interviste 40 anni di cinema, 188 film e tanti
progetti "da farvi impallidire" (GRTV) Sempre più amato. Sempre più premiato.
Sempre più festeggiato. In occasione dei suoi 76 anni,
una festa a sorpresa gli è stata regalata dai suoi fan
romani riuniti nel club "I vitelloni", stesso
nome di un suo celebre film diretto da Federico Fellini.
Alberto Sordi, da qualche anno, è diventato tra gli
attori più premiati del cinema italiano, ulteriori
riconoscimenti a lui che ha saputo incarnare e spesso
anticipare personaggi emblema della nostra società.
Riconoscimenti venuti anche dall'estero, ricordiamo la
Legion d'onore ricevuta a Cannes nel 1993. Io continuo a chiamarla "maestro" come hanno fatto in questi giorni i miei colleghi. La sua è una carriera ricca di premi, di riconoscimenti e di tributi sia da parte della critica che del pubblico. Finora però le hanno sempre assegnato dei premi come interprete, questo di Assisi invece, vuole essere un omaggio alla sua attività di autore. Per lei ha un significato particolare? In realtà sono nato come autore, perché agli inizi della mia carriera ero io stesso a fare delle proposte. Non per essere modesto, ma io conoscevo e conosco i limiti delle mie possibilità, perciò non nasco come attore, non ho fatto accademia o scuola di recitazione; ho intrapreso la carriera facendo musical, varietà, rivista, forme di spettacolo che non richiedevano particolari virtuosismi, una voce perfetta, un parlare da attore ecc. Potevo somigliare alla gente, difatti il mio virtuosismo è proprio quello di parlare come la gente comune, e quando il cinema si è accorto di me, quando con i due film di Federico Fellini "Lo sceicco bianco" e "I vitelloni" è iniziata questa mia carriera, intendevo realizzare un programma ben preciso. E questo è stato possibile visto che nel corso di 40 anni di attività e 188 film, sono riuscito a proporre al pubblico un costume italiano che si evolveva rapidamente con film che rispecchiavano la realtà del momento. Sono andato al passo con l'evoluzione del costume, ma anche con la mia età: ho fatto il giovane, ho fatto i figli, poi i fidanzati, i mariti, i padri e adesso, dopo 40 anni, se San Francesco mi aiuta posso ancora continuare. Sono ad Assisi per questa rassegna di film che mi hanno dedicato e ringrazio coloro che mi hanno offerto la possibilità di essere presente ricevendo sia dal pubblico, sia dagli addetti ai lavori, uomini di cultura, critici, scrittori, manifestazioni di simpatia, di approvazione e di affetto. Sono gratificato, commosso e lusingato perché per un artista il consenso è il miglior premio che si possa avere. Lei diceva che ha saputo interpretare il costume italiano, dopo l'ultimo film "Nestore", in cui ha evidenziato l'indifferenza della società nei confronti delle persone della terza età nonostante siano la realtà del futuro, cosa pensa di rappresentare più avanti? Ai signori che mi hanno insignito del Leone d'Oro a
Venezia per la carriera, ho detto che chiudevo questa
carriera, ma ne aprivo un'altra, una nuova, perché ho
una serie di vecchi da rappresentare da farvi impallidire
tutti. Perciò "Nestore l'ultima corsa" è il
primo, diciamo così, di questi vecchi con cui ho
affrontato un problema molto importante e grave. In
Italia purtroppo il vecchio è considerato un peso morto,
un uomo che non produce più, che non segue il ritmo
della vita consumistica di oggi, per cui si invita il
vecchio ad andare all'ospizio. Io da qualche anno
frequento questi ospizi e sento il rammarico degli
anziani rinchiusi lì mentre hanno tutta la voglia, le
energie ed il bisogno di stare a casa loro insieme ai
figli e ai nipotini. Per questo ho rappresentato il
vecchio di umili condizioni, cioè un vetturino delle
carrozzelle romane, che portando a spasso i turisti per
la città, per tutta la vita ha dato il suo contributo
alla società e poi, purtroppo, a 80 anni deve ritirarsi
per andare in una casa di riposo. Per il suo cavallo,
questo fedele, devoto amico, non c'è la casa di riposo,
ma il mattatoio. Il film racconta la storia di questo
vecchio che per salvare la vita al suo cavallo
intraprende una serie di peripezie in questa bellissima
ma caotica città dove non c'è certo posto per il
cavallo. Sono riuscito, con mia grande soddisfazione, a
sensibilizzare l'opinione pubblica e soprattutto i
giovani a questo grave problema; quindi consiglio loro di
tenersi i nonni a casa e di contribuire (questo l'ha
fatto anche il sindaco di Roma Rutelli, e spero anche gli
altri) trovando un appezzamento di terra per quei cavalli
che devotamente hanno servito l'uomo, per finire i loro
giorni non in un mattatoio, ma in questo spazio a loro
riservato per chiudere in bellezza, lieti e felici di
avere la gratitudine degli uomini che hanno servito. Tra i suoi numerosissimi film, lei ha interpretato spesso anche personaggi di italiani all'estero nelle varie sfaccettature. Se dovesse oggi interpretare un italiano all'estero, con quali tratti lo dipingerebbe? Di film sull'italiano all'estero ne ho fatti diversi,
come "Un italiano in America" con De Sica, che
racconta la storia di un emigrante che crede di
incontrare il padre dopo 30 anni. L'incontro avviene, ma
scopre una realtà non molto lieta. Poi c'è stato
"Bello, onesto, emigrato in Australia", con la
Cardinale, e "Fumo di Londra", la storia di uno
snob, piccolo antiquario di Perugia che va a Londra alla
conquista di questo grande Paese. Ho sempre messo in
queste interpretazioni un calore particolare, forse
perché entrando nella parte ho potuto vivere, e questo
è certo uno degli aspetti più interessanti del mestiere
di attore, le loro emozioni, la nostalgia, l'amore per il
nostro Paese. Negli ultimi due anni, in particolare, non c'è occasione legata al cinema in cui non viene assegnato un premio al grande Alberto Sordi. Cosa dire per ringraziare di questo affetto che Assisi, Venezia, Roma e tutta l'Italia Le sta dimostrando? Innanzitutto un interminabile grazie a coloro che mi hanno manifestato stima, simpatia, gratitudine. Io mi prendo questo premio e dò l'appuntamento tra una quarantina di anni, con un altro film e un altro premio... Sempre con l'aiuto e la grazia di San Francesco. Giovanna Chiarilli/GRTV ------------------------------------- ALBERTO SORDI E CINECITTA Quando ero un ragazzino, come tutta Roma affamata, venivo a Cinecittà a fare la comparsa. Ci facevano entrare dallingresso secondario degli stabilimenti. Il capo comparse ci divideva per ruoli: "Gallo romano gallo romano gallo romano ". Ai tempi di Tre ragazze cercano marito, mentre si girava, il suono della sirena dallarme paralizzava Cinecittà: dovevamo scappare tutti ai rifugi per salvarci dai bombardamenti. Spesso qualcuno del partito fascista sinfiltrava a Cinecittà per cercare di mettere le mani su quelli che si arrangiavano facendo la borsa nera. Quando si girava Scipione lAfricano, e io facevo la comparsa, gli edifici di Cinecittà erano incompleti: di alcuni cerano solo le fondamenta. Ricordo le visite di Mussolini. Allepoca del presidente Marconi si facevano molte feste, e quello fu un periodo molto divertente. Cinecittà era la mèta. Dopo la guerra Cinecittà era tutta da ricostruire e il neorealismo nacque per necessità: cera la misera, non cera più niente. Ai cineasti non restava altro che fare il cinema per la strada In quei tempi tutto si faceva sul piano artigianale e le tecniche erano ancora quelle dei pionieri. Negli anni Cinquanta, con larrivo degli americani ci fu la trasformazione, un cambiamento necessario per poter fronteggiare le nuove esigenze di spettacolo. Era cambiata Cinecittà, ma era cambiato soprattutto il cinema. Parlo della maniera di farlo e non soltanto dei contenuti. Cinecittà, grazie anche alla bravura dei nostri tecnici, che sono sempre stati i migliori del mondo, era lunico centro di produzione in Europa che offrisse un ciclo di lavoro completo. Il regista entrava negli studi con tante idee in testa ed usciva con le pizze di celluloide sotto il braccio, con il film pronto per la proiezione. Gli americani ci avevano insegnato tante cose, ma i nostri registi e tecnici, quanto ad inventiva, sono stati in grado di insegnare moltissimo ai colleghi di oltreoceano. Non cera un buco vuoto a Cinecittà, e quasi sempre il regista, prima di andarsene, prenotava lo studio per il suo prossimo film. Intervista a cura di Demetrio Soare ------------------------------- |