PROPOSTA
Sinistra, ora o mai più
GIULIETTO CHIESA


Caro direttore, lo scorso 4 giugno scrivevi che «tra milioni di persone giuste non dovrebbe essere tanto difficile trovare qualcosa di meglio di quel che passa oggi il convento». Era dopo l'ennesimo pasticcio del gruppo dirigente Ds, della Margherita, di quello che una volta era l'Ulivo, di quello che ancora si chiama centro-sinistra. Il tempo passa e la situazione peggiora. E' evidente a tutti che è in atto contro Cofferati e la Cgil un'offensiva concentrica gravissima, senza esclusione di colpi, che prepara uno scontro prossimo venturo ancora più drammatico. I leader del centro sinistra non reagiscono perché non sanno e perché non vogliono. Qualcuno, come s'è visto, gioisce. Vanno in cerca di un elettorato moderato che comunque non li seguirà, avendo come riferimento Berlusconi, che come destra è più convincente di loro. Cioè sacrificano gli ultimi brandelli di riferimento democratico che ancora conservano. Come non vedere che in questo modo si cammina a marce forzate verso una nuova scissione dei Ds?

Ma la questione del «che fare» non riguarda tanto loro - che non sono più in condizione di fare e di proporre alcunchè d'intelligibile - quanto l'insieme del mondo democratico di questo nostro paese. Mi riferisco ai milioni di elettori che hanno votato per il centro-sinistra, a coloro che hanno votato a sinistra, ai milioni che non hanno votato affatto.

Per tutti questi elettorati, per quelli attivi con molti dubbi, e con molte rabbie, per quelli assenteisti con molte delusioni, si pone il problema di cosa si vuole fare da grandi, cioè se si vuole provare a risalire la china, oppure si accetta la sconfitta per una intera fase storica, oltre la quale c'è solo una notte variamente buia e autoritaria.

Parlare di «sinistra» per descrivere questa galassia in esplosione è sbagliato e insufficiente. Perché essa è molto più vasta, trasversale, della sinistra storicamente intesa. Inoltre ci sono stati tali e tanti scavalcamenti, fraintendimenti, imbastardimenti, attorno all'idea di sinistra che è ormai impossibile cucire qualcosa di sensato, con una tela così sbrindellata, logora. Parliamo dunque di «democratici», cioè di chi, prima di tutto, crede nella costituzione che ancora governa questo paese e che avverte ormai il pericolo (anzi la certezza) che essa sia non solo minacciata e violata (ciò che sta accadendo con sequenze impressionanti), ma che si appresti ad essere abrogata a colpi di maggioranze e di plebisciti televisivi e inarrestabili.

Quanti sono questi «democratici»? Sono una cospicua parte del paese, probabilmente ancora maggioritaria. Nonostante le gigantesche manipolazioni mediatiche cui è stata sottoposta nell'ultimo quindicennio, questa parte del paese, erede di decenni di vita democratica, è ancora in grado di reagire e di difendersi. Il problema è che essa è ormai da tempo senza alcuna guida.

Non parlo solo di assenza di leadership. La leadership del centro-sinistra, nelle sue diverse componenti, è sostanzialmente defunta. Mi riferisco invece, soprattutto, alla demolizione avvenuta dei criteri politici, economici, etici, che dovrebbero rappresentare i binari su cui orientare il sentire comune della gente. Tutto ciò è stato abbandonato al dominio dei disvalori dell'avversario da leadership che oggi agonizzano. E non è stato sostituito da nulla.

La sinistra, che ancora ama definirsi socialdemocratica, è un Lazzaro che non può risorgere, in primo luogo perché ha impiegato l'ultimo quindicennio a inseguire il modello neo-liberista della globalizzazione americana, senza rendersi conto che esso era destinato a una rapida crisi non solo a causa del suo carattere profondamente ingiusto, ma soprattutto - come ormai emerge platealmente - eminentemente truffaldino.

Ora che la crisi del modello americano (economico e politico) sta giungendo drammaticamente a maturazione, la socialdemocrazia (italiana ed europea) non ha più nulla da dire. Annaspa. L'Impero già muta la propria strategia e punta alla «guerra infinita» anche per tentare un proprio rilancio. Ma in questa nuova strategia c'è sempre meno spazio per la democrazia. Seguirlo su questa strada sarà il definitivo suicidio per la socialdemocrazia, e tutto lascia prevedere che questi generali senza più esercito andranno a suicidarsi, come fecero già in Kosovo, sull'altare della prossima guerra. Ci sono altri due Lazzari che non risorgeranno più. Uno è il Lazzaro comunista. Esperienza finita sul piano pratico prima ancora di potersi realizzare, ma soprattutto demolita irrevocabilmente agli occhi di immense masse dalla sua incapacità di produrre valori alternativi paragonabili - per forza e impatto - a quelli della grande «fabbrica dei sogni» dell'Occidente. L'altro Lazzaro che non risorgerà più è la tradizionale interpretazione caritatevole dei problemi dei poveri del pianeta, delle mostruose diseguaglianze moltiplicate dalla globalizzazione nella sua veste americana, l'unica che ci è stato dato di sperimentare. La nuova globalizzazione bellicista pone al mondo cattolico un aut aut così brutale e inedito da non avere precedenti paragonabili nei 2000 anni di storia del cristianesimo. O stare dalla parte del miliardo scarso che pretende al dominio e che non è disposto a negoziare il proprio tenore di vita - e chiudere bottega nel resto del pianeta - oppure stare dalla parte degli altri cinque miliardi. C'è una componente delle alte gerarchie cattoliche che pare non rendersi conto della posta in gioco, come pare cieca di fronte all'evidenza che i valori della «fabbrica dei sogni» sono altrettanto ostili allo spirito - certo di gran lunga più insidiosi - di quanto lo furono quelli dell'ateismo comunista.

La sommatoria degli attuali partiti del centro-sinistra ha evidentemente esaurito ogni sua possibilità. E neppure un'eventuale alleanza tattica con Rifondazione potrebbe risolvere il problema. Di fronte a questo vuoto, sempre più abissale, vuoto di idee e di iniziative politiche, si è verificato negli ultimi mesi un sussulto di insofferenza democratica e una serie di vaste mobilitazioni politiche: termometri di una sensibilità tutt'altro che estinta in ampi settori dell'opinione pubblica democratica. Tuttavia questi sussulti, insieme a una difficoltà evidente dei movimenti giovanili anti-globalizzazione liberista palesatasi dopo l'11 settembre, minacciano di arenarsi nel nulla in mancanza di un preciso e unitario punto di riferimento positivo.

E' precisamente ciò di cui c'è bisogno. Ma questo punto di riferimento non può, in alcun caso, essere rappresentato dall'attuale leadership dell'Ulivo, in entrambe le sue componenti. E' del tutto evidente che un qualsiasi compromesso tra di loro - supposto che si realizzi - sarà così asfittico, così privo di idealità e di prospettiva, da non poter soddisfare nemmeno la parte maggioritaria degli attuali elettorati del centro sinistra. A maggior ragione esso non potrà neppure porsi l'obiettivo di conquistare i settori del «movimento» e quelli più a sinistra, e sicuramente una parte decisiva dei movimenti cattolici democratici, inclusi quelli moderati ma assetati di valori. Cioè questa strada è l'anticamera di una sconfitta più che certa.

Ne consegue che è necessario, fin d'ora, costruire un punto di riferimento diverso, cui tutto l'elettorato democratico possa guardare in una prospettiva rapida, anche perché i tempi della crisi interna e internazionale si vanno accelerando. Per una tale prospettiva si deve ripartire prima di tutto dai contenuti, attorno ai quali costruire il più ampio consenso democratico possibile nelle attuali condizioni. Prevengo l'obiezione: so che è un compito molto difficile, perché si tratta di ricondurre ad unum componenti molto diverse, da quelle democratiche più moderate a settori del movimento che non hanno ancora compreso la necessità di darsi una rappresentanza istituzionale, fino a quelle dell'estrema sinistra.

Ma non è un compito impossibile, purchè non si perda altro tempo aspettando un Godot del centro-sinistra attuale che non arriverà più. L'opinione pubblica democratica ha già dimostrato in questi mesi di potersi ritrovare sotto slogan e bandiere semplici e genuine. Per ora lo ha fatto occasionalmente, talvolta emotivamente, ma se le si offre una piattaforma possibile, allora essa potrà manifestare appieno la sua vitalità.

Su quali temi? Ci sono quattro punti imprescindibili, necessari e sufficienti. Essi sono:

l) La scelta di campo contro la guerra, il rifiuto dello scontro di civiltà. L'Italia deve rimanere fuori da questa guerra globale perché ne rifiuta la logica di dominio dettata da una globalizzazione liberista in crisi. Questa logica oscura e inquietante, del terrore contro terrore, sta trascinando l'Europa e l'Occidente intero, verso una spirale di destra e autoritaria. Fermare la guerra significa arrestare questa spirale.

2) Una difesa intransigente della costituzione, il cui spirito e la cui lettera sono oggetto di una sistematica opera di smantellamento da parte del governo di destra, coadiuvato dagli alfieri del «revisionismo storico», grimaldello essenziale per scardinare i pilastri portanti della nostra democrazia repubblicana.

3) Una difesa a tutto campo dei diritti sociali e civili. In nome della solidarietà: verso i deboli delle società sviluppate, che sono milioni, e verso i deboli del mondo esterno all'Occidente, che sono miliardi. Non ci potrà essere pace senza giustizia e solidarietà.

4) Una difesa a tutto campo dell'ambiente, assieme alla promozione di un consumo responsabile.

5) Infine un quinto punto, inedito, ma assolutamente necessario per una qualunque ripresa democratica del paese: democrazia nella comunicazione e nell'informazione. Siamo in presenza di una situazione di monopolio pressochè totale e immersi nella degenerazione dei messaggi informativi e comunicativi. L'immagine del mondo che larghissime masse popolari ricevono dal sistema mediatico è sostanzialmente falsificata. Non si può parlare di democrazia sostanziale in queste condizioni, perché non esiste democrazia senza informazione. Questa è comunque la grande sfida del secolo, non affrontarla significa essere battuti in partenza. E' una battaglia inedita perché non esistono organizzazioni per combatterla, né metodi. Bisogna costruire le une e gli altri, trasformando questa lotta in una lotta di massa, uscendo dai ghetti della contro informazione per varcare il crinale oltre il quale stanno, inconsapevoli e indifesi, milioni di telespettatori.

Il centro sinistra non l'ha capita, e quindi non poteva affrontarla. Impegnato com'era a riempirsi la bocca di «modernizzazione» non ha visto la foresta della vera modernità: la comunicazione e il suo controllo. Per tutto questo la sommatoria degli attuali partiti del centro sinistra non sarà sufficiente. Dunque sarà opportuno che essi facciano un passo indietro. Che ciascuno si ripresenti individualmente, lasciando le sue bandiere all'ingresso. I punti della piattaforma siano pochi e chiari. La realtà dei prossimi mesi, purtroppo, sarà sufficientemente drammatica da favorire chiarificazioni che in questo momento appaiono difficili.

Certo tutto lo schieramento democratico dovrà costruire forme di aggregazione, a livello locale e poi nazionale, che rispettino pluralismo e democrazia reale nella scelta dei futuri candidati alle prossime elezioni. Candidati di movimento e unitari, di tutte le componenti, indicati da assemblee popolari e votati in primarie sotto il controllo di comitati popolari. Non ci saranno paletti «ad excludendum». Al contrario si dovrà fare il massimo sforzo perché chiunque d'accordo con quella piattaforma minima e massima possa farne parte attiva. Ci sono due anni di tempo per realizzare quest'obiettivo. E non c'è un minuto da perdere.