TRE OPERAI
di Carlo Bernari

"Il fascino della originalità di Tre operai è nella presenza in esso di nuovi mezzi di comunicazione umana e letteraria: l'uomo moderno, scoperto da Pirandello e da Svevo come il protagonista di una realtà tragica, scissa e disorientatrice, si trova in Bernari davanti a fatti sociali nuovi, la fabbrica e la città, davanti alla miseria e alle esperienze d'amore soffocate e distrutte dall'incomprensione" (PESCE).
Questo romanzo fu scritto dall'autore fra il 1928 e il 1929. Ma la pubblicazione avvenne nel '34. Tenuto conto del delicato periodo storico in cui vigeva la letteratura rondista e novecentesca evasiva, il romanzo, per il suo contenuto sociale e realistico, rappresentava indubbiamente un momento di rottura con la moda vigente. Ovviamente alcuni confusero il documento politico-sociale con la pagina nuova che
Bernari era riuscito a scrivere e ad inserire nel vago clima neorealistico del tempo, altri vi videro il trionfo della poetica neorealistica di marca verghiana.
La genesi del romanzo di
Bernari è in gran parte autobiografica, ma anche politica e impegnata. Impegnato in senso sociale con idee non conformi a quelle del regime fascista, in cui è nato, come è possibile dedurre dal fatto che alcuni giornali autorevoli dell'epoca rifiutarono recensioni favorevoli, supponendo che nel romanzo ci fossero elementi politicamente pericolosi e compromettenti.
Infatti né l'occupazione delle fabbriche, né i problemi degli operai, negli anni del Fascismo, costituivano argomenti fondamentali e frequenti della narrativa ufficiale. E' vero che
Bernari nel suo romanzo non affrontava la condizione operaia come condizione di classe, bensì i problemi umani di tre individui che fanno gli operai: ragione per cui egli si mantiene ancora al di qua della letteratura sociale.
Negli anni in cui Moravia scriveva "Gli indifferenti" e Jovine "Ladro di galline" e "Un uomo" provvisorio, proprio quando le direttive ufficiali della cultura fascista esaltavano gli uomini dalla volontà granitica ed eroica, anche
Bernari contribuiva efficacemente a creare quel clima problematico e diseroicizzato degli indifferenti, degli uomini logorati e vinti, ridotti ormai ad una situazione fallimentare della vita, che caratterizzerà il Neorealismo. Si tratta ancora di una semplice denuncia, di una testimonianza di una situazione psicologica e sociale in netta crisi, che in pratica smontava la retorica eroica del Fascismo e ne svuotava il corpo sociale. Gli operai che Bernari presenta sono, in realtà, degli sconfitti, dei vinti, la cui aspirazione è quella di uscire dalla loro condizione per entrare nel mondo piccolo-borghese. Ma certamente l'opera rimane una testimonianza ben chiara, attraverso la storia di tre umili operai e dei loro casi pubblici e privati, della sconfitta operaia negli anni in cui il Fascismo si affermava, ed ancora un documento del disorientamento delle coscienze, in quanto il lavoro stesso è inteso o rappresentato come condizione primaria di alienazione dell'uomo da sé e dai suoi simili. "Su queste alternative Bernari impianta il suo discorso di narratore, non sfuggendo tuttavia alle tentazioni dell'ormai morente Decadentismo: il che si manifesta nella struttura del romanzo, statico nel suo impianto situazionale. C'è infatti, in esso, una condizione data, ferma e scontata, la fabbrica: questa esiste ed esistono una serie di cose per cui questa istituzione vive la sua vita impersonale inghiottendo uomini e avvenimenti per privarli di ogni elemento di distinzione umana e sociale".