto. Ma c'è l'idea di relegare una minoranza in una
riserva indiana, che con la sua presenza testimoniale
legittima le scelte della maggioranza, che avvengono al
di fuori del confronto preventivo. Ho letto cose
incredibili: persino il richiamo alla
"disciplina" dei gruppi parlamentari. Provo
tristezza e anche un po' di pena, soprattutto per quelli
che nel mio partito, ai tempi del vecchio Pci, sono stati
più volte umiliati proprio in nome della
"disciplina"".
Allora, per dire no
alle decisioni a maggioranza è preferibile lo spettacolo
vergognoso di un'opposizione che vota in ordine sparso
sugli alpini in Afghanistan?
"Se non c'è un programma
comune, è inevitabile che il voto sia distinto.
L'alternativa che ci propongono è il "centralismo
democratico". Ma dico: su temi fondamentali come la
guerra si può arrivare a decisioni così
semplificate?".
Certo, per i
pacifisti è tutto più facile: basta andare in piazza a
gridare no alla guerra, e il problema è risolto.
"Io lo dico e lo ripeterò
fino alla fine: alla guerra all'Iraq sono e sarà sempre
contrario".
E va a braccetto
con Gino Strada, a dire che Bush è un terrorista come
Saddam.
"Non ho mai condiviso questa
affermazione. E non sono mai stato anti-americano".
Allora è
incoerente.
"Niente affatto. L'iniziativa
di Emergency ha coinvolto tante persone diverse, oltre a
me: da don Ciotti a Tiziano Terzani. Accomunate dalla
convinzione che un attacco all'Iraq sarebbe un errore
inaccettabile. E comunque distinguo sempre i popoli dai
loro governi, e questo vale tanto per Israele che per gli
Stati Uniti. Ma dire che chi è contro la guerra è
anti-americano è diventato ormai un modo furbesco per
aggirare il problema".
Cofferati, il
problema è che c'è un terrorismo che minaccia le
democrazie occidentali. E queste si devono difendere. E
il corteo non basta a difenderle.
"Invece la guerra all'Iraq le
difende? Le bombe sugli inermi che non hanno
responsabilità né colpa le difende? Il terrorismo si
combatte con operazioni selettive di polizia preventiva,
non attaccando un intero Paese. Ora per molti sono
diventate dirimenti le decisioni dell'Onu. Eppure non
dimentico l'afasia e l'inefficienza dell'Onu, che fu alla
base degli argomenti con cui si giustificò l'intervento
militare nei Balcani. Alloa si disse: così l'Onu non
serve più a nulla, e va riformato. E poi basta guardare
a quello che è accaduto in Afghanistan: c'è stata la
guerra, ma Al Qaeda e Bin Laden sono ancora lì".
Ma intanto oggi
l'Afghanistan è un Paese in cui le donne possono
dismettere il burqa, i bambini non saltano più sulle
mine, negli stadi si gioca a calcio invece di giustiziare
gli infedeli. E' un passo avanti o nega anche questo?
"Lo nego eccome. Ero contrario
allora, resto contrario oggi all'intervento a Kabul: il
terrorismo non è debellato, si continua a morire come
prima e le vittime dei bombardamenti sono state tante, ma
non ce le hanno fatte vedere in tv".
Se questa è la
linea della sinistra, anche se tornate al governo cadete
al primo voto in Parlamento.
"Su un tema fondamentale come
la guerra si può anche cadere. Non stiamo parlando di
tasse, ma della questione più importante che esista, che
riguarda la politica estera, i rapporti politici, quelli
economici e soprattutto la coscienza delle persone: un
tema che non si risolve a colpi di maggioranza".
Ma se non si dà
un nuovo assetto l'Ulivo è morto.
"Oggi l'Ulivo è di fronte a
un bivio: o si dà un progetto visibile e un programma
condiviso, per poi scegliere regole e leader, oppure si
condanna all'asfissia tattica di queste settimane. Il
paradosso è che questo accade nel momento di massima
difficoltà del governo. Quello che sta avvenendo
sull'economia è preoccupante: i la caduta del fatturato
industriale di agosto, quel meno 5,5%, precede gli
effetti della crisi Fiat. Settembre e ottobre, quindi
saranno mesi drammatici. C'è il rischio di una caduta
dell'occupazione. Si realizza quello che avevamo
previsto: l'assenza di politica industriale, l'abbandono
della via alta alla competitività. E l'opposizione che
fa? Innesca una polemica personale contro Tremonti, senza
capire che quello a cui stiamo assistendo è il
fallimento di una politica, non di un singolo ministro.
Il fallimento di quella politica sta nel Patto per
l'Italia, che minaccia i diritti e non dà sviluppo. E
sta nella Finanziaria, che non produce crescita, e toglie
solo risorse agli enti locali".
Stiamo parlando
di misere cose. Meritavano uno sciopero generale?
"Assolutamente sì. Anzi, le
ragioni di quella protesta sono aumentate. E' tutto
l'impianto della politica economica che non va, dal
pacchetto dei 100 giorni in poi. Di fronte a questo
sfacelo, l'opposizione dovrebbe stare in campo con le sue
proposte, a sostenerle e difenderle con forza in
Parlamento. E invece siamo arrivati al punto che un
gruppo di parlamentari dell'opposizione ha diffuso un
documento, poi penosamente smentito, per sostenere le
ragioni contrarie allo sciopero della Cgil".
E' il bello
dell'"Ulivo plurale" che piace a lei, no?
"Ma io pretendo anche un po'
di coerenza. Quei parlamentari appartengono a
un'opposizione che ha definito la Finanziaria "una
stangata". Se è così, allora di sciopero generale
non ne basta uno, ma ne servono altri due".
Ma intanto con
questa linea è andata a pezzi l'unità sindacale. Le
pare sensato, proprio nel momento del dramma Fiat?
"L'unità sindacale sta a
cuore a tutti. Ma anche quella si misura dal merito. Se
Cisl e Uil pensano che non siano necessarie forme di
lotta contro l'azione del governo, le condizioni per
iniziative unitarie non ci sono, punto e basta. Questo è
un problema, ma si deve sapere che la Cgil non sta ferma,
ha la forza per stare in campo da sola. Quanto alla Fiat,
è un dramma che tutti hanno colpevolmente trascurato. Ma
anche qui, le ricordo che la Fiom a luglio è stata
l'unica organizzazione a dire no al piano industriale
dell'azienda giudicato "non credibile", e a non
firmare un accordo che mandava via 3 mila persone e che
Fim e Uilm invece hanno sottoscritto. E allora, si può
dire sommessamente che la Fiom ha avuto ragione?. E si
può dire che l'opposizione continua ad essere confusa e
disattenta anche sul tema dell'unità sindacale?".
Lei vorrebbe
solo che il centrosinistra sostenesse compatto la Cgil.
"Non è così. Io vorrei che
nell'opposizione non ci fosse tanto scarto tra le parole
e i comportamenti. Meno male che ci sono i movimenti, che
si mobilitano e tengono alta l'attenzione su certi
temi".
Ecco il
Cofferati girotondino.
"Dai girotondi arrivano input
che la classe politica non sembra capace di raccogliere.
Al contrario, di fronte ai movimenti l'opposizione ha un
atteggiamento schizofrenico: c'è un fastidio e
un'ostilità di fondo, salvo poi accodarsi quando li
scopre consistenti. E' un comportamento ancillare, che
alla fine si trasforma in un danno per la politica".
In realtà sono
i girotondi che sono partiti all'attacco dei leader
dell'Ulivo, con Moretti che disse "con questi non
vinceremo mai".
"Il problema non può essere
il radicalismo dei movimenti, che sono radicali per
definizione. E poi alla distanza i movimenti hanno
dimostrato di non nutrire nessuna propensione per
l'antipolitica. Il vero guaio è che l'opposizione non sa
rispondere alle istanze della società e arriva sempre
dopo i girotondi. Su tutti i grandi temi: dalla
globalizzazione alla pace, dall'economia alla
giustizia".
Cofferati, dopo
questa intervista nessuno penserà più che lei è un
riformista.
"Riformista è una parola
malata. Persino Berlusconi e Fini si sono dichiarati
riformisti. Quanto a me, il riformismo si misura sui
fatti. Parla la mia storia. Quanto agli altri, non vedo
in giro veri progetti riformisti, ma solo leader che
parlano d'altro, alludendo di volta in volta a posizioni
sempre più moderate".
Lei parla bene.
Sta fuori da tutto, e mena fendenti. Perché ha rifiutato
la presidenza dei Ds che D'Alema le aveva offerto?
"Avevo promesso che non sarei
entrato in politica. Mantengo la mia promessa. E certi
incarichi così delicati non si offrono così, uno lo dà
all'altro, come fosse una trattativa privata".
Ma così è
troppo comodo: lei "etero-dirige" un pezzo di
opposizione.
"No. Io non dirigo niente.
Parlo da militante. E vorrei un'opposizione più forte,
più battagliera. Sono convinto che come me la pensi
tanta, tanta gente".
(23 ottobre 2002)
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