Haider, un caso ?.

Di Vito Veneziano.

 

Scrivere di Haider, ancora.Un atto irresponsabile, che aumenta l’entropia dell’universo. Ed e’ tuttavia un atto dovuto, per portare non dico consapevolezza (pretenderei troppo dalle mie e altrui limitate possibilita’ intellettuali), ma almeno il sapore di un altro livello di discussione, la’ dove sembrano sussistere solo battibecchi da pollaio e sbatter d’ali cui non segue nessun volo.Si vuol fare di Haider "il caso Haider". Ma merita davvero tanto riconoscimento?E se "il caso Haider" fosse solo un caso, una fortuita produzione di schiuma nel bel mezzo di questa oceanica calma piatta? O se, al contrario, fosse non un caso, ma una logica determinazione avvenuta in concomitanza del nulla politico nel quale tutti noi stiamo affogando? In entrambi i casi (quanti significati puo’ avere la parola caso!), Haider non e’ altro che la miglior rappresentazione del vuoto: non di un vuoto in particolare, ma proprio "del" vuoto, e con essa rappresentazione il tentativo di rimozione dell’horror vacui che in altre epoche produsse arte (penso al barocco) e nella nostra produce solo chiacchiericcio.Scriviamo dunque di qualcosa di cui non dico tra cent’anni, ma neanche tra cento giorni, nessuno ricordera’ piu’.Perche’ Haider (e adesso mi auto-regalo un po’ di nemici da tutte le parti) non e’ ne un problema per chi l’osteggia ne’ una soluzione per chi l’ha votato: Haider e’ semplicemente "nulla".E se dunque e’ nulla Haider, come possono avere consistenza e dignita’ ontologica coloro che attorno al nulla tanto si agitano?Per inciso, se anche il dibattito vedesse impegnate menti del calibro di Hegel, non per questo acquisterebbe maggiore importanza: ma i nostri Hegel si chiamano Veltroni o forzanuovisti, e dunque, che la noia sia.Poco da dire sulle due uniche topiche disquisibili: l’abbandono della definizione formale di democrazia e l’insensibilita’ dimostrata contro il principio di autodeterminazione da parte degli anti-haideriani e’ evidente. Ogni mio giudizio sarebbe comunque una inutile appendice al crollo della razionalita’ mostrata da "democratici" e consimili, e mi rifiuto di pensare che sia necessario addurre ulteriori spiegazioni ad una critica globale ed incondizionata che ad essi muovo.Ma le cose non stanno solo cosi’, o per meglio dire, prima di tentare un salto di livello come accennato all’inizio, faccio anche gentilmente notare a chi Haider appoggia, e che dunque si e’ scandalizzato delle decisioni politiche di chi e’ dall’altra parte, che anche l’Italia, e con essa tutti i Paesi che hanno deciso un atteggiamento critico nei confronti dell’Austria, sono nel pieno diritto di comportarsi in questo modo. Diro’ di piu’: se l’Europa o l’Italia o qualunque altro Paese dichiarasse domani guerra all’Austria (Dio non voglia) o all’America (e su questo, Dio ci faccia pure un pensierino), per certo non dovrebbe chiedere il permesso dei suoi nemici.Detto questo e messo definitavemente in soffitta, domandiamoci da dove proviene tanto interesse attorno al nulla.Da una parte leggo il ricordo degli orrori della seconda guerra mondiale, e con essi una paura archetipa alla quale noi omini di questo Duemila non abbiamo saputo opporre altro che un feticismo puritano-ideologico quale quello dei vincitori o una negazione criminal-freudiana quale quella degli sconfitti; dall’altra, vedo un mondo che cambia sotto lo sguardo avido del piu’ pericoloso dei "grandi fratelli", quel mercato che interpreta l’uomo solo come portafogli da fagocitare, come forza-lavoro da spremere al di la’ di ogni frontiera, come energia da bruciare nell’unico gioco anti-entropico che gli si puo’ riconoscere, la concentrazione del capitale in poche mani.Se e’ vero, come ritengo essere pur non senza qualche perplessita’, che da queste due cause macroscopiche emerge la fenomenologia haideriana, che senso ha dunque il parlare dell’episodio in se’?Il non-problema "Haider" nasconde semmai un problema questa volta si’ reale e terribile: l’abbassamento delle capacita’ critiche degli individui.Vedo infatti l’idiozia imperante tanto in coloro che appoggiano l’austriaco, e le posizioni politiche a lui limitrofe, per "paura" delle opportunita’ che la diversita’ (sia pur impostaci in casa nostra?) puo’ significare in termini di ricchezza personale, di giustizia sociale e di etica dell’esistenza (perche’ non e’ comunque lecito dimenticare che chi si oppone all’immigrazione e’ il piccolo-borghese che difende il proprio avere dal diritto all’essere dei piu’ poveri), quanto in coloro che l’austriaco censurano, imprudentemente sottovalutando i pericoli reali che la diversita’ solleva nella societa’ e non organizzando una serie di adeguate misure che ne consentano l’armoniosa gestione.Per dirla con due parole, sbagliano tutti, ed e’ questa situazione disastrosa nelle prestazioni collettive di ragionamento che deve mettere davvero preoccupazione, il fatto cioe’ che l’ideologia prevalga in entrambe le parti impedendo un confronto intelligente e un serio giudizio su come dare forma agli eventi che occorrono e non lasciarsi da questi passivamente investire.Del resto, se avessi fiducia nella capacita’ critica delle masse, e se, ovviamente, fossi cieco a tal punto da non accorgermi che solo la democrazia, nella sua intrinseca componente extra-razionale quale quella della ricerca del consenso, pote’ permettere l’ascesa dell’imbianchino e quella, invero molto meno inquietante, del nuovo austriaco, non avrei difficolta’ a dirmi democratico.Ad ogni modo, del nulla sinistrorso ho detto poco, ed credo di aver detto gia’ abbastanza.Ma, cosa che al sottoscritto preme di piu’, dove sbagliano quelli della mia parte politica, quelli che vanno a manifestare solidarieta’ sotto l’ambasciata dell’Austria o che, con colore di camicia lievemente diverso dal mio, sparlano alla Bossi? Sbagliano nella memoria, e ovviamente (visto che il monopolio della stupidita’ non e’ dato in esclusiva agli abitanti di Veltronia) nell’interpretazione. Il fascismo si richiamava alla grandezza di Roma, e non si dimentico’ che Roma fu grande perche’ coinvolse tutte le genti dell’impero nella sua grandezza.E ora, invece, che resta del fascismo tra di noi? Sopravvive l’anima perdente, prevale il pensiero della chiusura, della difesa ad oltranza. Questa strategia e’ "anti-romana", e perdente, come perdente fu (ahime’, perche’ molte cose buone di quell’esperienza tutti noi vorremmo riproporre) la RSI, e perdente sarebbe stato il RAR, se mai si fosse realizzato in Valtellina.La vittoria passa attraverso l’articolazione, la complessita’: chi si illude di vincere con la semplicita’ e’ destinato a perire, e giustamente, poiche’ la semplificazione, che abbiamo sempre condannato negli antifascisti, e’ un crimine pure e a maggior ragione per noi.Chiudersi non serve a nulla: bisogna aprirsi, invadere e lasciarsi invadere per poi integrare.Ma temo che la verita’ sia, in questo caso, molto piu’ semplice di quanto il mio orgoglio sia disposto a sopportare: la chiusura nasconde il vuoto, anche quello della nostra area. Si dice che si vuole difendere una cultura: ma quale cultura? Siamo tutti analfabeti, leggiamo un libro ogni trent’anni, noi italiani per primi non abbiamo rispetto della nostra terra: guardatevi intorno, e ditemi se c’e’ un italiano (anche tu "camerata camerata,) che rispetta non dico la legge (sarebbe troppo per noi italiani), ma l’ambiente, la bellezza delle nostre citta’, la salute dei nostri figli.E poi abbiamo paura che qualche albanese ci distrugga la nostra cultura? Questa e’ apologia del ridicolo, per la quale Mancino meglio avrebbe fatto a dedicare gli stessi sforzi che invece dedico’ nel mettere a punto l’assurda legge che porta il suo nome, quella stessa legge che qualche magistrato potra’ un giorno, se bene intenzionato, utilizzare contro di me, come ha fatto in passato contro gente il cui unico reato era "pensare", mettendomi sullo stesso piano di un qualunque razzista.Siamo caduti in basso, tutti quanti. E il dramma e’ che il blablabla continuo, in sottofondo, senza soste, questa insalata di parole che non conosce tregua, non aiuta. Ci vorrebbe un po’ di silenzio, ma nella societa’ dell’informazione, anche il silenzio sta diventando un lusso.

 

 

 

Vito Veneziano e' nato a Roma 31 anni fa. Dopo essersi laureato ed aver accumulato una marea di altri inutili pezzi di carta e certificazioni varie, e dopo anche aver svolto ricerca (mal pagato come ormai e' prassi) per un paio d'anni nelle strutture accademiche e di ricerca nostrane, ha preso i bagagli e si e' trasferito in Inghilterra, dove attualmente insegna nella facolta' di ingegneria informatica di una universita' locale.