DA - LA REPUBBLICA

Tante iniziative per non dimenticare le vittime dell'Olocausto
Fini: "Leggi razziali pagina vergognosa della nostra storia"
La Giornata della memoria
l'Italia ricorda la Shoah

Casini: "Tremende le colpe del fascismo"
A Roma due ragazzi sorpresi a scrivere frasi antisemite

ROMA - Il 27 gennaio 1945 i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz venivano aperti dalle truppe sovietiche, mettendo fine alla Shoah. Una data oggi ricordata in tante manifestazioni organizzate in tutta Italia per celebrare la Giornata della Memoria. "Questo giorno deve essere l'occasione per coltivare la memoria, per non dimenticare, per combattere i rigurgiti dell'intolleranza, del razzismo e dell'antisemitismo che ancora si manifestano in molte parti della terra" ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in un messaggio televisivo. Il premier ha anche telefonato al rabbino di Roma, Di Segni.

"Bisogna considerare le leggi razziali come una pagina vergognosa della storia nazionale", ha detto il vicepremier Giangranco Fini agli studenti riuniti all'Auditorium di Roma, "che ha determinato degli orrori e che è doveroso condannare: anche se lo si è fatto una volta ci sono sempre occasioni in cui ripetere, con nettezza questo giudizio".

Il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha inaugurato nel Museo del Deportato di Carpi la mostra dedicata a Giorgio Perlasca. "Le leggi razziali del 1938, il campo di Fossoli, la risiera di San Sabba, il contributo del regime fascista e della repubblica di Salò ai rastrellamenti e alla deportazione degli ebrei" ha sottolineato Casini "pesano come macigni sulla nostra memoria e rappresentano una pagina nera angosciosa della nostra storia".

A onorare le vittime dell'Olocausto soprattutto le istituzioni: in tutti i palazzi del potere oggi hanno sventolato bandiere europee e italiane a mezz'asta e alla Farnesina è stato proiettato il documentario "The righteous enemy", che descrive il coraggioso impegno di ambasciatori, consoli ed esponenti delle forze armate italiane nell'opporsi alle deportazioni degli ebrei. Il vicepresidente Alfredo Biondi aprendo alla Camera i lavori ha annunciato che dal prossimo anno celebrerà la ricorrenza con una cerimonia in aula.

Il capogruppo di Forza Italia al Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha visitato il Museo della Comunità ebraica romana accompagnato dal rabbino Riccardo Di Segni. Anche il segretario dei Ds, Piero Fassino, ha incontrato oggi il rabbino visitando insieme a lui il Museo della Sinagoga. Francesco Rutelli ha invece deposto un mazzo di fiori sotto la lapide - da lui stesso fatta porre due anni fa - al primo binario della stazione Tiburtina in ricordo del treno partito per Auschwitz con più di mille ebrei deportati dal ghetto di Roma.

Tra le numerose iniziative che hanno coinvolto il mondo scolastico, oltre a un minuto di silenzio in 1.700 istituti, la proiezione stamani, all'Auditorium di Roma, del film "Perlasca. Un eroe italiano". In rappresentanza del Governo è intervenuto il vicepremier Gianfranco Fini. Quasi tremila gli studenti delle scuole medie e superiori che hanno accolto l'invito a non dimenticare rivolto loro dal presidente della Rai, Baldassarre, dal sindaco della Capitale, Veltroni, dal presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane Luzzatto e dall'attore Luca Zingaretti, protagonista del film.

A turbare la sentita partecipazione della Capitale alle celebrazioni, uno spiacevole episodio all'Università Roma Tre: due ragazzi friulani sono stati denunciati dai carabinieri perché sorpresi la scorsa notte a scrivere frasi antisemite su un muro dell'ateneo.

Ma non soltanto Roma si è data da fare "per non dimenticare". A Trieste si è svolta una solenne cerimonia alla Risiera di San Sabba, l'unico campo di concentramento nazista dotato di forno crematorio in Italia. Al termine Diamantina Salonicchio, ex deportata a Bergen-Belsen, ha collocato un'ampolla contenente terra di Gerusalemme in uno spazio del museo. A Verona il sindaco ha consegnato la medaglia della città al professor Berto Perotti per la sua attività antinazista mentre a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume che salvò migliaia di ebrei, Adria (Rovigo) ha dedicato una strada. A Catania tre querce sono state dedicate a tre "Giusti tra le Nazioni": Giorgio Perlasca, Giovanni Palatucci e Calogero Marrone, quest'ultimo nonno della moglie del ministro delle Riforme, Umberto Bossi.

L'ambasciatore d'Italia in Israele, Giulio Terzi, ha deposto una corona di fiori allo Yad va-Shem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme e domani, ha assicurato il presidente dei deputati di Forza Italia Elio Vito, la commissione Cultura delle Camera approverà l'istituzione del Museo nazionale della Shoah che avrà sede a Ferrara e sarà gestito da una apposita Fondazione. Intanto, la senatrice Verde Loredana De Petris rende noto di aver presentato un'interrogazione ai ministri dei Beni culturali e dell'Istruzione nella quale rilancia la proposta che sia il carcere Regina Coeli di Roma a diventare Museo nazionale della Shoah.

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DA - LA REPUBBLICA

Il 27 gennaio del '45 si aprivano i cancelli di Auschwitz
ecco i nuovi titoli per celebrare le vittime dell'Olocausto
Giornata della memoria
i libri per non dimenticare

di DARIO OLIVERO

VENTISETTE gennaio 1945: si aprono i cancelli di Auschwitz, ne escono i resti di un'umanità distrutta. Ventisette gennaio 2003: celebrazione della terza giornata della memoria. Quella che segue è una selezione delle novità editoriali sulla Shoah. Un elenco breve con la speranza che, come le cose brevi, sia facile da ricordare. Anzi aiuti a non dimenticare.

L'Olocausto visto dall'alto delle sale del potere e dalla meticolosa strategia dell'orrore è quello che si trova in

Hitler e l'Olocausto

(Rizzoli 16,50 euro) di Robert Wistrich. Un'analisi non solo delle origine dell'antisemitismo (e le responsabilità della Chiesa), ma anche le connivenze e la collaborazione delle popolazioni invase nelle deportazioni e la sottovalutazione dell'Olocausto, durante la guerra, degli Alleati.
Non c'è potere senza burocrazia e Adolf Eichmann fu il simbolo dello zelante organizzatore della soluzione finale con lo spirito che Hannah Arendt definì "la banalità del male". Einaudi manda in libreria

Elogio della disobbedienza

(19,50), la sceneggiatura con la videocassetta del film di Rony Brauman e Eyal Sivan sul gerarca nazista.

Un bambino ebreo che vive nel ghetto di Varsavia, resta orfano e insieme ad altri orfani riesce a superare la guerra. E'

Corri, bambino, corri

di Uri Orlev (Salani, 9,20).

Al di là del ponte

(Garzanti, 12 euro) di Regina Zimet-Levy è la lunga fuga di una bambina ebrea che vaga per sette anni dalla Germania all'Italia, dalla Libia alle montagne della Valtellina. Ma soprattutto un viaggio tra quelli che non si voltarono dall'altra parte. Un'altra storia sulla sopravvivenza è quella di Edith Hahn raccolta da Susan Dworkin.

La moglie dell'ufficiale nazista

(Garzanti, 7,50) è il racconto di come Edith, ebrea, riuscì a salvarsi dal massacro sposando un nazista.

L'Olocausto delle donne, ebree, zingare, antinaziste raccontato dalle sopravvissute è

Le donne di Ravensbruck

(Einaudi 11,80) di Lidia Beccaria Rolfi e Anna Maria Bruzzone basato sulle testimonianze delle poche supravvissute. Un diario incominciato quando l'autrice aveva 15 anni, nel '39, quattro anni prima che il ghetto di Varsavia venisse raso al suolo, e che attraversa tutti gli anni dell'Olocausto è

Il ghetto di Varsavia

di Mary Berg (Einaudi, 15). Un'altra strage dimenticata a opera dei nazisti fu quella che colpì moltissimi italiani dell'Italia meridionale durante la ritirata tedesca di fronte all'arrivo degli americani. La ricostruzione di questo massacro di civili è in

Terra bruciata, stragi naziste sul fronte meridionale

(Ancora del Mediterraneo, 28) a cura di Gabriella Gribaudi.

Fritz Tubach nel 1944 aveva 14 anni e stava per essere arruolato nella gioventù hitleriana in Germania. In quello stesso anno a Tab, in Ungheria, il dodicenne Bernat Rosner fu caricato su un treno e deportato ad Auschwitz. Anni dopo, in California, sono diventati amici parlando di quel passato che per entrambi, su fronti opposti, non può passare. Il libro che hanno scritto si intitola

Amici nonostante la guerra

(Feltrinelli, 13,50). In libreria anche il nuovo libro di Elena Loewenthal,

La colpa degli ebrei

(Bompiani, 6,20).

Da segnalare l'uscita in edicola del numero speciale dedicato alla memoria del settimanale Diario (5,50). Si intitola

Memoria:

200 pagine ricche di testimonianze, immagini riflessioni e un documento inedito: il racconto di Piera Sonnino, unica scampata ad Auschwitz della sua famiglia genovese. Scritto nel 1960, viene pubblicato su Diario per la prima volta. In regalo il libro La banalità del bene di Enrico Deaglio, la storia di Giorgio Perlasca, l'uomo che salvò dal massacro cinquemila ebrei fingendosi un funzionario dell'ambasciata spagnola a Budapest.

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DA - IL MANIFESTO.

Auschwitz, la mia vita nel lager


SANDRO PORTELLI


Il 27 gennaio è la «giornata della memoria», fissata nell'anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche. Per ricordarla, ho pensato di riascoltare una parte del racconto di una delle più importanti voci della memoria, Piero Terracina, deportato a quindici anni ad Auschwitz, dove è stata uccisa tutta la sua famiglia. Piero Terracina dedica gran parte della sua vita a raccontare questa vicenda nelle scuole, a Roma e non solo. Questa è una parte del racconto che fece a me in un'intervista del 1998. «Poi, alla fine del mese di giugno, cominciarono ad affluire ad Auschwitz i trasporti provenienti dall'Ungheria. Perché in Ungheria non c'era stata fino allora deportazione; del resto in Italia era cominciata nell'ottobre del `43, lì era cominciata nel `44, nel mese di giugno, perché fino ad allora avevano concentrato in ghetti. Quindi arrivavano i trasporti, si susseguivano, non so quanti in una giornata, certamente erano tanti. E allora il posto per quelli che dovevano entrare nel campo, doveva essere lasciato da quelli che stavano già dentro al campo. E allora c'erano le... le selezioni, principalmente la sera; qualche volta anche la mattina, prima di uscire per il lavoro, ma più che altro la sera al rientro dal lavoro. C'erano due sistemi. O tutti dentro la baracca, entrava dentro una squadra di, di SS - e prendeva, un po' a caso, un po' dando un'occhiata per vedere quelli che erano... che erano malati, che erano malfermi in salute, che erano più deperiti, più dimagriti. Alzavano la manica del braccio sinistro; prendevano nota del numero; dopo un po' rientravano nella baracca, chiamavano questi numeri, li portavano fuori, li chiudevano in un'altra baracca... e quando questa baracca poi si era riempita li facevano uscire in fila e li avviavano alle camere a gas. E, si sapeva. Altre volte invece, venivamo completamente denudati, fuori della baracca, e dovevamo passare quasi di corsa, o di corsa, davanti al medico che con il bastone con una velocità impressionante indicava chi andava da una parte e chi dall'altra. Più o meno era un cinquanta per cento che continuava a vivere, un cinquanta per cento che doveva andare a morire.

E queste selezioni quando arrivavano questi trasporti, si susseguivano continuamente; io credo di averne passate una ogni quindici giorni dalla fine di giugno fino... fino al mese di settembre. Quindi per tre mesi, è continuato questo stillicidio. E... mi ricordo che... quando uno l'aveva scampata... lì per lì forse uno magari se ne rallegrava; ma poi quando si rendeva conto che il proprio amico, il proprio vicino di giaciglio, o anche quelli che conosceva della baracca non c'erano più, beh insomma - lì subentrava una... direi un senso di colpa.

Piero Terracina aveva quindici anni quando venne deportato nel lager polacco in cui trovò la morte tutta la sua famiglia. Venne liberato dalle truppe sovietiche il 27 gennaio del 1945. Da allora, dedica gran parte della vita a raccontare la sua storia nelle scuole. Questa è la sua testimonianza

Equesto senso di colpa non è che è finito con la liberazione. Un senso di colpa che è durato per tanto tempo. Cioè, chi è andato a morire al posto mio? Si diceva che i crematori di Auschwitz...che avessero la possibilità di cremare circa diecimila persone al giorno. Però in quel periodo ne arrivavano di più. E allora non ce la facevano a smaltire questo...questo enorme quantitativo di corpi; di cadaveri. Allora ai margini del campo avevano aperto delle enormi fosse. Dalle camere a gas venivano portati coi camion, venivano ribaltati dentro queste fosse, e quando erano piene - gli davano fuoco. Già il... l'odore, il lezzo dei forni crematori, che era terribile. Poi queste fosse, lì, ripeto, ai margini del campo, alla distanza forse di duecento metri, non di più; con il vento che portava questo odore dentro al campo, che era una cosa terribile. E si vedeva, si vedeva il movimento, si vedeva scaricare i corpi, si vedeva tutto. Pensi che cosa significa vivere in un posto... dove si uccidono dieci o quindicimila persone al giorno. Fu cose terribili. Mi ricordo un... una cosa, in particolare, che a me m'ha colpito tanto. Noi nel campo di Auschwitz eravamo nel campo D, separato dagli altri campi A, B, C, E, dal filo spinato dove passava la corrente ad alta tensione. Nel campo E - un campo anomalo - vivevano delle famiglie complete. Cioè, c'erano bambini; c'erano uomini e donne che avevano conservato i loro capelli; che avevano conservato anche i loro abiti; era un campo pieno di animazione: era il campo degli zingari. Un campo pieno di animazione perché c'erano i bambini, i bambini che magari si rincorrevano, le mamme che li chiamavano, i panni stesi ad asciugare... Avevano conservato addirittura i loro strumenti quindi la sera facevano musica, a noi ci sembrava un'oasi felice perché lì c'era vita; da noi c'era soltanto morte. Una notte, era alla fine di luglio del 1944, sentimmo prima delle grida, delle SS che davano degli ordini; poi sentimmo tutto una confusione, un tramestio; e, sentivamo i bambini che piangevano perché erano stati svegliati nel pieno della notte. Sentivamo tanta, tanta confusione; poi all'improvviso silenzio. Quindi la mattina dopo la prima cosa che facemmo quando ci svegliammo, andammo a vedere che cosa era successo - e quel campo era deserto. Il campo era... era completamente deserto - c'era solo silenzio, un silenzio direi agghiacciante. Lì dove c'era tanta vita, tante cose... Bastò un'occhiata alle cose, alle ciminiere, per capire che durante la notte erano state mandate a morire ottomila persone. Perché tanti erano più o meno, gli zingari di quel campo. Racconto un altro episodio che m'è rimasto molto, molto impresso. Nel mese di ottobre ci fu una rivolta nel campo. Nel crematorio numero tre, un giorno ci fu una rivolta. Perché siccome periodicamente, più o meno ogni tre mesi, i prigionieri che lavoravano alle camere a gas, ai forni crematori, venivano a loro volta fatti entrare nelle camere a gas. Questi avevano capito che era giunto il loro, il loro turno. I Sonderkommando, così veniva chiamato il kommando dei forni crematori, delle camere a gas. E questi qui sapendo che era arrivato il loro momento, tra l'altro ricevendo anche un aiuto dall'esterno del campo, non so come, però era stato introdotto addirittura nel crematorio, dell'esplosivo, fecero saltare il crematorio numero tre. E presero delle armi ai tedeschi; credo che hanno resistito sì e no mezza giornata, non di più; e poi naturalmente sono stati uccisi tutti. Io mi ricordo, quando sono stato liberato, che è stato il 27 gennaio, sono stato liberato dalle truppe sovietiche; e mi ricordo che i soldati sovietici quando ci guardavano, avevano come un senso di ribrezzo. Non si avvicinavano. D'altra parte eravamo ridotti in condizioni tali che non eravamo più... non eravamo più persone. Io mi ricordo quando sono stato liberato, che i tedeschi ci avevano fatti uscire dal campo di Birkenau dove stavamo, ormai eravamo rimasti pochissimi, ci fecero uscire tutti, dissero se c'è qualcuno che non è in condizioni di camminare rimanga, si metta da una parte, proprio all'ingresso: mi ricordo, uscendo dal campo, sulla sinistra, e noi invece gli altri sulla destra. E, a un certo punto cominciarono questa colonna, di larve umane, cominciò a muoversi, tra cui ero io; fatto qualche centinaio di metri sentimmo delle scariche di mitra - quelli che erano rimasti da una parte, ai quali avevano detto che sarebbero...sarebbero passati i camion per prenderli, e invece... Comunque la nostra colonna cominciò a muoversi; stava annottando. Quindi io con altri miei compagni rimanemmo indietro, i tedeschi non erano molti che sorvegliavano la fila; e quindi rimanemmo indietro e gli altri continuarono a andare avanti. Il freddo era terribile, perché era gennaio, oltre tutto gennaio del `45 è stato un inverno tremendamente freddo. E quindi uscimmo, camminammo non so per quanto, a me sembrarono ore, probabilmente non erano ore, ma la fatica era tanta, con la neve, il freddo terribile, coperti male. Alla fine vedemmo delle sagome di costruzioni e decidemmo di entrare. E non era nient'altro che il campo di Auschwitz. Arrivammo a questo campo di Auschwitz che dista tre chilometri da Birkenau; ma, io non so, a me è sembrato di aver camminato per diverse ore. Probabilmente o camminavamo in tondo, oppure la fatica era tale che quello che normalmente si poteva fare forse in mezz'ora, tre quarti d'ora, ci abbiamo messo delle ore per farlo. Comunque entrammo lì, i tedeschi non c'erano, il campo era, anche lì era disseminato di corpi, di quelli che erano...che erano morti. E, ricordo una mattina, nella tarda mattinata, aprii la porta della baracca, per andare a raccogliere un po' di neve da sciogliere, da poter bere. Vidi una figura di un soldato; era completamente vestito di bianco: aveva un mantello bianco o una coperta per mimetizzarsi con la neve. Sentì aprire la porta, istintivamente tirò fuori il mitra da sotto questo mantello e però si rese conto subito che... non potevo nuocergli, mi fece cenno con la mano di rientrare. Perché evidentemente era pericoloso, c'erano ancora i tedeschi, si sentivano i colpi di fucile in lontananza, si sentivano i colpi di cannone. Quindi mi fece rientrare e comunicai ai miei compagni che erano arrivati i russi. Si può pensare che chissà quali scene di giubilo. Niente, assolutamente niente. Niente; un silenzio totale. Mi ricordo che c'era uno che aveva preso dell'acqua, della neve che aveva sciolto, e stava facendo dell'abluzioni; quando glielo dissi continuò senza dire neanche una parola. E così tutti gli altri. Poi qualcuno cominciò a pregare, qualcuno cominciò a piangere, ma nessuna scena di giubilo, nessuna scena d'entusiasmo. Poi ho rivisto dei filmati colla liberazione di Auschwitz dove si vedono i prigionieri festanti, i russi che tagliano la catena che chiudeva il cancello del campo: è stato girato una settimana dopo, e io ho visto tutto da lontano. Perché in quel momento non c'è stata assolutamente nessuna scena di entusiasmo, niente.

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DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Olocausto, il dovere di ricordare

Shoah, Olocausto, genocidio. Tre parole terribili che conservano il senso dell'indicibile tragedia degli ebrei d'Europa. Spazzati via durante la Seconda guerra mondiale dalla agghiacciante volontà nazista di «fare piazza pulita», una volta per tutte dell'«odiosa razza ebraica». Un progetto folle ma spaventosamente lucido e ben organizzato. Che ha portato nelle camere a gas sei milioni di esseri umani: uomini, donne, bambini. «Colpevoli» di essere quello che erano: ebrei. Il 27 gennaio, data in cui i sovietici liberarono il campo di concentramento di Auschwitz (l'odierna Oswiecim, in Polonia), è da tre anni il Giorno della Memoria. Una giornata dedicata al ricordo di quello che fu «perché non accada mai più»: il massacro di un popolo intero (cui dobbiamo aggiungere gli zingari, gli omosessuali, gli handicappati, gli oppositori politici che i nazisti eliminarono a migliaia nei lager).

INIZIATIVE - Ecco dunque che in tutta Italia, manifestazioni, mostre, dibattiti, opere teatrali, proiezioni di film e documentari si moltiplicano. Per dar modo alle giovani generazioni di conoscere quello che è stato. Di capire e, se possibile, assimilare l'imperativo «mai più». Un risultato possibile? «Sì - risponde il professor Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane - le iniziative collegate al Giorno della Memoria sono ogni anno di più. E' una cosa positiva, senza alcun dubbio. Soprattutto in un momento storico come il nostro, con antichi fantasmi che sembrano emegere dalle parti più oscure della storia: l'antisemitismo, per esempio, tutt'altro che domo o sconfitto per sempre».

IMPEGNO - Gli fa eco Tullia Zevi, una delle personalità più conosciute dell'ebraismo italiano: «È importante aver istituito il Giorno della memoria e constatare la serietà e l'impegno con cui viene commemorato anche il Italia l'eccidio di milioni di esseri umani - uomini, donne, vecchi e bambini - eccidio che il nazismo ideò e attuò sotto l'infame eufemismo di "soluzione finale del problema ebraico"». E ancora: «Ricordare non significa rivangare masochisticamente gli errori e gli orrori del passato, ma compiere l'austero dovere di ammonire che è necessario vigilare perché non abbiano a ripetersi, se pur con dimensioni e obbiettivi diversi». E aggiunge: «A chi parla di storicizzazione, di necessario distacco vorrei replicare che occorre evitare ambigui revisionismi, imparare a collegare la memoria storica con il presente, rifuggire da ogni forma di integralismo e di estremismo, operare per una societá che sia la "casa comune" di tutti, autenticamente laica, pluralista e tollerante». E Zevi conclude ricordando come, neppure nelle ore più oscure, si siano inariditi «i semi della fratellanza e della solidarietà».

Paolo Salom

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DA - IL MESSAGGERO

Migliaia in corteo
in tutto il Paese
per non dimenticare

EVENTO-clou della Giornata della Memoria sarà la mostra dedicata a Giorgio Perlasca Il silenzio del giusto che sarà inaugurata a Carpi di Modena dal presidente della Camera Pier Ferdinando Casini. Il segretario dei Ds Piero Fassino incontrerà alle 9.30 alla Sinagoga il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Il presidente della Margherita Francesco Rutelli andrà alle 10.30 alla stazione Tiburtina da dove partirono i vagoni dei deportati per Auschwitz.
Al Parco della Musica, il sindaco di Roma Walter Veltroni, il presidente della Rai Antonio Baldassarre e i presidenti delle comunità ebraiche italiana Amos Luzzatto e romana Leone Paserman assisteranno alla proiezione del film "Perlasca, un eroe italiano" con tremila studenti.
Cortei in tutta Italia. A Milano partenza dai bastioni di Porta Venezia e conclusione a Piazza Duomo con un intervento del segretario della Uil Luigi Angeletti.

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DA - IL MESSAGGERO

Fini incerto
all’Auditorium

IL posto per Gianfranco Fini è riservato in prima fila all’Auditorium di Roma per la Giornata della Memoria. Ma non è sicuro che il vicepremier di Alleanza nazionale presenzierà questa mattina alla proiezione del film su Perlasca, riservata a tremila studenti romani, anche se l’appuntamento sarebbe occasione per l’ennesimo avvicinamento alla Comunità ebraica. In realtà, da quando è ricominciata l’Intifada in Israele, i passi di Fini si sono intrecciati più volte con quelli degli ebrei italiani, che però coltivano ancora una serie di diffidenze nei confronti del «passato fascista che non passa» all’interno di Alleanza nazionale. Ma i contatti si intensificano. E sarà proprio per diradare ogni tipo di sospetto che il ministro delle Comunicazioni di An, Maurizio Gasparri, ha sollecitato un particolare impegno per la giornata della Memoria. Impegno testimoniato anche dal forzista Antonio Tajani, che oggi sarà ricevuto in Sinagoga, e che è stato riconosciuto preventivamente dal consigliere della Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, il quale, d’altronde, ha dichiarato che dovesse scegliere tra il voto a Rifondazione comunista e il voto ad An, sceglierebbe «senza dubbio il partito di Fini».
Insomma, a ben vedere, nel giorno della Memoria 2003, gli ebrei italiani sembrano ormai avere più problemi con l’estrema sinistra che con i postfascisti. E più che chiedere conto alla destra delle persecuzioni del passato, si preoccupano di quello che chiamano «nuovo antisemitismo» e che ravvisano nelle critiche indiscriminate dell’estrema sinistra ad Israele, non solo al governo Sharon, della cui politica, comunque, spesso vengono ritenuti corresponsabili tutti gli ebrei. Qui nascono le incomprensioni e le diffidenze. Che oggi tenteranno di dissipare Piero Fassino e Francesco Rutelli. Il segretario ds stamattina incontrerà il rabbino capo di Roma, Di Segni, alla Sinagoga. E il presidente della Margherita andrà alla stazione Tiburtina, da dove partirono i vagoni piombati per Auschwitz con 2091 ebrei romani.