Economia. Il fiato corto del neo-keynesismo
di Michele Bagella

Il quadro macroeconomico internazionale sembra ogni giorno più complesso. Le aspettative dei mercati, ma non solo di quelli, sembrano in questo momento sensibili a differenti motivi di instabilità che, sommati insieme, rendono le prospettive complessive di ripresa per l'anno prossimo piuttosto problematiche. Indonesia e Russia hanno subito e continuano a subire gli effetti di tensioni politiche molto forti al loro interno, mentre le prospettive di pace in medio oriente e in Irak non appaiono per niente migliorate. L'America Latina è anch'essa sotto forti pressioni sociali che tendono ad estendersi all'intero subcontinente rendendo altrettanto dubbie le possibilità di recuperi significativi di crescita a breve scadenza. L' Europa a sua volta soffre di un ciclo economico sfavorevole e mostra segni di insofferenza alle regole del
Patto di Stabilità. Gli Usa infine non mostrano segni di inversione positiva nella fiducia dei consumatori che è il carburante senza il quale la macchina della economia non riparte, in presenza tra l'altro di una crisi giapponese che permane.

In generale l' economia mondiale nel 2002 continua ad essere sottoposta a shocks esterni più o meno grandi e sembra prevalere in essa un senso di paura e di incertezza che si estende a tutti i continenti. Pesano sulle decisioni di investimento nei paesi avanzati i timori innescati dagli atti di terrorismo e delle prospettive di guerra, mentre nei paesi latinoamericani il timore di rivolte sociali spinge le classi medie a compromessi politici, nella speranza che governi come quello di Lula in Brasile riescano a ridurre la povertà e a ricreare un clima di sicurezza. Il cocktail che ne deriva sul piano globale non promette niente di buono per il 2003. Un tale scenario dal punto di vista della politica economica sembra che stia attenuando la convinzione che le politiche neo liberistiche siano in grado di fare fronte ai rallentamenti congiunturali o alle arretratezze strutturali. In Europa si tendono a spostare in avanti gli obiettivi di risanamento dei bilanci pubblici a favore di deficit rispetto al Pil più elevati, in Usa si fa affidamento sull'effetto stabilizzante della spesa militare mentre in America Latina si ritorna a pensare che lo stato tutto sommato è meglio che il privato e ci si propone di ritornare alle nazionalizzazioni.

Dopo un decennio di bando assoluto, sembrano così recuperare spazio in grandi aree e paesi le politiche vetero keynesiane, e cioè quelle politiche che hanno prevalso negli anni '80 e che non hanno dato risultati né in termini di sviluppo né in termini di equità sociale, specie nei paesi del sud America.. Le politiche neoliberistiche sono "neo"in quanto hanno fatto propri alcuni precetti delle politiche neokeynesiane, sostenute dal premio nobel
Joseph Stiglitz, che hanno avuto il merito di sottolineare che non è seguendo la formula più stato e meno mercato che si aiuta l' economia. Al contrario esse hanno sposato la tesi che più informazione, più accesso e più partecipazione sono gli obiettivi reali verso i quali bisogna orientare le scelte del bilancio pubblico non indirizzandole verso deficit monetari che non hanno mai favorito il benessere della collettività specie se ripetuti. E' a questa impostazione che si deve il suggerimento di dare vita a migliori istituzioni, in grado di rafforzare il mercato al fine di ridurre gli squilibri esistenti. La povertà in America Latina come in Asia e Africa non è diminuita, anzi, in molti paesi è aumentata. Il cuore del problema è lì, e non ammette scorciatoie stataliste, visto che chi ci ha provato, come il Venezuela per citare il caso più attuale, è scivolato per l' ennesima volta nell'inflazione e nelle manifestazioni di piazza.

Nei precetti delle impostazioni "neo", più concorrenza e più istituzioni amiche del mercato, sta la chiave per affrontare i gravi problemi che affliggono le aree deboli. La povertà e la sottoalimentazione richiedono interventi di riallocazione dei fondi pubblici a loro favore e non deficit, secondo una agenda di riforme da avviare che forse il
FMI avrebbe potuto sostenere nell'ambito della sua capacità di porre condizioni per l'erogazione di crediti. L'Europa sta vivendo una fase di rallentamento produttivo e occupazionale. Anche in questo caso più che di riforme da realizzare si parla di obiettivi del Patto di stabilità da rinviare. Ciò che i responsabili dei governi dovrebbero mettere in conto è che se ciò accadrà, a fronte di qualche beneficio congiunturale, vi sarà un costo strutturale non banale da considerare, e cioè la perdita di credibilità degli accordi a sostegno dell' euro.

6 novembre 2002   tratto da www.enel.it