QUELL'ESTATE
IN VACANZA Di D. Petito
Anche quell'estate, per le vacanze, mia madre aveva preso
in affitto lo stesso appartamento al mare. Mia madre
sperava sempre che i figli volessero ancora venire a
trascorrere una tranquilla vacanza in famiglia, malgrado
questa speranza venisse regolarmente delusa se non per
pochi giorni sparsi qua e là, in cui i figlioli si
facevano vedere se proprio non avevano niente di meglio
da fare. I ragazzi erano infatti in quell'età in cui è
una sorta di legge di natura il distacco -- fino alla
rivolta, se necessario -- dalla famiglia, e che viene
rimpiazzata da un proprio mondo fatto di clan di amici di
reali affinità, di deroghe da valori tradizionali; un
mondo segreto nei pensieri e nelle cronache di
comportamento, ma vissuto con inesorabile risolutezza. Se
infatti non mi imbarcavo per avventurosi viaggi fatti con
pochi soldi e scomodi espedienti quali autostop e notti
passate a dormire sulle spiagge, anche il rimanere in
città offriva motivi di maggior interesse rispetto alla
noiosa routine dei riti vacanzieri borghesi. D'estate per
esempio in città c'erano le turiste, e con esse la
possibilità di "praticare l'inglese" -- un
modo eufemistico di dire che di fatto significava
soltanto un'occasione in più per "rimorchiare"
(preoccupazione in cima alla lista segreta dei miei reali
interessi). Nondimeno, quando con i primi di agosto la
città si svuotava, egli amici andavano a loro
volta in vacanza, quel deserto di vita rendeva di
riflesso sopportabile brevi visite alla mamma in vacanza.
La casa che mia madre prendeva in affitto era in una
palazzina di pochi appartamenti, che una solitaria coppia
di anziani proprietari che ne occupavano l'appartamento
al pian terreno tutto l'anno, affittava al solito gruppo
di villeggianti -- gente nota, fidata, ormai amica, a cui
si faceva un buon prezzo anche perchè faceva
piacere rivedere. La palazzina era poi comodamente
situata in modo da favorire una sorta di vita
permanentemente al mare: era sul ciglio di una strada che
costeggiava la spiaggia, alla quale si accedeva
direttamente con una rampa di pochi gradini senza dover
passare per la strada. La spiaggia, e la vita da
spiaggia, divenivano così una sorta di estensione della
vita domestica, senza soluzione di continuità. Si stava
sempre in costume da bagno anche in casa, e nelle notti
particolarmente calde non era una impraticabile impresa
passar qualche ora a sonnecchiare sulla sdraio in
spiaggia. Finiva poi per crearsi una sorta di comunità
un po' chiusa semplicemente perchè comoda ed
autosufficiente. Le porte degli appartamenti per esempio
erano lasciate sempre aperte un po' per far meglio
circolar aria da quelli più ventilati a quelli meno, ma
anche perchè ci si conosceva tutti e c'era una gran
partecipazione con continui piccoli scambi di servigi, e
sopratutto di assaggi reciproci delle imprese culinarie
delle varie signore. Era insomma una soluzione ideale per
mamme e bambini, ed adulti impigriti; una prigione senza
spunti di novità per giovani nature avventurose.
Anche la signora Iole era tornata quell'anno, da
Sassuolo, e preso l'appartamento di fronte al nostro, e
questo mi rallegrò oltremodo. La signora Iole andava
ormai per i quaranta (presumo) -- l'età cioè che
generalmente attribuivo a tutte le donne che non
rappresentavano un potenziale scopata per me -- ma era
comunque una persona che mi piaceva davvero rivedere. Era
originaria di Verona, un mondo che comparato alla fauna
umana meridionale, più provinciale, del posto, aveva ai
miei occhi qualcosa di esoticamente attraente. Era sì
profondamente inserita in un ambiente medio borghese --
il marito era un dirigente in una piccola industria di
ceramiche -- ma mostrava per esempio delle sensibilità
"sinistrorse" care a certi clichè culturali
giovanili dell'iniziante decade degli effervescenti anni
60, quanto peccaminosamente, all'ora, in contrapposizione
all'ancora invadente clericalismo dell'epoca. Poi aveva
alle spalle studi incompiuti di lettere, o cose del
genere, e questo le dava un tocco di relativamente più
"colto argomentare" che ulteriormente la
distingueva. Così con lei anche noi giovani -- che non
mancavamo di stigmatizzare un baratro di fisiologica
incomunicabilità con i "matusa" -- riuscivamo
a trovarci a nostro agio ed a volte a fare almeno una
conversazione decente, che uscendo dai binari della
materia delle più trite ritualità domestiche, toccava
cose che ci stavano più a cuore, da quelle dei dibattiti
di aspiranti innovatori del mondo, a quelle che
semplicemente ci piacevano come la musica rock, il cinema
etc.
Comunque, nel quadro delle immancabili categorizzazioni
sessuali a cui ogni cosa che fosse donna e respirasse era
soggetta dalla permanentemente ipersessuata condizione
della nostra età, la signora Iole non era "il mio
tipo", mi dicevo -- non osando applicare per lei,
per una sorta di oscuro senso di riguardo anche nel
segreto dei miei pensieri, la più triviale terminologia
del nostro abituale modo di esprimerci, cioè quella di
"merce non chiavabile". Poi il fisico maturo,
con segni di un'iniziale sfiorimento, richiamava al
meglio qualcosa di mezzo tra una Silvana Pampanini ed
un'Anna Magnani meno scapigliata, ed io impazzivo invece
per la levigata e luccicante Marilyn Monroe. Tuttavia in
un deserto di stimoli avventurosi, anche la signora Iole
poteva rappresentare un'utilizzabile immagine erotica su
cui fantasticare. E più volte disteso con gli occhi
socchiusi sulla sabbia ed intravedendola nella sdraio
poco distante, concertavo pensieri lussuriosi sul suo
conto tanto da dovermi girare sul ventre per evitare di
lasciar trasparire dal mio costume la natura delle mie
sonnacchiose fantasticazioni. Anche se il mio amico Nereo
sentenziava che le maritate te "la danno" più
facilmente delle squinzie vergini, pensare di
"chiavare" realmente la signora Iole era cosa
che per tanti versi non poteva andare oltre la pura
fantasia, lo sapevo bene. Con la signora Iole si potevano
comunque fare delle conversazioni almeno un po
fuori dell'ordinario e questo non era poca cosa, almeno
per me: e non solo perchè in mancanza di meglio
nella calma piatta della noiosa atmosfera della borghesia
vacanziere, pure una semplice conversazione
"diversa" poteva avere indiscutibili elementi
di interesse, ma anche perché...
Le mie conversazioni con la signora Iole avevano una
sorprendente qualità: riuscivano in mancanza di meglio
ad essere fonte di grande eccitazione erotica, fino a
divenire un vero e proprio surrogato alla mancanza di
sesso più compiuto. E questo per una serie di motivi.
In primo luogo c'erano delle solide premesse di fondo, e
cioè che avevo vent'anni, un sistema ormonale molto
vitale ed operoso, e quella sorta di avventuroso spirito
di intraprendenza giovanile più propriamente definibile
come forte attitudine alla trasgressione.
Sotto questo aspetto non ero infatti per niente dissimile
dagli altri del mio clan. In cima alla gerarchia dei
nostri pensieri c'era il sesso. Ci si pensava sempre, ed
ogni atto in deroga a quello era solo una pausa per un
successivo miglior posizionamento in quella direzione.
Ogni azione finiva infatti per convergere sull'insistente
problema, sull'inelidibile fissazione, di come farsi una
bella chiavata". Era questa, nel nostro gergo,
una parola di grande potere ipnotico ed evocatore, capace
di provocare un'immediato tuffo al cuore al suo solo
esser pronunciata, e responsabile delle più audaci
imprese e totale dedizione nel perseguimento della sua
promessa.
In secondo luogo c'era una mia qual predisposizione
psichica ad impastare una certa cerebralità,
quandanche talvolta di semplice valenza onirica, in
ogni cosa. Accadeva così che condizioni
intellettualmente stimolate erano in grado di innescarmi
dentro un processo di concatenazione e rimbalzi di
immagini, assonanze, ricordi, ipotesi di possibili
situazioni, che metteva in moto un flusso di vere e
proprie sensazioni fisicamente percepite. Con ciò, ogni
cosa che potesse avere anche solo una tenue associazione
sessuale poteva in opportune condizioni funzionare come
una sorta di detonatore intelletuale, che valeva a dar il
via alla mia "mai" sonnacchiosa sessualità,
fino a scatenarla, con un processo sfociante in una sorta
di reazione a catena.
Il risultato della collisione delle due cose era un
cocktail di cascami di spezie erotiche che si mescolavano
nel torrente tumultuoso (incandescente) di ormoni in
eterna ebollizione creando una miscela esplosiva dagli
effetti imprevedibili. Era un sentimento con fortissime
incidenze fisiche, montanti, capace di portare a
quell'irresistibile fatidico punto di non ritorno che nel
gergo del clan indicavamo come da: "il mio regno per
una chiavata!".
Non che con la signora Iole si potessero fare quei
"discorsi da caserma" privati tipici di noi
giovani in eterna ricerca della bella chiavata.
Tutt'altro: il gioco era più complesso ed intrigante. Si
partiva da argomenti banali, che con più o meno felici
pretesti facevo scivolare verso temi, idee, immagini che
solleticavano la mia, almeno, fantasia erotica. Già
questo cioè il piegare e condizionare l'impianto
della conversazione nella direzione che mi piaceva --
costituiva per me un esaltante gioco intellettuale. Il
discorso si inerpicava poi con altri più o meno furbi
marchingegni "pseudoculturali", per dare un
tocco di clinica impersonalità, verso oggetti dalle
implicite valenze erotiche. Il tutto con parole ed
atteggiamenti mai francamente scoperti, in un continuo
guardingo oscillare tra una dimensione appena un po
più osata a posizioni anche un po' al di là di un
convenzionale limite del francamente erotico, ma
controllatamente, con possibilità di svicolamenti per un
immediato recupero della situazione. Quando la
conversazione cominciava a ruotava in questi ambiti, le
battute, della signora Iole diventavano sempre più
guardinghe, il suo interloquire più rado, laconico,
elusivo, ma senza mai che ne venisse un fermo
inequivocabile messaggio a smetter, a cambiare discorso.
Questo era un'altro eccitante punto di riferimento
nell'attuazione della mia perversa strategia, e che era
nondimeno motivo dell'esilarante (gratificante)
sensazione dello star ottenendo successi nel
perseguimento dei propri fini, quand'anche oscuramente
percepiti. Questo cambio di tono per me stava infatti a
significare che percepiva i messaggi latenti se non
addirittura l'ordito del mio parlare, e si celava dietro
scarse interazioni dialettiche per poter rimanere nel
gioco senza dar l'impressione di partecipare. Il silenzio
in altre parole era una componente del dialogo, non un
rifiuto di esso -- non un chiudersi, ma solo una tecnica
diversa di interazione. Ascoltava apparentemente
imperturbata, ma indecifrabile. Era come se si mettesse
in una posizione di attesa, guardinga, in uno stato
indagatorio di silenzio-oscultazione, come a voler
studiare dal mio modo di parlare, e di provocare, il mio
modo di vivere e pensare. Era una sorta di gioco di
"ti vedo e non ti vedo" di una sottile
entusiasmante valenza erotica, in cui entrambi fingevamo
candore nel parlare e ingenuità nell'ascoltare, ma
ciascuno si domandava come l'altro stesse veramente
percependo la cosa e cosa stesse pensando. Orbene a quel
tempo avrò pur anche avuto una sessualità distorta (ma
negli anni, ahimè, di questa si guarisce
inesorabilmente), ma questo gioco autogestito di parole
ed atteggiamenti, di candore e finzione, di osare e
ritrarsi, di eludere e riprendere, di svelarsi senza
scoprirsi, mi montava un'eccitazione erotica di valenza
psicofisica con un processo in lenta ma inesorabile
escalation. Del resto in ogni umano lo stimolo sessuale
ha suoi propri modi e vie preferenziali per innescarsi e
propagarsi, e la sessualità ha solo bisogno di pretesti
per scatenarsi più che di specifici sessuali. Così era
la mia, se vi pare.
Così, di solito nel primo pomeriggio -- quando i bambini
che riuscivano ad averla vinta a non fare il riposino del
dopo pranzo fuggivano in spiaggia, e gli adulti non
riuscivano a fare a meno della siesta pomeridiana, -- io
mi concedevo quattro piacevoli chiacchiere
con la signora Iole. Andavo alla sua porta socchiusa,
tendevo l'orecchio per percepire se era sola a disbrigare
le faccende domestiche, entravo ed ero lì a cominciare
l'avventura di labirintici conversari. A lei del resto
non dispiaceva scambiare qualche chiacchiera con me dato
che ciò non le impediva di continuare a sbrigare le
doverose incombenze domestiche ma che in ogni caso ne
alleviava la noia. Era una deliziosa condizione di
simbiosi che ne legittimava quindi la naturale recidiva
accadenza.
"Non riposi un po?"
"Fa caldo e si riposa male. Poi non mi piace
riposarmi. E' una perdita di tempo. Si può fare di
meglio in quel tempo che si dorme"
"E cosa vorresti fare? Che il tempo possa essere
impiegato meglio ci pensano tutti. Ma a conti fatti ...
sono poi le circostanze che impongono le azioni". E
questo mi dava per esempio un buon aggancio per alludere
a feste, ad imprese più o meno monelle con quel minimo
di reticenza che valesse a stimolare la sua curiosità.
Le definivo banalmente "divertenti", dicevo, ma
dopo una pausa ostentata -- sperando che si leggesse ...
"boccaccesche, salaci, orgiastiche ...", parole
che non avrei mai potuto dire esplicitamente, anche
perché la scarsa pertinenza della precisazione
avrebbe subito scoperto il mio gioco. Affidavo invece
alla pausa, ed ad un simultaneo apparentemente
incontrollato sgranar d'occhi in un guizzo, il compito di
lasciarle sospettare di mirabolanti
"irraccontabili" avventure libertine. Lei non
raccoglieva, ma proprio questo mi lasciva capire che
aveva percepito il messaggio ammantato di salaci
contenuti: la dinamica del dialogo avrebbe dovuto
altrimenti provocare una candida risposta del tipo
"divertenti? in che senso?". In questo modo
stavamo parlando di cose salaci senza usarne le parole.
"Vi divertite ... molto?" Così dicendo aveva
fatto un'ampia deviazione che alludendo alla
collettività mi deresponsabilizava in qualche modo
rispetto ad un più diretto "ti" diverti molto.
Questo significava che voleva che raccontassi di più, e
"francamente", di me, e mi offriva la
scappatoia di poterlo fare parlandone impersonalmente
come di altri.
"Qualche volta ... capita di spassarsela davvero. Ma
dipende sempre dalle ragazze..." dissi riportandola
nell'arena.
"Hai una ragazza?"
"Qualche volta"
"Che tipo di ragazze ti piacciono di più?"
"Mi piacciono ... le bionde ... qualunque sia il
colore dei loro capelli ...
Aaah, vedo. E quelle che proprio non ti
piacciono? Non
mi piacciono
le cosiddette brave ragazze ..."
"Cioè? quelle virtuose? modeste? o cosa ?..."
"La cosiddetta modestia, nelle donne, è un
sentimento fisiologicamente innaturale..." dissi con
tono sapiente.
"Fisiologicamente innaturale... perché?"
"In natura, il ruolo della femina è quello di
attirare il maschio esibendosi, facendo parata di se
stessa, non certo nascondendosi. Questo è naturale. E`
giusto. E` contro natura il contrario".
"Cioè le donne devono essere frivole?
esibizioniste?... per essere
naturali?..."
"Non ho detto questo, ma ..."
"Ma?..."
"Ma ... se portano gli occhiali scuri, o i
pantaloni, o abiti larghi ... è solo perché hanno
gli occhi storti, le gambe brutte o il sedere grande ...
Quest'è esperienza".
"Ah! capisco. Insomma se si è racchie, tanto vale
fare le virtuose?" Forse era divertita, ma in questi
casi si voltava a far qualcosa per evitare che potessi
capirlo dal suo volto.
"Come dite ad una ragazza che ... l'amate?"
"In genere non importa quello che si dice. Tutto sta
a capire se uno le piace, e quanto le piace"
"Cioè?"
"C'è un mio amico che è bello. Se lui dice ad una
donna `ti amo la devi trattenere perchè gli
casca subito tra le braccia già fatta. Se la stessa cosa
gliela dice un'altro amico mio che è piuttosto bruttino
gli risponde `ma come ti permetti' .
"Insomma le donne, sempre opportuniste...E tu come
gli dici."
"Sono del gruppo dei non molto bellini. Cerco di
apparire intelligente. O divertente."
"Per esempio, cosa dici?"
"Non so ora. Chessò ... ma da dove vieni tu? dal
paradiso?"
"Questa sarebbe l'intelligente o la
divertente?" disse ironica.
"Questa sarebbe ... che quella è scema."
"Che scemo sei tu", disse divertita.
Il discorso poteva andare avanti così per un po' prima
che trovassi qualche sentiero, ancorché
improbabile, per pervenire ad argomenti più
esplicitamente piccanti, e prima che si interrompesse con
un: "Devo andare in spiaggia. I bambini aspettano la
merenda. Vieni anche tu?". L'accompagnavo in
spiaggia contando di poter continuare il discorso. In
effetti finivo quasi regolarmente per sentirmi obbligato
a giocare a palla con i bambini annoiandomi mortalmente.
Il giorno seguente il tema delle chiacchiere poteva
riprendere con qualche angolazione
"socio-culturale" prendendo per esempio le
mosse dai cangianti costumi del corrente momento storico
per finire alludendo alle nuove "divertenti"
giovanile costumanze. Quando lei andava all'università
c'era la guerra, e più che dilemmi su come spassarsela
c'erano problemi di sopravvivenza. Oh si, ci si
innamorava ed era bello lo stesso, ma era tutto meno
`candidamente esibito'. Per di più il suo primo ragazzo
importante era ebreo ed in quei tempi si poteva correre
qualche rischio a non essere discreti anche solo per
questo. Rischiare poi di mettere superficialmente al
mondo un bambino senza le necessarie coperture era
moralmente colpevole nei confronti del bambino più che
per la propria leggerezza di costumi. Ecco perchè certe
cose non andavano assolutamente fatte. No, non è che
pensasse che oggi ci fosse un'edonismo pervasivo, ma
c'era il senso di una miglior fruibilità delle cose. E
questo è naturale, che si ponga cioè attenzione a
quello che in altri momenti è deprecabile perchè
inessenziale, inopportuno, più che intrinsecamente
corrotto. In un altro momento la stessa cosa una volta
proibita può a buon diritto spettare.
Non mi erano sfuggite espressioni e concetti quali
`candidamente esibito', `edonismo non pervasivo',
`naturale miglior fruibilità delle cose' e che certe
cose `proibite spettano'. Mi piaceva poi quel pragmatico
concetto di valori relativi che cambiano con i tempi e
coi contesti. Anche se il tutto non autorizzava a dedurre
tout-court alcuna licenza libertina, erano tuttavia
eccellenti mattoni con cui costruire i miei argomenti
lussuriosi. Mi permisero cosi` di uscire con:
"C'è anche un ripensamento del concetto di peccato
..."
"Non lo so questo, ma non credo che può esserci un
ripensamento dei valori morali. Se mai ci si può
domandare se sono mai stati interpretati correttamente da
sempre, ma non possono essere cambiati da un certo
momento in poi."
"Ma c'è un evidente conflitto tra morale e ...
istinti ... -- dissi. -- Per quel che mi è dato di
vedere
ad ascoltare gli esperti del settore
morale è sempre qualcosa che va nella direzione opposta
a dove vorrebbe andare la nostra natura."
"Non può essere mangiare peccato. Ma l'uso smodato
del mangiare, la Gola, il peccato" disse.
"E poi fa anche obiettivamente male alla
salute," aggiunsi trionfante con un'uscita che mi
sembrava così ben conseguente e supportante l'implicita
filosofia di tutto il discorso perché mi consentiva di
aggiungere subito, con poca spesa intellettuale:
"... Ed è così anche per la sessualità"
aggiunsi subito, cavalcando prontamente e subdolamente le
implicanze del suo discorso.
"In un certo senso sì," rispose. Colsi la
sfumatura di un tentativo di marcia indietro.
"Non è un vero peccato quindi. E` l'eccesso
il peccato" insistetti.
"Ma eccesso può significare anche indebito"
parò subito.
"Dopotutto il concetto di peccato veniale non è un
concetto alieno alla morale tradizionale. In fin dei
conti, in termini pratici, significa peccato
tollerabile..." mi azzardai cauto.
"In un certo senso, anche..." Si teneva ancora
una via di fuga aperta, ma era costretta ad avallare in
qualche modo ciò che dicevo.
"Eppoi proprio per superare la dicotomia tra
naturali istintività e morale c'è un necessario
concetto di redenzione, perdono ... cioè c'è bisogno di
esso, del perdono... un po' come c'è bisogno del peccato
... in un certo senso ... quello che è conflitto diventa
così complemento ...". La scrutavo per capire se
pensasse che la stessi fregando. Stavo in effetti
manovrando come per farmi assolvere prima di peccare.
Puntavo a farle ammettere la sostanziale liceità della
sessualità, e di qua pervenire a qualche legittimazione
di libertinaggio. A questo punto mi rendevo
conto di dover procedere con qualche cautela. Non potevo
rischiare di dare l'impressione di una semplicistica
liquidazione dell'istanza in chiave libertina: temevo ci
saremmo posti subito, d'ufficio, su due fronti antitetici
ed incolmabili. La cosa doveva essere un po più
tormentata, più fatale. Dovevo rimanere in una
ragionevole mediazione di colleganza. Poteva dunque
esserci sì il peccato, ma un peccato veniale, o una cosa
da interpretare con buon senso, traguardandola in una
dimensione moderna ... -- ovvero, più truffaldinamente,
sfruttando quei compromessi di cui tutti i sistemi morali
o religiosi non possono fare a meno per poter
sopravvivere e non affogare nella loro inconsistente
innaturalità. Così facendo impedivo che sfuggisse dal
dibattito, e col dibattito rimaneva la possibilità di
compromesso, che è un modo pseudoragionevole di
rinnegarsi un po' da ambo le parti per potersi infine
concedersi qualcosa l'un l'altro fingendo di non aver
scalfito la solidità delle proprie posizioni.
"Nessuno ha mai condannato la sessualità e la
bellezza che va con essa. La primavera è un'espressione
di sessualità. I bellissimi fiori sono organi sessuali.
La sessualità ha un'intrinseca bellezza semmai, non
un'intrinseca peccaminosità. Nel momento che non
esercita la sua funzione di riproduzione assolve
un'affascinante funzione estetica. L'esibizione della
sessualità non è peccaminosa, è funzionalmente
naturale. Chi mai si sentirebbe di scandalizzarsi della
natura?"
Splendido! Strada tutta in discesa ora: come poteva
essere andata così ingenuamente su quel discorso della
sessualità ed esibizione della natura etc ... o ci era
voluta proprio andare? Me ne uscii con:
"Anche le opere d'arte come la Venere di Milo,
L'Amor Sacro e l'Amore Profano di Tiziano, il Davide di
Michelangelo, l'Origine del Mondo di Coubert (mi domandai
se mai conoscesse quel quadro) sono espressione della
bellezza non peccaminosa della sessualità..."
"Sono ... belle opere, si"
"Anche un bel nudo di Marilyn Monroe..."
"Non ne ho mai visto uno ma non è detto che non
possa esserlo anche".
Ora la conversazione ruotava a buon diritto su i più
classici archetipi erotici: Marilyn Monroe nuda, la
sessualità, la Venere di Milo, i fiori come organi
sessuali, gli organi sessuali sono belli, la loro
esibizione non peccaminosa ma estetica ... Per queste vie
e per le loro implicanze la mia facile eccitazione
deliziosamente montava, fino a chiaramente trasparire dal
mio costume dal bagno. Non la celavo, era anzi fonte di
esibizionistico piacere ostentarla. Mi estasiava l'idea
del dilemma in cui veniva a trovarsi: o doveva mostrare
di essersene accorta dicendo qualcosa, ma denunciando
così un'indebita intrusione nella mia intima privacy
fisica (ma dove stava guardando!) di cui si sarebbe
dovuta più vergognare lei che io (che potevo anche
credibilmente fingere di pensare che non si notasse);
oppure doveva far finta di niente e ... eventualmente
segretamente goderne (perché non avrebbe dovuto,
pensavo, nella segretezza delle sue sensazioni) -- e
l'idea di poter esser per lei oggetto di turbamento
erotico mi eccitava ancora di più. In più ne avevo
avuto almeno una qualche culturale legittimazione: non si
era appena detto di intrinseca bellezza della
sessualità, di organi sessuali che sono fiori,
naturalmente, non peccaminosamente! ma bellamente
esibiti!! ... chi mai si sentirebbe di scandalizzarsi
della natura!...
Gli elusivi "erotici" -- per me almeno --
conversari, si ripetevano con immancabile regolarità.
Nel favorevole momento dell'immediato dopopranzo non
perdevo occasione per sgusciare in casa della signora
Iole e riprendere a provocare ed inseguire il suo
indecifrabile desiderio. La sola cosa di cui tuttavia ero
certo era il sorgere e montare del mio desiderio, di cui
era ormai da entrambi accettata -- o almeno da lei
tollerata -- l'esibizione dell'inequivocabile evidenza.
Ma quel gioco a rincorrersi e nascondersi tra pensieri
inespressi ma percepiti ed allusioni paludate di candore
era intensamente erotico, come un gioco tra ninfe e fauni
nella foresta, ed andava assumendo connotazioni sempre
più fisiche. Il confine tra linguaggio delle parole e
linguaggio del corpo fatalmente diveniva sempre più
sottile e sempre più mutuamente condizionantesi. La mia
voce finiva per impastarsi, deglutivo spesso, tanto da
domandarmi se mai avessi una punta di bava agli angoli
della bocca.
"Posso avere un bicchiere d'acqua?" e così
dicendo presi un bicchiere ed andai al rubinetto per
riempirlo. Nel passarle vicino non seppi trattenermi dal
sfiorarla con il gonfiore del mio rigoglioso desiderio.
Finse di non aver percepito se non si fosse tradita col
fatto di ritrarsi di scatto quand'anche istintivamente.
La situazione tutta giocata sul filo di micrometrici
equilibri consentiva tuttavia ad entrambi di poter ancora
legittimamente far finta che nessuno dei due se ne fosse
accorto, o che almeno non fosse stato fatto apposta.
"E` tempo di andare in spiaggia. Devo portare la
merenda ai bambini" disse asciugandosi le mani e
prendendo la borsa "Vieni anche tu?".
"Si! Cioè no! Avrei qualcosa da fare," dissi.
Quel salto di qualità in quell'autolesionistico gioco di
`erotico arrostirsi' mi aveva eccitato oltre ogni misura.
Corsi in casa e mi stesi sul letto ricentellinando col
pensiero la situazione, le parole dette e i messaggi
sottesi, e baloccandomi col pene finché le mani non mi
furono inondate da incontenibili fiotti di sperma.
Il giorno dopo era venerdi, ed il marito sarebbe tornato
per il week-end come di consueto. Era quindi opportuno
girare al largo, e magari tornare in città per vedere se
era rimasto qualche "giannizzero" -- come
diceva lei scherzosamente talvolta alludendo alle
scorribande di noi scapestrati -- con cui andare a caccia
di turiste "arrapate", ed in particolare di
bionde svedesi -- a quei tempi particolarmente ambite per
la facilità con cui si potevano perseguire rapidamente
concreti risultati.
In città non trovai quasi più nessuno. Gli amici di
scorribande erano andati via in vacanza. La solitudine ed
il caldo torrido mi resero attraente il ritorno alla casa
in vacanza. Lì, se non altro c'era la prospettiva delle
conversazioni con la signora Iole, e l'occasione di
utilizzare quelle noiose giornate di mezza estate per
leggere finalmente dei libri come mi riproponevo di fare
da tempo. Feci dunque scorta di qualche libro e la
mattina presi mi misi in viaggio giungendo nel primo
pomeriggio alla casa al mare.
La porta di casa della signora Iole era sempre socchiusa,
e ne percepivo la sua presenza in casa indaffarata nelle
consuete incombenze. Il contesto appariva tranquillo e
propizio. Un'onda di piacevole eccitazione mi colse come
una folata di vento caldo. Entrai velocemente in casa, mi
spogliai indossando il costume da bagno, presi un libro a
caso
"Uomini e Topi", e mi diressi verso
la porta. Poi cambiai idea, cambiai cioè libro: cercai
"L'Amante di Lady Chatterly" e mi diressi verso
la porta.
Mi salutò con sorpresa. Non si aspettava che sarei
tornato tanto presto, e mi parve genuinamente contenta di
rivedermi. Mi sedetti alla tavola pronto a ricominciare
l'ormai collaudato gioco che certo anche lei si
aspettava. Con studiata casualità posi sul tavolo in
bella mostra il libro sperando di portare la
conversazione in quella direzione. Ed infatti dopo poco
"Cosa leggi?" mi chiese.
"Cosa? ah! questo libro!..." dissi con
affettata nonchalance.
"E` un romanzo di H. D. Lawrence ..." continuai
seriosamente non volendo bruciarmi subito le possibilità
che discendevano dal titolo che era già di per sé tutto
un programma. "L'amante di lady Chatterly"
aggiunsi poi facendo l'atto di leggerne il titolo come se
non sapessi già quale fosse. "H. D. Lawrence e
un'importante scrittore inglese" mi affrettai a
continuare per dare un'ulteriore tocco di cultura, e
quindi di riscattante distacco, da quel che la materia
del libro potesse mai essere.
"L'hai già letto?"
"No! Cioé lo sto leggendo. Sono solo
all'inizio."
"Ti piace?"
"Beh! non sembra male. E uno spaccato
socio-psicologico di una classe borghese...
decadente..." dissi scodellando qualche generica
banalità.
"Forse dovresti leggere altri libri."
"Perché? Lei l'ha letto?"
"No, ma ne ho sentito parlare."
"Cosa ci sarebbe che non va?"
"Niente. Volevo solo dire che non sono quelli i
libri che è necessario leggere ... se si vuol
leggere."
"Io leggo anche altra roba -- dissi ostentando un
`legittimo', quanto finto, risentimento -- Se lo vuol
leggere posso prestarglielo."
"Se avrò tempo ci darò un'occhiata".
Il pensiero che la signora Iole dovesse districarsi tra
le disinibite acrobazie di John Thomas e gli abbandoni
della Lady, mi mandava in un delizioso su-di-giri. Mi
venne fuori un: "E' un libro con ... molta
psicologia ... dei personaggi ... e quindi un certo
realismo ... Cioè i personaggi... voglio dire ... ecco
si muovono con un certo realismo..."
Mia pausa, senza alcun commento da parte sua, che mi
aiutasse a continuare nella direzione opportuna.
"E sì!" inghiottivo. "E` un libro
moderno. C'è una certa ... come dire ... sessualità
vissuta liberamente ... in un senso come dire ...
panico!..." dissi ripetendo confusamente qualcosa
che avevo frettolosamente letto da qualche parte sulla
sovracopertina.
"Panico!" ripetè.
Non so se la sua faccia senza una decifrabile espressione
celasse il fatto che se la stesse godendo da matti di
quel mio tentativo di conversazione incerta e
scopertamente azzardata, ma la mia eccitazione aveva
ormai preso la sua subdola scalata per anfratti e
rimbalzi ed il mio aderente costume da bagno lo lasciava
inequivocabilmente vedere. Se ne era certo accorta ma
sapevo ora che era abituata all'evento proprio perché i
suoi occhi non cadevano mai sul malloppo. Cercavo
freneticamente un'idea tattica per poter portare avanti
il discorso ma si pensa male col pene duro, e
finivo così in continue pause in cui non sapevo che dire
e con lei che proprio non mi aiutava con il suo attento
silenzio. Così ad una pausa più lunga:
"E` così" disse rispondendo in modo
inaspettato a tutto ciò che il mio sgangherato discorso
aveva cercato di dire. "Noi siamo il nostro
corpo" disse levando le braccia per aggiustarsi le
forcine nei capelli e guardandomi sottocchio. Quel
"Noi siamo il nostro corpo" e le ascelle non
depilate di recente mi rimescolarono il sangue: ma ero
ormai in quello sorta di ascesi erotica in cui lo stato
di eccitazione si alimentava da se. Quel "noi siamo
il nostro corpo" mi suonò come un messaggio di
fatalità che mi lasciava intravedere un consenso almeno
subconscio, e quindi una possibile redenzione. Ma questo
suo veloce concludere oltre l'obiettivo del mio
argomentare, aveva anche scavalcato ogni mio armamentario
strategico disorientandomi tanto da non saper dire altro
che "... E sì..." con la voce resa roca
dall'eccitazione.
Ero in piedi poggiato sul bordo del tavolo il che metteva
meglio in mostra il gonfiore nel mio costume sulla linea
del mio corpo nudo che sapevo di qualche persuasiva
qualità estetica. Chiesi un bicchier d'acqua. Lo riempì
al rubinetto e me lo porse. Nel prenderlo dalla mano mi
colse come un raptus: le trassi la mano e velocemente me
la portati sul pene duro e palpitante. La ritrasse decisa
dandomi il previsto schiaffo di rito -- come ogni donna
che si rispetti tenuta a fare in questi casi, e
che percepii quindi come un atto dovuto dal significato
puramente formale e pertanto irrilevante. Più che
turbata mi parve infatti seccata. Ma che emozione
sublime, valeva ben uno schiaffo!
"E` tempo di andare in spiaggia. E` meglio che tu
vada" disse. Mi stava cacciando via: per punizione
questa volta non ero infatti invitato ad accompagnarla in
spiaggia come faceva le altre volte.
Nella mia stanza, baloccandomi nel dilemma se si fosse
veramente arrabbiata o se l'era goduta si ripetette il
rito di ammansire il gagliardo galletto che sembrava non
la volesse più smettere di spruzzare giulivo fiotti di
sperma tutt'intorno.
Il giorno seguente ero pronto a fare ammenda scusandomi
per la sfrontatezza del giorno prima. Ma "noi siamo
il nostro corpo" le avrei detto!... Mi ero preparato
un bel discorsetto. Vedevo il dovermi scusare non come
un'atto di penitenza, bensì come un'eccellente occasione
per poter riprendere il gioco.
"Non sò che mi abbia preso. Sa ... il nostro corpo
... a volte prende il sopravvento sulla nostra
volontà..."
Non disse alcunchè. Poi voltandosi, forse per nascondere
l'imbarazzo, o semplicemente per rendere più
indecifrabile lo spirito con cui si accingeva a
rispondere: "Può succedere, a vent'anni. E`
comprensibile ma non giustificabile, quando avviene nel
momento sbagliato e con le persone sbagliate" disse.
Ero stato assolto
più che perdonato. Ma la cosa
che mi rallegrava era che grazie al perdono ora potevo a
buon diritto rientrare passando sulle rovine delle mura
abbattute dopo aver chiesto scusa per averlo fatto, ed
imperversare ulteriormente più facilmente di prima.
"le ho portato il libro. Ho finito di leggerlo"
dissi fingendo di cambiare discorso, ma volendo farle
capire che ora entrambi potevamo ufficialmente sapere di
quei tumulti erotici di cui tutti e due avevamo sempre
saputo anche senza averlo letto. "Credo che è un
libro... realistico... nel senso di vero.
Giusto!..."
Non diceva alcunché.
"E una dimostrazione che anche il... sesso è un
modo per... comunicare... ritrovare un'identità"
continuai ripetendo frasi lette da qualche parte.
Ancora nessun commento da parte sua.
"...Ma il sesso non è tutto -- dissi
predisponendomi a fare una tattica deviazione
pseudoculturale per non mostrare un disdicevole eccessivo
interesse per l'aspetto più trivio del libro che era in
realt
il solo che mi interessava in quel momento --
C'é anche molto altro in questo libro".
Si limitava ad ascoltarmi imperturbabile. Certo voleva
vedere dove andavo a parare. Quella sua "non
interazione" mi rendeva difficile un supposto
dialogo che finiva per essere un banale soliloquio. Se
era deliziata del mio imbarazzo si divertiva ad
accrescerlo impietosamente. Annaspavo cercando qualcosa
di sensatamente conseguente da dire per poter arrivare
con una sorta di apparente logica imparzialità a
concludere che in fin dei conti non c'è niente di tanto
peccaminoso in certi naturalistici atti umani. E quando
il mio sgangherato discorso, per enfatizzare l'anelito di
dialogo finì involontariamente in una similitudine più
buffa che altro, e che richiamava più immagini esplicite
che le metaforiche che si proponeva -- dissi: "...In
fin dei conti i corpi sono come dei vasi comunicanti
..." -- non ottenni neanche il segno dell'atto di un
sorriso trattenuto.
Poi ad un tratto: "Baudlaire diceva che Il coito è
la lirica delle folle..." disse.
Quella parola proibita, così elegante rispetto alla
nostra usuale e ben più corriva di `chiavata',
inaspettatamente uscita dalla sua bocca mi rimescolò il
sangue.
" ...Ed aggiungeva: ma non più ahimè ... rimarremo
l'uno con la lingua nella bocca dell'altro come frutti di
mare senza vita. Bello no? E` detto tutto in una mirabile
sintesi".
Ma era poi tutta quell'idea di un penoso declino di una
sana sessualità che implicitamente chiamava ad una
doverosa crociata di riscatto, che mi infiammava. Mi
stava dicendo che era perfettamente daccordo per un
sano e libero esercizio sessuale?!
"Ah! Siiiii" biascicai quasi afono. Stavo
andando fuori controllo perché non mi importava ormai
qualunque cosa potesse succedere. Era voltata -- momento
di vulnerabilità di una preda di irrinunciabile
opportunità per il fauno in calore. Mi prese
quell'inebriante sensazione fatalità e fede che fa
chiudere gli occhi e saltare nell'abisso alla cattura
dell'attimo fuggente. Mi calai il costume da bagno che
lasciò scattare fuori il pene duro e vibrante ed
afferrandola per i seni la strinsi contro di me facendole
sentire tutta la vigorosa durezza del mio insopprimibile
ardore. Si dimenò stizzita "Smettila! Ma come ti
permetti! Sei impazzito!..." e divincolandosi si
rigirò ritrovandosi il pene premuto contro il ventre.
Levò la mano per colpirmi, ma gliela afferrai
portandogliela sul pene: quell'emozione valeva bene il
reiterato tentativo di uno schiaffo che ci sarebbe
senz'altro stato. La tenne invece, indugiando qualche
istante prima di respingermi via con forza. "Abbiamo
scherzato abbastanza. Ora basta così" disse. Andò
verso la porta di casa chiudendola e dirigendosi poi
verso al camera da letto. Non mi rendevo ancora ben conto
di quanto stava succedendo perché era tutto così
inaspettato. La seguii.
"Aiutami a slacciarmi il reggiseno" disse.
Glielo sbottonai, lo trattenne sul seno col braccio e si
diresse verso il bagno. Ero stupefatto ed eccitatissimo.
Ritornò indossando un accappatoio. Mi si avvicinò
guardandomi dritto negli occhi: "Allora che fai?
Persa tutta la baldanza ora?" disse, e mi calò
decisa il costume da bagno fino a sfilarmelo via. Il pene
duro e pulsante faceva bella mostra di se. Lo afferrò
guidandomi così verso il letto. Lasciò cadere
l'accappatoio e si distese nuda accanto a me. In un
momento mi rivoltai su di lei avvinghiandola ansimante.
Cercavo di penetrarla ma lei teneva le gambe strette. Mi
scostò. "E aspetta un momento. Che fretta c'è. Ma
cos' hai imparato ... Leggendo libri... O altrove
..." disse con un sorriso tra l'ironico ed il
benevolo, arruffandomi i capelli. Mi fece distendere.
Prese ad accarezzarmi il petto, l'inguine, l'interno
delle cosce, il pene, appena sfiorandolo o facendo
scorrere i polpastrelli lungo la corona del glande. Mai
avevo incontrato tanta serena sapienza erotica. Mi
sentivo di scoppiare: ero al punto di non ritorno, quello
per intenderci che con i miei amici, solevamo indicare
come da "il mio regno per una chiavata!". Mi
rivolsi ancora verso di lei per penetrarla, ma
inutilmente (non sono mai riuscito a capire come facciano
tutti quegli stupratori di cui sembra pieno il mondo).
Appariva divertita ai miei goffi sforzi. Infine prese il
pene duro e congestionato e lo diresse verso la vulva, ma
anziché inserirlo ne strofinò il glande contro il
clitoride turgido. Era tutta scintillante di sudore tra
le gambe, e mi trovai tutto d'un tratto a spruzzar sperma
con la sua mano che si richiudeva a coppa sul glande per
evitare che si spargesse tutto intorno. Mi accasciai a
fianco a lei. Anche se ero contrariato che non mi avesse
lasciato "venir dentro", ero in fin dei conti
deliziato e felice perché tutta la cosa era al andata al
di là delle mie migliori aspettative. E` proprio vero
che la fortuna ci viene incontro di più quanto meno
speriamo che lo faccia, e l'osare può condurre tanto
all'inferno quanto alle stelle. Si massaggiò il collo ed
il seno con le mani bagnate di sperma e spalmò quelle
altre perle di sperma che erano gocciolate sul ventre e
sulle cosce "Fa bene alla pelle" disse. Quindi
si levò andando nel bagno a lavarsi.
"Vatti a lavare" disse tornando indossando
un'accappatoio.
Uscendo dal bagno feci per indossare il costume.
"E` già tutto finito?... Vieni qua rilassati un
po'. Distenditi" disse togliendomi il costume dalle
mani.
Mi distesi sul letto. "Bevi qualcosa di fresco?
Un'aranciata?..." chiese.
"Magari, una Coca Cola."
Tornò con una Coca Cola ed un bicchiere di vino bianco
freddo. "Rilassati un po'" disse, e andò nel
bagno. Ritornò che aveva fatto una doccia, indossando
l'accappatoio e pettinandosi i capelli bagnati. Si
distese vicino a me sorbendo il vino.
"Un cielo così procelloso non poteva che
sciogliersi in una tempesta per potersi
rischiarare..." disse, e prese un sorso di vino.
"Come?"
"Niente. Solo un verso di Shakespeare".
"bello"
"E` bello ogni tanto abbandonarsi, sciogliersi.
Rinnegarsi di tanto in tanto. Improvvisare. Ci sono
momenti in cui è saggio non essere troppo saggi"
"E` necessario" dissi. Stava cercando di
giustificarsi, ed io ben felice di aiutarla.
"Lo è certo ... per tè... più di quanto dovrebbe
esserlo forse per me. Lo fai ... spesso?"
"Cosa?"
"Non fare il furbo... Allora lo fai ancora da
solo?..."
"No"
"Con la ragazza?"
"Non tutte lo fanno."
"Le scarichi se non lo fanno?"
"Prima o dopo le si scarica tutte, indipendentemente
da quello".
"Stai più a lungo con quelle che lo fanno?"
"Non necessariamente. Quelle cose lì non
necessariamente si fanno con la propria ragazza. Temono
di perdere la verginità, che è una merce, o di rimanere
incinte. Con loro si cerca di fare ... ciò che si
può..."
"Come fate allora? Con le ... prostitute?"
"Qualche volta anche. Ma non è molto bello. Meglio
andare in giro all'avventura."
"Cioè?"
" Si va ... con gli amici. All'avventura.
Discoteche, party ..."
"E cosa fate?"
"Si va da un posto all'altro fino a che ..."
"Fino a che?"
"Fino a che ... The soft shelled oyster had not
eaten the skept of desire"
"Cosa?"
Glielo ripetetti lentamente.
"Oh! disse sorridendo. Bello anche questo"
"...Shakespeare!" dissi con uno sguardo furbo.
"A che proposito?"
Scoppiai a ridere.
"Perché ridi?"
"Shakespeare è il soprannome di un compagno di
quelle scorribande. Lo chiamiamo Shakspeare perché ha un
gusto per dire le cose in versi. Si chiama Morris. E'
americano. Il padre è un'ufficiale della NATO di stanza
in zona. Quel verso l'ha inventato lui."
"Che sciocco che sei"
"Perché ora non è più bello solo perché
non è attribuibile al vero Shakespeare? Questo è
conformismo è..."
"Va bene, va bene, non me lo rimangio. Ma il tuo
amico Sheakespeare ha mai detto qualcos'altro di rilievo
in qualc'altro campo oltre che
in quello?".
"Uhm ... vediamo ... certo!" dissi con un tono
di trionfo.
"Sentiamo"
"Dunque... fino a che... the Greek warrior had not
loved the woman who is behind any man" dissi
lentamente guardandola monellescamente negli occhi in
attesa della sua reazione. Ripetette la frase parola per
parola, poi capitola, mi spinse via scherzosamente con
una botta sulla spalla dicendo divertita "Che
sciocchi porci giannizzeri che siete", mentre io con
la faccia affondata nel cuscino ne ridevo.
Il tono allegro della conversazione evitava che si
cadesse in quella sorta di disagio post-coitum che si
manifesta in situazioni del genere, quando la saggezza, o
quel che sia, riprende il controllo sugli istinti
(passioni) sedati, e scrupoli ed altri angustiosi
sentimenti hanno spazio per il loro funesto imperversare.
Ne approfittai per scostarle l'accappatoio scoprendole il
seno.
"E` un bel seno" dissi.
"E` stato bello" disse richiudendo
l'accappatoio.
"Non c'è motivo di tenere l'accappatoio. E`
imbarazzante".
"Imbarazzante?! Oh mon Dieu! e cosa ti
imbarazza?"
"Un uomo nudo vicino ad una donna vestita. E` fuori
da ogni... regola. E` ridicolo".
Rise divertita. "Nudo sei molto meglio che
vestito" disse.
"Lo so" dissi compiaciuto "Pensano la
stessa cosa anche all'accademia d'arte" dissi
aspettandomi di sorprenderla.
"Hai un bel torso." Non sembrava affatto
sorpresa.
"Dicono così anche ... all'accademia d'arte. Mi
hanno soprannominato Il Davide" continuai.
"Posso crederci". Non appariva affatto
sorpresa.
"Ma
come lo sai?" dissi sorpreso.
"Me lo ha detto tua madre. Ed era tutt'altro che
contenta".
"Mia madre?! -- dissi sobbalzando -- E come può
averlo scoperto?"
"Per caso, credo. Ha visto una lettera
dell'accademia d'arte con un'assegno per il pagamento
delle... prestazioni professionali. Ha telefonato
all'accademia e glielo hanno detto."
"Merda! sospettavo che frugasse tra le mie cose,
quella stronza!" dissi furioso.
"Non ti permetto di parlare così di tua madre con
me. Ma non c'è niente di male perché tu dovessi tenerlo
nascosto."
"Era sconvolta?"
"Disorientata, semmai, quando il confessore le ha
detto che pur non essendo un lavoro consigliabile, non
era cosa illecita dato lo scopo ed il contesto. E ci deve
pur essere qualcuno che lo fa. Ma posso capire tua
madre"
"Eppoi lo va a raccontare in giro. Proprio non la
capisco."
"E` venuto fuori per caso, pertinentemente in un
discorso. Si parlava dei ragazzi che crescono, dei tempi
che sono cambiati. E forse era anche un po' orgogliosa,
chissà. E poi sa che non sono il tipo che fa
pettegolezzi... Ma non andrai mica a dirle che ti ho
raccontato che lo sa? So che non glielo dirai" disse
fissandomi.
Sfuggii il suo sguardo ma ero furioso.
"Non lo faccio ormai quasi più. Era un lavoro
trovato, non un lavoro cercato. E` una gran noia. Proprio
niente di entusiasmante. Dà qualche soldo con poca
fatica. Tutto quì" dissi per chiudere l'argomento
che mi si era ritorto contro in un'inaspettato effetto
boomerang.
"Ma sei un apprezzato modello, mi dici " disse
con una punta di sarcasmo. Era chiaro che se la spassava
a rigirarmi contro un argomento che avevo tirato fuori
per sorprenderla e che con lo stesso era stata invece lei
a sorprendermi.
"Basta ora" dissi stizzito.
"Non essere arrabbiato. Credo davvero che non ci sia
niente di male e che hai un bel torso. Glabro ed ondulato
come quello di una statua greca. E` vero saresti stato il
perfetto modello di Michelangelo per il suo David. Mi
piace il tuo torace..." disse con un sorriso e
prendendomi a carezzare il petto, sfregandomi con i
pollici dolcemente i capezzoli facendoli rizzare.
Ricominciavo ad eccitarmi, il pene semiduro mi si muoveva
lentamente sul ventre come un serpente torpido. "Ti
aiuto un po " disse, togliendosi
l'accappatoio, stringendomisi vicino e riprendendo a
carezzarmi il petto, il ventre, l'inguine.
"E` meglio se circonciso? Ma tu non sei ebreo,
vero?"
"No. Ma anche altri amici miei che non sono ebrei
l'hanno fatto. E` molto comune. Non da nessun
problema."
"Il Dr. Spock dice che è una buona pratica."
"Chi è il Dr. Spock?"
"Un famoso pediatra americano."
"E` molto facile tener sempre pulito..."
"...e sembra che si riduca il rischio di cancro
della cervice per le donne. Ma voi ragazzacci lo fate
solo per ostentare virilità, non certo per igiene o
tanto meno per riguardo delle donne, non e così?"
"Beh!... come si dice... che... per un vero uomo...
la sola pelle ammessa a ... scorrere su quello... è la
pelle della ... f---"
"Ah è cosi che dite? Che sciocchi che siete."
disse ridendo. Presi subito a vantarmi di quanto fossi
stato eroico: "... e senza anestesia" precisai
più di una volta orgoglioso. Mi lasciava dire, poi:
"Mai passato per la testa cosè partorire un
bambino?" disse con unespressione atona. Mi
sentii stupido. "Comunque sia ti da senz'altro un
aspetto più virile -- se è questo che ti
interessa" disse allegramente per dissipare il mio
velo di disappunto. "Eppoi, è più gradevole per
fare cose così..." aggiunse chinandosi e prendendo
il pene in bocca. Era meraviglioso il modo con cui lo
lavorava, con la lingua che si insinuava dietro la corona
del glande e scorrendo poi lungo quello che era stata la
sede del frenulo lungo l'asta, fino ai testicoli. Ero
tutto eccitato al nuovo gioco. Mi rivolsi verso di lei
per penetrarla.
"Prima fallo anche tu un po'..."
"Cosa?... con la lingua!?"
"Si, si! Proprio così -- disse con un tono un po'
brusco. -- Se certe cose non le faccio con un porcello
come te con chi altro mai... O sei uno di quelli a cui la
cosa disturba?... Tanti uomini non sanno quante
fantastiche occasioni perdono non volendolo
o
sapendolo
fare" disse spostando con un dito
della mano una delle grandi labbra ed esponendo il
clitoride. "Avanti su. Cosa c'é? Sono pulita
anch'io sai?". Ove mai la cosa avesse potuto
disturbarmi, mi eccitava enormemente il fatto di ricevere
da una signora "tanto-per-bene" proposte che la
mia schematicità giovanile classificavano da postribolo,
ed eroticamente tanto più entusiasmanti proprio perché
accadenti fuori dai contesti canonici. Mi tuffai su quel
frutto di mare lavorandolo e succhiandolo voracemente.
Prese a vibrare ed ansimare tutta, con le cosce che si
contraevano a scatti improvvisi intorno alla mia testa in
una sorta di soffice soffocante morsa: tutto altro
infiammabile carburante alla mia eccitazione. Poi:
"Ora..." disse con una voce roca ed impastata
"Entra ora". La penetrai senza la minima
resistenza con le sue gambe che si richiudevano sul mio
dorso. Con colpi veloci ed profondi, la sentii venire
quasi subito in lunghi ed intensi respiri sospesi da
pause. Accelerai il ritmo fino a spararle nell'utero
incandescenti pallottole di sperma mentre andava
acquietandosi in sussulti sempre più flebili, come
scosse di assestamento dopo un terremoto.
Ero esausto ma assolutamente felice. Quell'escalation di
sorprese sessuali mi estasiava.
"Sono stato bravo?"
"Sei stato bravo."
"Bisognerebbe sempre farlo
un po...
prima... viene tutto meglio ..." aggiunse.
"Basta chiederlo"
"Le donne si vergognano di chiederlo"
"Non è una cosa sporca"
"Ma agli uomini non piace farlo. Almeno non a tutti.
Ma a tutti gli uomini piace che le donne lo facciano a
loro".
"Certi ne hanno disgusto"
"E` innaturale l'atteggiamento di disgusto. Tutto il
sesso è disgustoso fuori dell'inganno della passione. Il
disgusto fa parte di tutte le cose importanti della vita,
dal piacere, alla nascita, alla vita quotidiana... Togli
ciò che è disgustoso e la vita non esiste più. Questo
è panico". Scorse un dito sul pene a raccogliere un
rivolo di sperma che scorreva lento e me lo portò alle
labbra. Sputai via subito.
"Vedi? Ed è tutto tuo. Incontaminato. Sano. Se lo
tenevi dentro non è disgustoso, se lo tiri fuori è
disgustoso. Ha senso? Un disgusto immotivato".
Raccolse un'altra goccia di sperma dalla punta del pene,
se la porto alla bocca e la inghiotti guardandomi senza
dir parola. Ne raccolse un'altra e me la riportò in
bocca.
"Com'è?" disse.
"Ci metterei un pizzico di sale in più".
Rise divertita. "E bello avere vent'anni. Si riesce
a fare di tutto un gioco con infinita facilità"
"E che uno riflette..."
"Non si pensa. O si pensa sempre a certe cose. Siete
sempre ... duri..."
"Non sono mica un maniaco. D'altro canto è giusto
che sia cosi. Pensiero e corpo sono vasi comunicanti. Ma
il pensiero non c'è senza il corpo. Cogito ergo sum,
diceva Cartesio. Noi siamo il nostro corpo!" dissi
allusivo.
" Ah già, Cartesio " disse con ironica
gravità.
"Nelle toilette dell'università è scritta con ...
la g di cogito
cancellata con un tratto ... E`
emblematico quanto ...siano vicine...le due cose
..." dissi furbastramente.
"Non fatico a credere che ... ti ritrovi più ...
nella versione
da toilette, diciamo così, che non
in quella con la g al suo posto" rispose ironica.
"Ma cosa c'è poi di tanto male."
"Non ho detto questo."
"Ma il moralismo corrente snatura..."
"Sedurre è facile. I problemi vengono dopo".
Poi con un lieve sorriso ironico: "Come mi
racconterai? Una vorace ninfomane, o un'inespugnabile
vinta?" disse.
"Non racconterò niente a nessuno. Mai!"
ribattei con un tono ostentatamente offeso.
Giocavo col suo corpo mentre facevamo quei discorsi tra
il serio ed il faceto. Le toccavo il seno. Mi piaceva
sentire tra le dita i capezzoli che le divenivano turgidi
al mio trafficare. Ne presi uno in bocca succhiandolo e
mordicchiandolo "Ti comporti come
un'innamorato" disse. "Ma è meglio per
tutti... che ti comporti solo come un amante". Posò
la mano sul pene floscio.
"Sembravi eternamente duro ed ora pari spremuto come
un tubetto di dentifricio. Non mi dire che un maschiaccio
come te è già stanco! Suvvia che alla tua età un'altra
volta la si fa senza problemi e proprio non fa male. Non
mi avrai fatto fare tutto questo per così poco. Se devo
farmi... perdonare un peccato del genere... tanto vale
che sia un gran bel peccato. Per quel che ti riguarda
magari ti sentirai un po' svaporato, ma dormirai bene
stanotte. Quindi Casanova a trottare. Ma poi... poi ho
una cosa... speciale. Ma proprio speciale!...".
Disse con un'espressione di trionfo, levandosi
improvvisamente ed andando verso il comò. Aprì un
cassetto, tirò fuori quello che appariva essere un
barattolo di fragrante crema, ne prese una dose con le
dita, rinchiuse il barattolo riponendolo via
accortamente. Con quella crema prese a frizionarmi il
pene.
"Cos'è ?" chiesi.
"Una formula straordinaria... Incredibilmente
efficace... E segreta... Me l'hanno portata amici da un
viaggio in oriente. Roba che non può circolare da noi --
disse strizzandomi l'occhio. -- Lo chiamano Balsamo di
Venere. Ne avrai sentito certamente parlare."
"Ah, certo".
In pochi secondi sentii come un calore diffondersi nel
mio pene che divenne duro e pulsante come non poteva
esserlo di più. Facemmo l'amore ancora una volta con una
foga da prima volta, col pene che scivolava veloce e
profondo nella vagina ancora intasata dallo sperma
dell'ultimo coito. Mi staccai con il pene madido di umori
ed in una lieve, quasi piacevole dolenzia, per ricaderle
accanto felicemente esausto.
"Mi domando cosa ci sarà mai in quella crema"
dissi.
"Oh beh!... Una base di vasellina, degli olii
aromatici, del burro di cacao ...e ..."
"...E!?..."
"...E più importante di tutto... l'immaginazione
che è nella tua testa" disse dandomi un colpetto
sulla fronte e scoppiando in una fragorosa risata. Mi
prese qualche istante prima di decidere di dover anch'io
mettermi a ridere -- ma non ero sicuro di trovare la cosa
molto divertente.
Poi d'un tratto: "S'è fatto tardi. Oh Dio mio i
bambini! La merenda. Su presto corri via. Ma cosa mi hai
fatto fare". Si rivestì velocemente correndo in
cucina. La seguii cercando di aiutarla. "Lascia
stare -- disse -- meglio che tu corra subito
via".
Nella mia stanza, disteso felice sul letto riandavo col
pensiero ai momenti di quella insperata, incredibile cosa
che mi era accaduta, come a rivedere un film che era
piaciuto. Nessuno mi avrebbe creduto quando l'avrei
raccontato agli amici. "Che bel chiavare con la
signora Iole!" mi dissi con un sogghigno; altro che
quelle sciacquette-puttanelle che per dartela pretendono
la stucchevole ritualità di infiocchettartela con
un'ipocrita infilata di smancerie pseudo-romantiche alla
ricerca di uno sciocco alibi ricattatorio: "Lo
faccio solo per te perchè ti amo! Mi ami?!"
"Sì sì, immensamente, ma ora allarga un po' di
più le gambe". "Pollastre!" dissi
euforico e baldanzoso ad alta voce.
Aveva ragione: dormii proprio bene quella notte malgrado
il caldo. Il giorno dopo mi svegliai di ottimo umore, ed
esaltato ad un'ingiustificata idea di chissà quale altre
piacevoli sorprese la nuova giornata mi avrebbe
riservato. Mi rasai per bene, mi spruzzai addosso quasi
mezza boccetta di acqua di colonia di mia madre e mi
recai in spiaggia domandandomi cosa mi avrebbe detto.
Giunse di lì a poco. Mi avvicinai con quel tono di
confidenzialità, ancorché sobrio, che discende da
segrete complicità.
"Salve, come va?" dissi allegramente.
"Buongiorno" rispose, freddamente, senza
neanche levare gli occhi. Presi ad aiutarla a montare la
sdraio "Grazie ..." disse, ma continuando ad
armeggiare come se solo per cortesia non avesse aggiunto:
"ma faccio da me". Mi sedetti sulla sabbia in
prossimità del suo ombrellone. Si mise a leggere una
rivista. Non mi parlava, e tutto il suo atteggiamento non
invitava alla conversazione e tanto meno alla confidenza.
Tentai con qualche banalità del tipo "oggi c'è
proprio una bella brezza" etc. ma ne ricevetti in
risposta appena qualcosa di più di mugugni. Di li a poco
di quel non proferir parola, mi alzai "Vado a fare
il bagno" dissi.
"Aspetta un momento" disse infilando la mano
nella borsa che aveva accanto. "Il tuo libro"
disse porgendomelo "L'hai dimenticato in
cucina".
"Ah! L'hai ... l'ha... gà
letto?... Può
tenerlo... se vuole ..." Mi trattenni dall'andare oltre perché mi resi conto che stavo dicendo cose idiote. Non importava assolutamente se l'avesse letto: dandomelo in quel momento ed in quel modo mi stava semplicemente dicendo che il gioco era finito, di andar via e di non tornare. Nel treno che mi riportava in città mi scoprivo a riandare col pensiero alla mia segreta avventura di un pomeriggio di mezza estate. Mi tornavano alla mente momenti e dettagli che riuscivano a darmi ancora istantanei tuffi al cuore. Non mi importava molto cercar di capire il suo ultimo atteggiamento di distacco -- che attribuivo ad un tentativo più che a rimuovere l'accadimento, a pragmaticamente proteggersi da rischiosi strascichi -- nondimeno disturbava alquanto il mio amor proprio. Non mi disturbava affatto invece la sensazione che forse era stata lei ad "usare" me più che io lei; anzi, mi lusingava ed inorgogliva il fatto che avesse potuto scegliere me per "farsi sbattere". Ero comunque, felice, gratificato e non sentivo alcuno scrupolo. In fin dei conti tutto quello che allora mi importava era sempre e solo la semplice cosa di farmi una "bella chiavata", più che motivazioni, o sentimenti che potessero esserne implicati. Solo in anni più adulti, quando le cieche, inarginabili furie fisiologiche si stemperano, fatalmente, con gli intrecci del pensiero e dei sentimenti nei più sedati atteggiamenti dell'età più matura, ho cominciato a domandarmi se ciò che per me era stato nient'altro che un piacere in più, per lei potesse esser stato qualcosa di più complesso, forse anche di doloroso, e che cosa mai avesse "veramente" fatto scattare in lei quell'insolito -- ne sono tuttora convinto -- momento di abbandono. Non la rividi più, e non lo saprò mai. Ma importa poi tanto saperlo? |