L’acqua di Walter ovvero:

Walter Slatich, metalmeccanico-poeta

di Silvio Cinque.

Questa è la definizione che Walter dà di sé stesso. La sua è la storia di un uomo che si ritrova improvvisamente, ad una età difficile da riorganizzare in questo senso, disoccupato perché la logica della ristrutturazione aziendale lo porta fuori dal circuito produttivo.

Ecco come uscire dalla crisi depressiva del licenziamento attraverso quella che Freud definirebbe la sublimazione della difficoltà e del dolore attraverso l’Io creativo.

E di creatività il triestino Walter ne ha tantissima se ha già al suo attivo un libro sulla risiera di San Sabba ed una mostra sull’acqua che in questi giorni sta avendo un grandissimo successo nella sede di Italia Nostra che ne ha prorogato l’esposizione fino al 22 dicembre 2001

Ciò che mi piace di Walter è il fatto di non arrendersi, di non abbassare mai la testa e rassegnarsi. Paziente e tenace aspetta, anche delle ore, anche dei giorni, aspetta l’attenzione e cattura le intenzioni proponendosi semplicemente, ma efficacemente: ex metalmeccanico, oggi fotografo. Ma per fare le foto che fa Walter non basta essere disoccupati e trovarsi sull’orlo della fame, della depressione e della disperazione che lo hanno portato addirittura a vendersi le apparecchiature fotografiche. Per fare le foto che fa bisogna essere poeti ed ex metalmeccanici, ma soprattutto avere l’occhio da poeta che tanto piaceva a Fenninger oppure l’occhio del fotografo.

La prima volta che l’ho conosciuto ero alla presentazione del libro di Naomi Klein “NO LOGO”. Poi è venuto in Mediateca con il suo libro e le sue fotografie ed è stata una bella rivelazione.

Il suo libro sulla risiera di San Sabba mi ha lasciato senza fiato. In realtà del suo libro avevo visto le foto che lui paziente mi ha esposto e sciorinato sul tavolone della Mediateca.

Un bianco e nero assoluto, netto come se si volesse ben delineare precisamente ogni  spazio nel quale collocare la luce e la sua oscura gemella, l’ombra e la sua luminosa sorella. Tra queste due dimensioni, che cambiano ora a vantaggio dell’una, ora a vantaggio dell’altra, la linea nella quale in mezzo sta il fotografo, lui Walter. C’è una foto per la quale si è fatto chiudere dentro una cella: La macchina fotografica ha riprodotto ciò che l’occhio avrebbe visto dall’interno in un tentativo di fuga e di libertà, in un grido di disperata dignità. E Walter mi ha confidato che ad urlare ci si è messo davvero. E questo urlo poi è riuscito a fotografarlo nel suo libro che si chiama Stalag 339 edito nel 2001 da Battello uno stampatore di Triste, con una vita interessante ed un passato di collaboratore, laureato in filosofia con indirizzo psicologico, di Basaglia.  È tornato poi successivamente in Mediateca ed ancora una volta mi ha proposto, paziente e convinto, la sua mostra sull’acqua: l’acqua come spreco, l’acqua come impreco, l’acqua invisibile e preziosa, l’acqua prorompente e scomoda. Nella sala si sono accumulate decine di fotografie per spiegare la sua idea dell’acqua: acqua come isola, acqua come scoglio per cui raggruppava le foto a formare ora l’una ora l’altra in un percorso che non immaginava di libro, ma di mostra: Una sorta di visione tridimensionale per raccontare non solo dell’acqua, ma di sé nato in una splendida città di acqua e rimorchiatori: Trieste.

Si può così dedicare con più serenità ad organizzare il proprio futuro. Con la poetessa Antonella Argentiero ed altri amici ha costituito una Associazione Culturale che si chiama indovinate un po’? A.C.Q.U.A.

di Walter e del suo libro Stalag 339

http://www.irsml.it/ultapp/it/news.html