Satira,
democrazia virtuale e menzogne.
Di
Wanda Piccinonno.
Può sembrare paradossale, ma
per descrivere l'ltalia degli affluenti e degli influenti
è ancora attuale il giudizio formulato da Dante:
"Non donna di provincia ma bordello ", ne
consegue che quando Daniele Luttazzi parla di "
paese di MERDA " non fa altro che fotografare Io
status quo anche se cio' scatena il rumoroso dissenso dei
sepolcri imbiancati della seconda repubblica. D'altro
canto, constatando che sono venuti meno i luoghi della
critica e che si celebra quotidianamente la scomparsa
acefalica di ogni libertà, giova evidenziare che le
trasmissioni televisive "atipiche" sortiscono
effetti positivi, perché aprono uno spiraglio su verità
sommerse, sull'ipocrisia del mercato politico e
sull'Italia delle fazioni e dei carnevali. Purtroppo,
l'aria è lacerata da lugubri litanie e il contesto è
uniforme, sicché ciò che dilaga è solo una forma
degenerata dell'antico homo homini lupus. Ciò consente
di stigmatizzare la satira o di addomesticarla alle
esigenze irriflessive e mercantili di tutta la classe
politica La questione cruciale è che oggi s'impone la
"fenomenologia dell'opportunismo", come la
definisce De Carolis, e ciò comporta la consumazione
della "religione della libertà", intesa tout
court- Pare quasi che un labirinto di fango insensato
stia espellendo ogni rigurgito di onestà intellettuale e
di critica radicale. In un contesto, in cui il regresso
si camuffa da progressismo, occorre smettere di valutare
l'importanza di un pensiero dal rumore che fanno i suoi
araldi e affinare i timpani al punto di udire un altro
rumore. In questa prospettiva, valicando i paradigmi
delle strumentali macchine d'integrazione, è opportuno
collegarsi alla grande tradizione libertaria, quella che
dice, come Bakunin, che c'è un istinto originario
ribelle a ogni potere, di cui poi si alimenta la
rivoluzione. In questo quadro s'inscrive l'altissima
valenza della satira, che lungi dal rappresentare sterili
licenze scenografiche, assolve la funzione di rigorosa
lezione politica. Nella trasmissione "Raggio
verde", condotta magistralmente da Michele Santoro,
Dario Fo, con il consueto acume, ha sottolineato i
variegati significati della satira, non solo per quel che
concerne l'aspetto culturale e storico, ma anche mettendo
in luce il connubio indissolubile tra satira e
informazione. Assodato che la nostra e' una democrazia
virtuale, intossicata dal familismo, giova ricorrere a
Mayakovskij, che sosteneva che "il primo campanello
d'allarme della fine di una democrazia reale e' proprio
la fine della satira ". Oggi, in uno scenario
caratterizzato dall'aberrazione, i post-fascisti e i
neo-fascisti, ormai legittimati dalla sbracata apertura
della "sinistra", diffamano il comunismo e
decretano la fine della satira. Eppure Lenin amava molto
la satira, tant'è che affermava: "Non sono un uomo
di teatro, ma ho capito l'ironia di Mayakovskij ".
Intanto, l'uomo della provvidenza ossia il Cavaliere, a
cui l'ulivo ha spianato la strada, grazie, soprattutto
alle aperture a 360 gradi della pseudosinistra, da
"buon" ducetto della seconda Repubblica,
attacca la satira, la Corte Costituzionale, la
magistratura e tutte le trasmissioni che ledono la sua
maestà Il Cavaliere, maschera patetica del quadro
politico attuale definisce "grottesca" la
satira di Luttazzi, dimostrando così dì essere un abile
piazzista, ma di possedere un pensiero decisamente
debole. Al Berlusca sfugge che il " grottesco "
ha un'intrinseca valenza culturale e storica. Non senza
ragione Brecht sosteneva che il momento più alto della
satira è il grottesco, perché "fa prendere
coscienza alla gente e perché brucia e arriva in
profondità". La satira, pertanto, può costituire,
un prezioso supporto per ritrovare l'autentica
"cultura del popolo", e quindi per
riappropriarsi di una coscienza lucida e non intaccata
dalla dilagante apologia della massificazione. Purtroppo,
nell'epoca di confusione in cui viviamo, cioè un'epoca
di bestemmie e caratterizzata dalle fosforescenze di un
rinnegamento infinito, ciò che imperversa è la
stupidità di alcuni e la spregevole canaglieria di
altri. Ciò comporta che ogni
rappresentazione si riduca a mimesi totalizzante, a
"pittoresco" su ordinazione, sicché quando si
delinea una nuova "spaziatura", come la
definiva Artaud, suscita attacchi di marca fascista.
D'altra parte, in Italia, né la satira né fil teatro
politico hanno avuto diritto di cittadinanza, infatti le
censure sono state sempre attive, per via di una
tradizione politica intrisa di conformismo, per i
compromessi con i poteri forti, per le commistioni con le
camarille mafiose, per l'ingerenza "santa" del
Vaticano. Per' quanto concerne il teatro politico, basti
pensare alla campagna odiosa perpetrata ai danni di Dario
Fo per il «Mistero Buffo"', nel 1977. Il caso Fo
non è isolato e ciò conferma che nel Belpaese vi è
stato sempre il conflitto fra l'intolleranza e il diritto
alla libera creazione. Vero è che nel 68 grande
interesse suscitò il Teatro politico di Piscator,
tant'è che fu tutto un frenetico pullulare di gruppi che
intendevano aprire una prassi inedita. Ma, carne ha
osservato Massimo Castri, "la grande fiammata si è
raffreddata e la sua interruzione rappresenta un grosso
danno". Nella consapevolezza che alcuni periodi
storici presentano analogie, vale la pena rivisitare la
figura di Enwin Piscator. Per rilevare lo spessore del
suo Teatro politico occorre evidenziare che le esperienze
del marxista Piscator si collocano negli anni confusi e
terribili della Germania di Weimar e della rivolta
spartachista, tra il 1919 e il 1929. In questo scenario
inquietante gli argomenti teatrali di Piscator si
risolvono in una lezione politica rivoluzionaria, che
rifiuta ogni rapporto dialettico con il potere. Ciò
significa che la satira e il Teatro politico, se vogliono
assolvere la loro funzione, devono focalizzare
l'attenzione sui miasmi e sulle contraddizioni della
topografia del sistema di dominazione. Fatte queste
precisazioni, occorre mettere in luce che nella fase
odierna, per via della campagna dettorale, al di la delle
sceneggiate, emergono contraddizioni, malafede,
ipocrisia, colpevoli amnesie. Pertanto, pur non amando i
cavalieri e i cavalli di Arcore, ritengo che sia
necessario smascherare lo strumentale manicheismo della
sinistra istituita. Occorre sottolineare che l'ascesa del
piazzista Berlusconi, le legittimazioni di Bossi, di
Fini, non sono da imputare al caso, ma alla tendenza
all'unanimismo, alla concertazione, alla svendita della
"sinistra", alla mercificazione della politica.
In realtà C'e di che rimanere inebetiti dinanzi a questa
regressione del dibattito politico, sicché è necessario
decostruire i parametri dell'artificio, per svelare la
barbarie della situazione esistente. Da qui l'esigenza di
ricordare la tendenza all'inciucio della pseudosinistra;
le intese Berlusconi-D'Alema; le alleanze con Bossi e col
picconatore Cossiga; la guerra "umanitaria» gestita
dal "generale Max"; il conflitto d'interessi
del cavaliere, considerato come merce di scambio;
l'atteggiamento di totale sudditanza nei confronti
dell'impero. Quando il camaleontico Rutelli afferma che
Bossi è peggio di Haider, dimostra che le sue velleità
sono intrise da forme di delirio, non scevre da
preoccupanti amnesie, infatti dimentica che Bossi è
stato alleato del centro-sinistra. E' evidente, pertanto,
che gli orchestranti del circo mediatico-polittico
regolano il teatrino delle menzogne all'insegna della
banalità e di un aberrante qualunquismo, offrendo un
quadro in cui "tutte le vacche sono nere".
D'altro canto, pur rilevando l'incidenza delle cause
esogene "globali", si evince che il nostro
paese, vuoi anche per una sorta di continuità tra
passato e presente, mostra una gestione manipolatoria e i
miasmi di un'epoca decadente. I tratti salienti della
catastrofe sono: la peste dell'omologazione; il
leaderismo dei mercanti politici; l'enfatizzazione
dell'ingegneria elettorale; la rottura della dimensione
categoriale della Costituzione e quella Ordinamentale;
l'evanescenza dell'assetto democratico; la cancellazione
degli strumenti tradizionali deputati alla formazione
collettiva; l'esclusione sociale; l'azzeramento dello
stato di diritto; il lavoro "atipico",
interinale e servile; l'elevato tasso di disoccupazione;
l'economicismo inteso come spirito assoluto. E' evidente
che ci troviamo dinanzi alla rappresentazione surreale
della politica, tant'è che non è più il parlamento lo
spazio sacro In cui sì manifesta il conflitto politico,
ma sono, invece, i media. Ciò significa che il sistema
dell'informazione è divenuto qualcosa dì più complesso
di quanto lasciassero presagire le rappresentazioni
inerenti il "quarto potere" o il "quinto
potere". Da qui discende una sorta di demiurgo che
divulga tutte le menzogne istituite. In questa strana
partita emerge un naturalismo antipolitico, sicché gli
unici paradigmi vincenti sono i capitali, le azioni, le
imprese. Una politica ridotta a puro occasionalismo
spinge a rievocare il "Principe" di
Machiavelli, nel quale la dignità di resistere al mondo
si configura carne virtù, ovvero come potenza
costitutiva del mondo Intanto, i tecnocrati modernisti,
apostoli della deriva, continuano, avvalendosi di uno
statuto sfocato, a vendere aria fritta. Difatti, in linea
con il "novitismo", si coniano anche nuovi
termini, sicchè le censure si chiamano par condicio e
ogni ritardo colpevole "periodo tecnico".
Bordon, uno dei creativi di governo, si è valso
dell'espressione "periodo tecnico", per
giustificare il non-intervento sulle "sante
antenne" del Vaticano, che, ahimè, non dispensano
miracoli ma morte. L'enciclopedia delle menzogne non
finisce qui, infatti, I'Ulivo, marcio e bugiardo, ha
fatto nei mesi scorsi un bel dono a Mediaset. La legge
342 ha consentito la rivalutazione dei marchi di Canale
5, Italia1 e di Retequattro da parte della società Rti.,
agevolando il regime fiscale del Biscione Grazie a questa
legge, il gruppo Mediaset ha risparmiato 74 miliardi. I
dati oggettivi sulla malafede istituita sono innumerevoli
e dimostrano che la politica e' ormai ridotta a fiction.
Ciò è suffragato non solo dalle performance del
Cavaliere, ma anche dalle sortite dell'infingardo
D'Alema, che, con bieca determinazione, squalifica ogni
illusione di verità, rimodellando il reale, esaltando
l'operato della pseudosinistra e la sua
"gloriosa" esperienza di
"Presidente". valicando l'ambizione demiurgica
del D'Alema-pensiero e la retorica e il cinismo dei
tecnocrati "progressisti". S'impone la nuda
verità, ovvero che ci troviamo dinanzi a un falso
liberalismo gioviale e arraffone. Pertanto, rimuovendo le
bizzarre illusioni progressiste e avvalendosi
dell'implacabile legge della "verità
effettuale", vale la pena ricordare dettagli non
trascurabili. Basti pensare alla "guerra
umanitaria", che D'Alema considera il suo fiore
all'occhiello; al conflitto d'interessi del Cavalier;
allo smantellamento dello stato sociale; alle alternative
ideologiche rese obsolete; agli stereotipi culturali del
nuovismo, che sostengono forme di gestione personalistica
e demagogica del potere; alla tendenza al
pIebiscitarismo. Ma, D 'Alema, nel suo ambizioso delirio,
manifesta un'autentica allergia alla verità e così si
compiace per il suo governo militare e per essere stato
un artefice dì spicco nel determinare la fine della
guerra nei Balcani, quando poi anche i telegiornali più
addomesticati mostrano che la "polveriera" non
si è spenta e che vi sono conflitti sanguinosi tra
Macedonia e UCK, tra croati-bosniaci e le truppe della
Sfor-Nato, tra albanesi e serbi. L'impostura dello schema
non si esaurisce qui, infatti, D'Alema, suggellando il
fazioso "far credere" del progressismo, alla
trasmissione di Michele Santoro, ha enfatizzato l'arresto
di Milosevic, come momento esaltante per la democrazia
serba. Negando l'osceno gioco delle parti, occorre
sottolineare che l'ossimoro della «guerra
umanitaria" è stato l'esempio illuminante della
militarizzazione della politica, della violazione della
Corte Costituzionale della sudditanza dell'italietta alle
"leggi" dell'impero. Inoltre, vale la pena,
rilevare che l'arresto di Milosevic è strettamente
collegato con l'ultimatum americano, che imponeva
l'arresto per il versamento di 200 miliardi di aiuti ai
Balcani. Onde evitare fraintendimenti, giova evidenziare
che non si vuole parteggiare per Milosevic, un
personaggio, peraltro, ondivago, ambiguo e corrotto, ma
mettere in luce le contraddizioni del trascendentalismo
odierno. Da qui discendono inquietanti quesiti: chi
penalizzerà i crimini della Nato? Perché il tribunale
dell'Aia non processa leader albanesi, come per esempio
Haschim Thoci? Chi demistificherà i giochi
dell'imperialismo, sorretti dalla sinistra
"progressista"? Chi denuncerà i misfatti
perpetrati ai danni dell'inestirpabile credenza degli
oppressi? Pertanto, pur constatando che la repressione
rende afasici, è necessario che "i dinosauri"
rifiutino gli strumentali slogan umanistici e neghino le
manipolazioni di quella che Bourdieu definisce "la
politica dell'antipolitica". Ciò s'impone, perché
i disordini istituiti hanno generato una democrazia
virtuale, propria di un popolo di sudditi, ma non di
cittadini. Pacificazione, buonismo, abiure,
frammentazione delle rappresentanze e degli interessi,
esaltazione della "neutralità delle scelte,
alleanze ballerine", sono stati i tratti salienti di
un iter che va dal Governo Dini all'ulivo e che è
costellato da compromessi vergognosi, dalla volatilità
elettorale, dalla personalizzazione della leadership,
dalla metamorfosi mediatica detta rappresentanza. Si è
pensata, erroneamente, che la Repubblica dei partiti
costituisse il punto focale della crisi italiana,
sottovalutando così l'intricata trama difatti e misfatti
di tutta una prassi storica. Purtroppo, nel Belpaese
l'ora della liberazione si eternizza e ciò che rimane è
l'infernale spirale della oppressione e della schiavitù.
Dinanzi alla disfatta della libertà, agli stratagemmi
reazionari, al regno della confusione e della
trivialità, s'impone perentorio ancora una volta il
seguente quesito: "Socialismo o barbarie". A
questo punto, onde evitare i facili entusiasmi dei
"comunisti" post-moderni, sono doverose alcune
precisazioni. Difatti, constatando i parametri delle
"sacre famiglie" del marxismo bonaccione e
deforme, è opportuno evidenziare che " i
comunisti" di Cossutta e quelli di Bertinotti non
possono ridurre il comunismo a "possesso" del
simbolo "falce e martello ", dal momento che la
materia della contesa è funzionale al gioco delle
presenze elettoralistiche. Ciò che sfugge ai
"nouveaux philosophes" è che il simbolo è un
sigillo, ossia la figura rappresentativa di un'idea, e
non un'evocazione suggestiva ma strumentale. Vero e' che
oggi DIO e' diventato proletario, sicché non può
destare stupore che vi sia uno ìato profondo tra
l'ordine della politica e l'ordine dell'etica. Si
dimentica così che nell'essenza del comunismo non solo
è inscritta la matrice rivoluzionaria, ma anche una
radicale valenza etica, che rifiutano in modo categorico
la razionalità strumentale, di Weberiana memoria. In
altri termini, far politica nel biopolitico del
post-moderno significa "resistere",
"ribellarsi" e, al tempo stesso, esprimere un
soggetto biopolitico, senza cadere nelle lusinghe delle
istituzioni, pardon delle poltrone. Vivere con Marx e
andare oltre Marx, dunque per mettere al bando l'infamia
della barbarie e dare potenza all' "evento",
come vuole Toni Negri. D'altra parte, al di là delle
mistificazioni operate dal socialismo reale, il
materialismo, inteso non in modo piatto e volgare, è
l'irriducibile altro dal potere ed è il fondamento di
una costituzione etica. Da qui discende che essere
comunisti non può ridursi ad un mero reagire, come il
cane di Pavlov che reagisce, provando appetito all'udire
il suono del campanello, che ha finito per associare al
cibo. D'altro canto, nell'essenza del comunismo è
intrinseca l'attività creatrice e non senza ragione
Marx, parlando dell'amore come di una attivita', nei
" Manoscritti Economici " affermava: " Se
ami senza ottenere in cambio amore, se cioè il tuo amore
non produce un contraccambio d'amore, se mediante la tua
manifestazione vitale come uomo amante non ti fai uomo
amato, vuol dire che il tuo amore e' impotente,che e' una
sventura " Intanto, mentre D'Alema " vola
" , " senza paracadute " nel cielo
inquinato del maggioritario, dimenticando haime' la
brutta esperienza di Icaro, dinanzi allo spettacolo della
desolazione occorre protestare, " resistere " e
proclamarsi " antiprogressisti ".
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