DIOSSINE, AMBIENTE E SALUTE

Federico Valerio

Le diossine sono cancerogene

Nel 1976, un incidente nell’ industria chimica "ICMESA" di Seveso, rese famigliare il nome di una classe di composti chimici, fino allora sconosciuta ai non addetti ai lavori: le diossine.

Il volto deturpato dall’ acne di una bambina di Seveso fece il giro del mondo e mise tutti davanti agli effetti devastanti prodotti dall’ esposizione acuta a questi composti.

Invece, ci sono voluti venti anni per porre fine all’ accesa polemica, scoppiata subito dopo Seveso, sui danni prodotti dalle diossine, a seguito di un’ esposizione cronica, a basse dosi, quale quella prodotta dagli inceneritori di rifiuti urbani.

Nel 1997, l’ Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro pubblicava i risultati sulla valutazione della tossicità della Tetra Cloro Dibenzo para Diossina (TCDD), ovvero la più pericolosa tra le circa trenta molecole appartenenti alla classe chimica denominata diossine.

Il verdetto formulato dagli esperti indipendenti dell’ Agenzia non lasciava dubbi: la TCDD è cancerogena per l’ uomo, e l’ esposizione a questo composto aumenta il rischio di particolari tumori quali i sarcomi dei tessuti molli e le leucemie.

Dosi tollerabili giornaliere

Anche a seguito di questo autorevole giudizio, l’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 1998, riuniva i suoi consulenti per riesaminare il valore della Dose Giornaliera Tollerabile di diossina che la stessa Organizzazione, nel 1991, aveva fissato a 10 pico grammi (pg).

I nuovi dati sulla cancerogenicità delle diossine suggerirono l’ opportunità di un ulteriore abbassamento di questo limite: tra uno e quattro pico grammi per chilogrammo di peso (pg/kg).

Questa norma significa che, giornalmente, una persona di 70 chili, può assorbire al massimo 210 picogrammi di diossine (70 kg x 4 pg/kg), mentre per un bambino di 5 chili la dose giornaliera di diossine non dovrebbe superare 20 picogrammi.

E’ utile precisare che la Dose Giornaliera Tollerabile proposta dall’ OMS, non corrisponde ad una dose sicura (rischio zero) ma è il giusto compromesso tra un rischio aggiuntivo, estremamente basso e la concentrazione "naturale" nel cibo, nell’ acqua, e nell’ aria di questi composti che si formano anche a seguito di eventi naturali quali, ad esempio gli incendi di boschi.

L’ inconsueta unità di misura , il picogrammo, richiede una spiegazione, con riferimento ad una unità di peso più famigliare, il milligrammo: un picogrammo equivale ad un miliardesimo di milligrammo.

Quantità così piccole sono giustificate dalla elevata tossicità di questi composti e dal loro comportamento, una volta immessi nell’ ambiente.

Le diossine e la catena alimentare

Le diossine sono molto stabili e si sciolgono bene nei grassi. A causa di queste caratteristiche le diossine hanno la pericolosa e subdola caratteristica di concentrarsi, anche di migliaia di volte, lungo la catena alimentare, in particolare nei cibi ad alta concentrazione di grassi ( burro, oli alimentari, latte, formaggi, carne,...)

Ad esempio, la "storia" di un po' di diossine immesse nell’ aria da un inceneritore potrebbe essere questa: le diossine, dopo essere uscite dal camino si disperdono nell’ aria e la loro concentrazione diminuisce man mano che il vento le allontana dalla sorgente. E’ comunque inevitabile che queste molecole , prima o dopo, cadano al suolo e quindi è altrettanto inevitabile che, con il tempo, la concentrazione di diossine nel terreno, sottovento all’ impianto, aumenti progressivamente, a causa della continua deposizione al suolo, giorno dopo giorno.

Diossine nel terreno e nei sedimenti

E’ stato possibile studiare l’ accumulo progressivo di diossine nel terreno analizzando un archivio di campioni di suolo raccolti, a partire dal 1856, nel Sud dell’ Inghilterra e provenienti da un campo mai adibito ad uso agricolo. Nel 1856 , in un chilo di terreno raccolto in questo campo si potevano trovare 31 nanogrammi di diossine (un nanogrammo equivale ad un milionesimo di milligrammo, mille volte più grande di un pico grammo). Nei campioni raccolti negli anni successivi le diossine aumentavano progressivamente (1.2 % all’ anno), fino a raggiungere la concentrazione massima nell’ 1986 (92 ng/kg). Pertanto, in 130 anni, la contaminazione da diossine di questo campo è aumentata del 300%, un risultato che conferma come un terreno contaminato da diossine resta tale molto a lungo, in quanto sono trascurabili fenomeni di decontaminazione naturale.

Un risultato analogo si è ottenuto analizzando i sedimenti di un lago scozzese, ( Loch Corie nan Arr) posto in zona remota. La concentrazione di diossine nei sedimenti formatisi intorno ai primi anni del 1800 era di circa 1 ng/kg. Questo valore aumentava progressivamente nel tempo, per raggiungere il valore massimo (4.3 ng/kg) tra il 1930 e il 1949. Successivamente si registrava un leggero calo e la concentrazione nei sedimenti più recenti (1970-1993) era di 3.4 ng/kg.

Questi dati, relativi alla contaminazione di terreno e di sedimenti sono stati interpretati come l’ effetto del trasporto, a lunga distanza, di diossine prodotte da attività industriali o di incenerimento.

Ovviamente, nelle zone industriali la situazione è peggiore. Ad esempio, in Germania, nel terreno raccolto nel raggio di 500 metri da un’ azienda per il recupero di metalli, la concentrazione di diossine diminuiva esponenzialmente con la distanza da questa fonte, con un valore minimo pari a 12 ng/kg e un valore massimo di 14.000 ng/kg (sic).

Diossine nell’ erba

Anche l’ erba può essere contaminata dalla diossina. Campioni d’ erba raccolti sistematicamente in Inghilterra, nello stesso campo in cui si sono analizzate le diossine nel terreno, hanno permesso di verificare che per un intero secolo, dal 1860 al 1960, la concentrazione di diossine è rimasta stabile e pari a circa 12 ng/kg. Successivamente, nei campioni d’ erba raccolti nello stesso campo, tra il 1961 ed il 1965 e in quelli tra il 1976 e il 1980, si registravano due netti aumenti della concentrazione di diossine, pari a 96 e 85 ng/kg . Questo aumento della concentrazione di diossine pari a circa sette volte rispetto al valore iniziale, era attribuito, rispettivamente, al maggior uso di pesticidi clorurati e all’ aumento della quantità di rifiuti inceneriti, fatti avvenuti in quello stesso periodo.

Anche in questo caso sottolineamo il fatto che la contaminazione misurata non è attribuibile a fatti locali, ma al trasporto degli inquinanti su lunga distanza.

Diossine nel latte

Se l’ erba contaminata è mangiata da erbivori, le diossine si trasferiscono dall’ erba ai tessuti grassi di questi animali. In questo caso lo strato adiposo funziona come "serbatoio" di diossine, da cui tali sostanze sono "prelevate" durante l’allattamento, per passare nel latte. Ovviamente questo fenomeno riguarda tutti i mammiferi.

La Tabella I sintetizza i risultati di studi condotti, all’ inizio degli anni novanta, sia sul latte di mucche tedesche che di mamme svedesi. La scelta della nazionalità di questi soggetti messi a confronto dipende solo dal fatto che in questi due paesi esistono numerosi studi sistematici di questo tipo, mentre poco o nulla ancora si sa sul latte italiano , sia quello delle nostre mucche, sia quello delle nostre mamme.

TABELLA I. DIOSSINE NEL LATTE

( picogrammi per grammo di grasso)

  anno picogrammi/gr
mucche tedesche 1993 0.7
mamme svedesi 1992 18

Come si può vedere dalla tabella, la quantità di diossine che si trova nel latte delle mamme svedesi è circa 25 volte più elevato di quello che si trova nel latte delle mucche tedesche.

Questa differenza è generalizzata: la quantità di diossine nel latte materno è sempre maggiore di quello del latte di mucca. Il motivo è che, nella catena alimentare, le mamme (e i papà) si trovano sempre ad un livello superiore alle mucche, quindi gli umani concentrano le diossine nei propri grassi a livelli maggiori di quelli che si trovano nel cibo con cui si alimentano, in particolare latticini, carne, pesce.

Peraltro, le mamme svedesi hanno valori di diossine relativamente bassi, leggermente maggiore di quelli delle mamme spagnole ed ucraine (6-11 pg/gr). Situazioni peggiori si sono trovate nelle mamme tedesche abitanti in zone industriali (41 pg/gr) e, ancor peggio, nelle mamme di New York (189 pg/gr).

Ma anche nel popolo delle mucche si registrano importanti differenze. Ad esempio, nel latte di mucche belghe allevate in pascoli lontani da fonti inquinanti si trovarono, nel 1997, concentrazioni di diossine pari a 0.6 pg/g , mentre negli allevamenti vicini a zone industriali e ad inceneritori le concentrazioni di diossine erano nettamente maggiori (1.2 - 4.5 pg/gr).

Bambini e diossine

Tuttavia, le mamme non sono l’ ultimo anello della catena alimentare a base di diossine, questo primato spetta ai loro figli. Per questo motivo si ritiene che la quantità maggiore di diossine che si assimila nel corso della vita sia proprio quella ricevuta attraverso l’ allattamento al seno materno.

Se si confrontano i dati della Tabella I con i valori massimi tollerabili fissati dall’ OMS (4 pg/kg di peso) emerge una situazione inquietante.

Un neonato di 5 chili, giornalmente dovrebbe essere esposto a non più di 20 picogrammi di diossine, ovvero la quantità contenuta in 37 millilitri di latte di mamma svedese. Naturalmente un bambino di quel peso "ciuccia" , ogni giorno , molto più latte ( 200-300 millilitri) , quindi ingerisce, in proporzione, una quantità di diossine superiore al valore massimo tollerabile.

Ovviamente l’ esposizione neonatale a diossine è da evitare. Comunque, è opinione dei ricercatori che l’ allattamento al seno, in situazioni "normali", quali quelle riscontrate in Svezia, sia sempre da preferire, per i suoi indubbi vantaggi sull’ equilibrato e sano sviluppo del neonato.

E’ evidente , comunque, che bisognerebbe fare tutto il possibile per diminuire al massimo la quantità di diossine presenti nel latte materno.

Da dove vengono le diossine

In base al più recente (1995) inventario delle emissioni di diossine, le maggiori fonti industriali di diossine in Europa , in grado di coprire il 62% delle diossine immesse in atmosfera, sono:

Inceneritori per rifiuti urbani (26%)

Fonderie (18%)

Inceneritori rifiuti ospedalieri (14%)

Attività metallurgiche diverse dal ferro (4%)

Il restante 38% è attribuito a:

Impianti riscaldamento domestico a legna (legna trattata)

incendi

traffico

La quantità di diossine emesse annualmente in Europa da queste fonti è riportata nella Tabella II. Le quantità sono espresse in grammi di diossine di tossicità equivalente.

Questo sistema di misura, tiene conto della intrinseca tossicità di ciascuna diossina, quindi permette di confrontare, in termini di tossicità equivalente, miscele di diossine di diversa composizione.

TABELLA II Quantità di diossine prodotte annualmente in Europa da diverse fonti.

(1995)

Fonte g TEQ/anno
Inceneritori rifiuti urbani 1641
Fonderie 1125
Riscaldamento domestico a legna 945
Inceneritori rifiuti ospedalieri 816
Conservazione legno 381
Incendi 380
Produzione metalli non ferrosi 136
Trasporto veicolare non catalizzato 111
   
totale 5.535

Come cambia nel tempo l’ esposizione a diossine

Da quanto fin qui esposto, risulta ovvia la necessità di tenere sotto stretto controllo la presenza di diossine nell’ ambiente in generale e negli alimenti in particolare.

Solo a partire dagli anni settanta si sono rese disponibili tecniche analitiche in grado di misurare le diossine alle concentrazioni richieste dalla loro elevata tossicità e la complessità di queste tecniche ha fatto si che solo in pochi paesi siano disponibili dati accurati e sufficientemente sistematici.

Ad esempio, i dati sulla concentrazione di diossine nel latte, presentati nella Tabella I fanno parte di misure ripetute regolarmente nel tempo. Questi risultati, riportati nelle Figure 1 e 2 permettono di fare utili osservazioni.

FIGURA 1

La Figura 1 mostra come, in Svezia, le diossine nel latte materno si siano drasticamente ridotte tra il 1970 e il 1980.

Questo calo è sicuramente da attribuire a tutte le misure adottate per ridurre l’ emissione di diossine, anche a seguito del drammatico incidente di Seveso, in particolare il blocco della costruzione di inceneritori.

Rispetto al 1972 la quantità di diossine nel latte materno si è più che dimezzata, ma è rimasta sostanzialmente costante tra il 1984 ed il 1992.

FIGURA2

La Figura 2 riporta i risultati dei controlli annuali effettuati tra il 1993 e il 1998 sul latte di un allevamento di mucche tedesche che segnalano un evento inaspettato, degno di essere commentato. Nell’allevamento tenuto sotto controllo, la concentrazione di diossine nel latte, dal 1993 al 1997, rimase sostanzialmente costante ma , improvvisamente, nel corso del 1998, si registrò un brusco aumento, con un raddoppio delle concentrazioni.

La concentrazione di diossine raggiunta (1.4 pg/grammi di grasso) risultava superiore al valore guida per il controllo del latte, fissato in Germania nel 1993 e pari a 0.9 pg/gr. Per questo motivo si attivava uno studio per verificare le cause di questo fenomeno che rischiava di mettere fuori commercio il latte prodotto che, in base alla normativa tedesca non può essere utilizzato per l’ alimentazione umana se le diossine superano la concentrazione di 3 pg/gr.

L’ indagine evidenziò subito il motivo della contaminazione: l’ uso, a partire dalla fine del 1997, di bucce di limone come mangime per gli animali, provenienti dal Brasile !

Ovviamente, l’ uso di bucce di agrumi per l’ alimentazione delle mucche risultava più che lecito , (specialmente in periodi di "mucche pazze") ed era anche encomiabile l’ iniziativa di riciclare un sottoprodotto della lavorazione degli agrumi.

Purtroppo si era trascurato il piccolo particolare che gli oli della buccia del limone sono un efficiente sistema di assorbimento e concentrazione di diossine presenti, presumibilmente, o negli antiparassitari usati per il trattamento dei limoni o nelle emissioni di impianti industriali sopravvento alle coltivazioni di questi agrumi.

Insomma, gli allevatori tedeschi si sono trovati di fronte ad un inaspettato, sgradito regalo della globalizzazione del mercato e dell’ inquinamento ambientale che avrebbe inevitabilmente aumentato la dose giornaliera di consumatori e consumatrici se non fosse esistito un regolare e qualificato controllo dei prodotti.

Riteniamo che di questa esperienza si faccia tesoro per valutare l’opportunità di realizzare inceneritori o industrie inquinanti in presenza non solo di agrumeti ma anche di ulivi e di basilico, ovvero vegetali ricchi di sostanze oleose.

La situazione diossine in Europa

La tutela della salute della popolazione ha motivato, nel 1993, la scelta dell’ Unione Europea di inserire nel quinto Piano d’ Azione l’ obiettivo, entro il 2005, di ridurre del 90 % le emissioni di diossine, rispetto ai valori del 1985.

La Tabella III riporta la stima della quantità di diossine emessa pro capite in alcuni paesi europei, in base alle valutazioni effettuate per il 1985 e il 1995

TABELLA III

RIFIUTI INCENERITI (tonnellate/abitante)

ED EMISSIONE PRO CAPITE DI DIOSSINE

IN EUROPA

(microgrammi pro capite)

  Ton incenerite/ab 1985 1995 obiett. 2005
         
Comunità Europea 0.11 29 13.2 2.9
         
Austria 0.04 35.1 15.1 3.5
Belgio 0.22 52.4 45.2 5.6
Danimarca 0.44 26.9 8.3 2.7
Francia 0.19 35.8 18.2 3.6
Germania 0.14 24.4 7.0 2.4
Inghilterra 0.06 32.8 14.8 3.3
Irlanda 0 17.5 8.5 1.8
Italia 0.03 26.9 16.8 2.7
Lussemburgo 0.40 188 75.2 18.8
Olanda 0.20 31.3 6.5 3.1
Portogallo 0 21.2 12.2 2.1
Spagna 0.02 18.2 7.4 1.8
Svezia 0.21 48.1 8.4 4.8

Fonte: OEKO- Institut

In Europa la quantità di rifiuti avviata all’ incenerimento è mediamente di 110 chili all’ anno.

Danimarca e Lussemburgo hanno indici di incenerimento nettamente superiori alla media europea (oltre a 400 chili per abitante).

Portogallo ed Irlanda non hanno inceneritori e l’ Italia si trova in coda a questa classifica (30 chili per abitante) con valori confrontabili a Spagna ed Austria.

Per quanto riguarda gli indici nazionali di emissione di diossine occorre premettere che l’ inventario delle emissioni di diossine è molto lacunoso con poche stime supportate da misure e statistiche accurate. Nonostante ciò, il quadro che emerge , in base ai dati al momento più aggiornati, è la sostanziale riduzione delle emissioni di diossine in tutti i paesi della comunità, nel decennio tra il 1985 e il 1995.

La situazione peggiore si registra nel Lussemburgo dove la quasi totalità dei rifiuti è incenerito e la posizione del Belgio , al secondo posto tra i paesi "produttori" di diossine, potrebbe non essere estranea alla crisi, scoppiata nel 1999, con i suoi polli "alla diossina".

L’ Italia , che nel 1985 si trovava in una situazione leggermente migliore rispetto alla media europea, si è vista sorpassare, dopo dieci anni, da Germania ed Olanda, paesi che da tempo hanno puntato sulla raccolta differenziata e il riciclaggio dei propri rifiuti.

Peraltro, la Tabella III mostra come siano ancora importanti gli sforzi che i diversi paesi della Comunità devono fare se vogliono veramente raggiungere gli obiettivi del quinto Piano d’ Azione.

In particolare, l’ Italia dovrebbe ridurre di sei volte le emissioni di diossine, rispetto al 1995 e la scelta di privilegiare l’ incenerimento al riciclaggio non va nella giusta direzione.

Se in Italia si passerà, dall’ attuale 16 %, ad incenerire il 65 % dei rifiuti prodotti , è inevitabile che la quantità di diossine immesso nel nostro ambiente da questa specifica fonte aumenti, nonostante il minor impatto ambientale dei nuovi inceneritori.

Inoltre, le esperienze in atto dimostrano che la politica degli inceneritori incrementa la produzione di rifiuti e ne disincentiva il riciclaggio. Il motivo è banale: i grandi investimenti necessari per la costruzione e la gestione degli inceneritori richiedono, per realizzare profitti, la costruzione di grandi impianti (più di 800 tonnellate al giorno) e l’ afflusso costante di materiale ad alto potere calorifico.

Quante diossine produce un moderno inceneritore

La Comunità Europea, al fine di contenere l’ emissione di diossina negli Stati Membri, ha fissato per le diossine un limite all’ emissioni degli inceneritori di 0.1 nanogrammo per metro cubo ( un nanogrammo è pari ad un milionesimo di milligrammo).

Questa concentrazione è nettamente inferiore a quelle riscontrabili nelle emissioni di "vecchi" inceneritori (da 10 a 100 volte), ma questi nuovi valori non sono sinonimi di sicurezza, rispecchiano solo le prestazioni possibili con questi nuovi impianti.

Come si è già visto, il pericolo delle diossine non deriva da quanto se ne respira, ma letteralmente da quanto se ne mangia.

Pertanto, una corretta valutazione dell’impatto ambientale e sanitario deve calcolare la quantità complessiva di diossine emessa nel tempo e valutarne l’ accumulo nei diversi ecosistemi ed in particolare negli alimenti. Occorre, quindi, calcolarne le concentrazioni all’equilibrio, ossia nelle condizioni in cui la quantità di diossina immessa nell’ambiente in un determinato tempo, corrisponde a quella che, nello stesso tempo, " scompare " per degradazione.

Si è già detto che le diossine sono molto stabili, in particolare nei tessuti umani le diossine hanno un’ emivita di ben sette anni. Questo significa che anche interrompendo del tutto l’assunzione di cibi contaminati , occorrono sette anni perché la concentrazione di diossine acculata nei grassi si riduca della metà.

Fatte queste considerazioni generali, calcoleremo insieme la quantità di diossine emessa giornalmente da un moderno inceneritore e cercheremo di capire se tale quantità è trascurabile o meno.

Come abbiamo detto, in ogni metro cubo di fumi emessi da un moderno inceneritore ci devono essere, al massimo 0.1 nanogrammi di diossine. Ma quanti metri di cubi di fumi emette un inceneritore? La risposta può venire dalle specifiche del progetto dell’ inceneritore di Genova che dovrebbe trattare 800 tonnellate di rifiuti al giorno che, come si è già visto, corrisponde alla capacità minima di trattamento per rendere economica l’ intera operazione. Ebbene, un inceneritore che tratta 800 tonnellate al giorno di rifiuti emette, ogni ora, dal proprio camino, 210.000 metri cubi di fumi.

Questo grande volume di fumi è inevitabile, in quanto corrisponde alla quantità d’aria che occorre immettere nelle caldaie per avere l’ossigeno sufficiente per bruciare completamente i rifiuti.

Di conseguenza, la quantità di diossine emessa, in 24 ore, da un moderno inceneritore si può così calcolare:

0.1 nanogrammi x 210.000 metri cubi x 24 ore = 504.000 nanogrammi / giorno

Sappiamo già che è meglio pesare le diossine in picogrammi, per cui, essendo un nanogrammo pari a 1000 picogrammi

504.000 nanogrammi = 504.000.000 picogrammi.

Pertanto, un moderno inceneritore da 800 tonnellate al giorno emette in atmosfera, nel pieno rispetto delle norme, 504 milioni di picogrammi di diossine, ogni 24 ore.

La Tabella che segue ci può aiutare a dare un significato a questa quantità.

Infatti, nella Tabella IV sono riportati quanti picogrammi di diossine sono stati mediamente trovati in Belgio nel pollame contaminato, la quantità massima di picogrammi a cui giornalmente un adulto di 70 chili può essere esposto in base ai parametri proposti dall’ OMS, la quantità massima di diossine ammessa in un litro di latte in base alla normativa francese ed , infine, quanti picogrammi di diossine sono immessi nell’ ambiente dai gas di scarico di un’ auto catalizzata, per ogni litro di benzina consumato.

TABELLA IV

PICOGRAMMI DI DIOSSINE IN DIVERSE SITUAZIONI

  picogrammi
In un pollo "belga" 70.000
Dose massima giornaliera di un adulto 280
Dose massima in un litro di latte 175
Emissione auto catalizzata ( 1 l. benzina) 7.2

In base a questi dati, si può facilmente calcolare che la quantità di diossine prodotta giornalmente da un moderno inceneritore che rispetta i più restrittivi limiti alle emissioni, fissati dalla Comunità Europea (504 milioni di picogrammi ) equivalgono a :

7. 200 polli "belgi"

Dose massima giornaliera di 1.800.000 adulti

2.400.000 litri di latte contaminato a livelli che lo rendono non commerciabile

Emissione giornaliera di 70.000.000 di auto catalizzate dopo aver percorso ciascuna, circa 10 chilometri .

.

Quindi, le quantità di diossine emesse da un grande e moderno impianto di incenerimento possono avere effetti indesiderati se incautamente immessi nella catena alimentare.

Al contrario, le equivalenze riportate suggeriscono che la quantità di diossine emesse da un moderno parco autoveicolare (anche di dimensioni nazionali) sia trascurabile, rispetto a quella prodotta da un parco inceneritori fatto di centinaia di impianti.

Ovviamente, non tutte le diossine prodotte da un impianto di incenerimento finiscono nel latte o nei polli ma un impianto di incenerimento funziona in modo pressoché continuo per almeno venti anni, e le prospettive in Italia sono che la quantità di rifiuti inceneriti aumenti di quattro volte, rispetto alla situazione attuale (da due a otto milioni di tonnellate all’ anno) e nei cassetti degli Enti locali si trovano già i progetti per la costruzione di 173 nuovi inceneritori, anche grazie ai generosi incentivi statali per la produzione di elettricità dei rifiuti (una forma occulta di Tassa sui Rifiuti a carico della collettività ) e alle procedure semplificate per le autorizzazioni alla costruzione di questi impianti.

Gli inceneritori francesi hanno contaminato il latte

Peraltro, la possibilità che le diossine prodotte da un inceneritore possano contaminare in modo grave il latte, non è solo un evento virtuale. E’ già successo, in tempi recenti, che le ricadute di inceneritori per rifiuti urbani, accumulandosi lungo la catena alimentare abbiamo contaminato il latte prodotto nelle vicinanze.

Il fatto è accaduto in Francia, nel 1998 . Uno studio su campioni di latte raccolti in 26 diversi allevamenti evidenziava una chiara anomalia nei campioni provenienti da allevamenti, le cui mucche si alimentavano su prati posti sottovento ad un inceneritore, a circa un chilometro di distanza.

In questo latte, le concentrazioni di diossine erano maggiori di 5 picogrammi per grammo di grasso, nettamente superiori al valore massimo ammesso in Francia (1 pg/gr). A seguito di quest’ indagine l’ inceneritore incriminato (localizzato a Maubeuge, nel nord della Francia) fu, senza grande clamore, chiuso ed il latte dell’ azienda a rischio distrutto.

Il principio di precauzionalità applicato anche all’ incenerimento dei rifiuti

La direttiva CEE sugli inceneritori stima che, applicando i nuovi limiti alle emissioni, il contributo alla produzione di diossine dagli inceneritori si ridurrà’, in Europa dal 40 % allo 0.3%, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi del 5° Programma quadro. Tuttavia , come si è visto la produzione residua di diossine, quanto meno nei dintorni di ogni impianto, non potrà considerarsi trascurabile ed i fenomeni di accumulo a livello locale o per trasporto transfrontaliero, grazie al mercato globale, come evidenziato dall’ episodio tedesco delle bucce di limone contaminate, suggeriscono di non abbassare la guardia.

A tal riguardo, è utile ricordare le raccomandazioni del Comitato per la Tossicità delle Sostanze Chimiche negli Alimenti (UK) che, nel 1995, a conclusione di una valutazione dei rischi sanitari connessi con l’ esposizione a diossine afferma:

"l’ azione più utile che può essere presa per ridurre l’ esposizione a queste sostanze indesiderabili è, per quanto possibile, identificare le maggiori fonti di diossine e prendere le appropriate misure per ridurre le emissioni a lungo termine nell’ ambiente, con lo scopo di ridurre i livelli negli alimenti e nei tessuti umani."

Questo giudizio rientra nella nuova politica di attivare misure precauzionali a tutela della salute pubblica, ovvero quella di prevenire il danno, invece di mitigarlo.

Poiché non è assolutamente obbligatorio incenerire i rifiuti urbani e questa pratica non è neanche giustificata dal punto di vista energetico ed economico, l’ applicazione del principio della precauzionalità alla gestione dei rifiuti obbligherebbe a rinunciare all’incenerimento e a puntare, in modo prioritario, sulla riduzione, il riuso e il riciclaggio dei materiali post consumo, in quanto queste pratiche inducono un impatto ambientale nettamente inferiore a quello degli inceneritori.