MANIFESTO Il ballerino
LUIGI
PINTOR
Fu un'idea fulminante, quella di candidare Pietro
Valpreda nelle elezioni del 1972. Ma non fulminò
nessuno. Meno di duecentomila risposero all'appello, il
manifesto fu stracciato e il ballerino anarchico rimase
innocente in galera. Ci penso sopra ogni tanto da
trent'anni e non ho ancora ben capito perché. Sì, lo
so, fu un atto politicamente scorretto e sommamente
ingenuo. Molta gente, oltretutto, pensò che la nostra
fosse un'operazione bassamente strumentale ed
elettoralistica. Ma questa ed altre spiegazioni tecniche
non mi hanno mai persuaso.
«Sono Pietro Valpreda, vi parlo dal carcere di Regina
Coeli...». Questo nastro non fu trasmesso in
televisione, a cui non avemmo accesso, ma fu ascoltato in
ogni piazza. Che occasione democratica, un voto popolare
che restituisce la libertà alla vittima di un intrigo di
stato, che lo fa entrare in parlamento salutato dai
carabinieri, che rompe la trama sanguinosa della strage
di piazza Fontana. La presa della Bastiglia, o poco meno.
Tutti si dileguarono. C'è una grande differenza tra
sfilare in corteo gridando Pinelli è stato suicidato, la
strage è di Stato, Valpreda libero, e tradurre questa
invocazione in un voto politico che volti le spalle alle
formazioni tradizionali e alla squadra del cuore. E così
ci vorranno trent'anni di processi perché venga fuori
neppure un decimo della verità.
Quando i telegiornali hanno dato notizia della morte del
ballerino anarchico e fatto una rapida cronistoria di
quelle vicende mi son detto che metà degli spettatori
non ne sapevano niente e non avevano mai sentito quel
nome. Trent'anni sono un'eternità. Eppure è materia
d'attualità, c'è un nesso inscindibile tra passato e
presente e una continuità impressionante nei veleni
della storia nazionale.
Chissà come fa l'opinione pubblica a cascarci ancora,
quando si aprono inchieste, si avviano indagini, e i
poteri costituiti promettono verità e giustizia sui
misteri dei nostri giorni. Chi ha ucciso il professor
Biagi non lo sapremo tra trent'anni.
11 LUGLIO 2002
|
REPUBBLICA. Il segretario della Cgil
risponde a Berlusconi:
"Sarei un convitato di pietra"
Cofferati,
declina l'invito a pranzo
"Sul Patto sentiamo i lavoratori"
La Cgil chiederà una consultazione generalizzata
"Utili e franchi" gli incontri con i leader del
centrosinistra
ROMA - "No, grazie".
Sergio Cofferati declina l'invito di Berlusconi a
colazione e conferma in pieno il giudizio fortemente
negativo della Cgil sul "Patto per l'Italia"
firmato da governo, Confindustria, Cisl e Uil. Il
segretario del maggiore sindacato italiano ha parlato al
termine della due giorni di consultazioni con i partiti
del centrosinistra e ha ribadito tutte le sue posizioni.
Anzi, ha chiarito che sul "Patto", la Cgil
chiederà di sentire tutti i lavoratori interessati e
arriverà anche a raccogliere firme per una legge di
iniziativa popolare: "ll giudizio negativo - ha
detto Cofferati - è diffuso tra i lavoratori e la
conferma arriva dagli scioperi di questi giorni. La
nostra prima iniziativa sarà di chiedere a chi ha
firmato l'accordo di promuovere una consultazione tra i
lavoratori e i pensionati".
Cofferati non ha invece ribadito l'iniziativa del
referendum sulla quale aveva incontrato i dubbi del
centrosinistra. Si è limitato a dire: "Anche noi,
quando prepariamo un'iniziativa, vogliamo vincere".
Il che potrebbe essere letto sia come un riaffermare
l'idea del referendum, che come un accettare di
accantonarla momentaneamente in attesa dell'esito della
battaglia parlamentare.
La "colazione" (o pranzo che fosse) con il
premier, dunque, non ci sarà. E in questo educato
rifiuto, Cofferati mette il suo "no" politico.
Lo fa prendendo in prestito argomenti dalla lirica di cui
è appassionato cultore. E cita il "Don
Giovanni" di Mozart: "Non si pasce di cibo
mortale chi si pasce di cibo celeste. Altre cure più
gravi di queste, altra brama qua giù mi guidano. La
brama che mi guida - chiarisce - è quella di far vincere
la Cgil". Al pranzo, Cofferati non pensa di poter
aderire perché, dice, "In questa vicenda sindacale
mi sembra di essere diventato un convitato di
pietra". E aggiunge di aver vissuto come
"sorprendente" l'invito del premier "visto
l'atteggiamento non proprio corrispondente verso la Cgil
e verso la mia persona in una sede importante come il
Parlamento". Insomma, Cofferati non ha intenzione di
pranzare con chi, alla Camera, lo ha accusato di essere
stato indirettamente causa della morte di Marco Biagi.
- Comunicazione promozionale -A
stretto giro, almeno sul punto del pranzo, arriva la
risposta di Berlusconi: "Il mio invito non ha
scadenza" fa sapere il premier. Come dire che non è
limitato all'attuale (piuttosto tesa) contingenza
politica.
Ma, al di là di pranzi, lirica e letteratura, Cofferati
è stato poi esplicito sul "Patto per
l'Italia". Secondo la Cgil, la modifica
dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è
"incostituzionale", il che confermerebbe la
già ventilata azione del sindacato sul piano legale fino
alle eccezioni di incostituzionalità da sollevare alle
prime applicazioni della normativa che, eventualmente,
scaturirà dal "Patto". Quanto alla delega
sulle pensioni, il segretario della Cgil l'ha definita
"un regalo alle imprese".
E Cofferati non ha nascosto la sua preoccupazione per la
rottura con Cisl e Uil, ma, come aveva spiegato ieri a
D'Alema e Fassino durante l'incontro con la delegazione
Ds, ha ribadito che si tratta di una "lacerazione
annunciata" e che "ci vorranno anni" per
ricucire lo strappo. Come dire che la Cgil è pronta ad
andare avanti da sola in questa battaglia. Sollecitato
dalle domande, però, il segretario della Cgil è andato
oltre e ha disegnato possibili scenari diversi: la
possibilità di una ripresa delle iniziative unitarie ci
sarebbe. Come? "Si possono ricreare - spiega
Cofferati - condizioni diverse da quelle attuali". I
contenuti del Dpef, infatti, potrebbero essere tali da
far "arrabbiare" anche Cisl e Uil: "Ad
esempio, se non ci fossero i soldi per il contratto del
pubblico impiego che riguarda 4 milioni di persone, ci
sarebbe una lesione dell'accordo che il governo ha
sottoscritto coi sindacati il 4 febbraio. E c'è da
prevedere che la reazione di coloro che hanno firmato
sarebbe unitaria".
Proprio quello che preoccupa i diessini e che sarebbe
stato oggetto spinoso dell'incontro di ieri con la
delegazione della Quercia. Cofferati ha detto che il suo
giro di contatti con i leader del centrosinistra è stato
"utile" e i singoli incontri sono stati
"franchi". Poi ha spiegato di aver letto sui
giornali cose inesatte in merito allo scambio di vedute
con Fassino e D'Alema: "Non ha fondamento quello che
avrei detto su di loro".
(11 luglio 2002)
|
DA REPUBBLICA Previsti
tagli alla spesa sanitaria e la introduzione in via
sperimentale delle mutue "private". Decisa
l'uscita da Telecom e Seat
Il governo
presenta il Dpef
Manovra da 12 miliardi di euro
Nel 2003 il primo modulo della
riforma fiscale
Introdotta maggiore flessibilità nel pubblico impiego
ROMA - Una manovra da oltre 12
miliardi di euro, più o meno 24 mila miliardi delle
vecchie lire per il 2003. E' la cifra che ha messo in
conto il vice ministro dell'Economia Mario Baldassarri al
termine di una riunione alla Camera dei deputati per
mettere a punto i lavori in vista dell'esame parlamentare
del Dpef. Una manovra attuata attraverso spostamenti di
risorse, cessioni e tagli alla sanità che si aggira
intorno a un punto percentuale di Pil e che dovrà
finanziare, almeno in parte, la riforma fiscale
annunciata dal governo. Una riforma, quella fiscale, che
tra modifiche a Irpef, Irpeg e Irap si aggira intorno ai
7,5 miliardi di euro. La manovra annunciata oggi verrà
attuata attraverso risparmi sulla spesa sanitaria e
cessione delle intere quote ancora in mano al Tesoro di
Telecom, Seat e Fincantieri. Una cessione prevista in
diciotto mesi, per fare cassa e riportare sotto controllo
il rapporto deficit-Pil rivisto al ribasso. Annunciata
anche la cessione sul mercato di parte dell'Enel, ma solo
quando i "mercati lo consentiranno".
Sanità. Per ricondurre i conti pubblici entro gli
obiettivi sono previsti sostanzialmente due interventi:
l'arrivo delle mutue private e un nuovo prontuario
farmaceutico. Le mutue private avranno carattere
"sperimentale" e verranno create
"salvaguardando il rispetto dei fondamentali
principi universalistici e solidaristici del Servizio
Sanitario Nazionale", è scritto nel Dpef.
"Allo stesso tempo, per un più efficace controllo
della spesa farmaceutica è prevista anche l'adozione di
un nuovo prontuario". L'obiettivo è quello di
ridurre la spesa sanitaria pro-capite.
Riforma fiscale. Nel 2003 verrà attuato un primo
modulo della riforma, che prevede una riduzione fiscale
di 5,5 miliardi di euro a favore di redditi bassi. Nel
prossimo anno è prevista anche una riduzione di due
punti dell'Irpeg (l'imposta sui redditi delle società) e
un graduale avvio del processo di riduzione dell'Irap
(per complessivi 500 milioni di euro). "Negli anni
successivi - è scritto nel Dpef - si prevede una
graduale estensione del beneficio fiscale alle fasce di
reddito via via più elevate, impiegando le risorse che
si renderanno di anno in anno disponibili attraverso una
rigorosa gestione della politica di bilancio".
Privatizzazioni. Il governo prevede di incassare
20 miliardi di euro dalle operazioni di privatizzazione
nel 2002-2003 (circa 40.000 miliardi di vecchie lire). Il
Tesoro punta "a cedere a breve termine" le
intere quote di partecipazione possedute in Telecom
Italia e Seat. E' prevista anche la cessione sul mercato
del 37,58% di Enel, anche se l'avvio "rimane
comunque subordinato alle condizioni favorevoli del
mercati". Nel breve capitolo sulle privatizzazioni
non sono citate né l'Eni (nella quale il Tesoro è al
30,3%), né Finmeccanica (con una quota leggermente
superiore al 30%). Una indicazione che risponderebbe alla
strategia del governo di non scendere al di sotto del 30%
per gruppi e società che vengono considerate
strategiche.
Pubblico impiego. Per le nuove assunzioni di
impiegati pubblici il governo punta a modalità più
flessibili di accesso al lavoro. Si prevede così il
rafforzamento del part-time (che è già utilizzato) ma
anche del telelavoro e del lavoro "in affitto",
due modalità finora previste solo in pochi casi e in via
sperimentale. Il governo punta anche a favorire la
mobilità dei dirigenti pubblici da e verso il settore
privato.
Le cifre macroeconomiche. Il Dpef che il governo
ha presentato al Parlamento contiene le stime
macroeconomiche fino al 2006. Sono stati modificati
alcuni dati inizialmente forniti subito dopo il Consiglio
dei Ministri di venerdì scorso. In particolare
migliorano il valore dell'indebitamento netto e del
debito della pubblica amministrazione nel 2004, previsti
prima rispettivamente a -0,5% e 100% rispetto al Pil e
che ora vengono indicati a -0,3% e 99,8% del Pil, la cui
crescita è prevista all'1,3 nel 2002, al 2,9 nel 2003,
per salire al 3 nei due anni successivi.
(10 luglio 2002)
|
dal manifesto Reso conto
LUIGI PINTOR
C'era una volta un Parlamento (con
la maiuscola) che offriva al pubblico delle tribune, in
mancanza della televisione, spettacoli edificanti.
Composti o animati, solenni o familiari, stringati o
prolissi, burrascosi o distesi, i dibattiti avevano una
dignità retorica, riflettevano umori e passioni
popolari, avevano una verità. Era un teatro, anzi un
anfiteatro, rappresentativo di parti e idee chiare e
distinte tra loro, riconoscibili, con cui lo spettatore
si identificava. Avrò assistito a centinaia di sedute,
dalle tribune stampa, e steso lunghissimi resoconti
perché i giornali informavano minutamente i lettori,
sempre in mancanza della televisione, e gli oratori ci
tenevano molto. Ricordo Togliatti accaldato e stanco dopo
aver parlato che correggeva accuratamente lo stenografico
nella saletta adiacente. Fossero memorabili, sul Patto
Atlantico o sulla legge elettorale truffa o
sull'attentato Pallante, o fossero di normale
amministrazione, il riparto mezzadrile o gli affitti
urbani, le sedute non erano noiose o fittizie. L'aula
poteva essere gremita o disertata ma non era sorda e
grigia e non era un parco buoi, secondo le definizioni
care ai presidenzialisti e ai maggioritari di ogni tempo.
Lo spettacolo di mercoledì essendo scadente, il
presidente Casini ha minacciato di staccare la ripresa in
diretta. A parte che tenere uno spettacolo a porte chiuse
è come dire che i panni sporchi si lavano in famiglia,
uno spettacolo non cessa di essere scadente per il fatto
che lo reciti in privato. E quello di mercoledì non era
scadente perché rumoroso o scandalizzante ma perché era
truccato, inverosimile, meno verace di una vongola.
Era uno spettacolo improvvisato in poche ore, con un
copione scambiato all'ultimo momento dal regista
ribaltando il programma in cartellone, con costumi di
scena indossati lasciando in vista l'abito da passeggio.
Eroismo e martirio escono da una botola del palcoscenico
come in una filodrammatica paesana, dietro le quinte ci
sono baci di riconciliazione dove prima pullulavano i
coltelli a serramanico, il pubblico sospetta di aver
sbagliato teatro ma non avrà indietro i soldi del
biglietto. La critica, anche quella del loggione che di
solito è severa e usa protestare (in Parlamento si
chiama opposizione) si mostra tollerante e offre
collaborazione per il prossimo spettacolo.
Tutti gli attori sono convinti di non essere guitti e di
aver recitato bene, i giornali si compiacciono
mediamente, alla bufera segue la bonaccia, passata è la
tempesta e lieto nella valle il fiume appare. Non lo
chiamerei fiume tuttavia, è limaccioso (parola proibita)
e qualcosa di strano galleggia in superficie e serpeggia
sul fondo. Farà più danno se ristagna che se straripa.
La democrazia, che non sta in piazza o nei palazzi ma
nella società e nel lavoro, reggerà l'onda. E anche la
rettitudine di Cofferati, che nomino, sarà premiata e
avvalorata a fronte di questo clima.
9 luglio 2002
|
repubblica. Il
ministro l'ha ribadito oggi a Luzzatto (comunità
ebraiche)
e dell'ipotesi si discute anche in vari altri Stati
europei
Giovanardi:
"Impronte presto
anche per tutti gli italiani"
ROMA - Presto impronte digitali
per tutti i cittadini italiani. Il governo intende
presentare a breve un disegno di legge che estenderà
l'obbligo che la recente legge Bossi-Fini prevede solo
per gli immigrati extracomunitari. E la norma più
contestata delle nuova legge riguarda proprio le impronte
agli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno nel
nostro paese o anche il semplice rinnovo. Già durante il
dibattito parlamentare sulla Bossi-Fini il governo aveva
annunciato l'intenzione di estendere l'obbligo delle
impronte e oggi questa decisione è stata confermata dal
ministro per i rapporti con il Parlamento Carlo
Giovanardi.
Giovanardi l'ha assicurato al presidente dell'Unione
delle comunità ebraiche italiane, Amos Luzzatto il quale
aveva annunciato per domani una manifestazione davanti al
Viminale contro questa norma ritenuta discriminatoria.
Gli ebrei italiani - aveva detto dopo l'approvazione
della legge - si presenteranno "per primi" ai
commissariati per fornire le loro impronte digitali.
Luzzatto aveva dichiarato la "decisa
contrarietà" degli ebrei italiani a una legge la
cui applicazione "può comportare una
discriminazione tra persone appartenenti a gruppi umani
diversi". Oggi, dopo l'incontro con Giovanardi, la
protesta è stata sospesa: "Il ministro - ha detto
Luzzatto - ha prospettato una volontà di affrontare in
termini molto aperti il problema da noi denunciato"
Recentemente il ministro dell'Innovazione Lucio Stanca ha
annunciato che sulla nuova carta di identità elettronica
potranno essere memorizzare anche le impronte digitali
dell'intestatario, oppure la sua fotografia.
(14 luglio 2002)
|
repubblica. La
proposta della maggioranza che sarà discussa alla Camera
Tre prostitute per appartamento e pagheranno le tasse
Il governo
prepara la legge
per riaprire le case chiuse
Anche il carcere per chi si prostituisce in strada
di DANIELE MASTROGIACOMO
ROMA - Tornano le case chiuse.
Magari in versione moderna, sotto forma di cooperativa,
con tanto di certificato della Asl, la licenza della
Questura, le tasse da pagare, i contributi da versare.
Non è cosa di questi giorni. Ci vorranno ancora almeno
quattro-cinque mesi di dibattiti, variazioni,
emendamenti. Ma se verrà rispettato il programma, il
testo della proposta di legge che tratteggia il futuro
lavoro della prostituta potrebbe essere discusso in
commissione Giustizia della Camera già a partire da
domani. Si tratta di un testo messo a punto dalla
maggioranza di centro destra e affidato al relatore
Gianfranco Pittelli, cattolico di Fi. Repubblica
è venuta in possesso del documento.
La prostituzione per strada sarà messa al bando.
Perseguita e punita anche con il carcere. Fino a tre anni
e sei mesi per chi si prostituirà in strada. Mentre i
clienti se la caveranno con una multa salata: dai mille
ai tremila euro. Il mestiere si potrà invece esercitare
in casa. In piena libertà. Rispettando solo alcune
regole che a parere degli estensori del disegno di legge,
dovrebbero tutelare sia le prostitute sia i clienti. Ogni
casa chiusa non potrà ospitare più di tre
professioniste, naturalmente maggiorenni. I minorenni non
sono ammessi, neanche se si tratta dei figli delle
prostitute.
Chiunque può avviare un centro
di sesso a pagamento. Basta denunciare l'apertura
dell'attività alla Questura e presentare la
documentazione prevista. Vale a dire: un certificato
della Asl competente la quale dovrà attestare che
all'interno della casa sono rispettate tutte le norme
igenico-sanitarie e chi ci lavora non ha malattie
sessualmente trasmissibili. Gli ispettori della Asl
dovranno poi fare dei controlli a sorpresa. Almeno ogni
tre mesi.
Addio anche ai reati di sfruttamento della prostituzione
e al favoreggiamento. Sempre che l'attività sia svolta
in una luogo chiuso. Il proprietario dell'appartamento
dato in affitto alle tre professioniste non rischierà
nulla. Dovrà, anche lui, comunicare alla polizia il nome
del nuovo inquilino così come avviene tuttora per la
legge antiterrorismo.
La casa del sesso a pagamento avrà le caratteristiche di
una vera azienda. Dovrà quindi pagare le tasse, versare
i contributi sanitari e previdenziali dei dipendenti.
Avere dei libri contabili, una sede legale, farsi
consigliare da un commercialista, detrarre dalle imposte
le spese per gli investimenti. Ma non potrà fare
pubblicità. Niente annunci, niente manifesti,
promozioni, locandine, inserzioni sui quotidiani o
riviste specializzate. Le multe, in caso di violazione,
sono pesanti: da 1000 a 3000 euro. "Questo della
pubblicità", osserva Franco Grillini, deputato Ds,
"mi sembra uno dei controsensi del disegno di legge.
Non si può autorizzare un'attività e impedire la sua
promozione. Ma il rischio concreto che vedo nel testo è
quello di un forte proibizionismo dell'esercizio della
prostituzione. Anche se si garantisce la tutela dei dati,
è inevitabile che si arrivi ad una vera e propria
schedatura delle case chiuse. E delle persone che vi
lavorano. Il sesso a pagamento è un rapporto che si
stabilisce tra due individui adulti: è un fatto privato.
L'idea del controllo, poi, domina tutta la proposta. E'
molto grave, perché si sa che con il controllo, le
schedature, il proibizionismo, si alimenta la
clandestinità". Grillini, già firmatario di due
proposte di legge sulla materia, pensa a soluzioni
diverse. "Meglio creare delle aree specifiche,
attrezzate e sicure. Come a Venezia, dove il sindaco
Costa ha realizzato una zona del sesso a pagamento".
(15 luglio 2002)
|
MILANO
Il
nuovo cardinale
FILIPPO GENTILONI
Il cardinale Dionigi Tettamanzi è stato nominato
arcivescovo di Milano, al posto di Carlo Maria Martini,
che lascia per limiti di età. Una nomina che farà un
certo scalpore, sia perché si tratta di una diocesi,
quella di Milano, fra le più importanti di tutta la
chiesa cattolica, sia per la straordinaria statura del
dimissionario Martini, uno dei pochi personaggi noti in
tutto il mondo come rappresentante di un cattolicesimo
vivace, colto, non appiattito né sul grigiore generale
né sull'ombra invadente di Wojtyla. Difficile dire
perché la scelta sia caduta proprio su Tettamanzi.
Bisognerebbe conoscere quello che si muove nelle
«segrete stanze» del Vaticano. Lo stesso passato di
Tettamanzi dà indicazioni di segno ambiguo. Era stato
spesso annoverato fra i presuli conservatori, non sulla
linea di Montini. L'anno scorso, a sorpresa, aveva fatto
a Genova dichiarazioni «progressiste» a favore del
movimento dei no global. Il cattolicesimo più
conservatore ne era rimasto sorpreso e sconcertato.
Persona, comunque, al di fuori degli schieramenti, per
quanto poco questi possano significare all'interno delle
mura ecclesiastiche. Un mediatore, come si può dedurre
dalle sue prese di posizione nelle vicende politiche
italiane.
Forse per questo il passaggio da Genova a Milano. Un
passaggio che rappresenta una certa sorpresa: in genere
le diocesi cardinalizie come Genova sono un punto di
arrivo. Che sia vero, allora, quello che alcuni
insinuano, che, cioè, il passaggio di Tettamanzi a
Milano, la diocesi più prestigiosa d'Italia, sia una
indicazione in vista del prossimo Conclave? Il Vaticano,
cioè, lo avrebbe posto in rampa di lancio per il
pontificato? Forse. Ma è noto che ai movimenti dei
cardinali prima di un Conclave non va dato gran peso. Chi
entra papa nel Conclave ne esce cardinale, si dice nei
corridoi vaticani.
Sembra doverosa, piuttosto, un'altra considerazione. La
nomina di Tettamanzi piove come dal cielo sulla diocesi
di Milano. Un uomo che viene da fuori, che prescinde da
tutto il movimento che Martini aveva suscitato, che
ignora le tendenze, le speranze, le aspettative di un
cattolicesimo vivace e - nei limiti della istituzione -
anche democratico. Non pochi cattolici milanesi si erano
dati da fare per indicare non il nome ma almeno
l'identikit del futuro arcivescovo. Speravano di poter
contare, in qualche modo. Sono stati delusi.
L'istituzione ha mostrato ancora una volta il suo volto
assolutista, autoritario. La nomina di Tettamanzi, al di
là dei meriti della persona, sembra dire che
l'istituzione ribatte la sua verticalità. A Martini
tutti gli elogi, ma il successore viene scelto al di
fuori delle sue indicazioni, le sue preferenze, il suo
lavoro. C'è da temere che il ventennio di Martini a
Milano rimanga come una parentesi. Una parentesi chiusa.
manifesto 12 luglio 2002
|
Il commissario Solbes dopo
l'incontro con Tremonti: «Ci siamo resi conto che le
nostre posizioni non sono esattamente le stesse» Roma e Bruxelles lontane
sui conti
Ma l'Eurogruppo riconferma
l'impegno ad azzerare i deficit nel 2004 - Apprezzamento
per l'euro - il sole 24 ore.
(DAL NOSTRO INVIATO) BRUXELLES
- Ribadito l'impegno generale - Italia compresa - a
raggiungere bilanci in pareggio o in surplus al più
tardi entro il 2004, come previsto dagli accordi di
Madrid. Benvenuto altrettanto generale al rafforzamento
dell'euro che è nell'interesse dell'area. Queste, verso
mezzanotte, le conclusioni della riunione dei ministri
finanziari dell'Eurogruppo. Una riunione ad alta
tensione, la prima dopo gli accordi di Madrid che hanno
reso un po' più flessibile il Patto di stabilità, la
prima sotto la nuova presidenza di turno della Grecia.
Non avrebbe del resto potuto essere altrimenti dopo la
fulminante dichiarazione fatta, all'ingresso nel palazzo
Justus Lipsius, da Pedro Solbes reduce da una
bilaterale-fiume, oltre due ore e mezzo, con il ministro
Giulio Tremonti: «Ci rendiamo conto che le nostre
posizioni non sono esattamente le stesse ma avremo modo
di continuare a discuterne adesso o più tardi». Per un
uomo solitamente molto cauto, come il commissario Ue agli
Affari economici e monetari, una frase che suonava come
dinamite. «No comment», la gelida replica di Tremonti.
Al centro delle discussioni, inutile dirlo, la deriva dei
conti pubblici rispetto agli impegni presi nei vari
programmi di stabilità e/o leggi finanziarie per l'anno
prossimo nei quattro Paesi che ancora non hanno raggiunto
il pareggio o il surplus di bilancio secondo i dettami
del Patto di stabilità e crescita. I quattro sono
Italia, Francia, Germania e Portogallo. Le discussioni
sono state condotte alla luce del rapporto di Bruxelles
sull'andamento delle finanze pubbliche nel primo semestre
nei singoli Paesi dell'area, uno per uno, e alla luce
delle divergenze interpretative degli accordi di Madrid
emerse in particolare tra Roma e Bruxelles. A fronte
della maggioranza dei suoi membri che ha ormai i conti in
ordine, Eurolandia si ritrova alle prese con quattro di
essi con deficit in preoccupante lievitazione: la Francia
con un disavanzo che viaggia sul 2,6%, la Germania più o
meno sullo stesso livello, l'Italia che ha chiuso l'anno
scorso al 2,2%, il Portogallo che potrebbe aver raggiunto
addirittura il 3,9%. «Intendo ricordare a tutti gli
impegni che hanno preso e domandare loro che cosa hanno
intenzione di farne», aveva dichiarato Solbes alla
vigilia dell'incontro-scontro. Alla fine, verso
mezzanotte, un breve comunicato nel quale tutti i
ministri hanno ribadito «l'impegno a rispettare il Patto
di stabilità e l'intenzione di raggiungere o mantenere
una posizione di bilancio vicina al pareggio o in surplus
e ad assicurare che tali obiettivi di medio termine siano
rispettati al più tardi entro il 2004, come concordato
all'Ecofin di Madrid». Molti i chiarimenti e le
spiegazioni chiesti e forniti da Tremonti sulle cifre del
Dpef e sulla sua interpretazione dei margini di
flessibilità del patto nella versione corretta dagli
accordi di Madrid. Nell'interpretazione corrente e
riformalizzata ieri sera a Bruxelles all'unisono, nel
2003 l'Italia (causa il suo alto debito) e nel 2004
Francia, Germania e Portogallo potranno chiudere i conti
invece che in pareggio con un deficit al massimo dello
0,5%. Nel Dpef italiano invece il deficit dell'anno
prossimo è fissato allo 0,8% e quello del 2004 allo 0,3%
invece che in equilibrio. Per il gioco, secondo Tremonti,
degli stabilizzatori automatici. Che però per Solbes non
si possono far agire in anticipo, senza prima avere sotto
gli occhi l'effettivo andamento della crescita economica.
Che evidentemente è tutto da verificare. Alla fine è
prevalsa la linea ortodossa, messa nero su bianco nel
comunicato finale in cui tutti, quindi anche l'Italia, si
impegnano a raggiungere il pareggio entro il 2004. Quindi
l'Italia ha confermato o no i suoi obiettivi per il 2003
e il 2004? «L'Italia - ha risposto Solbes - ha accettato
come tutti la dichiarazione finale che dice che il
pareggio sarà raggiunto al più tardi nel 2004 secondo
gli accordi di Madrid». Quindi sono state superate le
divergenze che vi dividono? «Su diversi punti siamo
d'accordo ma ce ne sono diversi su sui siamo in
disaccordo. Le nostre posizioni sono note. Su questi
dobbiamo discutere». Comunque, ha aggiunto il
commissario, stiamo lavorando sul documento italiano, il
Dpef, «per questo vorrei aspettare a pronunciarmi in
dettaglio». Come prima di pronunciarsi sulle situazioni
di Francia e Portogallo Solbes intende vedere le cifre
ufficiali dei deficit. Adriana Cerretelli
Venerdí 12 Luglio 2002 - il
sole 24 ore.
|
Scandali/1 -
Nell'86 il presidente ottenne finanziamenti aziendali che
ora vorrebbe rendere illegali Un prestito galeotto per
Bush. La stampa
democratica lo attacca a fondo - Problemi di credibilità
per l'azione della Casa Bianca - sole 24 ore.
(DAL NOSTRO CORRISPONDENTE) NEW
YORK - Fra il 1986 e il 1988, George W. Bush ha ottenuto
prestiti per 180.375 dollari dalla Harken, la società di
cui era consigliere di amministrazione. Il prestito è
stato concesso per consentirgli di acquistare titoli
della stessa società. La prassi è alquanto diffusa in
America soprattutto fra le piccole e medie imprese
com'era allora la Harken, una società energetica texana.
Non c'è nulla di illegale dunque, ma si ripropone per il
presidente un problema di immagine dovuto ai suoi legami
con il mondo degli affari. Soprattutto perché, durante
il discorso di martedì sull'etica aziendale, lo stesso
Bush ha chiesto che le società americane rinuncino a
questo tipo di prestiti, che possono danneggiare la
trasparenza necessaria per la tutela degli interessi
degli investitori. Notizie di questo genere, relative a
possibili «zone grigie» in cui potrebbe essersi trovati
il presidente o il vicepresidente nel loro passato di
uomini d'affari, hanno soprattutto un significato
politico. In novembre si terranno importanti elezioni per
il rinnovo di un terzo del Senato e di tutta la Camera.
Anche per questo i giornali e i gruppi di interesse
cercano di forzare il dibattito, anche se ieri, la
denuncia di Cheney da parte di un gruppo di interesse,
ripresa con grande rilievo dai media internazionali, è
stata di fatto ignorata da quelli americani. Per la
questione dei prestiti a Bush, l'anticipazione è stata
data dal «New York Times» e dal «Washington Post» che
hanno semplicemente spulciato i vecchi documenti negli
archivi della Sec. Va chiarito che non vi è nessuna
inchiesta in corso né a livello federale né a livello
congressuale: «I prestiti in questione erano offerti
dalla Harken a tutti i consiglieri di amministrazione,
come forma di incentivo - ha spiegato il capo delle
comunicazioni della Casa Bianca, Dan Bartlett - stiamo
parlando dunque di transazioni assolutamente trasparenti
e legali. Quello che preoccupa il presidente è che vi
sono state aziende che hanno abusato di una prassi
consolidata per stravolgere un sistema. Per questo il
presidente preferisce la revoca di questo tipo di
prestiti». Fra gli abusi, quello più eclatante è stato
della Worldcom. Alcuni mesi fa il consiglio di
amministrazione aveva autorizzato prestiti per oltre 400
milioni di dollari a favore di Bernie Ebbers,
l'amministratore delegato, per consentirgli di far fronte
a certe scadenze senza costringerlo a vendere importanti
pacchetti azionari di Worldcom. Ebbers si trovava in
difficoltà finanziaria per la caduta dei titoli
Worldcom. Il consiglio temeva una aggressiva vendita da
parte del loro amministratore di un grosso pacchetto
azionario della società avrebbe trascinato il prezzo
ancora più in basso, peggiorando le condizioni degli
azionisti. Come sappiamo il titolo è precipitato lo
stesso fino a perdere il 90% del suo valore massimo. Ed
è di ieri la notizia che difficilmente l'azienda
eviterà il fallimento. Nonostante Bush abbia proposto
misure severe per rimediare alla crisi etica nel mondo
degli affari americano, il fatto che lui stesso abbia
sperimentato alcuni degli strumenti e dei metodi che oggi
critica finisce per portare una nuvola sulla sua
credibilità di censore. E, secondo alcuni, spiega
perché il presidente abbia avuto una linea meno
aggressiva di quella del Congresso. In Senato intanto,
dopo il voto all'unanimità di mercoledì per riunire
sotto uno stesso progetto misure per le aziende e quelle
per il sistema contabile si guarda alla settimana
prossima, quando si dovrebbe formalizzare l'intero
progetto di legge. In serata i senatori avevano anche
sottoscritto una serie di misure antifrode portando a
dieci anni di prigione la pena per frode e manipolazione
dei mercati e avevano chiesto ampi poteri per un
consiglio di supervisione delle attivià contabili,
attribuendogli ad esempio la possibilità di bandire
certi revisori dal lavorare su aziende quotate sul
mercato. La questione contabile potrebbe essere approvata
durante il fine settimana. Ma ieri, in seduta di
commissione, si è anche approvato un progetto per
proteggere i dipendenti dagli abusi sulle pensioni.
Mario Platero
Venerdí 12 Luglio 2002
|
America, il braccio
violento della polizia
Un nuovo video
accusa due agenti bianchi del pestaggio di un nero a
Oklahoma City - di ennio caretto - corriere della sera
luglio 2002.
DAL
NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON - A 48 ore da quello di Los Angeles, un
altro video, questa volta a Oklahoma City, accusa la
polizia di brutalità con i neri. A Los Angeles, il video
mostrava il poliziotto bianco Jeremy Morse mentre
sbatteva sul cofano di unauto la testa di un
ragazzo ammanettato, Donovan Jackson di 16 anni
(luomo che ha girato il filmato è stato arrestato
ieri per motivi apparentemente non legati a questa
vicenda). A Oklahoma City, il video ritrae due agenti
bianchi, Greg Dryskill ed Ed Dyer, che manganellano un
uomo alle braccia e alle gambe, Donald Pete di 50 anni.
Le comunità nere delle due città annunciano proteste.
Rischiano di tornare le tensioni razziali nell'intera
America e per prevenire il peggio il ministro della
Giustizia John Ashcroft manda a Los Angeles il direttore
della sezione Diritti civili, Ralph Boyd, a indagare, e
ordina allFbi di aprire subito uninchiesta a
Oklahoma City.
Potrebbe essere la fine dellidillio tra i neri e la
polizia nato dopo le stragi dell'11 settembre, quando
l'eroismo degli agenti di New York conquistò il Paese.
La più grande minoranza americana non ha mai amato molto
le forze dell'ordine, troppo spesso impiegate dal potere
bianco per reprimerne le istanze. Le si è avvicinata
nell'afflato di unità della nazione prodotto dagli
attacchi allAmerica. Ma l'unità minaccia
d'incrinarsi. Lo stesso presidente Bush è attaccato:
l'Associazione per l'avanzamento della gente di colore,
di cui ha disertato la conferenza, gli rimprovera di
trascurare i neri.
La polizia difende il suo operato. Il capitano Jessica
Cummins, ha fatto osservare che l'aggredito è un colosso
di 1 metro e 90 e pesa oltre 130 chili, e ciascuno dei
due agenti è solo la metà: «Pete era in possesso di
marijuana, un reato e stava ingoiandola per impedire ai
nostri uomini di sequestrarla. Driskill e Dyer non
avevano altro modo di immobilizzarlo. Non lo hanno
colpito nelle parti vitali». A differenza di Los
Angeles, dove Jeremy Morse fu sospeso, Greg Driskill ed
Ed Dyer rimarranno in attività durante l'inchiesta
dell'Fbi. Ma come nella metropoli californiana, la
polizia di Oklahoma City ha rafforzato le misure di
sicurezza in previsione delle dimostrazioni di protesta.
Nel 2001, Ralph Boyd, l'emissario del ministero, si era
già recato a Cincinnati in seguito all'uccisione di un
ragazzo nero da parte di un poliziotto, riuscendo a
evitare scontri. Conta di riuscirci anche a Los Angeles,
dove Donovan Jackson ha chiesto un forte risarcimento. Ma
nella città sta emergendo un secondo caso, quello di
Nielson Williams, di 32 anni, un nero che sostiene di
essere stato fermato sempre da Morse senza ragione,
ammanettato e poi picchiato il 23 giugno.
|