E TUTTI GIU' PER TERRA.

di roberto amato.

L'on. Fassino (DS) ha concluso il suo intervento finale all'assemblea
dei Girotondi (11/1/2004), auspicando che Berlusconi possa presto, non
già passare all'opposizione, ma sparire definitivamente dalla scena
politica italiana, ritornando a coprire il suo ruolo di imprenditore
"meglio di quanto non abbia fatto fino ad oggi".

Difficile non concordare con il suo aupicio, ma si impone qualche
considerazione.

Come ho in altre occasioni già avuto modo di osservare, il ruolo della
politica (almeno in occidente, ma forse non solo) è andato
progressivamente diminuendo di importanza.
O meglio, forse, formalmente, il suo ruolo continua a mantenerlo, ma
la sostanza della sua azione è andata sempre più evolvendo (e uso
questo termine come una costatazione di fatto, senza alcuna valenza
implicita di positività) nel senso di diminuire di complessità,
limitandosi quasi solamente ad eseguire compiti legislatitivi e di
governo atti a garantire gli interessi e a favorire il progresso della
sola componente economico-produttiva della società.

Forse questo può essere considerato normale e scontato da parte di
molti, ma così non è.

La società umana (alla cui gestione - in senso lato - la "politica" è
per definizione deputata) ha aspetti vari e multiformi, che solo nel
loro insieme sono atti ad individuarla nel suo complesso.
L'indagine e il progresso culturale e scientifico, le manifestazioni
più generalmente "spirituali", gli aspetti ludici e vitali, i rapporti
coscienti con le altre specie e con la natura inanimata, l'arte e
l'estetica (in tutte le sue valenze), sono componenti specifiche e
basilari della natura umana, per la cui manifestazione e sussistenza
possono essere utili (o talvolta magari indispensabili) certi apparati
tecnologici (e quindi economici), ma sono (di per sè e come finalità)
componenti più essenzialmente "specifiche" e primarie dell'essere
Uomini, certo più di quanto non lo siano (di per sè stessi) i mezzi
utilizzabili per svilupparle e diffonderle.

Almeno dalla Rivoluzione Francese del 1789 (non a caso la rivoluzione
del "terzo stato"), la borghesia è andata sempre più assumendo un
ruolo predominante nella società occidentale (nel bene e nel male), e
di conseguenza i campi più tradizionali e preminenti della sua
attività (la produzione e l'economia) hanno finito col prevalere,
esprimendo una classe politica la cui attenzione è stata sempre più
orientata verso questi aspetti, intesi come fini primari, a scapito
degli altri.
Negli ultimi decenni (indicativamente dalla prima guerra mondiale in
poi) questa evoluzione è andata sempre più accentuandosi, fino ai
giorni nostri, giorni in cui al politica ha di fatto perso la sua
autonomia, trovandosi sempre più asservita ai grandi interessi
economici, di cui è di fatto diventata il tramite formale nei riguardi
della società.

Sarebbe difficile negare che la società statunitense (gli USA sono
innegabilmente all'avanguardia di questo processo) esprime oggi una
classe politica che agli interessi economico-produttivi deve
costantemente rendere conto nella sua attività legislativa e di
governo, e che non può fisiologicamente essere indipendente da questi,
in quanto ne è espressione e parte integrante.

Anche negli stessi Stati Uniti, peraltro, non si è ancora giunti allo
stravolgimento delle forme politiche tradizionali.
I centri di potere economico-produttivi (multinazionali e non solo)
non hanno ancora preso formalmente il potere.
I consigli di amministrazione non hanno ancora fatto il passo formale
definitivo, consistente nell'assumere ufficialmente la resposabilità
esplicita e diretta dell'attività legislativa e di governo nei
riguardi dell'intera nazione.
Il loro ambito di potere formale è limitato alle singole giurisdizioni
aziendali e solo mediante la partecipazione (in modo più o meno
esplicito) alle elezioni popolari è loro consentito di assumere il
potere in ambito nazionale.
Cosa che peraltro avviene regolarmente senza ostacoli sostanziali, in
quanto l'opinione pubblica (soggetto formale della sovranità politica)
è costantemente guidata mediante i mezzi di convinzione di massa,
limitata nella sua scelta dai sostanziali filtri economici che
limitano drasticamente l'espressione dei candidati e, oltretutto,
ormai talmente sfiduciata delle proprie possibilità concrete di
influenzare i risultati delle consultazioni da rinunciare spesso anche
ad andare a votare.

Nelle cosidette (mi si perdoni il "cosidette"...) democrazie
occidentali, la consultazione popolare è sempre più un passaggio
formale che (non è difficile prevederlo) andrà sempre più svuotandosi
di significato e verrà prima o poi abolito.
Le ultime elezioni americane hanno fatto un passo avanti in questa
direzione, esprimendo un presidente (Bush) che non è solo una figura
formale rappresentativa degli interessi che hanno permesso la sua
elezione, ma è anche egli stesso soggetto economico di primo piano,
per i non trascurabili interessi diretti della sua famiglia.
E' addirittura il secondo presidente della sua famiglia (Busch II)!
Cosa che deve far seriamente riflettere, in quanto sintomo concreto di
un'evoluzione da tempo in atto, addirittura il primo esempio di
successione familiare dinastica effettiva ai vertici politici degli
Stati Uniti, per ora solo apparentemente casuale, ma per quanto tempo
ancora?
Una mia previsione? Fino a quando, per qualche imprevedibile (ma pur
sempre possibile) strana circostanza, non venga inopinatamente eletto
un presidente estraneo agli attuali giochi di potere o non
sufficientemente coinvolto, o con atteggiamenti troppo
inaccettabilmente critici nei suoi riguardi.

E allora, tornando a noi, eccoci di nuovo a considerare la vicenda
Berlusconi, con occhi (mi auguro) un po' più consapevoli e smaliziati.
Berlusconi non è un episodio casuale, nè un mostro passeggero.
Egli si colloca nella linea di evoluzione del costume politico
"democratico" occidentale, con le stesse premesse e la stessa
fattispecie del suo attuale omologo americano.
Con qualche differenza, certo, come ad esempio il fatto che la sua
stessa posizione economica è stata costruita (ad uso e consumo dei
gruppi di potere che l'hanno creato).
Ma la sostanza è la stessa: per la prima volta il potere
economico-produttivo ha espresso direttamente una carica politica di
primo piano, mediante la quale ha influenzato (e influenza)
pesantemente *dall'interno* la struttura del sistema politico,
mettendo in atto modifiche costituzionali ed atti legislativi
strategici e sostanziali, i cui effetti non tarderanno a manifestarsi,
nel senso di mantenere ed accentuare la transizione (formale oltre che
di fatto) verso una situazione sociale meno difficoltosa dell'attuale
per il rafforzamento e il mantenimento dei centri di potere già oggi
sostanzialmente predominanti.

Che fare dunque?

Innanzi tutto, direi, rendersi conto che non basta l'aupicio di
Fassino e che Berlusconi è stato il primo ma non sarà l'ultimo, se al
processo di "presa di potere" in atto non riuscirà ad opporsi una
coscienza dei singoli (in primo luogo, indispensabile) e quindi
sociale e politica atta a compiere rapidamente e con la massima
coerenza e consapevolezza i passi necessari che la gravità della
situazione richiede.
Atti politici in ambito nazionale (ma con coscienza della loro valenza
globale), per il riequilibrio del sistema economico-produttivo, che
deve essere ricondotto al suo ruolo più tradizionale di supporto allo
sviluppo socio-culturale del Paese (supporto, non finalità primaria!)
e di intelligente e lungimirante politica estera, atta a favorire in
ambito internazionale quell'equilibrio di forze e di espressioni
culturali delle varie civiltà che solo può garantire un futuro meno
che disastroso.


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