MANIFESTO

Il ballerino
LUIGI PINTOR


Fu un'idea fulminante, quella di candidare Pietro Valpreda nelle elezioni del 1972. Ma non fulminò nessuno. Meno di duecentomila risposero all'appello, il manifesto fu stracciato e il ballerino anarchico rimase innocente in galera. Ci penso sopra ogni tanto da trent'anni e non ho ancora ben capito perché. Sì, lo so, fu un atto politicamente scorretto e sommamente ingenuo. Molta gente, oltretutto, pensò che la nostra fosse un'operazione bassamente strumentale ed elettoralistica. Ma questa ed altre spiegazioni tecniche non mi hanno mai persuaso.

«Sono Pietro Valpreda, vi parlo dal carcere di Regina Coeli...». Questo nastro non fu trasmesso in televisione, a cui non avemmo accesso, ma fu ascoltato in ogni piazza. Che occasione democratica, un voto popolare che restituisce la libertà alla vittima di un intrigo di stato, che lo fa entrare in parlamento salutato dai carabinieri, che rompe la trama sanguinosa della strage di piazza Fontana. La presa della Bastiglia, o poco meno.

Tutti si dileguarono. C'è una grande differenza tra sfilare in corteo gridando Pinelli è stato suicidato, la strage è di Stato, Valpreda libero, e tradurre questa invocazione in un voto politico che volti le spalle alle formazioni tradizionali e alla squadra del cuore. E così ci vorranno trent'anni di processi perché venga fuori neppure un decimo della verità.

Quando i telegiornali hanno dato notizia della morte del ballerino anarchico e fatto una rapida cronistoria di quelle vicende mi son detto che metà degli spettatori non ne sapevano niente e non avevano mai sentito quel nome. Trent'anni sono un'eternità. Eppure è materia d'attualità, c'è un nesso inscindibile tra passato e presente e una continuità impressionante nei veleni della storia nazionale.

Chissà come fa l'opinione pubblica a cascarci ancora, quando si aprono inchieste, si avviano indagini, e i poteri costituiti promettono verità e giustizia sui misteri dei nostri giorni. Chi ha ucciso il professor Biagi non lo sapremo tra trent'anni.

11 LUGLIO 2002

REPUBBLICA.

Il segretario della Cgil risponde a Berlusconi:
"Sarei un convitato di pietra"
Cofferati, declina l'invito a pranzo
"Sul Patto sentiamo i lavoratori"

La Cgil chiederà una consultazione generalizzata
"Utili e franchi" gli incontri con i leader del centrosinistra

ROMA - "No, grazie". Sergio Cofferati declina l'invito di Berlusconi a colazione e conferma in pieno il giudizio fortemente negativo della Cgil sul "Patto per l'Italia" firmato da governo, Confindustria, Cisl e Uil. Il segretario del maggiore sindacato italiano ha parlato al termine della due giorni di consultazioni con i partiti del centrosinistra e ha ribadito tutte le sue posizioni. Anzi, ha chiarito che sul "Patto", la Cgil chiederà di sentire tutti i lavoratori interessati e arriverà anche a raccogliere firme per una legge di iniziativa popolare: "ll giudizio negativo - ha detto Cofferati - è diffuso tra i lavoratori e la conferma arriva dagli scioperi di questi giorni. La nostra prima iniziativa sarà di chiedere a chi ha firmato l'accordo di promuovere una consultazione tra i lavoratori e i pensionati".

Cofferati non ha invece ribadito l'iniziativa del referendum sulla quale aveva incontrato i dubbi del centrosinistra. Si è limitato a dire: "Anche noi, quando prepariamo un'iniziativa, vogliamo vincere". Il che potrebbe essere letto sia come un riaffermare l'idea del referendum, che come un accettare di accantonarla momentaneamente in attesa dell'esito della battaglia parlamentare.

La "colazione" (o pranzo che fosse) con il premier, dunque, non ci sarà. E in questo educato rifiuto, Cofferati mette il suo "no" politico. Lo fa prendendo in prestito argomenti dalla lirica di cui è appassionato cultore. E cita il "Don Giovanni" di Mozart: "Non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste. Altre cure più gravi di queste, altra brama qua giù mi guidano. La brama che mi guida - chiarisce - è quella di far vincere la Cgil". Al pranzo, Cofferati non pensa di poter aderire perché, dice, "In questa vicenda sindacale mi sembra di essere diventato un convitato di pietra". E aggiunge di aver vissuto come "sorprendente" l'invito del premier "visto l'atteggiamento non proprio corrispondente verso la Cgil e verso la mia persona in una sede importante come il Parlamento". Insomma, Cofferati non ha intenzione di pranzare con chi, alla Camera, lo ha accusato di essere stato indirettamente causa della morte di Marco Biagi.

- Comunicazione promozionale -A stretto giro, almeno sul punto del pranzo, arriva la risposta di Berlusconi: "Il mio invito non ha scadenza" fa sapere il premier. Come dire che non è limitato all'attuale (piuttosto tesa) contingenza politica.

Ma, al di là di pranzi, lirica e letteratura, Cofferati è stato poi esplicito sul "Patto per l'Italia". Secondo la Cgil, la modifica dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è "incostituzionale", il che confermerebbe la già ventilata azione del sindacato sul piano legale fino alle eccezioni di incostituzionalità da sollevare alle prime applicazioni della normativa che, eventualmente, scaturirà dal "Patto". Quanto alla delega sulle pensioni, il segretario della Cgil l'ha definita "un regalo alle imprese".

E Cofferati non ha nascosto la sua preoccupazione per la rottura con Cisl e Uil, ma, come aveva spiegato ieri a D'Alema e Fassino durante l'incontro con la delegazione Ds, ha ribadito che si tratta di una "lacerazione annunciata" e che "ci vorranno anni" per ricucire lo strappo. Come dire che la Cgil è pronta ad andare avanti da sola in questa battaglia. Sollecitato dalle domande, però, il segretario della Cgil è andato oltre e ha disegnato possibili scenari diversi: la possibilità di una ripresa delle iniziative unitarie ci sarebbe. Come? "Si possono ricreare - spiega Cofferati - condizioni diverse da quelle attuali". I contenuti del Dpef, infatti, potrebbero essere tali da far "arrabbiare" anche Cisl e Uil: "Ad esempio, se non ci fossero i soldi per il contratto del pubblico impiego che riguarda 4 milioni di persone, ci sarebbe una lesione dell'accordo che il governo ha sottoscritto coi sindacati il 4 febbraio. E c'è da prevedere che la reazione di coloro che hanno firmato sarebbe unitaria".

Proprio quello che preoccupa i diessini e che sarebbe stato oggetto spinoso dell'incontro di ieri con la delegazione della Quercia. Cofferati ha detto che il suo giro di contatti con i leader del centrosinistra è stato "utile" e i singoli incontri sono stati "franchi". Poi ha spiegato di aver letto sui giornali cose inesatte in merito allo scambio di vedute con Fassino e D'Alema: "Non ha fondamento quello che avrei detto su di loro".

(11 luglio 2002)

DA REPUBBLICA

Previsti tagli alla spesa sanitaria e la introduzione in via
sperimentale delle mutue "private". Decisa l'uscita da Telecom e Seat
Il governo presenta il Dpef
Manovra da 12 miliardi di euro
Nel 2003 il primo modulo della riforma fiscale
Introdotta maggiore flessibilità nel pubblico impiego

ROMA - Una manovra da oltre 12 miliardi di euro, più o meno 24 mila miliardi delle vecchie lire per il 2003. E' la cifra che ha messo in conto il vice ministro dell'Economia Mario Baldassarri al termine di una riunione alla Camera dei deputati per mettere a punto i lavori in vista dell'esame parlamentare del Dpef. Una manovra attuata attraverso spostamenti di risorse, cessioni e tagli alla sanità che si aggira intorno a un punto percentuale di Pil e che dovrà finanziare, almeno in parte, la riforma fiscale annunciata dal governo. Una riforma, quella fiscale, che tra modifiche a Irpef, Irpeg e Irap si aggira intorno ai 7,5 miliardi di euro. La manovra annunciata oggi verrà attuata attraverso risparmi sulla spesa sanitaria e cessione delle intere quote ancora in mano al Tesoro di Telecom, Seat e Fincantieri. Una cessione prevista in diciotto mesi, per fare cassa e riportare sotto controllo il rapporto deficit-Pil rivisto al ribasso. Annunciata anche la cessione sul mercato di parte dell'Enel, ma solo quando i "mercati lo consentiranno".

Sanità. Per ricondurre i conti pubblici entro gli obiettivi sono previsti sostanzialmente due interventi: l'arrivo delle mutue private e un nuovo prontuario farmaceutico. Le mutue private avranno carattere "sperimentale" e verranno create "salvaguardando il rispetto dei fondamentali principi universalistici e solidaristici del Servizio Sanitario Nazionale", è scritto nel Dpef. "Allo stesso tempo, per un più efficace controllo della spesa farmaceutica è prevista anche l'adozione di un nuovo prontuario". L'obiettivo è quello di ridurre la spesa sanitaria pro-capite.

Riforma fiscale. Nel 2003 verrà attuato un primo modulo della riforma, che prevede una riduzione fiscale di 5,5 miliardi di euro a favore di redditi bassi. Nel prossimo anno è prevista anche una riduzione di due punti dell'Irpeg (l'imposta sui redditi delle società) e un graduale avvio del processo di riduzione dell'Irap (per complessivi 500 milioni di euro). "Negli anni successivi - è scritto nel Dpef - si prevede una graduale estensione del beneficio fiscale alle fasce di reddito via via più elevate, impiegando le risorse che si renderanno di anno in anno disponibili attraverso una rigorosa gestione della politica di bilancio".

Privatizzazioni. Il governo prevede di incassare 20 miliardi di euro dalle operazioni di privatizzazione nel 2002-2003 (circa 40.000 miliardi di vecchie lire). Il Tesoro punta "a cedere a breve termine" le intere quote di partecipazione possedute in Telecom Italia e Seat. E' prevista anche la cessione sul mercato del 37,58% di Enel, anche se l'avvio "rimane comunque subordinato alle condizioni favorevoli del mercati". Nel breve capitolo sulle privatizzazioni non sono citate né l'Eni (nella quale il Tesoro è al 30,3%), né Finmeccanica (con una quota leggermente superiore al 30%). Una indicazione che risponderebbe alla strategia del governo di non scendere al di sotto del 30% per gruppi e società che vengono considerate strategiche.

Pubblico impiego. Per le nuove assunzioni di impiegati pubblici il governo punta a modalità più flessibili di accesso al lavoro. Si prevede così il rafforzamento del part-time (che è già utilizzato) ma anche del telelavoro e del lavoro "in affitto", due modalità finora previste solo in pochi casi e in via sperimentale. Il governo punta anche a favorire la mobilità dei dirigenti pubblici da e verso il settore privato.

Le cifre macroeconomiche. Il Dpef che il governo ha presentato al Parlamento contiene le stime macroeconomiche fino al 2006. Sono stati modificati alcuni dati inizialmente forniti subito dopo il Consiglio dei Ministri di venerdì scorso. In particolare migliorano il valore dell'indebitamento netto e del debito della pubblica amministrazione nel 2004, previsti prima rispettivamente a -0,5% e 100% rispetto al Pil e che ora vengono indicati a -0,3% e 99,8% del Pil, la cui crescita è prevista all'1,3 nel 2002, al 2,9 nel 2003, per salire al 3 nei due anni successivi.

(10 luglio 2002)

dal manifesto

Reso conto
LUIGI PINTOR


C'era una volta un Parlamento (con la maiuscola) che offriva al pubblico delle tribune, in mancanza della televisione, spettacoli edificanti. Composti o animati, solenni o familiari, stringati o prolissi, burrascosi o distesi, i dibattiti avevano una dignità retorica, riflettevano umori e passioni popolari, avevano una verità. Era un teatro, anzi un anfiteatro, rappresentativo di parti e idee chiare e distinte tra loro, riconoscibili, con cui lo spettatore si identificava. Avrò assistito a centinaia di sedute, dalle tribune stampa, e steso lunghissimi resoconti perché i giornali informavano minutamente i lettori, sempre in mancanza della televisione, e gli oratori ci tenevano molto. Ricordo Togliatti accaldato e stanco dopo aver parlato che correggeva accuratamente lo stenografico nella saletta adiacente. Fossero memorabili, sul Patto Atlantico o sulla legge elettorale truffa o sull'attentato Pallante, o fossero di normale amministrazione, il riparto mezzadrile o gli affitti urbani, le sedute non erano noiose o fittizie. L'aula poteva essere gremita o disertata ma non era sorda e grigia e non era un parco buoi, secondo le definizioni care ai presidenzialisti e ai maggioritari di ogni tempo.

Lo spettacolo di mercoledì essendo scadente, il presidente Casini ha minacciato di staccare la ripresa in diretta. A parte che tenere uno spettacolo a porte chiuse è come dire che i panni sporchi si lavano in famiglia, uno spettacolo non cessa di essere scadente per il fatto che lo reciti in privato. E quello di mercoledì non era scadente perché rumoroso o scandalizzante ma perché era truccato, inverosimile, meno verace di una vongola.

Era uno spettacolo improvvisato in poche ore, con un copione scambiato all'ultimo momento dal regista ribaltando il programma in cartellone, con costumi di scena indossati lasciando in vista l'abito da passeggio. Eroismo e martirio escono da una botola del palcoscenico come in una filodrammatica paesana, dietro le quinte ci sono baci di riconciliazione dove prima pullulavano i coltelli a serramanico, il pubblico sospetta di aver sbagliato teatro ma non avrà indietro i soldi del biglietto. La critica, anche quella del loggione che di solito è severa e usa protestare (in Parlamento si chiama opposizione) si mostra tollerante e offre collaborazione per il prossimo spettacolo.

Tutti gli attori sono convinti di non essere guitti e di aver recitato bene, i giornali si compiacciono mediamente, alla bufera segue la bonaccia, passata è la tempesta e lieto nella valle il fiume appare. Non lo chiamerei fiume tuttavia, è limaccioso (parola proibita) e qualcosa di strano galleggia in superficie e serpeggia sul fondo. Farà più danno se ristagna che se straripa. La democrazia, che non sta in piazza o nei palazzi ma nella società e nel lavoro, reggerà l'onda. E anche la rettitudine di Cofferati, che nomino, sarà premiata e avvalorata a fronte di questo clima.

9 luglio 2002

repubblica.

Il ministro l'ha ribadito oggi a Luzzatto (comunità ebraiche)
e dell'ipotesi si discute anche in vari altri Stati europei
Giovanardi: "Impronte presto
anche per tutti gli italiani"

ROMA - Presto impronte digitali per tutti i cittadini italiani. Il governo intende presentare a breve un disegno di legge che estenderà l'obbligo che la recente legge Bossi-Fini prevede solo per gli immigrati extracomunitari. E la norma più contestata delle nuova legge riguarda proprio le impronte agli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno nel nostro paese o anche il semplice rinnovo. Già durante il dibattito parlamentare sulla Bossi-Fini il governo aveva annunciato l'intenzione di estendere l'obbligo delle impronte e oggi questa decisione è stata confermata dal ministro per i rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi.

Giovanardi l'ha assicurato al presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Amos Luzzatto il quale aveva annunciato per domani una manifestazione davanti al Viminale contro questa norma ritenuta discriminatoria. Gli ebrei italiani - aveva detto dopo l'approvazione della legge - si presenteranno "per primi" ai commissariati per fornire le loro impronte digitali. Luzzatto aveva dichiarato la "decisa contrarietà" degli ebrei italiani a una legge la cui applicazione "può comportare una discriminazione tra persone appartenenti a gruppi umani diversi". Oggi, dopo l'incontro con Giovanardi, la protesta è stata sospesa: "Il ministro - ha detto Luzzatto - ha prospettato una volontà di affrontare in termini molto aperti il problema da noi denunciato"

Recentemente il ministro dell'Innovazione Lucio Stanca ha annunciato che sulla nuova carta di identità elettronica potranno essere memorizzare anche le impronte digitali dell'intestatario, oppure la sua fotografia.

(14 luglio 2002)

repubblica.

La proposta della maggioranza che sarà discussa alla Camera
Tre prostitute per appartamento e pagheranno le tasse
Il governo prepara la legge
per riaprire le case chiuse

Anche il carcere per chi si prostituisce in strada
di DANIELE MASTROGIACOMO

ROMA - Tornano le case chiuse. Magari in versione moderna, sotto forma di cooperativa, con tanto di certificato della Asl, la licenza della Questura, le tasse da pagare, i contributi da versare. Non è cosa di questi giorni. Ci vorranno ancora almeno quattro-cinque mesi di dibattiti, variazioni, emendamenti. Ma se verrà rispettato il programma, il testo della proposta di legge che tratteggia il futuro lavoro della prostituta potrebbe essere discusso in commissione Giustizia della Camera già a partire da domani. Si tratta di un testo messo a punto dalla maggioranza di centro destra e affidato al relatore Gianfranco Pittelli, cattolico di Fi. Repubblica è venuta in possesso del documento.

La prostituzione per strada sarà messa al bando. Perseguita e punita anche con il carcere. Fino a tre anni e sei mesi per chi si prostituirà in strada. Mentre i clienti se la caveranno con una multa salata: dai mille ai tremila euro. Il mestiere si potrà invece esercitare in casa. In piena libertà. Rispettando solo alcune regole che a parere degli estensori del disegno di legge, dovrebbero tutelare sia le prostitute sia i clienti. Ogni casa chiusa non potrà ospitare più di tre professioniste, naturalmente maggiorenni. I minorenni non sono ammessi, neanche se si tratta dei figli delle prostitute.

Chiunque può avviare un centro di sesso a pagamento. Basta denunciare l'apertura dell'attività alla Questura e presentare la documentazione prevista. Vale a dire: un certificato della Asl competente la quale dovrà attestare che all'interno della casa sono rispettate tutte le norme igenico-sanitarie e chi ci lavora non ha malattie sessualmente trasmissibili. Gli ispettori della Asl dovranno poi fare dei controlli a sorpresa. Almeno ogni tre mesi.

Addio anche ai reati di sfruttamento della prostituzione e al favoreggiamento. Sempre che l'attività sia svolta in una luogo chiuso. Il proprietario dell'appartamento dato in affitto alle tre professioniste non rischierà nulla. Dovrà, anche lui, comunicare alla polizia il nome del nuovo inquilino così come avviene tuttora per la legge antiterrorismo.

La casa del sesso a pagamento avrà le caratteristiche di una vera azienda. Dovrà quindi pagare le tasse, versare i contributi sanitari e previdenziali dei dipendenti. Avere dei libri contabili, una sede legale, farsi consigliare da un commercialista, detrarre dalle imposte le spese per gli investimenti. Ma non potrà fare pubblicità. Niente annunci, niente manifesti, promozioni, locandine, inserzioni sui quotidiani o riviste specializzate. Le multe, in caso di violazione, sono pesanti: da 1000 a 3000 euro. "Questo della pubblicità", osserva Franco Grillini, deputato Ds, "mi sembra uno dei controsensi del disegno di legge. Non si può autorizzare un'attività e impedire la sua promozione. Ma il rischio concreto che vedo nel testo è quello di un forte proibizionismo dell'esercizio della prostituzione. Anche se si garantisce la tutela dei dati, è inevitabile che si arrivi ad una vera e propria schedatura delle case chiuse. E delle persone che vi lavorano. Il sesso a pagamento è un rapporto che si stabilisce tra due individui adulti: è un fatto privato. L'idea del controllo, poi, domina tutta la proposta. E' molto grave, perché si sa che con il controllo, le schedature, il proibizionismo, si alimenta la clandestinità". Grillini, già firmatario di due proposte di legge sulla materia, pensa a soluzioni diverse. "Meglio creare delle aree specifiche, attrezzate e sicure. Come a Venezia, dove il sindaco Costa ha realizzato una zona del sesso a pagamento".

(15 luglio 2002)

MILANO
Il nuovo cardinale
FILIPPO GENTILONI


Il cardinale Dionigi Tettamanzi è stato nominato arcivescovo di Milano, al posto di Carlo Maria Martini, che lascia per limiti di età. Una nomina che farà un certo scalpore, sia perché si tratta di una diocesi, quella di Milano, fra le più importanti di tutta la chiesa cattolica, sia per la straordinaria statura del dimissionario Martini, uno dei pochi personaggi noti in tutto il mondo come rappresentante di un cattolicesimo vivace, colto, non appiattito né sul grigiore generale né sull'ombra invadente di Wojtyla. Difficile dire perché la scelta sia caduta proprio su Tettamanzi. Bisognerebbe conoscere quello che si muove nelle «segrete stanze» del Vaticano. Lo stesso passato di Tettamanzi dà indicazioni di segno ambiguo. Era stato spesso annoverato fra i presuli conservatori, non sulla linea di Montini. L'anno scorso, a sorpresa, aveva fatto a Genova dichiarazioni «progressiste» a favore del movimento dei no global. Il cattolicesimo più conservatore ne era rimasto sorpreso e sconcertato. Persona, comunque, al di fuori degli schieramenti, per quanto poco questi possano significare all'interno delle mura ecclesiastiche. Un mediatore, come si può dedurre dalle sue prese di posizione nelle vicende politiche italiane.

Forse per questo il passaggio da Genova a Milano. Un passaggio che rappresenta una certa sorpresa: in genere le diocesi cardinalizie come Genova sono un punto di arrivo. Che sia vero, allora, quello che alcuni insinuano, che, cioè, il passaggio di Tettamanzi a Milano, la diocesi più prestigiosa d'Italia, sia una indicazione in vista del prossimo Conclave? Il Vaticano, cioè, lo avrebbe posto in rampa di lancio per il pontificato? Forse. Ma è noto che ai movimenti dei cardinali prima di un Conclave non va dato gran peso. Chi entra papa nel Conclave ne esce cardinale, si dice nei corridoi vaticani.

Sembra doverosa, piuttosto, un'altra considerazione. La nomina di Tettamanzi piove come dal cielo sulla diocesi di Milano. Un uomo che viene da fuori, che prescinde da tutto il movimento che Martini aveva suscitato, che ignora le tendenze, le speranze, le aspettative di un cattolicesimo vivace e - nei limiti della istituzione - anche democratico. Non pochi cattolici milanesi si erano dati da fare per indicare non il nome ma almeno l'identikit del futuro arcivescovo. Speravano di poter contare, in qualche modo. Sono stati delusi.

L'istituzione ha mostrato ancora una volta il suo volto assolutista, autoritario. La nomina di Tettamanzi, al di là dei meriti della persona, sembra dire che l'istituzione ribatte la sua verticalità. A Martini tutti gli elogi, ma il successore viene scelto al di fuori delle sue indicazioni, le sue preferenze, il suo lavoro. C'è da temere che il ventennio di Martini a Milano rimanga come una parentesi. Una parentesi chiusa.

manifesto 12 luglio 2002

Il commissario Solbes dopo l'incontro con Tremonti: «Ci siamo resi conto che le nostre posizioni non sono esattamente le stesse»

Roma e Bruxelles lontane sui conti

Ma l'Eurogruppo riconferma l'impegno ad azzerare i deficit nel 2004 - Apprezzamento per l'euro - il sole 24 ore.

(DAL NOSTRO INVIATO) BRUXELLES - Ribadito l'impegno generale - Italia compresa - a raggiungere bilanci in pareggio o in surplus al più tardi entro il 2004, come previsto dagli accordi di Madrid. Benvenuto altrettanto generale al rafforzamento dell'euro che è nell'interesse dell'area. Queste, verso mezzanotte, le conclusioni della riunione dei ministri finanziari dell'Eurogruppo. Una riunione ad alta tensione, la prima dopo gli accordi di Madrid che hanno reso un po' più flessibile il Patto di stabilità, la prima sotto la nuova presidenza di turno della Grecia. Non avrebbe del resto potuto essere altrimenti dopo la fulminante dichiarazione fatta, all'ingresso nel palazzo Justus Lipsius, da Pedro Solbes reduce da una bilaterale-fiume, oltre due ore e mezzo, con il ministro Giulio Tremonti: «Ci rendiamo conto che le nostre posizioni non sono esattamente le stesse ma avremo modo di continuare a discuterne adesso o più tardi». Per un uomo solitamente molto cauto, come il commissario Ue agli Affari economici e monetari, una frase che suonava come dinamite. «No comment», la gelida replica di Tremonti. Al centro delle discussioni, inutile dirlo, la deriva dei conti pubblici rispetto agli impegni presi nei vari programmi di stabilità e/o leggi finanziarie per l'anno prossimo nei quattro Paesi che ancora non hanno raggiunto il pareggio o il surplus di bilancio secondo i dettami del Patto di stabilità e crescita. I quattro sono Italia, Francia, Germania e Portogallo. Le discussioni sono state condotte alla luce del rapporto di Bruxelles sull'andamento delle finanze pubbliche nel primo semestre nei singoli Paesi dell'area, uno per uno, e alla luce delle divergenze interpretative degli accordi di Madrid emerse in particolare tra Roma e Bruxelles. A fronte della maggioranza dei suoi membri che ha ormai i conti in ordine, Eurolandia si ritrova alle prese con quattro di essi con deficit in preoccupante lievitazione: la Francia con un disavanzo che viaggia sul 2,6%, la Germania più o meno sullo stesso livello, l'Italia che ha chiuso l'anno scorso al 2,2%, il Portogallo che potrebbe aver raggiunto addirittura il 3,9%. «Intendo ricordare a tutti gli impegni che hanno preso e domandare loro che cosa hanno intenzione di farne», aveva dichiarato Solbes alla vigilia dell'incontro-scontro. Alla fine, verso mezzanotte, un breve comunicato nel quale tutti i ministri hanno ribadito «l'impegno a rispettare il Patto di stabilità e l'intenzione di raggiungere o mantenere una posizione di bilancio vicina al pareggio o in surplus e ad assicurare che tali obiettivi di medio termine siano rispettati al più tardi entro il 2004, come concordato all'Ecofin di Madrid». Molti i chiarimenti e le spiegazioni chiesti e forniti da Tremonti sulle cifre del Dpef e sulla sua interpretazione dei margini di flessibilità del patto nella versione corretta dagli accordi di Madrid. Nell'interpretazione corrente e riformalizzata ieri sera a Bruxelles all'unisono, nel 2003 l'Italia (causa il suo alto debito) e nel 2004 Francia, Germania e Portogallo potranno chiudere i conti invece che in pareggio con un deficit al massimo dello 0,5%. Nel Dpef italiano invece il deficit dell'anno prossimo è fissato allo 0,8% e quello del 2004 allo 0,3% invece che in equilibrio. Per il gioco, secondo Tremonti, degli stabilizzatori automatici. Che però per Solbes non si possono far agire in anticipo, senza prima avere sotto gli occhi l'effettivo andamento della crescita economica. Che evidentemente è tutto da verificare. Alla fine è prevalsa la linea ortodossa, messa nero su bianco nel comunicato finale in cui tutti, quindi anche l'Italia, si impegnano a raggiungere il pareggio entro il 2004. Quindi l'Italia ha confermato o no i suoi obiettivi per il 2003 e il 2004? «L'Italia - ha risposto Solbes - ha accettato come tutti la dichiarazione finale che dice che il pareggio sarà raggiunto al più tardi nel 2004 secondo gli accordi di Madrid». Quindi sono state superate le divergenze che vi dividono? «Su diversi punti siamo d'accordo ma ce ne sono diversi su sui siamo in disaccordo. Le nostre posizioni sono note. Su questi dobbiamo discutere». Comunque, ha aggiunto il commissario, stiamo lavorando sul documento italiano, il Dpef, «per questo vorrei aspettare a pronunciarmi in dettaglio». Come prima di pronunciarsi sulle situazioni di Francia e Portogallo Solbes intende vedere le cifre ufficiali dei deficit. Adriana Cerretelli

Venerdí 12 Luglio 2002 - il sole 24 ore.

Scandali/1 - Nell'86 il presidente ottenne finanziamenti aziendali che ora vorrebbe rendere illegali Un prestito galeotto per Bush.

La stampa democratica lo attacca a fondo - Problemi di credibilità per l'azione della Casa Bianca - sole 24 ore.

(DAL NOSTRO CORRISPONDENTE) NEW YORK - Fra il 1986 e il 1988, George W. Bush ha ottenuto prestiti per 180.375 dollari dalla Harken, la società di cui era consigliere di amministrazione. Il prestito è stato concesso per consentirgli di acquistare titoli della stessa società. La prassi è alquanto diffusa in America soprattutto fra le piccole e medie imprese com'era allora la Harken, una società energetica texana. Non c'è nulla di illegale dunque, ma si ripropone per il presidente un problema di immagine dovuto ai suoi legami con il mondo degli affari. Soprattutto perché, durante il discorso di martedì sull'etica aziendale, lo stesso Bush ha chiesto che le società americane rinuncino a questo tipo di prestiti, che possono danneggiare la trasparenza necessaria per la tutela degli interessi degli investitori. Notizie di questo genere, relative a possibili «zone grigie» in cui potrebbe essersi trovati il presidente o il vicepresidente nel loro passato di uomini d'affari, hanno soprattutto un significato politico. In novembre si terranno importanti elezioni per il rinnovo di un terzo del Senato e di tutta la Camera. Anche per questo i giornali e i gruppi di interesse cercano di forzare il dibattito, anche se ieri, la denuncia di Cheney da parte di un gruppo di interesse, ripresa con grande rilievo dai media internazionali, è stata di fatto ignorata da quelli americani. Per la questione dei prestiti a Bush, l'anticipazione è stata data dal «New York Times» e dal «Washington Post» che hanno semplicemente spulciato i vecchi documenti negli archivi della Sec. Va chiarito che non vi è nessuna inchiesta in corso né a livello federale né a livello congressuale: «I prestiti in questione erano offerti dalla Harken a tutti i consiglieri di amministrazione, come forma di incentivo - ha spiegato il capo delle comunicazioni della Casa Bianca, Dan Bartlett - stiamo parlando dunque di transazioni assolutamente trasparenti e legali. Quello che preoccupa il presidente è che vi sono state aziende che hanno abusato di una prassi consolidata per stravolgere un sistema. Per questo il presidente preferisce la revoca di questo tipo di prestiti». Fra gli abusi, quello più eclatante è stato della Worldcom. Alcuni mesi fa il consiglio di amministrazione aveva autorizzato prestiti per oltre 400 milioni di dollari a favore di Bernie Ebbers, l'amministratore delegato, per consentirgli di far fronte a certe scadenze senza costringerlo a vendere importanti pacchetti azionari di Worldcom. Ebbers si trovava in difficoltà finanziaria per la caduta dei titoli Worldcom. Il consiglio temeva una aggressiva vendita da parte del loro amministratore di un grosso pacchetto azionario della società avrebbe trascinato il prezzo ancora più in basso, peggiorando le condizioni degli azionisti. Come sappiamo il titolo è precipitato lo stesso fino a perdere il 90% del suo valore massimo. Ed è di ieri la notizia che difficilmente l'azienda eviterà il fallimento. Nonostante Bush abbia proposto misure severe per rimediare alla crisi etica nel mondo degli affari americano, il fatto che lui stesso abbia sperimentato alcuni degli strumenti e dei metodi che oggi critica finisce per portare una nuvola sulla sua credibilità di censore. E, secondo alcuni, spiega perché il presidente abbia avuto una linea meno aggressiva di quella del Congresso. In Senato intanto, dopo il voto all'unanimità di mercoledì per riunire sotto uno stesso progetto misure per le aziende e quelle per il sistema contabile si guarda alla settimana prossima, quando si dovrebbe formalizzare l'intero progetto di legge. In serata i senatori avevano anche sottoscritto una serie di misure antifrode portando a dieci anni di prigione la pena per frode e manipolazione dei mercati e avevano chiesto ampi poteri per un consiglio di supervisione delle attivià contabili, attribuendogli ad esempio la possibilità di bandire certi revisori dal lavorare su aziende quotate sul mercato. La questione contabile potrebbe essere approvata durante il fine settimana. Ma ieri, in seduta di commissione, si è anche approvato un progetto per proteggere i dipendenti dagli abusi sulle pensioni.

Mario Platero

Venerdí 12 Luglio 2002

America, il braccio violento della polizia

Un nuovo video accusa due agenti bianchi del pestaggio di un nero a Oklahoma City - di ennio caretto - corriere della sera luglio 2002.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON -
A 48 ore da quello di Los Angeles, un altro video, questa volta a Oklahoma City, accusa la polizia di brutalità con i neri. A Los Angeles, il video mostrava il poliziotto bianco Jeremy Morse mentre sbatteva sul cofano di un’auto la testa di un ragazzo ammanettato, Donovan Jackson di 16 anni (l’uomo che ha girato il filmato è stato arrestato ieri per motivi apparentemente non legati a questa vicenda). A Oklahoma City, il video ritrae due agenti bianchi, Greg Dryskill ed Ed Dyer, che manganellano un uomo alle braccia e alle gambe, Donald Pete di 50 anni. Le comunità nere delle due città annunciano proteste. Rischiano di tornare le tensioni razziali nell'intera America e per prevenire il peggio il ministro della Giustizia John Ashcroft manda a Los Angeles il direttore della sezione Diritti civili, Ralph Boyd, a indagare, e ordina all’Fbi di aprire subito un’inchiesta a Oklahoma City.
Potrebbe essere la fine dell’idillio tra i neri e la polizia nato dopo le stragi dell'11 settembre, quando l'eroismo degli agenti di New York conquistò il Paese. La più grande minoranza americana non ha mai amato molto le forze dell'ordine, troppo spesso impiegate dal potere bianco per reprimerne le istanze. Le si è avvicinata nell'afflato di unità della nazione prodotto dagli attacchi all’America. Ma l'unità minaccia d'incrinarsi. Lo stesso presidente Bush è attaccato: l'Associazione per l'avanzamento della gente di colore, di cui ha disertato la conferenza, gli rimprovera di trascurare i neri.
La polizia difende il suo operato. Il capitano Jessica Cummins, ha fatto osservare che l'aggredito è un colosso di 1 metro e 90 e pesa oltre 130 chili, e ciascuno dei due agenti è solo la metà: «Pete era in possesso di marijuana, un reato e stava ingoiandola per impedire ai nostri uomini di sequestrarla. Driskill e Dyer non avevano altro modo di immobilizzarlo. Non lo hanno colpito nelle parti vitali». A differenza di Los Angeles, dove Jeremy Morse fu sospeso, Greg Driskill ed Ed Dyer rimarranno in attività durante l'inchiesta dell'Fbi. Ma come nella metropoli californiana, la polizia di Oklahoma City ha rafforzato le misure di sicurezza in previsione delle dimostrazioni di protesta. Nel 2001, Ralph Boyd, l'emissario del ministero, si era già recato a Cincinnati in seguito all'uccisione di un ragazzo nero da parte di un poliziotto, riuscendo a evitare scontri. Conta di riuscirci anche a Los Angeles, dove Donovan Jackson ha chiesto un forte risarcimento. Ma nella città sta emergendo un secondo caso, quello di Nielson Williams, di 32 anni, un nero che sostiene di essere stato fermato sempre da Morse senza ragione, ammanettato e poi picchiato il 23 giugno.