In risposta ad una lettera di Giampaolo Rossi sulla strage di Bologna

di silvio cinque


Caro Giampaolo,

sarei felice anch'io di conoscerti anche perché è da un paio di c.d.a che vorrei farlo.

Ora Leila Maiocco, mi propone queste riflessioni sulla strage di Bologna e le tue parole garbate e sofferte.

E mi viene in mente la discussione avuta la settimana scorsa al cinema Arena Saker alla seconda puntata de "La meglio gioventù". Si parlava appunto di quegli anni e di quanto fosse difficile, pericoloso e rischioso vivere e fare politica. Di come fosse impossibile trovarsi a piazzale Euclide o a piazzale delle Muse o passeggiare dalle parti di corso Trieste o davanti al liceo Augusto o Giulio Cesare con Lotta Continua o il Manifesto o semplicemente Il Paese Sera nella tasca di dietro dei jeans, o avere la barba e i capelli lunghi o il mitico eskimo ché il Loden, quello lo portavano quasi tutti, non solo quelli di L.C. All'epoca avevo vent'anni poco più o poco meno, una gioventù passata in paranoia e paura. Dal Liceo Alberelli, parlo degli anni 68-70 (dal colle Oppio venivano spesso "a farci visita"), al Liceo Orazio(70-75) dove arrivavano quelli della sezione di via Martini o i picchiatori di Tomasich. Nel discorso di quella sera al Saker parlavo di Beppe il Roscio e del suo centauro Fiocchetto su Kawasaki e di quanti compagni e compagne siano stati pestati, storpiati, mandati in coma con la testa rotta. Qualcuno mi informa che Beppe il Roscio "è diventato compagno, si è ricreduto ed ha cambiato vita". La mia reazione non è stata affatto di cristiana considerazione, di quell'empatia che sarebbe l'ideale della mia vita. Piuttosto di empietà, ho escluso qualsiasi forma di perdono e riconciliazione forse pensando a chi, più sfortunato di me, si è trovato su una sedia a rotelle o traumatizzati da botte e minacce come tanti compagnucci e compagnucce  dei ginnasi. Etty Hillesum non mi è venuta in soccorso, ma è rimasta piuttosto sorpresa e dispiaciuta della mia seppur umanissima reazione. Ma per quegli anni al Giulio Cesare o all'Augusto, all'Orazio o al Croce di via Palestro ci sono persone con ricordi più autorevoli dei miei, anche nelle nostre Biblioteche. Negli anni '80 ero sposato da due, avevo lasciato l'università da due anni, dove oltre a Sociologia, avevo fatto parte del collettivo di Magistero con annesso servizio d'ordine di L.C. Per rispetto di chi, anche nelle nostre Biblioteche, ha avuto fratelli o parenti massacrati a sprangate solo perché capelloni o freak, o hyppies, o rossi, non posso ergermi a perdonatore di torti o ingiustizie. Ricordo per tutti Auro Bruno, ma siamo già negli anni '90, morto nell'incendio doloso della difficile stagione della Biblioteca di via Filippo Serafini. Massimiliano De Paolis che quella biblioteca, insieme a molte altre, l'aveva fondata, saprebbe dire qualcosa di più. Ma leggendo di Roberto Scialabba non ho potuto trattenere le lacrime tutte e solo per lui, come lo furono per i ragazzi di Acca Larentia. Non so prendere ancora oggi quella netta distanza che necessiterebbe per distinguere in una sola scelta di coscienza il bene dal male, perché alcuni di quei disperati, alcuni di quei disgraziati magari li conoscevo sotto le forme e i modi che certe scelte comportano. Magari solo all'inizio quando ancora non avevano fatto il "salto di qualità", magari ancora li vedevi all'università con l'occhio ormai distante anni luce dalle umane proletarie tribolazioni. Ma non ho mai gridato che "uccidere un fascista non è reato" né quelle canzoncine truci tipo "tutte al muro e le fucileremo" perché già in quegli anni cominciavano i distinguo, seppur scomodi e le distinzioni tra un servizio d'ordine difensivo, per assurdo in funzione anti-Autonomia, ed un s.d.o. d'attacco o rappresaglia. Non ho condiviso la strage di Primavalle (1973) neanche giustificata dall'idea che quelli erano dei picchiatori ed ombrata dal sospetto di una faida  tutta interna. Qualcuno dei ministri di questo governo era un noto picchiatore, e certo il premio "Giorgio Almirante, regista e commediografo" è un insulto per ogni sincero antifascista. Ma queste sono opinioni o forse qualcosa di più. Ma Verbano lo ricordo come un doloroso ritorno ad un periodo che avevo lasciato: una sorta di conferma della giustezza dell'abbandono di quel periodo. Perché negli anni '80, per un militante rimasto in qualche modo extraparlamentare di sinistra, era impossibile scegliere una via che fosse alternativa al crescente craxismo o alla lotta armata, scegliere una via coerente e rimanere tale. Dopo la morte di Verbano ci furono ritorsioni e vendette fin dentro le case con la pistola in pugno a cercare i compagni.

E non mi dispiacque, lo confesso, della morte di Angelo Mancia che mi aveva pesantemente minacciato una sera di sette anni prima, mentre andavo ad un'assemblea all'Orazio occupato.

Perché, caro Giampaolo, la mia età, quell'età è stata tutto un ripararsi, guardarsi in giro, andare in gruppo, scendere alla fermata prima o dopo, per controllare la situazione. Un'altalena forsennata di emozioni, di trionfi e di delusioni tutti nutriti da un ideale alto, altissimo. Ricordo il 13 novembre del 1973, durante l'occupazione all'Orazio, per il Cile. Vennero, erano tanti, armati di spranghe e catene. Un compagno di Pot.Op fini massacrato sotto una panchina di marmo della scuola. Giampiero di DP uno dei leaders del collettivo degli studenti ebbe la testa fracassata da quello stesso megafono con in quale invitava a non rispondere alle provocazioni. Ricordo la polizia che ci fermava su indicazione dei fascisti, ricordo il giudice Alibrandi. che li scarcerava tutti, figlio compreso. Ricordo che ritornavano ed aiutavano i poliziotti a pestarci di santa ragione anche se non stavamo facendo nulla di strano. Un po' come a Genova, con la differenza che lì erano tutti e solo in divisa. Perché è questo il punto dolente dove nessuno vuole arrivare. Il dolore fa male ed ognuno ne ha almeno una briciola sotto il divano. Prima o poi questa benedetta briciola dovrà scovarsela e decidere di mangiarla e digerirla tutta intera, e sarà dura, durissima. Ma il punto è un altro. Il delitto di aver tradito la propria età è certamente minore rispetto a quello di aver strumentalizzato la nostra età. Perché dietro le stragi, le tensioni, il clima difficile e pesante dentro le scuole ed i quartieri, dietro questo c'erano i grandi, gli adulti. I grandi della politica che preparavano trame e cospirazioni, c'erano politicanti e trafficanti, (la P2 per esempio, ma non solo) senza scrupoli pronti ad utilizzare la meglio gioventù per i loro sporchi scopi. Ma tra questi grandi, con i distinguo contestuali ed ideologici, chiamo, guarda un po', a responsabilità anche quei teorici carismatici del marxismo intransigente (i teorici della lotta armata) che convinsero tanti e tanti per poi lasciarli, tanti e soli.. nei pasticci. I pochi tra questi che pagarono di persona, magari solo per colpe morali e per l'ancora vigente reato d'opinione, hanno comunque tutto il mio rispetto. Non voglio dare con questo l'idea che fossimo un branco di ragazzini deficienti, incapaci di distinguere la realtà dal desiderio, i sogni dalla politica. Il dibattito culturale ed ideologico di quegli anni è stato certamente formidabile. Ma certamente il gioco era molto più grande e molto più complesso delle nostre giovani grida, della nostra gioventù, dei nostri ideali. Ora queste grida, questa gioventù, questi ideali hanno certamente avuto il torto della caparbietà, perché spesso la consapevolezza, la sensazione e la certezza che qualcuno manovrasse e tentasse di strumentalizzare tutto questo, malgrado questo, era in noi, esattamente come le parole di Pasolini giustamente introdotte nella tua riflessione. Ma la politica, l'atto d'amore più squisito e nobile che una persona è chiamata a compiere per sé e per gli altri, la politica ha comportamenti e regole complesse. La politica chiama spesso ad una verifica, ad un confronto tra i principi e gli ideali personali e certe ragioni d'ordine superiore che rimandano a interessi più alti: quelli del partito, se ne hai uno, o quelli di parte che sempre comunque c'è; quelli di schieramento o altro. Di fronte ad essi rimaniamo noi, uomini e donne, soli, assolutamente soli a decidere come rispondere ad una unica grande domanda: è giusto o non lo è? Per me è giusto e sempre lo sarà non difendere mai le mie idee contro la vita di qualcun altro, non prescindere mai dalla storia e dalla vita di ciascuno, ché storia e vita altrettanto giusta e utile e nobile quanto la mia. Sono stato anch'io a Bologna e più d'una volta. Quella lapide con quei nomi e quell'orologio fermo, inchiodato a quell'ora fatale è esattamente simmetrica all'altra lapide ed all'altro orologio che scorre e segna il tempo: il tempo del viaggio, dell'arrivo, della partenza, il tempo del tempo. Quel tempo non è un monumento alla rassegnazione ché i monumenti, secondo me, come gli umani, dovrebbero invecchiare e corrompersi con noi, come noi, come noi morire e lasciare il posto a nuovi monumenti. Quell'orologio segna la differenza tra ciò che era e ciò che è, è un monito, un avviso, una indicazione. Certamente le 85 vittime incolpevoli, inconsapevoli ci lasciano eredità e peso della loro vita, qualunque essa fosse. Ci dicono di vivere anche per loro, ci dicono di sognare e sperare e lottare anche per loro. Come i morti incolpevoli, ma consapevoli che da ben altri vagoni avevano destinazioni altrettanto orrende. Non so, caro Giampaolo, ma dopo aver letto le lapidi della stazione di Bologna sono andato a Sabbiuno: era una giornata di vento, ogni sasso aveva una targa, una lapide ed una musica ricordava le lotte della popolazione civile contro la rappresaglia e l'odio nazista. Puntate contro la valle le mitragliatrici degli esecutori. Mi sono appostato per un attimo dietro una di queste feritoie, "tanto per capire", poi sono andato dall'altra parte, con le spalle al vento ed al burrone, di fronte alla bocca del mitra ancora simbolicamente minacciosa. Era lì che avrei preferito scientemente, liberamente stare; se avessi potuto scegliere tra morire e uccidere avrei preferito vivere o semplicemente oppormi, come meglio saprei fare, magari a colpi di libri ed idee. Così per me è Bologna, Piazza Fontana, Italicus e tutti quei compagni e compagne e quelle persone morte, uccise, impedite nella vita, eliminate da semplici rozzi esecutori ed occulti mandanti che ancora burattinano e complottano contro la nostra ingenua volontà di giustizia. Volontà, verità e giustizia. Quanto siamo disposti a dare per esse? La nostra vita e con essa inevitabilmente quella che incatena i nostri affetti, la nostra coscienza che inevitabilmente coinvolge le nostre scelte, la nostra integrità spesso scomoda e faticosa? Cosa siamo disposti a mettere in alternativa alla lapide della stazione di Bologna? Tutto quello che dici e ricordi, una unica moltitudine, aveva storia e voce, volti. Se potessimo per ciascuno di noi, per ciascuno di loro tenere sempre a mente che siamo una storia, una voce, un volto unico, raro e prezioso, se potessimo insegnarlo ed impararlo magari attraverso questo mestiere bellissimo, il più antico del mondo, allora potremmo tranquillamente far invecchiare i monumenti per sostituirli con altri più vicini ai nostri tempi. Il monumento a Pasolini all'Idroscalo, l'albero di Falcone, un monumento alla biblioteca di Bagdad. Tutte le persone che hai chiamato alla mente ed i fatti, tutto ciò non era presente purtroppo nel film di M.T. Giordana. La meglio gioventù è un bellissimo film di sentimenti e di amore, un omaggio al grande Basaglia ed ai ragazzi dell'alluvione di Firenze, un omaggio al potere curativo, costruttivo, creativo e comunicativo del libro e della musica. Una figura bellissima è quella della Bibliotecaria. Ma quanto a storia e testimonianza storica è un perfetto omaggio al più ferreo revisionismo. Nessuna di quelle persone citate da te e vissute e riconosciute da me, nessuna è presente, nessuna, malgrado il film si prodighi per 6 ore dal 1963 al 2003 a raccontarci "la meglio gioventù". Non c'è Bologna, piazza Fontana, Aldo Moro, il muro di Berlino, neanche Genova, la loggia P2 o la strage di Brescia, Pinelli, Valpreda, Mambro o i Nar, o Giggi Zanché finito in galera per aver scritto su una tovaglia di carta frasi a favore della morte di Calabresi, neanche Andreotti. Non ci siamo né tu né io, caro Giampaolo e questo è imperdonabile.

 

Dopo questo ecco un cappello, che in realtà è addirittura un impermeabile..

"Un'amica del Forum delle Donne di Rifondazione mi dice che la risposta data a Giampaolo Rossi è "troppo emotiva, troppo di cuore". Vi invito a leggere la risposta così come l'ho scritta e la lettera di Giampaolo Rossi consigliere del C.d.A. dell'Istituzione nonché esponente di AN (leggi Alleanza Nazionale) Per anni, per me e per tutti AN era Avanguardia Nazionale, un partitino di fascisti picchiatori che per anni, insieme a ON, Ordine Nuovo, MSI e Civiltà Cristiana, Boia chi Molla, FUAN, (AN dell'Università) è stata un vero e proprio incubo, una minaccia, una provocazione, non solo per i compagni e le compagne, ma anche per tutti gli antifascisti, i democratici, quelli dell'arco costituzionale e gli extraparlamentari, i preti operai, le femministe, i cristiani di base, i socialisti, gli anarchici, i presidi ed i professori democratici, i magistrati democratici e i dottori abortisti, i radicali, i disoccupati organizzati. Gli unici a non preoccuparsene erano gli operai, gli edili, i metalmeccanici, i proletari di San Basilio e di San Lorenzo, gli abitanti della parte del Tufello chiamata Stalingrado, i camalli di Genova e gli operai di Cornigliano.

È vero, forse il cuore ha parlato più e troppo. Ma è meglio una incazzatura di cuore che non un freddo ragionamento perché il cuore dimentica, forse perdona, forse ridimensiona. Ma il cervello no, quello è lì che riflette riflette e ricorda e riflette. Oggi, quando si va in piazza per la Pace, per un nuovo mondo possibile, quando si cammina per ore tra migliaia e centinaia di migliaia e milioni di persone ad Assisi o Firenze e perché no anche a Genova 2001, lo si fa con cuore. E mi dispiace dirlo, ma quando si votò PCI dopo la scomparsa del compagno Berlinguer, lo si fece con cuore. Forse in pochi ricordano quanta difficoltà e ostruzione e chiusura il PCI aveva nei confronti degli extraparlamentari. Oggi il Movimento ne ha tanti di extra ed ex, ma fortunatamente nessun partito egemone. Cambiano i tempi, ma il cervello ricorda ancora e ancora.

Oggi, dopo gli anni '80, dopo questo vuoto mostruoso e differito che sono stati quegli anni, dopo gli anni '90 in cui il vuoto è diventato un'emorragia, una fuoriuscita di pensieri, di scuola di partito, di cervelli educati, allenati al ragionamento rigoroso e doloroso, di grande energia, di intellighenzia laica, marxista, socialista, anarchica e leninista e perché no sindacale, oggi il cervello gira a vuoto: afferra qualche labile concetto, qualche assioma fondamentale ma intorno non trova nulla, come le molecole di sodio in acqua minerale di certa patetica pubblicità. Allora cosa dire? Ripartiamo dal cuore, vediamo se è un organo differenziale. Ma non mi faccio abbindolare ancora una volta. I morti sono veri, reali e bisogna ricordarseli tutti. A Portella delle Ginestre, a Avola e Battipaglia, a Genova 1960 e 2001 i morti di questa Nuova Repubblica, per questa Nuova Repubblica sono ben diversi da faide interne tra partitini di destra e Pisanò infame etc. etc. I servizi segreti, i corpi separati, la Loggia P2, le Forze Armate, la Magistratura avevano gente iscritta al MSI, ON, AN, Propaganda Fide, IOR e Vaticano oltre che DC, PSDI, PLI, PRI  etc. Tradire la propria età? Allora Lidia Menapace, che durante la guerra era una Universitaria della FUCI ha tradito la propria giovinezza perché faceva la staffetta, DISARMATA, nella Resistenza novarese? E così Marisa Musu o i Gruppi di Azione Patriottica. Forse che per non tradire la propria giovinezza dovevano marciare ed obbedire, andare ai raduni  in orbace e sahariana e imparare tutto sulla mistica fascista? Quella sarebbe stata la loro giovinezza?

E la giovinezza della Mambro e del Fioravanti quale sarebbe stata? Ragazzi di ottima famiglia borghese, cresciuti con questo tarlo, questa insoddisfazione, questa pulsione di morte come avrebbero potuto impegnare degnamente il loro Tempo? Facendo politica, ovviamente, non distruggendola a mitragliate. Che Mambro e Fioravanti siano estranei alla strage di Bologna lo credo anch'io, ma cambia qualcosa? Invece avrebbe cambiato affermare, come si fece per anni!, che Valpreda era totalmente estraneo alla strage di Piazza Fontana. Avrebbe cambiato eccome! Perché Pietro Valpreda oltre ad essere totalmente estraneo era anche un galantuomo!

L'unica sua imperdonabile colpa è stata quella di essere "anarchico. "

Un po' di citazioni sitografiche:

sulla strage di Bologna

http://www.misteriditalia.com/lestragi/bologna/bologna.html

Francesca Mambro/ Valerio Fioravanti

http://www.misteriditalia.com/lestragi/bologna/mambro-fioravanti/

 
Zavoli intervista Pietro Valpreda

http://www.informagiovani.it/Terrorismo/piazzafontana/comm3.htm

Walter Rossi

http://digilander.libero.it/asswalterrossi/

Valerio Verbano

http://www.geocities.com/Athens/2753/77_00.htm

una intervista a Renato Curcio

http://www.ilbolerodiravel.org/kattivi_maestri/frigidaire/armata_gg.htm

 
storia della destra in Italia

http://www.ecn.org/inr/caradonna/destra/destra16.htm

 
il Circolo Azione Giovani "René Guinon"

http://www.geocities.com/CapitolHill/6445/index.html

il sito di Forza Nuova di Ascoli Piceno

http://www.fnap.it/cgi-bin/pw/epap2.pl?pagina=mostra&articolo=ART0410

il Carpediem

http://www.carpe-diem.it/

 
una interrogazione recente sulla morte di Giorgiana Masi

http://rifondazione75.samizdat.net/Storia_memoria/ieri_oggi/ieri_oggi_domani_12maibis.htm

 
la lettera di Giampaolo Rossi

 
Giustizia per tutti noi

Mambro, Fioravanti e.. l'azzurro degli anni di piombo

 
Io so.

Io so....di non sapere molto di quegli anni.


Io so di non sapere i nomi dei responsabili delle stragi, né la natura reale di quegli eventi. Quello che mi ricordo, quello che mi hanno raccontato, quello che ho letto......non basta.

Se Pasolini fosse ancora vivo, saprebbe. Aggiungerebbe un capitolo al suo "Romanzo delle Stragi". Sei anni prima di Bologna lui lo aveva gridato ad alta voce in quell'Italia conformista e chiusa: "Io so tutti i nomi e tutti i fatti (...). Lo so ma non ho le prove e non ho gli indizi. Lo so perché sono un intellettuale, uno scrittore che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, d'immaginare tutto ciò che non si sa e che si tace".

Io non so nulla ma ho come una sensazione: che quella sentenza, quella sulla strage di Bologna, serva solo a non far sapere la verità, serva a schiacciare il dolore e la rabbia sotto migliaia di carte processuali incoerenti, serva a fermare la storia di questo paese immobilizzando tempo e memoria. Come quell'orologio bloccato alle 10,25 e lasciato là come una fotografia ingiallita. Secondo me è un'idea bislacca quella di fermare il tempo dentro una stazione che è il luogo dove il tempo invece scorre con puntualità (più o meno efficace!!)......... dietro i treni....... dietro le vite che salgono e scendono da quei treni. In una stazione il tempo non si può fermare perché c'è sempre un ultimo treno da prendere e un ultimo treno da perdere. Quell'orologio lasciato lì, fermo, mentre tutto attorno ha ricominciato a correre mi dà un'idea di rassegnazione.

È un'idea bislacca perché anche la memoria va elaborata....col tempo.

Nel 1980 l'anno del "botto" avevo 14 anni e poca voglia di capire il mondo; ricordo vagamente il dolore di mia madre e la sua paura, la rabbia frustrata di mio padre e le facce spaesate di chi condivideva il mio quotidiano...... il macellaio della via, la mia professoressa di scuola, il vicino di casa. S'incontrava per strada l'incapacità di capire o la stupidità di chi capiva tutto e troppo in fretta.

È  inevitabile il gioco perfido delle vite parallele.

Io avevo 14 anni ed un certo Luigi Ciavardini tre più di me; io avevo poca voglia di capire il mondo, lui aveva cominciato a sparargli. A 17 anni aveva ucciso un agente di polizia ed un magistrato. Oggi ne ha 40 e 16 li ha passati in galera per questi omicidi. Si è sposato, lavora, ha tre figli ed ora ritornerà dentro perché, secondo i giudici di Bologna, avrebbe lasciato lui materialmente la valigetta nella sala d'aspetto della stazione. La minore età che aveva all'epoca lo ha salvato dall'ergastolo. Se tutto va bene uscirà a 70 anni. Insomma, la più sanguinosa strage d'Italia, quella fatta su ordine dei Servizi Segreti deviati, della P2, quella che avrebbe dovuto sovvertire l'ordine democratico del nostro paese per il consolidamento di un regime autoritario, sarebbe stata affidata ad un ragazzino minorenne.

Io so di non sapere molto di quegli anni ma ho come nelle orecchie un'eco lontana che ancora mi spaventa.

Nei giardinetti di Don Bosco a Roma, dove mio nonno mi portava a giocare da piccolo, davanti ai casermoni dell'Ina Casa, quei palazzoni popolari a forma di alveare, giusta location dei film di De Sica, c'è una piccola lapide che ricorda Roberto Scialabba. Aveva più o meno vent'anni quando Fioravanti gli scaricò addosso un intero caricatore di pistola e poi gli diede il colpo di grazia alla testa. Aveva due colpe: i suoi capelli troppo lunghi ed un giornale di sinistra sotto il braccio. Non c'era nessuna motivazione politica ma solo la vendetta, l'odio irrazionale e la follia omicida di gangsters ventenni.

Un mese prima a via Acca Larentia tre ragazzi di destra erano stati ammazzati davanti alla sede del Msi. Su due di loro "i compagni" avevano provato il funzionamento della famigerata mitraglietta Skorpion con cui tre mesi dopo le BR avrebbero spazzato via  la scorta di Aldo Moro. Un tiro al bersaglio per puro allenamento come al luna park.

Il terzo, Stefano Recchioni, fu ucciso due ore dopo da un pistolero vestito da carabiniere. Francesca Mambro, molti anni dopo, alla domanda di Sergio Zavoli sul colore da dare a quegli anni di piombo, rispose: "azzurro....l'azzurro mare degli occhi del primo amico che mi è morto accanto"...... parlava di Stefano Recchioni.

A Roma sono decine le lapidi e i murales disseminati per la città che ricordano i morti ammazzati di quella guerra mai dichiarata.

Ero già grande quando vidi per la prima volta la foto del rogo di Primavalle:  il 16 aprile 1973 alcuni di Potere Operaio fecero scivolare la benzina di una tanica sotto la porta della casa proletaria di un netturbino missino e dei suoi 6 figli; nell'incendio morirono arsi vivi il più grande Virgilio e il più piccolo Stefano che insieme non facevano trent'anni. Ricordo con orrore la foto di Virgilio affacciato alla finestra del suo appartamento in fiamme chiedere aiuto inutilmente. Ricordo il terrore e la disperazione di quello sguardo mentre il fuoco lo divorava. Li ritrovarono abbracciati....lui e suo fratello...... sotto quella finestra.

Quella foto fece il giro del mondo, come quella della bimba al napalm......ma non era il Vietnam, né la Cambogia, né il Libano....... era l'Italia democratica e antifascista. Mi sono sempre domandato come, dopo quella foto, si potesse ancora scendere in piazza in migliaia e urlare slogan tipo: "uccidere un fascista non è reato".

Ma che Italia era quella di quegli anni?

Walter Rossi, Francesco Cecchin, Giorgiana Masi, Paolo Di Nella, Valerio Verbano, Alberto Giacquinto e tutti quelli che non mi ricordo.....dove diavolo li abbiamo lasciati?

Io non so se, come scrive Letizia Paolozzi "Mambro e Fioravanti, sarebbero stati, senza il clima politico violento di allora, una coppia di Bonnie e Clyde italiani". Magari lui avrebbe continuato la sua carriera di star televisiva e lei avrebbe iniziato a scrivere libri senza aspettare di finire in galera.. chissà.

Oggi mi avvicino a tutti questi morti con una freddezza colpevole ed ogni volta che mi aggiro per i commenti, le ricostruzioni storiche, i giudizi politici mi accorgo che quel dolore lo sto solo ora elaborando......col tempo.

La più piccola dei morti di Bologna aveva tre anni.......l'età che oggi ha mio figlio e mi domando che diritto ho io....... che diritto abbiamo noi di entrare con la ragione e il pensiero dentro un dolore incolmabile e se invece non sia più giusto accettare una verità data e mettere con essa a tacere per sempre ciò che urla dentro; ma poi penso che un pò di quel dolore (diverso certo, più vicino alla rabbia che alla rassegnazione) appartiene in fondo ad ognuno di noi e alle ferite che questo Paese stenta a rimarginare e che cercare quei pezzi di verità che mancano, che qualcuno ha nascosto come briciole sotto il divano, spetti ad ognuno di noi.

 Io so di non sapere molto di quegli anni, ma penso che lo spontaneismo armato e l'estremismo politico che agitava ragazzini di destra e di sinistra avessero ben poco a che fare con la strategia della tensione perché nulla aveva di strategico. E penso che per quegli anni in molti hanno pagato o stanno pagando ma in molti l'hanno fatta franca e non parlo solo di quelli che sono scappati o sono riusciti a rimanere nell'ombra dei propri delitti.

Su Bologna, la relazione della Commissione Stragi parla apertamente di una "zona grigia" mai individuata. Penso che la verità non stia nella follia omicida di giovani assassini, confinati nel male di un protagonismo tragico dal quale non sono riusciti a fuggire, ma stia in quella "zona grigia" che ancora oggi nessuno vuole illuminare.

Io so che Fioravanti, Mambro e Ciavardini sono colpevoli di molti omicidi; hanno ucciso senza pietà, hanno regalato morte e dolore con una generosità che accompagna di solito l'egoismo degli sconfitti. So che sono colpevoli di un reato ancora più grande...quello di aver tradito la propria età. Ma ho molti dubbi sulla strage della stazione e quella sentenza disperante me li accende tutti.

Non so se ci vuole "del buono e del bello per accettare la distinzione"..forse basterebbe solo un po' di coraggio e di giustizia e non solo per Bologna.
 

 

 

prima pagina.

 

 

 

contatore http://artenamir.interfree.it

e forum