Un
libro è un libro, una bomba è una bomba
lanfranco caminiti
www.lanfranco.org
Così, al libro è toccato in
sorte anche questo: d'essere portatore di
bombe. D'essere acconciato a cavallo di Troia della
morte. A Milano,
Roma, Barcellona, tre pacchi, forse cinque, contenenti
libri pronti a
esplodere sono stati spediti a indirizzi spagnoli e non.
Per caso, uno
solo è scoppiato senza gran danno. Non so, non so se chi
ha confezionato
quei libri-bomba volesse uccidere: i tecnici dicono che
poteva accadere,
ma i tecnici non dicono mai cose precise, non sono lì
per quello.
Così, al libro è toccato in sorte anche questo: non
bastava fosse via
via messo all'indice e distrutto o inzeppato di freghi e
cancellature e
privato di sue parti sotto l'occhiuto giudizio di censure
totalitarie o
bruciato per le degenerazioni che avrebbe potuto indurre
in questa o
quella fede.
O giudicato ormai morto,
compresso in bit senza odore e di
insopportabile leggerezza. Gli è toccato ospitare la
morte. Non quella
evocata, narrata, immaginata in personaggi da trame
sottili o complicate
come le nostre vite, ma quella propria: una linguetta,
uno strappo, un
innesco, un'esplosione, brandelli di carne, sangue.
Certo, un libro può essere usato come una bomba.
"La giornata di Ivan
Denisovic" di Solgenitzin fu temuto come
un'esplosione, l'apertura d'un
varco in una cortina impenetrabile di silenzi e
complicità: per anni
gente qualunque se lo passava di mano in mano con
attenzione, cura, comefosse nitroglicerina altamente
instabile, lo nascondeva come un'arma
impropria e devastante.
Certo, un libro può essere considerato come una bomba:
gli imam sparsi
per il mondo considerano in questo modo "I
versi" di Salman Rushdie,
blasfemi, provocatori, dissacranti: la "sharia"
ha condannato a morte
l'autore, proprio per quel che v'è scritto.
E, certo, chiunque ama i libri o solo li sfoglia
controvoglia dovrebbe
aspettarsi proprio questo: una miccia per sogni e
desideri, un
detonatore di passioni, una miscela combustiva delle
nostre pigrizie
capace di farci ardere di virtù.
E, certo ancora, una bomba può essere usata come un
libro, anzi come
"il" Libro: cos'altro fanno gli
"shahid", i martiri che si lanciano
contro la gente inerme a Gerusalemme, a Betlemme?
Riscrivono anzi partidel Libro su strisce che applicano
alla fronte, al proprio corpo-bomba.
Ma un libro-bomba o una bomba-libro è una
sovrapposizione contro natura,un superlativo
sgrammaticato, una ridondanza leziosa, come aggiungere
del ghiaccio su un gelato o dello zucchero a velo su una
cassata
siciliana o distribuire la mappa di Londra a chi ascolta
"Penny Lane".
Eppure, mai tanta gente è stata uccisa, mai tanta morte
s'è sparsa
quanto in nome d'un paragrafo, d'una nota a piè pagina,
d'una
interpretazione, d'una parola, a volte d'una virgola di
pausa fuori
posto, spesso in nome dello "stesso" libro tra
carnefici e vittime.
Uccidere per i libri è delirio umano, da quando il verbo
s'è fatto
tavola di legge. E non è delirio esclusivamente
religioso, richiamo alla
parola sovrannaturale d'un dio tonante e assordante: per
tutto il
novecento non s'è fatto altro che scannare l'altro uomo
in nome d'una
qualche biblioteca.
Ma uccidere letteralmente coi libri, è una orribile
evoluzione della
specie.Nei carceri dentro i libri si nascondono capelli
d'angelo, sottili fili
buoni a segare ogni ferro, si nascondono piccole
quantità di denaro, a
volte immagini vietate - spesso è vietato anche
ricordare le persone
amate. Si nasconde, scavando copertine come foglie di
cipolla, quanto
può essere utile a sperare la libertà. A illudersi
d'una libertà. Mai un
libro era diventato arma per colpire a caso, neanche
nell'immaginario
filmico da agente segreto al servizio di Sua maestà.
Forse solo in
quella folle soglia che è l'America con le buste spedite
in giro a
diffondere l'antrace. Appunto.
E se il gesto si moltiplicasse? Se - come accade con i
tubetti di sugo
per l'Unabomber nostrano nei supermercati triveneti -,
qui e là, nelle
bibioteche, nelle librerie venissero riposti e
abbandonati libri-bomba?
Ci avvicineremo con circospezione a ogni dorso, lo
sposteremo con
estrema delicatezza, poggiandolo su un tavolo schermato,
passandolo
prima ai raggi X, chiederemo per ogni prestito o ogni
acquisto che sia
esaminato da appositi robotini anti-esplosione?
"Libro e moschetto, balilla perfetto"
diventerà "libro e tritolo, ecco
un buon bombarolo"?
Non so, non so se chi ha confezionato quei libri-bomba
volesse uccidere:
i tecnici dicono che poteva accadere, ma i tecnici non
dicono mai cose
precise, non sono lì per quello. Uccidere casualmente è
un'infamia: io
ho in gran spregio quella formula giuridica
dell'"omicidio colposo" che
è diventato l'alibi per falcidiare vite in una guerra
non dichiarata di
autisti folli e distratti che colpiscono dove capita, e
non hanno pietà
per le vittime, come fossero propriamente solo pupazzi
virtuali d'un
videogioco.
Essere uccisi per casualità è anche peggio per chi
rimane: ci lascia uno
smarrimento infinito, ci svuota di ogni senso della vita,
ogni
possibilità di esserne arbitri, partecipi almeno, ci
rimette alle
categorie del Destino o della Provvidenza
incommensurabili e
imperscrutabili. Che ci faccio qui?
Non so se i titoli dei libri-bomba indichino qualcosa, un
metamessaggio
come direbbero i sociologi e gli investigatori, forse
sono casuali.
Però, dell'improvvida e non richiesta attenzione che si
è appuntata su
tre volumi inviati come bombe - "Vita quotidiana a
Costantinopoli ai
tempi di Solimano il Magnifico" di Mantran, le
"Poesie" del Giusti e le
"Novelle" di Verga - potremmo approfittare:
credo che se Verga venisse
insegnato meno distrattamente nelle scuole ci
guadagneremmo tutti, la
lingua dico. Che è l'unica cosa comune che può
permetterci di
comprendere, di comprenderci.
Vorrei tanto ogni cosa fosse al suo posto. Fosse nominata
per quel che
è.Odio anch'io il carcere, le celle, i carcerieri, il
capitale - che poi è
il gran carcere di tutti e il vero carceriere. Combatto
anch'io con i
libri, ma con le loro parole: mi sembrano più durature e
più immediate
pure. Mi sembrano più capaci di tenerci assieme, di
modificare quel che
abbiamo intorno e noi stessi.
Ho usato anch'io le
"bombe", le ho fabbricate, trasportandole a
rischio, mordendo con i denti i detonatori, misurando la
miccia per le fughe: mai contro un altro uomo. Quando
ogni minuto sulla terra mi sembrava insopportabile che
non fosse di giustizia, mi sembrava che bisognasse
tirarla per la giacca la giustizia. Ero persino migliore
di adesso: più coraggioso, più generoso.
Lo dico per dire a me stesso, per ricordare a me stesso:
chi ha una
morale per tutto e tutti andrebbe lapidato.
Però, vorrei tanto ogni cosa fosse al suo posto. Fosse
nominata per quel
che è. Un libro è un libro, una bomba è una bomba. E
le bombe non sono
migliori, non ci fanno migliori.
|