DA - LIBERAZIONE - Il direttore di Liberazione Alessandro Curzi: con Pintor cinquant'anni insieme, eri un modello Scrive Sandro Curzi, direttore di Liberazione, nel
giorno della morte di Luigi Pintor: "Cari compagni
del Manifesto siamo con voi in questa triste giornata, ma
vogliamo approfittare della vostra cortesia anche per
salutare Luigi". |
da - la repubblica Intellettuale,
giornalista e scrittore, fu uno ROMA - E' morto oggi, nella sua casa di Roma,
Luigi Pintor. Era nato a Roma il 18 settembre 1925,
soffriva di un male incurabile del quale si era accorto
un mese fa. Pintor, intellettuale eternamente critico con
la "sua" sinistra, giornalista, fondatore e
animatore del "Manifesto", era stato anche
deputato, aveva 78 anni. Fino all'ultimo lo ha assistito
la moglie Isabella. Nel comitato centrale del Pci del 5 giugno del 1965,
si registrò un fatto clamoroso al momento del voto:
quattro componenti, tra cui Luigi Pintor, votarono contro
la relazione che a nome della segreteria svolse Paolo
Bufalini. La lotta tra la destra e la sinistra del
partito si fece più aspra, mentre si manifestò per la
prima volta in modo esplicito il dissenso. |
DA - IL CORRIERE DELLA SERA Pintor, il cordoglio del mondo politico Profondo il cordoglio in tutta la sinistra per la scomparsa di Luigi Pintor. Piero Fassino, segretario Ds, ha detto: «Ricorderemo sempre la lucidità intellettuale, il rigore morale, la passione orgogliosa che ne hanno fatto un'ascoltata e autorevole coscienza critica della sinistra e un grande giornalista italiano». Un vecchio leader comunista come Armando Cossutta parla di Pintor come «combattente strenuo per la causa del socialismo, profondamente convinto delle sue idee e coerentemente fedele ad esse per tutta la sua vita»; gli fa eco il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto: «Siamo addolorati per la scomparsa di una grande figura della sinistra, un esempio di coerenza e tenacia nelle lotte per la libertà e i diritti». Ancora dai Ds la voce del capogruppo al Senato, Gavino Angius: «Scompare una delle voci storiche che, dal dopoguerra ad oggi, ha animato il dibattito a sinistra. Le sue riflessioni, le sue osservazioni "scomode", mai banali, hanno fatto da pungolo e da stimolo anche per chi, proveniendo dalla stessa famiglia politica, aveva fatto una scelta e un percorso diversi. Un editoriale di Pintor andava sempre e comunque letto». Il portavoce del "correntone", Vincenzo Vita, parla di «una notizia terribile. Pintor ha detto e scritto cose indimenticabili. La sua morte fa venir meno una delle grandi intelligenze italiane». 17 maggio 2003 |
da - il corriere della sera Aveva 78 anni, era malato da tempo E' morto a Roma il giornalista Luigi Pintor Editorialista de «Il Manifesto» di cui fu fondatore nel 1969, dopo la radiazione dal Pci. Rimase alla direzione fino al 1990 ROMA - Luigi Pintor, editorialista de «Il Manifesto» di cui fu fondatore dopo la radiazione dal Pci nel 1969, è morto oggi nella sua casa romana nel quartiere Trieste, assistito dalla moglie Isabella. Pintor, 78 anni, era stato colpito da un
grave male un mese fa. L'ultimo suo articolo era apparso
sul giornale che aveva a luungo anche diretto una ventina
di giorni fa. 17 maggio 2003 |
DA - L'UNITA' Se n'è andato Luigi
Pintor. Una vita per rendere più libera la sinistra È morto oggi a Roma Luigi Pintor. Il giornalista
aveva 78 anni ed era ammalato da tempo. Il collettivo
redazionale de "Il Manifesto" dà appuntamento
«a tutti quelli che vogliono ricordarlo» lunedì alle
18 in piazza Farnese a Roma E siamo ad un'altra data storica nella vita del Pci. Il 25 novembre 1969 Alessandro Natta propose al comitato centrale comunista la radiazione dal Pci dei redattori del Manifesto appartenenti al comitato centrale: Luigi Pintor, Aldo Natoli, Rossana Rossanda. La radiazione venne decisa con 6 voti contrari e 3 astensioni. Pochi giorni dopo, il 2 dicembre, venne radiato dalla federazione di Napoli l'onorevole Massimo Caprara, segretario particolare di Palmiro Togliatti dal 1944 fino alla morte del segretario comunista. La rivista Il Manifesto era nata poco tempo prima per dare voce politica e culturale al dissenso all'interno del partito. Poco tempo dopo dalla radiazione, Il Manifesto si costituì come gruppo parlamentare a cui aderirono, oltre a Natoli e Pintor, anche Caprara, Liberato Bronzuto ed Eliseo Milani. Da allora Luigi Pintor divenne forse l'intellettuale più in vista della nuova sinistra, che seppe incontrare anche le nuove istanze giovanili provenienti dal movimento del '68. C'è poi un'altra data importante nella biografia di Pintor: il 28 aprile 1971, giorno in cui Il Manifesto arrivò per la prima volta in edicola nelle vesti di quotidiano. Era un progetto a cui Pintor e Rossanda, in testa, avevano lavorato alacremente per quasi due anni, per dare forma politica e culturale ad una voce «a sinistra» del Pci, capace di coniugare avanguardia e tradizione dei valori del movimento operaio. Primo direttore del quotidiano fu proprio Pintor, che nell'arco di una storia trentennale ha ricoperto più volte questo incarico, alternandosi alla guida con altre firme storiche del gruppo dei fondatori. |
DA - L'UNITA' Quella «giusta»
superbia, quella «giusta» tenacia Leggendo della morte di Luigi Pintor, accanto alla commozione per la scomparsa di uno di noi, di uno che ha lavorato allUnità quasi ventanni (fino al 1965), verrebbe la curiosità di sapere come ne avrebbe scritto lui. Non in un libro, perchè nei suoi libri, brevi rapidi, densi, la morte compare sempre, ma con il gusto di sviare attraverso "terze persone" la sensazione di unautobiografia, nellultimo in particolare, appena pubblicato, un testamento, un addio, unestrema riflessione rivolta a se stesso oltre che ai suoi lettori e/o amici, dopo che «il medico curante mi ha detto che ho pochi mesi di vita» (proprio questo linizio del racconto). Verrebbe la curiosità di sapere come ne avrebbe scritto invece in uno di quei fondi, di quegli articoli che una infinità di volte hanno "aperto" la prima pagina del Manifesto, poche righe sempre, per svelare il retroscena, il pregiudizio, linganno di tante storie e per ricostruire e sommare piccoli indizi di verità, con ironia e sarcasmo e lamarezza in sottotono. In una pagina di Servabo, il primo quasi romanzo nella sua carriera di particolarissimo narratore, memoria del fratello Giaime (morto ventiquattrenne nellesplosione di una mina, mentre tentava di attraversare la linea di guerra, per organizzare la Resistenza nel Lazio), raccomandava: «Abbondare nei particolari, visto che linsieme è inafferrabile...». Non è facile, perchè suggerire non un qualsiasi particolare, ma i particolari che contano, gli indizi di verità, pretende attenzione, osservazione, pazienza e modestia, raffinatezza e inventiva. Lo sguardo giusto che è il contrario della banalità, la banalità che ha il vezzo dei sistemi astratti e delle frasi comuni. Luigi Pintor avrebbe risolto il nostro imbarazzo. Avrebbe detto di sè qualcosa di meglio del nostro, banale appunto, "grande giornalista", oppure «grande giornalista comunista», forse citando una cronaca, un episodio, un pensiero, usando unimmagine, cogliendo una voce. Faccio un esempio, approfittando appunto di uno dei suoi fondi, dove ovviamente non parla di sè ma di uno dei più "scandalosi" eventi di questo millennio, lattentato alle torri gemelle: «Ho sentito un telespettatore mormorare, mentre guardava Manhattan bruciare e crollare quelle torri e un grande viale carico di macerie: sembra Beirut». Un video acceso, il film che corre, lo stupore dello spettatore e quella parola in fondo: Beirut. Il "grande paese" consegnato a un universo di rovine, di morti quotidiane, di lutti senza fine, che è il mondo in cui viviamo. Non poteva scegliere "parola" più efficace di Beirut per risalire dal "particolare" alla condizione comune, al male che arriva ovunque, che non risparmia nessuno: «E adesso scopriamo che non ci sono nè confini nè isole». A caso torno molto indietro negli anni, a un articolo
che si intitola "Bottiglie", datato 1 novembre
1972. Riferisce alcune statistiche a proposito di
incidenti sul lavoro: ogni giorno dodici operai muoiono
sul lavoro. Si chiede: «Ma se ogni giorno dodici operai
muoiono sul lavoro, comè che non se ne ha notizia
ogni giorno? Questo è il particolare più interessante
di tutti. Non sono solo i "grandi numeri", il
bilancio annuale del macello industriale a lasciare
indifferenti (come il tonnellaggio delle bombe Usa in
Vietnam). È anche la morte quotidiana. Qualche volta
filtra, ma in generale non se ne sa niente: la morte
fisica di un operaio fa meno notizia, sui giornali, di un
alterco in una osteria, i suoi resti finiscono come una
bottiglia vuota nel secchio della spazzatura. Il giornale
di Agnelli, poi, non dà neanche le statistiche...». La
"parola" in questo caso è
"spazzatura", un corpo offeso, ferito,
spezzato. Le sconfitte di una classe si traducono nel
volo della bottiglia. Pintor era rimasto comunista, osservando la fine del
comunismo, il crollo del muro di Berlino, la
ristrutturazione del mondo allombra della potenza
unica, le infinite guerre dopo la pace di
cinquantanni fa, quella che pose fine al fascismo e
al nazismo. Per capire qualcosa del suo comunismo
bisognerebbe probabilmente ripensare a quegli anni di
guerra: «Tutto quello che io so, per poco che sia,
lho imparato in quei due o tre anni...». Lo
scrive, in un altro "fondo" sul Manifesto, nel
1999. Aveva visto in tv un documentario
sullinvasione nazista dellUnione Sovietica e
sulla tragedia del corpo di spedizione italiano sul Don e
lo racconta: «Tutto era perduto in quei giorni ed anni,
le democrazie europee erano crollate sul campo come carta
pesta, le armate corazzate del terzo Reich e le croci
uncinate dilagavano sul continenete e oltre senza colpo
ferire, il fascismo e il terrore non conoscevano più
ostacoli... Meno uno, il solo al di qua
dellAtlantico e dei mari del del nord e del
Sud...». LUnione Sovietica di Stalin, di cui
qualche anno più tardi un esponente del governo
dallora, nel Parlamento italiano, dirà: «...di
certo è stato un uomo su cui Dio ha impresso la sua
impronta...». Era un modo, tra il paradosso e la
provocazione, per cercare «metafisica a parte» (si
chiedeva Pintor, metafisica a parte: come saranno usciti
dalle acciaierie oltre gli Urali quei cannoni e quei
carri pesanti capaci di respingere e di frantumare la
macchina da guerra tedesca?) le ragioni di una storia che
si chiamava comunismo o comunismi, Lenin e Stalin e tante
altre cose insieme molto più vicine a noi, riconoscendo
almeno il dubbio tra le presunte "certezze" di
chi vince: «Totalitarismo e democrazia sono due parole
senza qualità. Avrebbero bisogno di molti aggettivi per
lappunto qualificativi. Un dispotismo può essere
illuminato e una democrazia putrefatta e non è semplice
districarsi tra queste antinomie...». Questa è una
svelta lezione per gli ex, gli anti e i postcomunisti
doggi, un aforisma, di Giano, il vecchio Giano
centenario, che osserva il mondo da sotto il Nespolo.
Siamo arrivati a uno dei libri di Pintor, quello che
forse più apertamente si propone, appunto, come
osservazione della vita, delle sue cose, lasciando i
pensieri correre liberi «come nuvole oltre il
fogliame», senza vincoli di trame. Altro ancora si dovrebbe dire dellultimo libro, i Luoghi del delitto, che, come si diceva allinizio, è il più aperto e dichiarato confronto con la morte. Più che con la morte, con la fine della vita, perchè è sempre lì, a ritroso, che si guarda, a una umanità colpita dai «delitti non commessi ma non impediti». Proprio ne I luoghi del delitto, Pintor confessa: «Diventare un idiota era la mia aspirazione di adolescente, che per i greci voleva dire stare in disparte con innocenza. Se proprio dovevo crescere mi sembrava il miglior modo. Invece uno stupido si impiccia di tutto senza capire nulla e mio malgrado ho preso questa strada». Che non sarebbe poi una strada troppo gloriosa, perchè lo spiega Pintor stesso ancora nel Nespolo, regalandoci per assurdo e per autoironia la sintesi dei suoi mestieri, giornalista e scrittore: «Per scrivere un libro nel terzo millennio ci vuole una smisurata superbia. Basta entrare in una biblioteca comunale e guardare le vetrine di un cartolaio per capire che il mondo non ha bisogno di un volume in più... Per scrivere sui giornali basta invece unottusa tenacia. Se un professionista scrive di media tre fogli a macchina due volte la settimana per cinquantanni (media bassa) fanno quindicimila pagine stampate, pari a trenta volumi di cinquecento pagine, una enciclopedia che richiede uno stipo tutto per sè, unopera monumentale di cartapesta». Dove finiranno tutte quelle pagine? |