Da lunita. 03.06.2002
«La conferenza di
pace è utile solo se può decidere il futuro della
Palestina»
Il primo messaggio è rivolto alla Comunità
internazionale: «Siamo per una Conferenza di pace con
poteri decisionali, ma sappiamo bene che Israele vuole
ridurne la portata ad un incontro che non lo vincoli
allassunzione di alcun impegno». Il secondo
messaggio è rivolto allopinione pubblica
israeliana e al popolo palestinese: «Malgrado le
condizioni di sofferenza che la nostra gente deve subire
quotidianamente e malgrado la morsa soffocante a cui sono
costrette le nostre città, malgrado i crimini contro il
nostro popolo e la sistematica distruzione delle nostre
infrastrutture, restiamo impegnati a quella pace
dei coraggiosi da me firmata assieme al mio partner
indimenticabile: Yitzhak Rabin». A lanciare questi
messaggi è il presidente dellAutorità nazionale
palestinese, Yasser Arafat. In occasione
dellincontro con la presidente della Regione
Umbria, Maria Rita Lorenzetti, il presidente Arafat ha
accettato di rispondere alle domande dellUnità.
«LItalia - ribadisce Arafat - può essere il luogo
ideale per ospitare la Conferenza, ma ciò che più conta
è definirne le basi e le prerogative».
Presidente Arafat, qual è oggi la
situazione nei Territori?
«Lassedio soffocante delle nostre città
non ha fine. Lescalation militare israeliana
prosegue senza soluzione di continuità. Domenica tremila
palestinesi sono stati arrestati dai soldati israeliani
penetrati nel campo profughi di Balata e nei villaggi
limitrofi. Arresti arbitrari, frutto di rastrellamenti
che non risparmiano donne, anziani, adolescenti. I carri
armati di Sharon sono a tre minuti da qui (il quartier
generale di Arafat a Ramallah, ndr.). Hanno distrutto
tutto e non hanno risparmiato neanche questo ufficio che
è la sede del legittimo governo del popolo palestinese.
Non è stato rispettato neanche laccordo raggiunto
a Barcellona. I Territori sono stati trasformati da
Israele in un inferno, in una terra di nessuno, nel regno
dellillegalità internazionale. E poi cè un
altro crimine di inaudita gravità, perpetrato da Israele
nel silenzio del mondo».
Di quale crimine si tratta?
«Lesercito israeliano ha colpito la Chiesa di
Santa Barbara, vicino a Ramallah, e gravemente
danneggiato la statua della Madonna nella Basilica della
Natività di Betlemme. È intollerabile che tutto ciò
sia avvenuto nel silenzio della comunità internazionale,
quando per la criminale distruzione da parte dei Taleban
delle statue di Buddha in Afghanistan ci fu una
sollevazione internazionale. Cè una precisa
strategia di attacco da parte israeliana ai luoghi santi
musulmani e cristiani. E il silenzio del mondo viene
interpretato da Sharon come una legittimazione a questa
politica irresponsabile».
Dallinizio della seconda Intifada
le condizioni di vita della popolazione di Cisgiordania e
Gaza sono pesantemente peggiorate. Israele imputa a Lei
queste sofferenze.
«È unaccusa ignobile, vergognosa. Non esiste
popolo al mondo vittima di uningiustizia così
grande, prolungata, come quella imposta al popolo
palestinese da Israele. Tre milioni e mezzo di persone
sono ostaggio dellesercito israeliano. I nostri
studenti e gli insegnanti non possono raggiungere le
scuole, quelle poche che gli israeliani non hanno
distrutto. Dovremo rinviare di mesi gli esami di
maturità. Da 23 mesi Israele ha bloccato la rimessa di
tasse che spettano, secondo gli accordi di Oslo,
allAnp: ci devono oltre 2 miliardi di dollari.
Oltre il 50% delle nostre terre coltivate ad ulivo sono
state distrutte. Vogliono sfiancare la nostra volontà di
resistenza, vogliono ridurci alla fame. Ma non
lavranno vinta. Il popolo palestinese non si
lascerà piegare, non rinuncerà ai propri diritti
nazionali».
Più volte Lei ha fatto riferimento
alla legalità internazionale...
«Una legalità sistematicamente violata da Israele. Non
mi riferisco solo alle risoluzioni 242 e 338
dellOnu, ma anche al recente rifiuto da parte
israeliana di permettere ad una commissione delle Nazioni
Unite di indagare sui crimini contro lumanità
commessi dallesercito israeliano nel campo profughi
di Jenin, la nostra Jeningrado. E ancora
laltro ieri, gli israeliani hanno impedito a sette
ministri degli Esteri dei Paesi non allineati di visitare
Nablus per accertarsi delle conseguenze
dellennesima occupazione israeliana».
Presidente Arafat, Sharon laccusa
di non fare niente per frenare gli attentati suicidi in
Israele.
«La nostra condanna verso ogni azione terroristica che
coinvolga civili israeliani è totale. Stiamo facendo del
nostro meglio per colpirne responsabili e mandanti. Ma
Israele fa di tutto per rendere impossibile il nostro
operato. Le chiedo: come è possibile agire con efficacia
per impedire operazioni terroristiche quando alle nostre
forze di sicurezza è impedita ogni libertà di movimento
da città a città? Come agire con efficacia quando sono
state distrutti i centri operativi delle nostre forze di
sicurezza e i Territori palestinesi sono stati frantumati
in otto cantoni? Israele sta erigendo un nuovo muro di
Berlino a ridosso della Cisgiordania. In nome della lotta
al terrorismo Israele sta attuando unannessione di
fatto di territori palestinesi. Nonostante tutto,
proseguiremo nei nostri sforzi anche attraverso una
riorganizzazione dei servizi di sicurezza. Di questo ho
già parlato con il ministro degli Esteri tedesco
Fischer, con lAlto rappresentante dellUe
Solana ed è un argomento che affronterò con il
direttore della Cia Tenet».
Da tempo si parla di un suo incontro
con il presidente degli Usa George W.Bush. In attesa di
realizzarlo, quale messaggio intende lanciare al capo
della Casa Bianca?
«È il messaggio che gli ho inviato attraverso un alto
prelato della Chiesa americana venuto a trovarmi qualche
giorno fa: Bush padre ha avviato, con la Conferenza di
Madrid, il processo di pace. Spetta ora al figlio,
attuale presidente degli Usa, portare quel processo a
compimento».
Su quali basi?
«Quelle indicate dalla pace dei coraggiosi
firmata da me assieme al mio indimenticabile partner,
Yitzhak Rabin: la pace che contempli due popoli e due
Stati in Palestina, con gli stessi diritti, la stessa
sicurezza, la stessa dignità».
Molto si discute su una nuova
Conferenza internazionale di pace. Qual è in merito la
sua posizione?
«La Conferenza di pace rappresenta per noi
palestinesi una grande opportunità. Siamo pronti a
sederci attorno ad un tavolo...».
A quali condizioni?
«Che questa Conferenza si fondi sul riconoscimento di
tutti gli accordi finora sottoscritti: da Oslo alla
recente intesa di Barcellona. Il rispetto delle intese
raggiunte è il presupposto per ridare senso ad una
trattativa. E non dimentichiamo che in campo cè
anche il piano di pace saudita, apprezzato sia dagli Usa
che dallEuropa».
La Conferenza potrebbe svolgersi in
Italia?
«Sarebbe un luogo ideale, vista lamicizia che lega
il popolo italiano a quello palestinese ed anche per
limportante ruolo svolto dallItalia nella
soluzione dellassedio alla Basilica della
Natività. Ma più che il luogo, è importante definire
le basi e le prerogative di questa Conferenza: deve
essere una Conferenza con poteri decisionali e non un
incontro di routine, e come tale assolutamente
improduttivo, come vorrebbe Sharon».
Crede ancora possibile un accordo di
pace con Israele?
«Ariel Sharon ha annunciato la morte degli accordi di
Oslo e, al contempo, ha scatenato unoffensiva
militare che ha già provocato 66mila vittime, tra morti
e feriti palestinesi. Ma nella società israeliana
esistono forze che credono ancora nella pace dei
coraggiosi. La maggioranza degli israeliani,
secondo recenti sondaggi, è favorevole alla creazione di
uno Stato palestinese. La lezione di Yitzhak Rabin non è
andata persa. Sì, nonostante tutto, la pace è ancora
possibile».
"Prima
che sia troppo tardi"
Intervista ad Arafat "I palestinesi
vivono sotto una brutale occupazione coloniale. Cosa
aspetta la comunità internazionale ad intervenire?"
Il nostro è l'unico popolo, nel 21esimo secolo, che
vive sotto una occupazione militare così brutale".
Il leader palestinese Yasser Arafat appare combattivo, di
buon umore, per nulla intimorito dalle minacce di Ariel
Sharon e incurante dei carri armati israeliani che da tre
settimane hanno preso posizione a poche decine di metri
dal suo quartier generale a Ramallah. Scherza sul
'confino' che Israele gli ha imposto. "Sono libero
di fare ciò che voglio" afferma con tono sicuro. E
la "prigione" di Ramallah nella quale Sharon
ritiene di averlo chiuso non ha neppure tolto l'appetito
al presidente palestinese, che ieri ha invitato alcuni
giornalisti stranieri, tra cui il corrispondente de il
manifesto, a sedere alla sua tavola. "Ogni
giorno mangia pesce e verdura - ci spiega un suo
assistente -non tocca carne e cibi grassi per tenere
sotto controllo il colesterolo". Il leader
palestinese conferma con un cenno di approvazione, poi
aggiunge: "Oltre all'acqua bevo soltanto qualche
diet-cola". E' una conversazione normale che avviene
in un clima rilassato eppure a poca distanza ci sono i
carri armati di Israele.
Il premier israeliano Sharon
ieri ha espresso rammarico per non aver eliminato Yasser
Arafat venti anni fa, durante l'invasione del Libano.
Teme che Israele tenti di realizzare adesso ciò che non
fece durante l'assedio di Beirut?.
Che faccia pure, sto aspettando che realizzi il suo
piano. Ma di una cosa (Sharon) deve esser certo. Io non
ho paura. Durante la mia vita ho già affrontato tante
situazioni difficili. Quando Israele occupò
Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est nel 1967 fui
costretto a nascondermi per sfuggire alla cattura.
Ricordo ancora i giorni trascorsi nella clandestinità a
Nablus, Ramallah, Betlemme e in altri centri abitati
palestinesi. E tanti periodi difficili che sono venuti
dopo, come in Libano appunto. Ma in questi giorni non ho
paura per la mia persona.
Quali sono quindi le ragioni
della sua inquietudine. Quali le sue principali
preoccupazioni?
Sono preoccupato per i palestinesi, per il mio popolo
che è sottoposto ad una brutale occupazione. Il mio
popolo è l'unico nel 21.mo secolo che vive in questa
condizione di terribile oppressione. Sono preoccupato di
fronte all'assedio israeliano a città e villaggi, al
blocco economico delle aree autonome, alle umiliazioni
che la mia gente deve subire ogni giorno da parte dei
soldati e dei coloni israeliani. E non posso fare a meno
di pensare che tutto ciò accade nonostante sia
severamente vietato dal diritto e dalle risoluzioni
internazionali. E mi chiedo sino a quando i diritti umani
saranno violati in questa terra prima che la comunità
internazionale agisca per far rispettare la giustizia.
Nelle ultime settimane i
palestinesi hanno dovuto affrontare un pesante isolamento
politico. Soltanto adesso l'Europa e alcuni paesi arabi
cominciano a scuotersi. I Quindici hanno espresso
sostegno alla sua leadership e qualche leader arabo sta
denunciando la pressione militare israeliana che viene
attuata anche nei suoi confronti...
Come ho già detto la mia persona non ha importanza.
La comunità internazionale deve agire per mettere fine
alle sofferenze del mio popolo. Deve agire per garantire
i diritti legittimi dei palestinesi sotto occupazione
israeliana. Mi attendo perciò che al più presto vengano
inviati osservatori o un'altra forza internazionale (nei
Territori Occupati, ndr) a protezione della mia gente e
per mettere fine all'aggressione israeliana.
In ogni caso tanti in Europa stanno facendo qualcosa per
aiutare i palestinesi. E ringrazio in modo particolare
l'Italia e gli italiani. E' stato molto positivo il passo
fatto dall'Italia (con la proposta del presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi, ndr) in seno all'Unione
Europea volto a far convocare una conferenza
internazionale a Bruxelles. Sono novità confortanti che
ho registrato con soddisfazione.
Dagli Stati Uniti tuttavia
continuano a giungere intimazioni e avvertimenti
all'Autorità nazionale palestinese. Il presidente George
Bush anche ieri così come aveva fatto nei giorni scorsi,
ha puntato l'indice proprio nei suoi confronti e chiesto
al governo palestinesi di agire con più fermezza contro
quelli che gli Stati Uniti definiscono gli estremisti
palestinesi.
Posso soltanto dire che i contatti con Washington sono
costanti, non si sono mai interrotti e tra qualche giorno
(lunedì, ndr) una nostra delegazione partirà per gli
Stati Uniti dove avrà colloqui con il Segretario di
stato Colin Powell. E in ogni caso non dimentichiamo che
lo stesso Bush, qualche settimana fa, di fronte
all'assemblea delle Nazioni Unite, ha sostenuto la
nascita di uno Stato palestinese indipendente. I nostri
diritti quindi vengono riconosciuti da tutti, anche dagli
Stati Uniti.
Intanto lei viene accusato dal
governo Sharon di non fare nulla per fermare chi
organizza e compie attentati in Israele e di fomentare la
violenza. E Sharon non fa mistero di volersi liberare di
Yasser Arafat e dell'Autorità nazionale palestinese.
Nonostante ciò lei vede qualche spiraglio, pensa che
questo conflitto possa essere risolto ancora attraverso
un negoziato.
Certo, ne sono pienamente convinto. Il negoziato è
possibile e noi palestinesi sosteniamo la sua immediata
ripresa. Siamo a favore dell'attuazione del piano Tenet e
delle raccomandazioni formulate dalla commissione
d'inchiesta Mitchell. Lo abbiamo sempre detto e
continuiamo a ripeterlo. Siamo pronti a negoziare in
qualsiasi momento e a qualsiasi livello. E' l'altra parte
(Israele) che continua a dire di no alla ripresa dei
colloqui di pace.
Ma il suo popolo è stanco, è
molto provato dall'occupazione militare e non pare
interessato a negoziati lunghi e laboriosi che dovrebbero
passare attraverso l'applicazione dei piani Tenet e
Mitchell e che, fatto rilevante, prevedono l'arresto di
militanti e attivisti dell'Intifada. I palestinesi
chiedono la fine dell'occupazione subito.
Si e continueranno a chiederlo ma allo stesso tempo il
mio popolo vuole la pace e posso confermare che non è
cessato l'impegno dell'Anp a favore di una soluzione
giusta che garantisca l'indipendenza alla mia gente e la
coesistenza tra lo Stato palestinese e Israele. Il mio
popolo desidera la pace e so che anche la maggioranza
degli israeliani chiede la pace.
Perciò rimango ottimista, una soluzione pacifica è
possibile tra il mio popolo e gli israeliani.
MICHELE
GIORGIO - RAMALLAH - Il Manifesto
«Sharon è già in
guerra»
Intervista a Yasser Arafat: «Le vittime di Gaza
sono state 21. Sharon non vuole nessuna soluzione
politica. Ha presentato 100 emendamenti al piano di pace
del 'Quartetto' da noi accettato. Dov'è il mondo? Per
questo ho scritto a Putin. Israele vuole la guerra
all'Iraq per trarne subito vantaggio qui»
VAURO INVIATO A RAMALLAH (CISGIORDANIA)
Sotto una pioggia gelida e sferzante percorriamo a
piedi il labirinto di traversine di cemento, sacchetti di
sabbia, casotti di ferro, e reti metalliche che segna il
confine tra Israele e Ramallah sotto l'Autorità
palestinese, ma sono solo i militari israeliani a
controllare il check point. Vediamo i primi poliziotti
palestinesi con il basco verde solo quando arriviamo al
quartier generale dell'Anp, sarebbe meglio dire a ciò
che ne resta. La bassa costruzione a due piani degli
uffici di Arafat appare completamente circondata dalle
macerie degli stabili adiacenti, una muraglia di carcasse
contorte di auto erta a protezione dello sconnesso
piazzale antistante aumenta il senso di distruzione che
non ci abbandona entrando nella sede dell'Anp. Corridoi
stretti, stanze anguste, barili riempiti di cemento a
proteggere le pareti che danno sull'esterno tolgono la
poca luce proveniente dai pertugi che fungono da
finestre. E' un po' più ampia la stanza dove Arafat ci
riceve, ma disadorna, un grande tavolo con le sedie al
centro, una bandiera palestinese al muro e sulle pareti
nude solo un piccolo orologio a pendolo. Arafat si alza
per venirci incontro, è un uomo piccolo, reso quasi
minuto dall'età che gli ha disegnato macchie sulla pelle
chiarissima delle mani, la kufia scende su una giacca
militare consunta sulla quale ficca una incredibile
quantità di spillette: la bandiera dell'Europa, quella
palestinese incrociata con quella americana, come a
segnare le tappe fallite della ricerca di un aiuto
politico sostanziale dalle diplomazie internazionali.
L'isolamento, anche fisico, al quale è stato condannato
dalla prepotenza israeliana, dall'ambiguità europea e
dalla parzialità Usa gli si può leggere impresso sul
volto segnato e dalle guance incavate, solo lo sguardo,
dietro le lenti di grandi occhiali, appare vivace e
mobilissimo.
A Gaza, presidente, è stata
un'altra giornata di sangue per il popolo palestinese, si
sono contati 15 morti, senza che sia iniziata una
escalation dell'aggressività militare israeliana?
Ventuno - (mi corregge con uno scatto)- ventuno sono i
palestinesi uccisi ieri e 120 i feriti. A Gaza sono state
demolite decine di case, distrutte 11 piccole industrie.
Gaza è come densità di popolazione la città più
popolata del mondo e l'esercito israeliano ha distrutto
l'intera rete fognaria facendo aumentare a dismisura il
rischio di epidemie. Questa è già una guerra
batteriologica. Del resto noi abbiamo denunciato agli
Stati uniti l'uso da parte israeliana di armi proibite,
proiettili all'uranio impoverito, gas chimici tossici
come il Cs, non ci hanno voluto credere, ma il rapporto
di una commissione non governativa americana (me ne porge
una copia) la International Action Center ha confermato
la nostra denuncia. Nessun popolo al mondo sta subendo
un'aggressione così feroce come quella che sta subendo
il popolo palestinese. E' arrivato a 70mila il numero
delle vittime, tra morti e feriti, il 38 per cento dei
caduti aveva meno di 17 anni, il 30 per cento dei feriti
è rimasto gravemente handicappato. La nostra economia è
strangolata dalla distruzione delle infrastrutture, dalla
confisca delle terre. Ad Hebron il 55 per cento degli
ulivi, quegli ulivi che noi chiamiamo «ulivi romani»
per la loro antichità, sono stati distrutti. Il
versamento delle tasse di importazione palestinesi
raccolte dall'autorità israeliana che ammonta ormai a 2
miliardi e mezzo di dollari è bloccato al settembre del
2000, ne abbiamo recuperati solo 70 milioni grazie alle
pressioni europee ed americane. Centoquarantamila
palestinesi hanno perso il lavoro - (e qui Arafat
continua a snocciolare con foga le cifre del disastro,
poi mi mostra una foto della statua della madonna della
chiesa della Natività di Betlemme crivellata di colpi) -
pochi giorni fa hanno fatto saltare la chiesa del
villaggio di Abhud, una delle più antiche in terra
santa. Perché il mondo che si è tanto indignato quando
i taleban hanno distrutto i Buddha in Afghanistan non
dice una parola? Non si alza una voce quando a
distruggere opere appartenenti alla cultura universale è
Israele. L'escalation di guerra voluta da Sharon è sotto
gli occhi di tutti, di tutti quelli che vogliono vedere.
Lo stesso Sharon ha annunciato l'intenzione di iniziare
un nuovo piano militare contro i palestinesi. Questo
piano è già cominciato, hanno fatto di Nablus il loro
banco di prova, il centro della città è stato
distrutto, usano sistematicamente i bulldozer per
rimuovere più a fondo la terra ed impedire così ogni
tentativo di ricostruzione. Ma resisteremo a Nablus come
a Jeniningrad - Arafat sorride -. Mi piace chiamare Jenin
«Jeniningrad» perché la resistenza che la città e il
campo hanno opposto all'attacco israeliano è
paragonabile a quella di Stalingrado all'assedio nazista.
Non pensa che sia necessario cercare
uno spazio di interlocuzione con il governo Sharon per
tentare una soluzione politica?
No, non è possibile, perché Sharon non vuole nessuna
soluzione politica. Il suo governo è stato eletto da
estremisti che negano ogni possibilità di convivenza
pacifica con noi palestinesi. I cosiddetti segnali di
disponibilità di Sharon non sono che tentativi interni
di coinvolgere i laburisti nel suo governo, per acquisire
maggior credibilità internazionale e continuare con la
sua politica di sterminio. Ne sono la prova le
assicurazione che Sharon ha dato a Mizhna della sua
disponibilità ad accettare il piano di pace americano,
il cosiddetto piano del quartetto, per poi, il giorno
successivo, proporre addirittura cento modifiche al piano
stesso volte a snaturarlo completamente.
Gli Stati uniti sembrano determinati
ad andare ad una guerra contro l'Iraq, come inciderà
questo sulla questione israelo-palestinese?
Quello che si sta addensando sull'Iraq è come un
grande tifone destinato a scuotere e a scardinare tutti
gli assetti e gli equilibri del Medioriente, e non può
essere considerato un problema locale. Ho scritto oggi
una lettera al presidente Putin riaffermando come
storicamente ma anche in senso geopolitico, non ci
possiamo scordare che Europa e Medioriente sono
geograficamente collegati, proteggere la pace in
Medioriente significa proteggerla in tutto il mondo. Come
invece al contrario consentire un'altra guerra nel cuore
del Medioriente possa comportare l'altissimo rischio di
un allargamento del conflitto totalmente imprevedibile
nei tempi e nei luoghi. Anche per l'acuirsi dello scontro
dove, come qui, un conflitto è già in corso. Sharon è
pronto ad approfittare dell'aumento della tensione per
accelerare il suo piano di annullamento e deportazione
del popolo palestinese. Siamo a conoscenza di un progetto
del governo israeliano per deportare i prigionieri
palestinesi con aerei speciali in Libano e in Sudan
quando iniziasse la guerra in Iraq.
Presidente, come si sente chiuso in
questi uffici, impossibilitato a muoversi da mesi,
praticamente prigioniero in casa sua?
Mi sento come tutti i palestinesi (Arafat sorride) -,
soffro ciò che loro soffrono quotidianamente da anni ed
ho la loro stessa determinazione a resistere.
Durante un'ora, tanto è durato questo incontro con
Arafat, per tre volte è mancata la luce elettrica
lasciando al buio il quartier generale dell'Anp e la
stanza dove ci trovavamo. E' stato lo stesso Arafat, con
una torcia elettrica, a illuminare il taccuino sul quale
prendevo gli appunti di questa intervista.
Fonte: IL MANIFESTO 21 febbraio
Da lunita.
05.07.2002
Il capo dell'Anp a
Fassino: "Non lasciatemi solo contro il
terrorismo"
RAMALLAH Un'ora di colloquio in una Ramallah
occupata dai blindati di Tsahal. Dopo aver incontrato nei
giorni scorsi i principali esponenti della politica
israeliani, Piero Fassino conclude la sua missione in
Israele e nei Territori palestinesi incontrando Yasser
Arafat. L'Unità ricostruisce in esclusiva il confronto
tra il segretario dei Ds e il presidente palestinese.
Fassino: Sono qui per avere
da Lei indicazioni sulla situazione, una situazione che
appare bloccata, e capire la prospettiva apertasi dopo il
discorso del presidente Bush.
Arafat: L'Europa ha un ruolo
importantissimo da svolgere. Solo l'Europa può avere la
capacità di cambiare la situazione. Ma deve agire subito
perché il rischio di una catastrofe incombe sull'intero
Medio Oriente.
Fassino:Come pensa che in
questo momento si possa sbloccare la situazione?
Arafat: Ci deve essere un
dispiegamento immediato di osservatori europei nelle
città palestinesi occupate dagli israeliani. Questa
richiesta era stata accettata ma poi, come troppe volte
è accaduto, le buone intenzioni sono rimaste sulla
carta. E intanto il mio popolo continua a subire, giorno
dopo giorno, ogni sorta di sofferenza e di umiliazione.
La presenza di osservatori porterebbe ad un grosso
cambiamento. Chiediamo che venga applicato ciò che era
stato delineato nel piano Tenet e nel Rapporto Mitchell.
Non stiamo chiedendo la luna ma solo di riportare la
legalità internazionale nella martoriata Palestina.
Fassino:Qual è oggi la sua valutazione del
discorso del presidente Bush?
Arafat: Non è un suo discorso, ma è la
traduzione in americano di un discorso di Sharon.
Essere mediatori super partes non si concilia con
l'assunzione in toto delle ragioni di una parte.
Fassino: In quel discorso ci sono tre cose che
hanno una qualche importanza: che la soluzione di pace
deve prevedere la costituzione di uno Stato palestinese
indipendente; che lo Stato palestinese deve comprendere
la Cisgiordania e Gaza, facendo riferimento ai confine
del '67; che gli insediamenti dei coloni devono essere
smantellati.
Arafat: L'America sembra ignorare o intende
mortificare il vero punto di novità: l'iniziativa araba,
basata sul piano di pace saudita. Nel suo discorso, Bush
non ne fa alcun cenno. Perché? Eppure quel piano è
stato fatto proprio nel vertice di Beirut da tutti i
Paesi della Lega araba. Quel piano prevede una pace
globale tra i Paesi arabi e Israele. Eppure, Sharon lo ha
lasciato cadere e invece di accettare un tavolo negoziale
ha moltiplicato la sua escalation militare. Sharon ha
"cantonizzato" la Cisgiordania e ciò che sta
realizzando è un nuovo, brutale regime di apartheid
peggiore di quello che ha segnato il Sudafrica. Io sono
stato in Sudafrica e posso dire che quei cantoni, i
ghetti neri, erano un paradiso rispetto a ciò che
Israele sta facendo in Palestina.
Fassino: In questi giorni ho avuto modo di
incontrare molti dirigenti israeliani, oltre che diversi
dirigenti palestinesi. La cosa che mi ha colpito è che
tutti dicono che ci vuole una soluzione politica, tutti
dicono che ci vogliono due Stati, però in realtà la
fiducia è così bassa che non si sa come far ripartire
il processo di pace. Insomma, tutti sembrano aver chiaro
come deve andare a finire ma nessuno sa come cominciare.
Arafat: Se c'è la volontà c'è modo di farlo.
Sadat era un mio amico, un mio vecchio, caro amico. Sadat
volle fortemente gli accordi di Camp David. Allora si
raggiunse un compromesso fondato su un principio che noi
accettiamo come fondamento di un accordo con Israele: la
pace in cambio dei territori occupati. La pace fondata su
due Stati e due popoli. La risposta che abbiamo avuto la
vede con i suoi occhi: città distrutte, trasformate in
prigioni a cielo aperto. Si parla molto di un Arafat
prigioniero di Israele, ma ad essere imprigionati dalle
forze di occupazione sono tre milioni e mezzo di
palestinesi.
Fassino:Uno dei punti più delicati, che rende
difficile il negoziato è quello del diritto al ritorno
dei rifugiati
Arafat: Perché?
Fassino: Perché il rientro in Israele di una
quantità grande di palestinesi viene vissuto dagli
israeliani come un rischio per l'esistenza stessa di
Israele.
Arafat: Israele non accetta neanche di considerare
il problema dei rifugiati come un problema politico,
rifiutano persino di riconoscere che furono scacciati a
forza dalle loro terre, dalle loro case nel 1948
Gli
israeliani possono far venire sulla nostra terra, nelle
nostre case, cittadini ebrei della ex Unione Sovietica e
io non ho diritto di venire a casa mia! Ci considerano
dei paria, e dopo aver spezzato il nostro territorio
vorrebbero spezzare anche l'unità del popolo
palestinese, l'unità tra la gente di Gaza e della
Cisgiordania e la nostra diaspora. Io ho parlato con
Clinton e Barak di questo a Camp David: avevo detto al
premier israeliano: accettate il riconoscimento del
principio del diritto al ritorno e poi negoziamo la sua
traduzione pratica. L'ho ribadito anche in un recente
articolo sul New York Times: creiamo un comitato
congiunto, israelo-palestinese con la super visione
internazionale, per verificare una ragionevole
applicazione di questo principio. Non intendiamo
"arabizzare" Israele, ma dare una patria a
quelle centinaia di migliaia di palestinesi che vivono
fuori dai Territori senza diritti, senza identità, senza
possibilità di lavoro: è la condizione dei palestinesi
in Libano. Clinton mi chiese allora, a Camp David: quanti
sono? Io gli risposi: 380mila. Il giorno dopo tornò da
me dicendomi che potevano rientrare in 200mila.
Accettammo. Ma poi tutto fu cancellato. La chiusura di
Israele è totale".
Fassino: La questione principale che io vedo
irrisolta è una questione di fiducia reciproca e bisogna
compiere degli atti che aiutino a ripristinare questa
fiducia
Arafat: Noi gli abbiamo fatti
Fassino: A quali atti si riferisce?
Arafat: Quando chiesero che ci fosse una settimana
di calma per poi riaprire una trattativa sull'attuazione
del Rapporto Mitchell, ebbene, la calma ci fu. Ci furono
24 giorni a dicembre di calma. Non accadde nulla di
positivo. Sharon utilizzò quelle settimane per preparare
una nuova, devastante offensiva contro il popolo
palestinese. Noi lavoravamo per la tregua mentre Israele
scatenava una guerra totale.
Fassino: Nel momento in cui, giustamente i
palestinesi chiedono che la soluzione sia l'esistenza di
un loro Stato indipendente e che questo significherà lo
smantellamento degli insediamenti, io credo che sarebbe
un messaggio di fiducia dire che così come Israele
smantella le colonie, da parte palestinese non si chiede
il diritto al ritorno o meglio il diritto al ritorno può
essere risolto attraverso forme di indennizzo monetario a
cui si può provvedere con un Fondo alimentato dalla
Comunità internazionale.
Arafat: Ma Israele sta moltiplicando gli
insediamenti, confiscando le nostre terre, trasformando
le colonie in città, annettendo di fatto parte dei
Territori occupati. Nel 1997, secondo gli accordi
raggiunti, avrebbero dovuto smantellare un numero
consistente di colonie. Le hanno moltiplicate! La fiducia
si ristabilisce mantenendo gli impegni sottoscritti.
Israele ha fatto l'esatto contrario. Quello che oggi
proponi è ciò che si era stabilito a Camp David
.
Fassino: Ma a Camp David l'accordo non si è
fatto.
Arafat: C'era stato un accordo su alcuni punti che
poi furono sviluppati nei negoziati di Taba e a Sharm
el-Sheikh. A Taba, alla presenza dell'inviato dell'Unione
Europea in Medio Oriente, Moratinos, e di emissari del
presidente Clinton, furono raggiunte delle intese
importanti tra l'allora ministro degli Esteri israeliano
Shlomo Ben Ami e il nostro negoziatore capo Saeb Erekat.
Ma poi tutto fu bloccato perché, ci fu spiegato,
mancavano tre settimane alle elezioni in Israele. Noi
eravamo pronti e continuiamo ad essere pronti a
riprendere una trattativa partendo da quelle basi.
Fassino: Perché non si è fatto l'accordo a Camp
David con Ehud Barak?
Arafat: Perché gli israeliani insistevano nel
pretendere la sovranità sulla parte inferiore della
Spianata del Tempio e su altre zone della Città Vecchia
di Gerusalemme dove sono ubicati luoghi sacri ad altre
religioni. Io contattai i Patriarchi cristiani ed
esponenti di primo piano della fede musulmana per
informarli di ciò che ci era stato offerto e dissi loro:
se voi accettate anche io accetterò. Ci venne risposto
dalla Chiesa cristiano ortodossa, la più grande in
Palestina, che accettare quella proposta, voleva dire
concedere a Israele il controllo del quartiere armeno e
di fatto cancellare il pluralismo religioso nella Città
Santa
Fassino: Sì, capisco, questo è uno dei problemi
di Gerusalemme. Ma insisto: perché a Camp David non si
è raggiunta un'intesa?
Arafat: Quello su Gerusalemme è stato uno degli
ostacoli all'accordo. Ma ripeto: a Taba avevamo
sviluppato e concretizzato alcuni principi delineati a
Camp David. Eravamo vicini, molto vicini ad una
conclusione
Fassino: E cosa l'ha impedita?
Arafat: Avevamo chiesto un controllo
internazionale delle linee di confine con Giordania ed
Egitto. Cercavamo una garanzia internazionale dei
confini, mentre Israele voleva esercitare un controllo
totale. Il presidente Clinton ci aveva inviato una
lettera molto importante prima degli accordi di Taba
nella quale si sosteneva la disponibilità americana a
discutere di alcune nostre osservazioni al piano che gli
Usa avevano maturato sulla base dei negoziati di Taba. Ma
le elezioni in Israele bloccarono tutto ed Ehud Barak non
ritenne di fare della pace di Taba la piattaforma su cui
cercare il consenso della maggioranza degli israeliani.
Fassino: Un altro punto molto delicato è quello
del terrorismo. Lei ha condannato gli attentati contro
civili israeliani
Arafat: Io ho condannato con la massima decisione
tutti gli attacchi contro civili, siano essi palestinesi
che israeliani. Perché anche noi palestinesi siamo
esseri umani
.
Fassino: Non sarebbe molto importante se da
parte sua oltre che condannare gli atti di terrorismo
quando essi avvengono, ci fosse anche la presa di
posizione esplicita che spiegasse ai ragazzi palestinesi
perché è sbagliata la scelta del terrorismo e quanto il
terrorismo sia contro gli interessi degli stessi
palestinesi?. Voglio dire una vera e propria azione
politica e culturale preventiva che impedisca a tanti
ragazzi di fare una scelta drammatica e al tempo stesso
rassicuri un'opinione pubblica israeliana che vive sotto
l'incubo del terrorismo.
Arafat: L'ho già fatto. Ho fatto degli incontri
con i gruppi di Hamas e della Jihad islamica non solo
qui, con la super visione dell'Arabia Saudita. Ho
coinvolto i sudanesi e gli yemeniti. Avevano dato il loro
accordo ma non hanno onorato le promesse. Questi fanatici
hanno ricevuto finanziamenti e armi da i Paesi arabi e
islamici fanatici con l'ordine di andare avanti con gli
attacchi suicidi.
Fassino: E come pensa di poterli bloccare?
Arafat: È facile. Deve esserci un intervento
arabo, un intervento europeo, un intervento americano. La
pressione americana ha fatto sì che gli hezbollah
finissero di sparare i loro razzi dal sud del Libano. E
per parte mia sto prendendo tutte le misure possibili per
contrastare i gruppi estremistici. Proprio oggi (ieri,
ndr.) ho ordinato alle nostre banche di riferire all'Anp
tutti i movimenti di capitale che arrivano dall'estero
per sapere chi li manda e a chi sono destinati.
L'ayatollah Khamenei (leader dell'ala radicale del regime
iraniano.ndr) invia soldi non solo in Palestina ma
dappertutto, perfino in Sudafrica. Non è a Ramallah, non
è a Gaza il centro nevralgico della destabilizzazione. I
fanatici palestinesi sono delle pedine manovrate
dall'esterno per disegni che nulla hanno a che fare con
la causa palestinese. L'ho detto agli europei, agli
americani: aiutatemi a spezzare questi legami, aiutatemi
a bloccare il flusso di denaro che raggiunge i terminali
estremisti palestinesi. Io ho posto agli arresti
domiciliari sheikh Ahmed Yassin (il fondatore di Hamas,
ndr.) e ho incarcerato diversi capi della Jihad. Ma sono
stato lasciato solo in questa battaglia".
Fassino: Le ho posto le due questioni - la lotta
al terrorismo e il ritorno dei rifugiati - perché mi
pongo il problema di come ricostruire un rapporto di
fiducia, di credibilità con gli israeliani, visto che è
con loro che si deve fare la pace. E oggi quello che mi
pare manchi è un rapporto di fiducia. Che per essere
ricreato ha bisogno anche di atti concreti da parte
israeliana, a cominciare da un ritiro dell'esercito, da
un allentamento dell'occupazione nei Territori e bisogna
rendere la vita della popolazione civile più dignitosa e
meno dura di quanto lo sia oggi.
Arafat: Per fare la pace occorre essere in due. Ma
chi sono i nostri interlocutori in Israele? Non certo i
falchi oltranzisti, e purtroppo sono venuti meno anche i
laburisti che, a maggioranza, hanno deciso di restare in
questo governo di fanatici. Dopo una lunga discussione
hanno deciso di voler aprire una fase nuova e di fare del
loro meglio per eliminare alcuni degli insediamenti e
portare avanti il processo di pace. Bene, se torneranno
sulla strada della pace dei coraggiosi indicata dal mio
compianto amico Yitzhak Rabin, saremo pronti a fare con
loro l'ultimo tratto del cammino.
Fassino: Sono stato nei giorni scorsi al Congresso
laburista e mi pare che sia venuto un messaggio molto
forte: non c'è una soluzione militare, ma solo politica;
la soluzione non può che essere uno Stato palestinese
accanto a Israele; e per questo obiettivo occorre fare
anche dei compromessi a partire dallo smantellamento
degli insediamenti dei coloni. È una posizione
importante che non schiaccia i laburisti su Sharon,
Insomma, voglio tornare con Lei sulla questione
fondamentale: il punto di partenza di qualsiasi processo
di pace deve fondarsi sull'esplicita dichiarazione che,
accanto ad un Israele sicuro, ci deve essere uno Stato
palestinese, un'esplicitazione assente dagli accordi di
Oslo. Si deve dire che lo Stato nascerà sulla base di
quanto sancito dalle risoluzione 242 e 338 delle Nazioni
Unite entro i confini del '67. Il problema è come si
costruisce questo obiettivo e come si ridà vita ad una
fiducia reciproca che permetta di raggiungerlo.
Arafat: Il percorso è indicato negli accordi di
Sharm el-Sheikh, nei colloqui di Parigi e in una parte
degli accordi di Camp David. Ciò che manca e non a noi
è la volontà politica di applicare quelle intese.
Fassino: Nel discorso di Bush c'è una esplicita
richiesta di ricambio nella leadership palestinese. Come
pensa di affrontare questo problema?
Arafat: Lei pensa che avesse diritto di dire una
cosa del genere?
Fassino: No, io non condivido quelle parole di
Bush, perché penso che ogni popolo debba scegliersi i
propri rappresentanti e nessuno può decidere chi deve
essere il rappresentante di un altro, sapendo però che
se si vuole negoziare, ogni parte deve compiere degli
atti per farsi riconoscere dal suo interlocutore. Per
questo insisto su atti di fiducia reciproci che abbattano
il muro del pregiudizio e dellostilità.
Arafat: Tutti i Paesi del G8, tranne l'America,
hanno ribadito in Canada che continueranno a trattare con
l'attuale dirigenza palestinese così come, prima del
discorso di Bush, avevamo deciso di indire nuove elezioni
in modo che la persona che verrà eletta potrà tornare a
discutere con tutti. Ma saranno i palestinesi, solo i
palestinesi a decidere chi sarà quella persona.
Fassino: Lei ha annunciato le elezioni nel gennaio
2003. Pensa che ci saranno effettivamente ?
Arafat: Dipende da Sharon. Se gli israeliani
torneranno a farci respirare, se si ritireranno dalle
nostre aree come concordato con Tenet (il direttore della
Cia, ndr.), le elezioni si terranno certamente. E noi
chiediamo osservatori internazionali a garanzia del voto.
Fassino: Qual è la cosa più importante e
immediata che dovremo fare noi europei per aiutarvi?
Arafat:[/b] Premere sugli israeliani perché inizino a
ritirarsi dai Territori per poter riprendere la nostra
vita e attuare il nostro piano dei 100 giorni. Perché è
impossibile realizzare qualsiasi riforma sotto
coprifuoco. E poi aiutarci a ricostruire un'economia
distrutta dall'occupazione israeliana. In gioco è la
sopravvivenza stessa di decine di migliaia di famiglie
palestinesi ridotte allo stremo. Non lasciate che i
bambini di Gaza finiscano come i bambini iracheni.
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