ASSERTIVITA': L'ANSIA SOCIALE

Tristano Ajmone

Master in PNL, ricercatore presso l'ISI-CNV di Torino



Noi non soffriamo dello shock delle nostre esperienze - il cosiddetto trauma - ma facciamo di esse esattamente ciò che serve ai nostri scopi. Noi siamo autodederminati dal significato che diamo alle nostre esperienze, e probabilmente vi è sempre un qualche errore nel prendere alcune particolari esperienze come base per la propria vita futura. I significati non sono determinati dalle situazioni, bensì noi determiniamo noi stessi tramite i significati che diamo alle situazioni.

[A. Adler ]

L'ansia sociale è lo stato di disagio soggettivo che si instaura in una persona quando è esposta all'interazione sociale. Dico "esposta" perché sovente si manifesta per il solo fatto che siano presenti altre persone, a causa dell'impossibilità di non comunicazione in modo analogico. Essere osservati significa, per l'ansioso, essere valutati, giudicati. Chi ha una immagine negativa di sé teme che gli altri possano, osservandolo, capire le sue carenze. Sovente l’ansia si manifesta in assenza della situazione di riferimento a causa della predisposizione di molte persone a preoccuparsi degli eventi futuri (previsioni negative).

L'ansia sociale può essere generalizzata o circoscritta. Nel primo caso vi è disagio in qualunque interazione, nel secondo solo in alcune situazioni critiche che variano da persona a persona. La casistica elenca situazioni quali essere osservati, esibirsi davanti ad un pubblico, mangiare al ristorante, scrivere in presenza di altri, parlare al telefono, usare il gabinetto, esprimere le proprie idee, affrontare esami e colloqui di lavoro, fare e ricevere complimenti e richieste, fare compere, passeggiare o fare code, sostenere il contatto oculare, corteggiare, preoccuparsi del proprio aspetto in modo eccessivo.

Quest'ultimo problema può rendere difficile distinguere l'ansia sociale dalla dismorfofobia, preoccupazione irrazionale ed eccessiva per inesistenti o piccoli difetti fisici. Molti personaggi famosi del mondo dello spettacolo soffrono di crisi d'ansia (panico) causata dal timore di fallire davanti al loro pubblico. Il seguente è un breve elenco di personaggi che hanno ammesso di avere questo problema: Sir Laurence Olivier, Vladimir Horowiz (smise di esibirsi per 15 anni), Arthur Rubinstein, Pablo Casals, Luciano Pavarotti, Carly Simon, Barbara Streisand. Alcuni timidi evitano i contatti sociali per timore di arrossire (eritrofobia); circa la metà delle persone con fobia sociale ha questo problema. Altri sono sempre in imbarazzo quando devono conoscere persone nuove. Altri ancora evitano le cene in compagnia, anche da soli non vanno al ristorante. Una delle cause è il timore che le mani incomincino a tremare versando le bevande dai bicchieri, oppure di far cadere il cibo dal piatto o non riuscire a portarlo correttamente alla bocca. Vi è chi non riesce ad usare il gabinetto in casa d'altri, nella propria se ci sono ospiti, nei luoghi pubblici e sul lavoro. Questa difficoltà li spinge a studiare attentamente gli orari in cui gli altri usano i gabinetti per poterli usare in solitudine. Questo disturbo è più diffuso tra i maschi e ha un'incidenza che varia dal 14 al 32 per cento.

Le conversazioni telefoniche possono essere un problema. Vi è il timore di non sapere come sostenere la conversazione, che si creino quelle silenziose e imbarazzanti pause che costringono l'altro a chiedere: "Ci sei ancora?". Parlare in pubblico e sostenere esami rappresenta una delle più sconvolgenti situazioni. A volte queste paure si materializzano veramente. Gli psicoterapeuti si trovano a dover aiutare persone che appena impugnano una penna incominciano a manifestare tremore alla mano con conseguente incapacità di scrivere. Altri hanno tremore alla mano se usano tazzine da caffè o bicchieri leggeri; è facile capire cosa significa per queste persone fare o ricevere inviti, firmare documenti. Potere del pensiero! Solo la suggestione ipnotica può arrivare a produrre fenomeni simili! ma non sono così duraturi.

C'è in generale il timore del giudizio degli altri, di perdere il loro affetto, la loro benevolenza, la loro stima, di esprimere i propri sentimenti e idee. La gravità di questa patologia va dalla semplice timidezza alla vera e propria fobia sociale con attacchi di panico. Il 20-50 percento delle persone afflitte da ansia sociale ha attacchi di panico. Quando il panico non è una sporadica esasperazione dell'ansia sociale va trattato come disturbo primario. Il disagio soggettivo comprende sofferenze che, a scopo didattico, si possono suddividere in cognitive, fisiologiche, comportamentali, sociali. Esse sono in realtà come avvolte in una spirale perversa di reciproche influenze negative; conferme e amplificazioni che perpetuano e aggravano il problema.

Il disagio cognitivo si concretizza con una sequela di pensieri inerenti conflitti, sensi di colpa, ruminazioni mentali per eventi passati presenti o imminenti, immagine negativa di sé, timore del giudizio altrui, idee di suicidio, timore di perdere il controllo su sé stessi, paure del rapporto sociale, incertezze sul proprio futuro, difficoltoso rapporto con il proprio corpo, perdita della fiducia sulle proprie capacità d’efficacia ad affrontare le situazioni problematiche. Negli attacchi di panico si può arrivare a stati "dissociativi" con depersonalizzazione, derealizzazione e svenimento.

Il disagio fisiologico comprende una lunga lista di possibili reazioni mediate dal sistema nervoso autonomo: rossore, sudorazione, tremori, tachicardia, dispnea, capogiro, cefalea, vampate di calore, nausea, vomito, tensioni muscolari, disturbi all'apparato digerente, vertigini ecc.

Il disagio comportamentale consiste nel sentirsi costretti ad utilizzare comportamenti di fuga e di evitamento per sfuggire all'ansia. Questo avviene così frequentemente che il corpo sembra risponde più ad un sistema motorio riflesso che volontario. Anche il conflitto, il comportamento goffo o impacciato, i tremori di cui ho parlato prima, sottraggono il corpo alla sfera della libertà e dell'autocontrollo.

(La "fuga" è un comportamento che ci permette di sottrarci ad una situazione che per noi è ansiogena. L' "evitamento" è un comportamento che ci permette di non essere coinvolti in queste situazioni).

Il disagio sociale implica doversi privare del piacere di vivere la vita dividendo il tempo libero con i propri simili. Si rinuncia alle cene, al ballo, alle passeggiate, al cinema, e così via. A queste situazioni ci si può sottrarre, ma dove l'evitamento non è possibile la vita diventa veramente difficile. Mi riferisco al lavoro e al contesto familiare. Il rischio di perdere il lavoro è molto alto in certe professioni. Certe situazioni famigliari non sono facilmente evitabili senza pagare "costi" elevati.




Ad una più attenta analisi, ci accorgiamo che, anche i primi due sono messi in discussione. Le condizioni fisiologiche degli anassertivi, a causa degli stressor psicosociali autosomministrati, sono largamente compromesse dalla serie di somatizzazioni di cui abbiamo già parlato.

In aggiunta, il disagio fisiologico ed emozionale, abbassa il grado di sicurezza sull’efficacia personale ad affrontare le situazioni. Una bassa auto-efficacia determina un abbassamento delle difese immunitarie.

La depressione, inoltre, favorisce la proliferazione di neoplasie e accelera la crescita di cellule tumorali. Che dire poi del bisogno di sicurezza fisica in persone anassertive-depresse con idee suicide?

Poiché questi bisogni si fondano e sviluppano uno sull’altro è evidente il danno che ne deriva alle persone afflitte da grave ansia sociale. Se questi disagi diventano troppo intensi si prova un profondo smarrimento e la paura di impazzire. Si diventa consapevoli di non avere più il controllo sui pensieri, sulle emozioni e sul corpo. E' come essere al volante di una macchina che sfreccia ai 200 all'ora e rendersi conto, all'improvviso, che tutti i comandi sono fuori uso. E' un’emozione terribile. Non ci si deve pertanto meravigliare se alcuni hanno attacchi di panico in assenza di un pericolo visibile. Il pericolo è dentro, non fuori.

Essere stimati come persona che non crea mai problemi, che attenua o evita i conflitti, che è altruista, tranquilla, un vero amico, collaborativo, non può che sembrare positivo ed essere appagante. Si tratta però di una strategia con dei costi molto alti sul lungo termine.

Non esercitare i propri diritti, inibire le proprie idee ed emozioni, centrare la propria vita in funzione dei giudizi e desideri degli altri, tutto ciò porta ad un abbassamento drastico dell'autostima, all'emergere di rabbia repressa, sensi di colpa, depressione, conflitti e somatizzazioni.

In questo articolo non tratterò le cause della timidezza, dell'ansia sociale, delle fobie sociali e della depressione. Mi limito a dire che questi problemi vengono da lontano, dall'infanzia e che crescono con preoccupante progressione in molte persone.

Provate a formare una palla di neve e fatela rotolare giù per un pendio nevoso: essa mentre rotola raccoglie altra neve e diventa sempre più grande fino ad assumere proporzioni notevoli; così è la vita per il timido, ma ciò che raccoglie e in cui si avviluppa è una sequela di esperienze negative che danno vita ad una struttura mentale tanto gracile quanto anomala. Ora procediamo sul piano puramente descrittivo del problema.