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tratta di censura bell'e buona... Abbracci Liberazione non
pubblica. Pubblichiamo noi.
evidenziato da salvatore
mica
dal sito http://www.arcipelago.org/internazionale/GRIMALDI_IRAK.htm
Quello che pubblichiamo di seguito è un reportage
in tre parti effettuato in
Iraq nella seconda metà di settembre 2002 da
Fulvio Grimaldi, inviato sul
posto dal quotidiano "Liberazione". Non
ci sembra di avere letto queste righe
sul quotidiano del PRC; le proponiamo comunque ai
nostri naviganti.
BAGHDAD
L'unica manifestazione collettiva di giubilo
che io ho visto a Baghdad
all'annuncio dell'incondizionata
accettazione degli ispettori Onu è quella
nel ciclopico palazzo dei congressi. Era in
corso l'ottava sessione della
Conferenza Internazionale di Baghdad, un
evento che da anni accoglie politici
ed intellettuali in solidarietà con il
popolo iracheno e contro l'embargo. I
300 delegati di un centinaio di paesi sono
balzati in piedi all'inatteso
annuncio fatto da Tereq Aziz. «Ritorno
degli ispettori senza condizioni»
liquida tutti gli alibi dietro i quali si
copriva Bush.
Nessuno di coloro che al convegno, nelle
sfere istituzionali, o per strada
abbiano sondato sulle prospettive aperte
dall'iniziativa irachena, s'è detto
però anche solo un po' fiducioso in una
frenata della macchina da guerra Usa.
Anche perché, nessuno, che venisse da
Francia o Malaysia, da Germania o Cuba,
da Russia o Brasile, da Sudafrica o Italia,
pareva nutrire dubbi sulle vere
intenzioni statunitensi. «Non di ispezioni
si tratta per gli americani,
malati di irresponsabile unilateralismo»,
aveva sintetizzato il senatore
della Margherita Gian Guido Folloni,
ministro per i rapporti col Parlamento
nel primo governo D'Alema e oggi presidente
dell'Istituto Italiano per
l'Asia, «ma di modifica totale dell'assetto
geostrategico dell'area». E padre
Jean-Marie Benjamin, il francescano francese
di Assisi, un prete che più di
tutti si è speso nella denuncia degli
orrori dell'embargo genocida, con
un'espressione tra il furibondo e il
desolato aveva aggiunto: «La
disintegrazione dell'Iraq è solo
l'obiettivo di Bush».
Non meno pessimista Wissam Sleiman, segretario
esecutivo della potente
Associazione degli Studenti non Allineati, un
organismo che riunisce giovani
di tutti i continenti. «Non cambierà, niente, se
non il sostegno popolare per
l'Iraq, che crescerà. Figuriamoci se il governo
Bush si fermerà, ora che la
macchina da guerra è a pieni giri».
Un colpo di fortuna e un antico rapporto di
interviste ci fa avvicinare a
Tariq Aziz mentre si congratula, in una
pausa della conferenza, con i
parlamentari del centrosinistra Folloni e
Simoni per i loro interventi a
sostegno della pace e del riconoscimento
della sincerità del governo
iracheno. Sarà per protocollo diplomatico
che il protagonista di tutte le
vicende internazionali dell'Iraq da almeno
25 anni non si inserisce
nell'orizzonte delle fosche previsioni
tratteggiate da tutti gli altri. «Non
mi faccio molte illusioni su Washington»
esordisce colui che è certamente il
consigliere più ascoltato di Saddam, «alla
luce di quello che stanno
combinando in mezzo mondo e di ciò che
permettono ai loro alleati israeliani.
Piuttosto penso agli europei. Sono loro che
hanno più da perdere dal rullo
compressore americano e più da guadagnare
da un mondo arabo ormai
fortemente
unito e a fianco dell'Iraq, con poche
eccezioni. Personalmente è da sempre
che cerco il dialogo con gli europei.
Purtroppo in tempi recenti molte porte
si erano chiuse. Spero che la nostra,
davvero generosissima iniziativa le
riapra. L'unica risposta all'aggressività,
americana dovrebbe essere un
blocco di pace euro-arabo-asiatico».
Chiediamo al vice primo ministro quale fosse
l'obiettivo vero dell'offerta
irachena, visto che nessuno crede che possa
scongiurare il programmato
sconvolgimento della regione con la guerra globale
americana. «Abbiamo
smascherato definitivamente il pretesto per
lanciare l'aggressione: le armi di
distruzione di massa che tutti sapevano non
esistere. Gli Usa non pensavano
che potessimo adottare una decisione così
coraggiosa e dichiararci disponibili
al ritorno incondizionato di ispettori che hanno
menato il can per l'aia per
tanti anni e a collaborare con l'Onu e il suo
segretario generale. Forse non
lo credeva neppure l'opinione pubblica mondiale,
specie quel settore che,
influenzato dai media statunitensi, insiste a
sospettarci, quando addirittura
l'agenzia atomica (Aiea) e Hans Blix, un uomo da
sempre a noi ostile e che
dovrebbe guidare le nuove ispezioni, ci hanno
esonerato. Abbiamo messo un
bastone tra le ruote di un mostruoso meccanismo di
morte e distruzione e penso
che i popoli amanti della pace lo riconosceranno.
Oggi nel mondo c'è forse un
nuovo rapporto di forze, almeno sul piano politico
e etico». Provo ad
obiettare pensando alla nostra opinione pubblica.
«Qualcuno potrebbe pensare a
mosse tattiche, dilatorie». «Non è nella nostra
indole, né della classe
dirigente, né del nostro popolo optare per
tattiche e manovre quando sono in
gioco questioni fondamentali, di principio - mi
risponde secco Aziz -. Qui
stiamo perdendo le garanzie del diritto
internazionale, della sovranità e,
soprattutto, della pace mondiale. Gli Usa lo sanno
ed è per questo che sono
rimasti scioccati dal nostro annuncio e hanno
reagito in modo furibondo,
inconsulto, controproducente. Per un minimo di
credibilità, ora dovrebbero
venire a vedere: da noi non c'è più da anni
l'ombra di armi di distruzioni di
massa, né dei loro mezzi di produzione, né degli
stabilimenti. Provino ora a
trovare la scusa per fare dell'Iraq un nuovo
Afghanistan. Agli Usa interessa
solo una cosa: il petrolio, ovunque si trovi. Ma
quello iracheno non lo
avranno, anche se installassero qui un regime di
venduti. Si ricordino che per
quasi un secolo le rivolte contro il colonialismo
inglese sono state
ininterrotte, fino alla liberazione.».
Scendendo in strada, passiamo davanti a televisori
che mostrano sfilate ed
esercitazioni della milizia popolare. Avevamo
visto personalmente anche
qualche movimento di reclute, davvero male in
arnese per armi ed
equipaggiamento. L'Iraq minaccia militare non
esiste. «Esiste» - dicono i
ragazzi negli internet-café, nel centro della
città - la determinazione di
ogni iracheno di non tornare colonia. E a Baghdad
sarà, dura, anche per i
marines». Atomica a parte.
Fulvio
Grimaldi
Baghdad. - Gli USA insistono ad annunciare -
ONU o non ONU - la soluzione
finale per l'Iraq gia' negli spasmi
dell'agonia. Sharon la sta portando a
termine nei confronti di Arafat e del suo
popolo, kamikaze o non kamikaze.
Dal Marocco all'Iran popoli e governi si
aspettano uno sconvolgimento
epocale. Ogni giorno che passa il rombo
dell'uragano in arrivo si fa piu'
assordante. Tremano le vene a centinaia di
milioni di uomini e donne.
Fuorche', a quanto appare, agli iracheni.
Come se niente fosse, incomincia il
Festival di Babilonia e Baghdad assume la
sua aria piu' festosa e
cosmopolita, quella che della citta' fondata
dagli Abasidi nel 762, governata
poi dal mitico Harun el Rashid per la gloria
del califfato, nel X secolo fu
del mondo la metropoli piu' illustre per
scienze, arti, studi, mercati,
convivenza civile. Da anni il Festival di
Babilonia cerca di evocare i
fulgori di quei tempi con quello che molti
considerano il piu' grande evento
artistico del Medio Oriente. Oggi gruppi
arabi, europei ( anche gli italiani
dell'Accademia Nazionale di Danza),
asiatici, latinoamericani, africani, che
macchiettano di colori e suoni la citta',
danno una mano alla disperata
ricerca di normalita' di un popolo sull'orlo
dell'abisso. E' giorno di festa.
Borgatari di Saddam City, poveri, o del
tutto miserabili, la risacca
dell'embargo, si riprendono le grandi
arterie del centro. Arrivano con
scarcassoni a 4 o 2 ruote, carretti,
carrelli, fagottoni in spalla e
lastricano di cianfrusaglie i marciapiedi
del lato a 40 gradi (quello
opposto, al sole, vibra di 50). Incrociano
le gambe all' ombra delle grandi
architetture pubbliche in cui una scuola
rinomata nel mondo ha fuso stilemi
da mille e una notte con la modernita'.
Architetture sontuose che stridono
con i rottami e rifiuti tornati a essere
merce, esposti ai loro piedi. Una
fiera dei piu' fantasiosi tentativi di
sopravvivenza, espressi da una storia
che vanta 6000 anni di civilta', la madre di
tutte le scritture, leggi,
musiche, matematiche, organizzazioni
sociali, agricolture, giardini. E' un
esercito di straccioni che, con la sua forza
di vivere, sfotte le piu'
potenti armate di tutti i tempi, queste si'
chimiche, biologiche e nucleari.
Nessuno qui si fa illusioni , ne' su un
ripensamento del « pazzo criminale »
Bush e bancarottieri bombaroli associati,
ne' su un intervento alternativo
dell'ONU. Ma nessuno lo da ad intendere. Si
vive come se nulla fosse successo
e nulla dovesse succedere. Sui fogli di
giornale stesi sul selciato un papa'
accoccolato, con due bimbetti denutriti ma
pulitissimi ronzanti attorno,
offre una bambola senza testa, una testa di
bambola senza occhi, un telefono
crepato, un paio di prese, un mazzo di fiori
di plastica, due fazzoletti,
mezza dozzina di biro, qualche posata:
frammenti di una vicenda famigliare in
rovina. Lo Stato assicura a tutti 2300
calorie al giorno, con un sistema
distributivo che la FAO ha giudicato tra i
piu' efficienti e onesti del mondo
(Jutta Burckhardt, 13 agosto 2000). Ma la
giacca nuova? La riparazione del
televisore ? Le tegole per il tetto
sfondato? Il pranzo del giorno di festa ?
Il viaggio dai nipoti al Sud ? Lo zainetto
scolastico ? Eppure, da quando 18
mesi fa venni con Ramsey Clark, il
cambiamento e' visibile e forte. Ai bus
scassati, residuati pre-guerra con l'Iran e
con l'alleanza occidentale, si
affiancano lucidissimi mezzi pubblici
giapponesi (il trasporto pubblico costa
5 vecchie lire, la benzina 20, sanita' e
istruzione, pur falcidiate
dall'embargo, restanmo pubbliche e
gratuite). Si smanetta in massa nei nuovi
centri internet, nuove piazze con nuove
palme, nuove fontane e nuovi Saddam
occhieggiano agli incroci, i negozi sono
pieni di merce, i tabelloni dello
stadio, gia' a pennarello,. sono tornati
elettronici e guardano su decine di
migliaia di tifosi. Perfino l'immenso
mercato di Saddam City, borgata di 2
milioni di poveri - molti i profughi sciiti
dal Sud bombardato e uranizzato -
trabocca di frutta, verdura, polli, spezie.
Ci sono piu' mendicanti tra la
Stazione Termini e Ponte Sisto che in tutta
Baghdad. Poco tempo fa, uscendo
dall'albergo, potevi trovarti attorniato da
ragazzini con una dozzina di
chewing gum. Oggi no. E' che non c'e' piu'
soltanto il canale del
contrabbando curdo dalla Turchia,
pesantemente taglieggiato dai boss del
Nord, che faceva sgocciolare qualcosa anche
verso il resto del paese, dando
un po' di lavoro in uno Stato che vanta l'80
per cento di disoccupazione e
lavori di giornata nel settore privato e il
58% in quello pubblico,
gonfiando le tasche di borsaneristi e
offrendo qualche consumo a pochi
privilegiati. L'embargo, anche se chiamato
ora "intelligente", lo impongono
ancora gli angloamericani - da cui la
catastrofica carenza di farmaci e parti
per le infrastrutture di ogni tipo, tutte di
origine occidentale - molto meno
russi e asiatici, per niente i paesi vicini.
Accordi bilaterali e linee di
volo civile sono stati realizzati con la
Giordania, ma anche con avversari
storici come Siria e Iran che, insieme
all'Arabia Saudita, sentono l'alito di
fiele dell' aggressore americano, « questo
sanguinario colonialismo di
ritorno », come dice Tariq Aziz, « che ha
in Sharon il suo nevrotico
tamburino ». Si ritrovano accomunati dunque
all'Iraq per la comune
sopravvivenza e se gli scambi danno forza
alle rispettive economie, cio'
dovrebbe - si calcola - ricostruire
un' interlocuzione interessante per
un'Europa ansiosa di rientrare nel gioco
mediorientale da cui l'egemonismo
statunitense l'ha estromessa fin dalla
Guerra del Golfo. Il disegno opposto
essendo quello della destra
israelo-americana centrato sulla mezzaluna
neocoloniale dal Marocco, attraverso la
Turchia, alle repubbliche asiatiche,
che Sharon dichiarava essere suo obiettivo
fin dagli anni '80 e che il noto
Edward Luttwack, consigliere dinamitardo
della Casa Bianca, ha recentemente
rilanciato. Cosi' sull'Iraq si abbatte il
nuovo medioevo dell'assedio per
fame, sete e peste. Inglesi e americani nel
Comitato Sanzioni dell'ONU usano
sistematicamente il veto per annullare o
ritardare l'attuazione di contratti
conclusi con paesi fornitori nell'ambito
dell'accordo-capestro "petrolio per
cibo". La scusa e' spesso il dual use,
uso duplice, per cui si afferma che un
vaccino bovino, o un pesticida puo' servire
a fabbricare armi chimiche e una
chiave inglese puo' anche avvitare un
detonatore nucleare. In questo modo
sono stati bloccati o sospesi al 19 maggio
2002 ben 2.512 contratti per 7
miliardi e 848 milioni di dollari. Nel solo
settore sanitario l'Iraq ha
potuto acquistare beni per appena 1 miliardo
e 300 milioni sui 4 miliardi che
gli spettavano dalle vendite di petrolio.
Ancora peggio per l' agricoltura :
721 milioni spesi su 2 miliardi e 946
milioni spendibili. Con il risultato
che la produzione agricola e' calata del 65%
rispetto al 1990. E qui hanno
inciso anche la negazione dei pezzi di
ricambio per i mezzi meccanici e la,
sicuramente non innocente, costruzione in
Turchia di una serie di dighe sui
due fiumi mesopotamici che ne hanno ridotto
la portata di quasi un terzo,
strappando alla colltivazione alcune
centinaia di migliaia di ettari. Il
quartiere di Al Mustanseria e' il piu'
antico di Baghdad. E' sdraiato sulle
due rive di un Tigri le cui banchine sono
sempre piu' alte e il cui corso e'
ostacolato da nuovi isolotti che sorgono
dalle acque. L'entusiasmo innovatore
e costruttore del governo non pare riservare
spazi alla saalvaguardia di
questo tesoro. L'Unesco potrebbe dichiararlo
"patrimonio dell'umanita'" e
finanziarne il restauro, come fa all'Avana.
Sara' perche' queste case a due
piani che stringono vicoletti fognati a
cielo aperto, con i loro balconi
sporgenti e vestiti di grate a legni
intrecciati, sopra portali a ogiva con
bassorilievi dei tempi crociati, ricordano
troppe dominazioni straniere, oggi
tornate a incombere. E' un peccato, anche
perche ' gli abitanti, poveri ma
consapevoli, si rifiutano di andare a vivere
nei nuovi palazzoni, pur
dignitosi, che si allineano subito a ridosso
del quartiere antico, in una
specie di metafisica scenografia
moresco-dechirichiana. Frugoletti,
saltellanti tra mattoni millenari per
raggiungere l'altezza dell'obiettivo e
far sapere da qualche parte che esistono
anche loro, anziani austeri, ma
sorridenti fino all'affettuosita', in
jallabia bianca o velo nero scita, ci
accompagnano nel trapasso da pozze di
liquami a cortiletti colonnati. Dove
magari ci accoglie un café' nascosto, sotto
stuoie lacerate da venti
secolari, con panche impagliate in passati
immemorabili e tavolacci di legno
nero su cui si abbattono le carte di baffuti
giocatori a una specie di scala
quaranta. No, il ciai, il te', ve lo
offriamo noi, guai ! Sempre e ovunque
cosi'. E, fuori, il pane che fotografiamo
mentre lo sfornano da un antro in
fiamme ci ustiona le dita, ma non puo'
assolutamente essere pagato. In tutto
il quartiere un campo elettromagnetico
di cordialita'. Cordialita' per noi,
di un paese che ha contribuito a
bombardarli, affamarli, diffamarli. Raje ha
dieci anni e parlicchia inglese come tutti
qui. Serio e silenzioso,
sorridente, ci indica una direzione, ma poi
ci accompagna lasciando giochi e
compagni. Ci guida per vicoli e slarghi,
lontano, fino alla Posta, per i
francobolli. A titolo di grazie gli offriamo
qualcosa, che so, per un gelato.
Risoluto rifiuta, con la mano sul cuore. Va
via, si volta e ci saluta da
lontano con le dita a V. Nel mio video avra'
un posto d'onore. Da li' alla
centrale via del commercio, Shara Sadoon,
saranno un paio di chilometri e
almeno dodici ritratti del Rais : in piedi,
seduto, in divisa, in
doppiopetto, con il fucile, con dei fiori,
solenne, gioviale, spesso con alle
spalle simboli sumerici e assirobabilonesi.
Da sempre questo gruppo dirigente
indirizza la memoria del popolo al passato
remoto, pagano, oltre quello
islamico. Probabilmente una strategica
spinta alla laicita'. Ma di laicita'
parla anche questo mercato della festa
araba. Accanto a tortore, pesci,
tartarughine, galli o conigli, sono esposti
per la prima volta cagnetti. Non
da guardia o attacco, da amicizia e affetto.
Cani che, per anacronistici
retaggi religioso-igienisti, in tutto il
mondo islamico sono considerati
impuri. Non si prega nella casa dove c'e' un
cane. Un tempo i cani arrivavano
a Baghdad di notte, dal deserto, randagi, a
rovistare tra i rifiuti. Anche la
scoperta di un nuovo compagno di vita e di
amore, diverso, molto diverso, e'
un segno di laicita'. Migliore dell'altro.
Baghdad - Il giovedi' qui e' la
baraonda. E' il giorno in cui la gente
preferisce sposarsi e lo Stato regala a
tutte le coppie la notte di nozze
gratis in un bell'albergo. Cosi', negli
alberghi di Baghdad, e' tutto un
cozzo di mondi: algerine in fuseau e
corpetto, qui per esibirsi in danze e
canti a Babilonia, che si mescolano ai
bianco-neri di spose e sposi, nonche'
a fruscianti donne-tenda in nero di
passaggio dall'Iran per pellegrinare
verso le citta' sante scite, Najaf e
Kerbala, quelle di Ali, genero di
Maometto e rinnegato per i sunniti. E, di
notte, nei giardini e sulle piste
da ballo ad attirare i sensi dei maschi
locali sono piuttosto le piroette
ventrali di ragazzine armene assai
scostumate (nel senso di costumi ridotti a
quattro laccetti sulla schiena e jeans
verniciati sulla pelle), piuttosto che
i tamburi e le trombe che accompagnano il
solenne incedere delle spose
allestite come ballerine da carillon. 90 km
piu' a sud, il Festival di
Babilonia che si svolge sul filo del rasoio
costituito dal limite della zona
proclamata dagli anglo-americani di non
volo, ma che ormai e' quotidianamente
violata, anche se a rischio di gran begli
schianti, i bombaroli provenienti
dal Kuwait fanno da campanella
dell'intervallo. I raid, a partire dal primo
giorno del Festival, sono tornati a essere
quotidiani e prediligono l'ora del
tramonto, quando tra i merli delle mura
babilonesi partono le luci degli
spettacoli. Attimi di sospensione, poi tutto
riprende come se nulla fosse. Le
bombe, di solito, cadono piu' lontane, tra
Najaf e Bassora, a punire gli
"amici" sciti che ancora non si
accingono a rovesciare il regime (succede lo
stesso con gli "amici" curdi al
nord). Ora l'Iraq ha chiesto al Consiglio di
Sicurezza, non solo di respingere la
risoluzione voluta dai teppisti di
Washington, che intenderebbe affiancare agli
ispettori brigate corazzate a
stelle e striscie, ma anche di porre un
freno a queste incursioni del tutto
illegali.
Intanto al nuovo dossier-burletta (definizione di
Ivanov) di Blair, qui si e'
reagito imbarcando tutti i giornalisti britannici,
compreso un portoghese
italiano, e facendogli fare il giro dei siti
incriminati. Il piu' minaccioso
e' risultato uno stabilimento dove si fabbricano
propellenti per pistole o
cannoni. Altrove abbiamo visto detersivi e
farmaci. Ovviamente nulla vieta che
li si facciano fuori, come nel 1998 a Khartum la
famosa fabbrica di "armi
chimiche", andata in fumo con tutti i suoi
farmaci anti-Aids e antibiotici e
con una trentina di addetti ai lavori. In ogni
caso, a dispetto della gran
solidarieta' che l'Iraq va raccogliendo in tutto
il mondo e che ne ha fatto
l'"Anti-USA" per eccellenza, tutti
sentono avvicinarsi l'uragano. Ne e'
convinto anche Shamel al Hadithy, direttore
generale del Ministero degli
esteri, che ci ha detto:"Gli USA
attaccheranno, non c'e' dubbio. E presto, per
impedire un'ulteriore crescita del fronte di pace.
Sono pronti in Kuwait e
negli Emirati. Sara' un attacco di sorpresa. Non
aspetteranno novembre o
gennaio. Hanno bisogno di mettere tutti davanti al
fatto compiuto. Ora provano
solo di far passare quella loro risoluzione che
vorrebbe offrire agli
ispettori i pretesti per dire che creiamo
intralci, magari perche' ci
opponiamo che mettano il naso sotto il letto del
presidente, o perche'
"troveranno" una bustina piena del loro
antrace. Noi comunque vogliamo che
vengano e subito. Li aspettiamo per meta' ottobre
e li lasceremo andare dove
vogliono, anche se gli staremo addosso per
controllare che non facciano come
l'altra volta, prima che fossero ritirati su
ordine USA per i bombardamenti
del dicembre '98, quando spiavano e seminavano nei
campi coltivati larve di
locuste".
C'e' una specie di orgogliosa rassegnazione tra
gli iracheni di ogni tipo e
livello. Sentono che il loro sacrificio attuale e
l'eventuale catastrofe
futura gli fara' adempiere al ruolo storico di
cartina di tornasole della
ferocia colonialista americana, a vantaggio di una
definitive presa di
coscienza planetaria. Come quei bambini di Andesen
che incrinarono tutte le
monarchie gridando "il re e' nudo". Mi
dice Maruan, operaio della raffineria
di Baghdad (nata nel 1954, quasi archeologia
industriale, colpita 12 volte,
riparata con lo sputo, carburante per un terzo
dell'Iraq, pane per 1800
operai), sul suo ruolo di bersaglio
perenne:"Non ci pensiamo. Non pensiamo
neanche al giorno dopo. Viviamo come se fossimo
invulnerabili e tutto fosse
normale. Senno', forse, usciremo matti. E siamo
anche contenti di sfidare con
la nostra tranquillita' la ferocia degli
ameericani". Non male come antidoto
al panico. Intanto, con ieri, siamo arrivati a
15.889 incursioni aeree dal 17
dicembre '98
La pensano cosi' anche i giovani americani di
"Voices in the Wilderness",
arrivati qui con il loro "Peace Team",
con 40.000 dollari in medicine e la
promessa che presto, "prima e durante
l'attacco ne arriveranno ancora mille e
molti altri da tutto il mondo", a fare da
scudi umani. E' quello che ci
inventammo noi, col "Ponte per." nel
febbraio del 1998, quando solo un
andarivieni di Kofi Annan svento' l'attacco, anzi,
lo rinvio' a dicembre. E
avemmo la solidarieta' di Denis Halliday,
rappresentante ONU, poi dimessosi
nel clamore delle sue denunce contro l'embargo
genocida. C'eravamo anche noi
all'ospedale pediatrico Al Mansur e c'era Kenneth
Kaunda, il padre della
patria dello Zambia, uno dei grandi della
liberazione africana, in procinto di
partire per un giro africano a mobilitare governi
e genti contro la guerra:
"Una guerra", dice, "che, dopo i
palestinesi, intende mettere in ginocchio
tutte le forze che si oppongono ai progetti
strategici USA di controllo dei
territori, delle vie di comunicazione, delle
risorse petrolifere. I popoli
hanno conosciuto il colonialismo e se ne sono
liberati. Ci riusciranno di
nuovo".
Il Festival di Babilonia e' invece cio' di
cui tutti parlano e
s'inorgogliscono. Finisce il 2 ottobre e
ospita rappresentanze di 46 paesi,
un record. Grande evento culturale del
mondo arabo da 12 anni a questa
parte, non e' stato sospeso nemmeno
nell'anno della guerra e neppure per la
spaventosa devastazione delle sanzioni,
quando l'Iraq, prima dell'autarchica
e parzialissima, ma significativa ripresa di
questi due anni, era stato
ridotto, come pronosticato dal segretario di
Stato Baker, "all'epoca
preindustriale".
E' inesorabile, pare, la marcia della piu'
terribile macchina da guerra
conosciuta da questa regione. Con tanto di
armi nucleari minacciate e
chimico-biologiche detenute dal nemico. Ma
con questo Festival, come con
tutte le sue manifestazioni di vita e di
lavoro, questo popolo afferma
cocciutamente il suo diritto alla
normalita'. La sua volonta' di coraggio.
Coraggio che non e' certo sostenuto dai
mitra arrugginiti con i calci
scorticati che spuntano tra guardie del
corpo che fanno finta di proteggere
il tuffo nella folla del vicepresidente Taha
Yassin Ramadan, a due metri da
me e da chiunque volesse tirargli una
coltellata, mentre arriva per aprire il
Festival. Una grande palla di fuoco era la
luna piena sugli spalti delle
millenarie mura di Babilonia. Tutto parte
dalla Porta di Ishtar - dea della
vittoria - rifatta dagli archeologi sui
resti della metropoli neobabilonese
del primo millennio a.C., celebrata da
Strabone e altri storici greci e amata
da Alessandro Magno per le sue meraviglie
ingenieristiche, dai giardini
pendenti alle irrigazioni e fontane al
decimo piano di palazzi mastodontici.
Da qui partono per il grande anfiteatro i
vari gruppi nazionali lungo la
strada delle processioni, gia' lastricata
con un asfalto che dovette poi
attendere qualche millennio per essere
reinventato. Ma prima, all'ombra di
quella porta-simbolo di una civilta' che al
mondo regalo' ruota, diritto,
scrittura, note musicali, la citta', una
danza di guerrieri sumeri aveva
congiunto storia remotissima e embargo
attuale. Lance e archi, un gonnellino
azzurro, vasti occhi neri addosso a cento
corpi magri, piu' minuti del dovuto
(l'altezza dei neonati iracheni e'
diminuita di 2,5 centimetri, il peso di
400 grammi). Sono figli di contadini,
ragazzi delle superiori di Hilla, come
si chiama oggi il paesone agricolo in cui si
e' ristretta Babilonia. Sono
tutti indistintamente denutriti da embargo i
nipoti di Hammurabi, il primo
legislatore, di Nabuccodonosor, il
conquistatore, di Harun el Rashid, il
califfo delle bellezze e dei piaceri. Ti
sorridono quando li inquadri nella
telecamera, strizzano l'occhio. Ma le loro
ossa in vista, i loro occhi grandi
fanno rabbrividire.
All'ospedale pediatrico di Al Mansur un loro
fratellino muore. Il terzo di
quell giorno. Sono sei in media nelle 24
ore, grazie all'incrocio tra mal- e
denutrizione e contaminazione da uranio.
Taher ha due mesi, la mamma accanto
che singhiozza piano, poi altri letti, altri
pianti, qualche papa' muto. E'
affetto da glicogenosi: il fegato assorbe
catene di zuccheri, ma non sa piu'
romperle ed espellerle. Il glicogene si
accumula e uccide. Da noi un
trapianto facile, qui figurarsi,
l'embargo nega perfino le bende: "dual
use". A nord di Baghdad si sta mettendo
in piedi una fabbrica per non essere
proprio del tutto dipendenti dai farmaci che
in Commissione sanzioni gli
angloamericani negano. Arrivera' troppo
tardi per Taher. Il medico con cui
parliamo scatta via sul richiamo di
un'infermiera, si butta sul bambino, gli
fa un messaggio cardiaco, poi gli mette la
maschera d'ossigeno, un collega
corre per una fiala, torna dopo
interminabili minuti, la fiala non c'e'. Il
bambino se ne va, ci lascia solo il suo
corpo bianco. Sono sette anni che
vedo queste scene.
Nel 1987 la fertilita' media era di 6,2
nascite per donna, nel 1999 era scesa
a 4,5. L'uranio rende sterili, l'embargo
scoraggia. 1990-1999: il tasso di
mortalita' delle partorienti sale da 106 a
295 per mille, quella infantile da
26,2 a 115,9 su mille. Quella dei bambini
sotto i 5 anni da 30,7 a 159,6.
L'embargo uccide l'istruzione:
l'analfabetismo femminile (ovviamente le donne
sono le piu' penalizzate dall'embargo,
arrivano al triplo lavoro) e' risalito
dal 12% del 1990 al 34,7% del 1997. Quello
che l'ONU definisce, considerando
tutti i parametri, l'Indice di Sviluppo
Umano (HDI) aveva collocato l'Iraq -
crescita del PIL dell'8% negli anni 80 - tra
i paesi sviluppati, al 70. posto
su 160 paesi. Dopo la guerra del 1991 era
sceso al 91. e nel 1999 si trovava
al 143. posto.
Dalla Porta di Ishtar la processione
babilonese avanza tra algerini
inneggianti a se stessi e che non
differiscono da una scolaresca romana,
beduini giordani in candida jallabia e
bandoliere incrociate, olandesi con le
cioce, svedesi oppressi da costumi di lana
cotta e con cuffiette alla monaca,
italiani con bandierone tricolore e due
gruppi: quello acclamatissimo
pugliese di "TerrAnima", 7
musicisti e 3 danzatori di worldmusic innestata
sulle radici etniche della tarantella, e le
2 ballerine con 4 musicisti
dell'Accademia Nazionale di Danza,
capeggiati da Enrica Palmieri e che si
esibiscono in un raffinato spettacolo
dedicato alla Palestina e a tutti i
popoli cui si negano giustizia e pace. Sono
i piu' recenti di una fila
illustre: Battiato, Mau-Mau, Africa Unite,
Avion Travel, tanti altri. Se ne
fregano anche loro delle bombe e delle
minacce dei dementi di Washington.
Trionfale l'excursus storico del piu'
importante gruppo iracheno: un casino
di folla sulle gradinate percosse dal laser
(proibito ma contrabbandato dal
Libano sempre piu' amico), attorno a mezza
dozzina di impettiti vertici
dello Stato in divisa, segue a bocca aperta
e con occasionali boati di
approvazione la storia delle glorie della
Mesopotamia, nei costumi, nelle
musiche, nella danze, nei mimi, dai sumeri
ai tempi della "madre di tutte le
battaglie". Significativa l'assenza di
qualsiasi riferimento a temi
religiosi, pur nell'incalzare di una
religiosita' di ritorno che fa apparire
gli anni '60 e '70 come una selvaggia
emancipazione laica dei costumi.
Tutti euforici alla fine, i 2000 che hanno
festivaleggiato all'ombra degli
F16. Un tempo, quando ci individuavano come
italiani, ci salutavano esclamando
"Felice Riva!", poi venne "Paolo
Rossi!", piu' in qua "Roberto Baggio!" .
Oggi
gridano a qualsiasi forestiero "Schroeder!
Schroeder!" e ridono contenti.
FULVIO GRIMALDI
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