di elisa santucci |
Walter Benjamin: Illuminismo
per ragazzi (1929-1932). Pre-testo
benjaminiano. Walter Benjamin, Rundfunkgeschichten für Kinder, in Gesammelte Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1989, ed. it. a cura di Giulio Schiavoni, Burattini, streghe e briganti. Illuminismo per ragazzi (1929-1932), il melangolo, Genova 1993. Mentre Einaudi ripubblica volume per volume, la gran mole degli scritti benjaminiani, ho trovato per caso cianfrusando per una libreria (di queste che raccolgono di tutto), un testo che non avevo mai sentito nominare, di Walter Benjamin, edito in Italia nel 1993 e non ancora ristampato ma dicono non si trovi più: Burattini, streghe e briganti. Queste storie risalgono al 1929-1932, requisite dalla Gestapo nellappartamento parigino abbandonato da Benjamin; prima della metà degli anni 80, gelosamente custodite dalla Akademie der Künste della ex Rdt, rimasero prigioniere e sconosciute ai già numerosi cultori del filosofo. Ad oggi, sono parte integrante del VII volume dellopera omnia apparsa per leditore Suhrkamp di Francoforte, in Italia forse il testo è per la via, forse è già arrivato... Su di loro è gravato il pesante pregiudizio (o giudizio, a piacimento) di opere minori, diffusamente riconosciuto, forse indotto dalle stesse parole dellautore, altrimenti è legittimo sospettare che con difficoltà il critico avrebbe potuto incidere discriminatamente lopera caleidoscopica di Benjamin, e determinare, di là dal fronte del pensiero, questisola minore di racconti per ragazzi. Sono radioconferenze, radunate nel denominatore comune di un pubblico omogeneo di bambini fra i dieci e i quindici anni, con lauspicata presenza di un adulto, ma ogni tanto. Così Benjamin «ha affrontato in prima persona lignoto delletere parlando ai microfoni della radio di Berlino e di quella di Francoforte complessivamente almeno per unottantina di interventi». Il filosofo, il pensatore, ne parla come «lavoro che mi dà da vivere», «scarti delle mie ricerche», «lavoro per la sopravvivenza». Ed è il tuffo buio dellautore nel caldo della sua voce e buio dellignoto. Eppure questi scarti avanzano per pensare. Con una mossa benjaminiana vorrei procedere al di qua ed al di là del merito esatto di questi racconti, e pensare cosa significhi per dei bambini, e di là, per lo speaker, pronunciare, misurando i minuti, con una proporzionata consuetudine, questa lettura. Benjamin tenta letere, con quellaspettativa depositata nel suo scritto universalmente più noto: Lopera darte nellepoca della sua riproducibilità tecnica, e nutre simili fiducie alle più entusiaste brechtiane. Riporta Schiavoni: «E alle volte, quando voglio provare momenti di vera felicità, vado a fare una passeggiata tra le quattro e le cinque ( ) per il mercato coperto della Lindenstrasse. Lì incontro magari uno di voi [di voi bambini ascoltatori]. Ma non potremo riconoscerci». Benjamin è infinitamente leggibile, ognileggibile, alle più varie profondità, ed appare sempre di capire e non capire. La difficoltà è forse data dalla semplicità con cui continuamente si sostituisce a se stesso. Benjamin scrive, e sempre pronuncia e legge i suoi scritti. Scrive e salta con il lettore, ma lui che scrive; ad ogni modo potremmo asserire che scrive come legge, le parole scritte nella realtà che pensa. Compie già quei passi che soltanto al lettore siamo abituati a pensare spettino, e anticipandoci pone quelle figure estratte dalla sua mente prima le pensassimo. La difficoltà principale che il critico affronta nellincontrare Benjamin è lindisposizione a rassegnarsi a leggere, anziché uno scritto, una di già lettura. Suggerisco di ascoltare queste radioconferenze per quindicenni propedeuticamente (accondiscendendo agli intenti pedagogici del filosofo) al più vasto corpus illeggibile benjaminiano. Ed inevitabilmente pensiamo di esser già prossimi, ed in aria, di Aggadah. Di poi, entreremo nel merito dei racconti. |
Recensione a Laltra
metà dellamore di Léa Pool Per un film lesbico non lesbico Roma, piazzale Flaminio, pochi passi in là, ed un manifesto appare prendersi 9 metri quadrati daria visibile, mostrando a tutti i passanti un bacio insostenibile nelle vicinanze dellaria vaticana e non solo fino a qualche anno addietro. Il bacio è visibilmente saffico, coinvolgente, e non pare aver intenti né provocatori, né esibizionistici, né denigratori, né vuol turbare le nostre fantasie erotiche, né tutti gli altri significati cui siamo abituati dai casti e meno casti approcci televisivi e cinematografici. Ma il film (Québec) è destinato al pubblico canadese, e noi vi siamo confluiti quasi per caso. Ed allora questo film ci offre loccasione di pensarci, a noi romani (ai fiorentini un po meno: una settimana di programmazione e limmediata uscita dalle sale), di reinventarci Canadesi. Ed è questo lo spettacolo: guardiamoci! Eh sì, cè poco da guardare una sala buia e pressoché vuota qualche sparuta e sospetta donna (o che sarà lesbica?), qualche udite udite uomo! Dieci anni circa di polemiche (le mie incluse) perseguitano il festival internazionale del cinema lesbico Immaginaria che ormai da tempo proietta i suoi films in Bologna esclusivamente ad un eterogeneo pubblico unigenerico di donne o presunte tali: sono lotte per la salvaguardia di quel maschio x, e per sani e corretti principi perché quanto alla sua realtà fisica, nutrivo seri sospetti che esistesse tale teorizzato spettatore maschile. Laltra sera lho visto, canuto e simpatico, a sancire che nessuna lotta è vana. Immaginaria conosce bene Léa Pool, i suoi Rispondetemi (cortometraggio) ed Emporte-moi (lungometraggio), e probabilmente festeggia luscita nelle sale di tuttItalia (si fa per dire) di questo suo Laltra metà dellamore, italica e terribile traduzione per Lost and Delirious. AllItalia dobbiamo anche il doppiaggio della ragazzina narrante, dalla voce insospettabilmente matura. Forse è il caso di parlare del film, ma vorrei riuscire a parlarne da Canadese, perché è evidente dalle prime immagini il film pensa un pubblico che non siamo noi. È finalmente giunto in Italia un film non-lesbico (perché casomai lo è il pubblico, anche lesbico; è questo ed altro, tutto e qualcosa di tutto, un insieme di persone molteplice e multiforme, informe, che non ha più bisogno di difendersi in uno straccio identitario), che incarna per 90 minuti quelle parole espresse da una delle due protagoniste, ovvero che lei non è lesbica, non è etero, lei è innamorata. Finalmente un film in cui sentiamo parlare dellamore, come in altri (ma non tanti) films con uomo-donna, ed accidentalmente siamo in presenza di due protagoniste ragazze. Ed ecco il primo motivo per cui senzaltro il film è canadese, ed il suo pubblico ugualmente. Il pregiudizio (che pure prende larga parte del film) non è più istituzionalizzato, non è nella mano della regista, dello scenografo, non cè, se vi prende parte soltanto come documento quasi storico. Per mia madre, che è cattolica, sono ebrea, perché ho il padre ebreo; per mio padre, che è ebreo, sono cattolica, perché ho la madre cattolica: con una simile frase parlava la protagonista di Emporte-moi, e rivela nella forza ironica quale posizione di consapevolezza elaborata dalla regista abbia superato la crisi di identità e tradizioni vissuta dalla modernità. Ma è una crisi esistenziale, una crisi dabbandono, una continua insoluta perdita. Il film inizia dalla perdita (della madre), e termina con la perdita della vita ma anche il ritrovamento di un margine di possibilità e di memoria. Ed il film continua parlando della perdita, e di tutto quanto non può non può assolutamente esser perso: la madre e lamore. Psicanaliticamente il film tratta la rappresentazione scenica dellelaborazione del lutto della voce narrante, la parte di lei che si perde, la parte che si ritrova, la crescita. Ma tutti siamo con la poiana. Mi si son rotte le acque, troppo tardi, ma adesso ti ho perso: forse è la nascita, forse è lamore, entrambi, forse siamo nellacqua e nel dolore nelle sofferte passionali scene damore. Anche se non vi ho raccontato nulla della trama, vi ho raccontato tutto del film (intendo il finale), ma non vogliatemene, tanto, siate sinceri, le probabilità che lo andiate a vedere son davvero rare. E poi, se chissà deciderete di passare una serata al cinema, e strano il caso deciderete proprio dandare a cercare questo film, per cortesia, guardatevi, il vero spettacolo è pensarsi Canadesi. «Mi si son rotte le acque, era ora ma adesso ti ho perso finalmente mi faceva troppo fatica stare alla veglia Questa nascita è il peggiore degli incesti. Avvicinati, ti guardo i denti. Scansati, fammi passare, fammi andare via di qua. Mi colano i piedi, ho i tamponi alle caviglie, qui immobile sotto una veste da notte. Ti mancava? lo so che ti mancava. quanti anni ha? è bruna? ha le mani piccole e delicate? cammina come te di notte, delicato coi suoi piedi sul tuo petto? ti mangia le mani? Questi frutti li hai strappati alla sua bocca? Non importa sai, per me fa lo stesso. Questo stesso stretto stesso. Grazie sai per questo bello piccolo oggetto. Grazie per questo bellocchio che oggi hai tutto appallottolato e trasognato. Per entrambi grazie. Non importa mica, ho le mie mani per tenere le manciate dei tuoi pensieri, e i tuoi segreti sono infiligranati di questo sottile sottile filo, che mi tiene le ossa male, le ossa vecchie». Dunque, riiniziamo. E proviamo adesso a parlare davvero del film. Léa Pool è arrivata sul grande schermo (quello che giunge nelle nostre città e non va cercato di festival in festival come fosse in realtà piccolo piccolo, microscopico) con un bel lungometraggio, un buon lavoro: Lost and Delirious, in Italia: Laltra metà dellamore. Forse con varie cadute dal tessuto che ha voluto alto, lasciando sorridere lo spettatore quando magari la regista lo desiderava in lacrime. Ne potremmo dedurre: a tratti non riuscito. Ma indagando, forse è giusto domandarci quante volte non capiti pure ci si rida addosso, in una vita presumibilmente autentica. Quante volte non si rida della propria inadeguatezza, e di fronte a gesti così imponenti ed espressivi che possiamo solo nascondere fra i presuntuosi desideri. Ed il film è il sogno delladolescenza, quando siamo giganti maldestri, goffi ma inconsapevoli, che eppure muoviamo il nostro cuore dun botto ogni volta, senza scivolare nelle sue fibre, negli orridi, sotto gravida pesantezza. Adesso certo vi sorridiamo, la vergogna ci lascia sorridere, altrimenti potremmo soltanto piangere. Sono i nomi della ridicolaggine, di accorgerci dun tratto sopravvissuti a tutto quello per il quale certamente avremmo dovuto morire, saremmo morti, lo sapevamo. E neppure siamo terribilmente pericolosi, come Josephine Hart scriveva ne Il danno di coloro che nonostante tutto sono rimasti. Vien da ridere mentre Piper Perabo sventola la sciabola dichiarando il suo amore in piedi sul tavolo della biblioteca, mentre si professa morta senza lamore della donna che ama, perché noi siamo sopravvissuti, e senzaltro sopravvivrà anche lei Ed invece il film lentamente racconta della morte, di ciò che non è stato più in grado di sopravvivere (perché poteva soltanto vivere e volare, come la poiana), di un assoluto e un dio perso. Léa Pool torna a parlare del suo unico argomento, e quasi non ce ne accorgiamo, e quasi passa: lincesto. Ne parla sotto le spoglie dun amore adolescenziale, fra due ragazze, ma ne parla fin dallinizio, quando la bambina narrante si cerca nella madre e cerca in se stessa la madre, è un amore che sovrasta. Perabo (la protagonista) è stata abbandonata, rifiutata, lasciata. Non può reagire, di fronte allassurdo. E non può che smanacciare come smanaccerebbe un bambino che piange e strilla, con ugual virulenza, stessa impotenza. Lamore adolescenziale di cui racconta Léa Pool è lamore di una ragazza per la madre, ritrovata nellaltra donna, rievocata negli strappi dolorosi di rapporti damore la cui passione significa anche dolore. E come una bambina le si rivolge, di gesto in gesto sempre più spicciolo, perché venga raccolto, sempre più semplice perché venga preso, sempre più infinito finché non si perde. Ridicola. Abbiamo imparato a sopravvivere ugualmente, perché lo dice la regista un giorno qualcuno, la madre, ci ha voluto bene e sono le ultime parole del film, tenute alla memoria. Eppure qualcosa dentro di noi è morto. Ma ridiamo. Forse ridiamo di una semplicità che non sappiamo più sentire. |