In risposta ad
una lettera di Giampaolo Rossi sulla strage di Bologna di silvio cinque
Caro Giampaolo,
sarei felice anch'io di conoscerti anche perché è da un
paio di c.d.a che vorrei farlo.
Ora Leila Maiocco, mi propone queste riflessioni sulla
strage di Bologna e le tue parole garbate e sofferte.
E mi viene in mente la discussione avuta la settimana
scorsa al cinema Arena Saker alla seconda puntata de
"La meglio gioventù". Si parlava appunto di
quegli anni e di quanto fosse difficile, pericoloso e
rischioso vivere e fare politica. Di come fosse
impossibile trovarsi a piazzale Euclide o a piazzale
delle Muse o passeggiare dalle parti di corso Trieste o
davanti al liceo Augusto o Giulio Cesare con Lotta
Continua o il Manifesto o semplicemente Il Paese Sera
nella tasca di dietro dei jeans, o avere la barba e i
capelli lunghi o il mitico eskimo ché il Loden, quello
lo portavano quasi tutti, non solo quelli di L.C.
All'epoca avevo vent'anni poco più o poco meno, una
gioventù passata in paranoia e paura. Dal Liceo
Alberelli, parlo degli anni 68-70 (dal colle Oppio
venivano spesso "a farci visita"), al Liceo
Orazio(70-75) dove arrivavano quelli della sezione di via
Martini o i picchiatori di Tomasich. Nel discorso di
quella sera al Saker parlavo di Beppe il Roscio e del suo
centauro Fiocchetto su Kawasaki e di quanti compagni e
compagne siano stati pestati, storpiati, mandati in coma
con la testa rotta. Qualcuno mi informa che Beppe il
Roscio "è diventato compagno, si è ricreduto ed ha
cambiato vita". La mia reazione non è stata affatto
di cristiana considerazione, di quell'empatia che sarebbe
l'ideale della mia vita. Piuttosto di empietà, ho
escluso qualsiasi forma di perdono e riconciliazione
forse pensando a chi, più sfortunato di me, si è
trovato su una sedia a rotelle o traumatizzati da botte e
minacce come tanti compagnucci e compagnucce dei
ginnasi. Etty Hillesum non mi è venuta in soccorso, ma
è rimasta piuttosto sorpresa e dispiaciuta della mia
seppur umanissima reazione. Ma per quegli anni al Giulio
Cesare o all'Augusto, all'Orazio o al Croce di via
Palestro ci sono persone con ricordi più autorevoli dei
miei, anche nelle nostre Biblioteche. Negli anni '80 ero
sposato da due, avevo lasciato l'università da due anni,
dove oltre a Sociologia, avevo fatto parte del collettivo
di Magistero con annesso servizio d'ordine di L.C. Per
rispetto di chi, anche nelle nostre Biblioteche, ha avuto
fratelli o parenti massacrati a sprangate solo perché
capelloni o freak, o hyppies, o rossi, non posso ergermi
a perdonatore di torti o ingiustizie. Ricordo per tutti
Auro Bruno, ma siamo già negli anni '90, morto
nell'incendio doloso della difficile stagione della
Biblioteca di via Filippo Serafini. Massimiliano De
Paolis che quella biblioteca, insieme a molte altre,
l'aveva fondata, saprebbe dire qualcosa di più. Ma
leggendo di Roberto Scialabba non ho potuto trattenere le
lacrime tutte e solo per lui, come lo furono per i
ragazzi di Acca Larentia. Non so prendere ancora oggi
quella netta distanza che necessiterebbe per distinguere
in una sola scelta di coscienza il bene dal male, perché
alcuni di quei disperati, alcuni di quei disgraziati
magari li conoscevo sotto le forme e i modi che certe
scelte comportano. Magari solo all'inizio quando ancora
non avevano fatto il "salto di qualità",
magari ancora li vedevi all'università con l'occhio
ormai distante anni luce dalle umane proletarie
tribolazioni. Ma non ho mai gridato che "uccidere un
fascista non è reato" né quelle canzoncine truci
tipo "tutte al muro e le fucileremo" perché
già in quegli anni cominciavano i distinguo, seppur
scomodi e le distinzioni tra un servizio d'ordine
difensivo, per assurdo in funzione anti-Autonomia, ed un
s.d.o. d'attacco o rappresaglia. Non ho condiviso la
strage di Primavalle (1973) neanche giustificata
dall'idea che quelli erano dei picchiatori ed ombrata dal
sospetto di una faida tutta interna. Qualcuno dei
ministri di questo governo era un noto picchiatore, e
certo il premio "Giorgio Almirante, regista e
commediografo" è un insulto per ogni sincero
antifascista. Ma queste sono opinioni o forse qualcosa di
più. Ma Verbano lo ricordo come un doloroso ritorno ad
un periodo che avevo lasciato: una sorta di conferma
della giustezza dell'abbandono di quel periodo. Perché
negli anni '80, per un militante rimasto in qualche modo
extraparlamentare di sinistra, era impossibile scegliere
una via che fosse alternativa al crescente craxismo o
alla lotta armata, scegliere una via coerente e rimanere
tale. Dopo la morte di Verbano ci furono ritorsioni e
vendette fin dentro le case con la pistola in pugno a
cercare i compagni.
E non mi dispiacque, lo confesso, della morte di Angelo
Mancia che mi aveva pesantemente minacciato una sera di
sette anni prima, mentre andavo ad un'assemblea
all'Orazio occupato.
Perché, caro Giampaolo, la mia età, quell'età è stata
tutto un ripararsi, guardarsi in giro, andare in gruppo,
scendere alla fermata prima o dopo, per controllare la
situazione. Un'altalena forsennata di emozioni, di
trionfi e di delusioni tutti nutriti da un ideale alto,
altissimo. Ricordo il 13 novembre del 1973, durante
l'occupazione all'Orazio, per il Cile. Vennero, erano
tanti, armati di spranghe e catene. Un compagno di Pot.Op
fini massacrato sotto una panchina di marmo della scuola.
Giampiero di DP uno dei leaders del collettivo degli
studenti ebbe la testa fracassata da quello stesso
megafono con in quale invitava a non rispondere alle
provocazioni. Ricordo la polizia che ci fermava su
indicazione dei fascisti, ricordo il giudice Alibrandi.
che li scarcerava tutti, figlio compreso. Ricordo che
ritornavano ed aiutavano i poliziotti a pestarci di santa
ragione anche se non stavamo facendo nulla di strano. Un
po' come a Genova, con la differenza che lì erano tutti
e solo in divisa. Perché è questo il punto dolente dove
nessuno vuole arrivare. Il dolore fa male ed ognuno ne ha
almeno una briciola sotto il divano. Prima o poi questa
benedetta briciola dovrà scovarsela e decidere di
mangiarla e digerirla tutta intera, e sarà dura,
durissima. Ma il punto è un altro. Il delitto di aver
tradito la propria età è certamente minore rispetto a
quello di aver strumentalizzato la nostra età. Perché
dietro le stragi, le tensioni, il clima difficile e
pesante dentro le scuole ed i quartieri, dietro questo
c'erano i grandi, gli adulti. I grandi della politica che
preparavano trame e cospirazioni, c'erano politicanti e
trafficanti, (la P2 per esempio, ma non solo) senza
scrupoli pronti ad utilizzare la meglio gioventù per i
loro sporchi scopi. Ma tra questi grandi, con i distinguo
contestuali ed ideologici, chiamo, guarda un po', a
responsabilità anche quei teorici carismatici del
marxismo intransigente (i teorici della lotta armata) che
convinsero tanti e tanti per poi lasciarli, tanti e
soli.. nei pasticci. I pochi tra questi che pagarono di
persona, magari solo per colpe morali e per l'ancora
vigente reato d'opinione, hanno comunque tutto il mio
rispetto. Non voglio dare con questo l'idea che fossimo
un branco di ragazzini deficienti, incapaci di
distinguere la realtà dal desiderio, i sogni dalla
politica. Il dibattito culturale ed ideologico di quegli
anni è stato certamente formidabile. Ma certamente il
gioco era molto più grande e molto più complesso delle
nostre giovani grida, della nostra gioventù, dei nostri
ideali. Ora queste grida, questa gioventù, questi ideali
hanno certamente avuto il torto della caparbietà,
perché spesso la consapevolezza, la sensazione e la
certezza che qualcuno manovrasse e tentasse di
strumentalizzare tutto questo, malgrado questo, era in
noi, esattamente come le parole di Pasolini giustamente
introdotte nella tua riflessione. Ma la politica, l'atto
d'amore più squisito e nobile che una persona è
chiamata a compiere per sé e per gli altri, la politica
ha comportamenti e regole complesse. La politica chiama
spesso ad una verifica, ad un confronto tra i principi e
gli ideali personali e certe ragioni d'ordine superiore
che rimandano a interessi più alti: quelli del partito,
se ne hai uno, o quelli di parte che sempre comunque
c'è; quelli di schieramento o altro. Di fronte ad essi
rimaniamo noi, uomini e donne, soli, assolutamente soli a
decidere come rispondere ad una unica grande domanda: è
giusto o non lo è? Per me è giusto e sempre lo sarà
non difendere mai le mie idee contro la vita di qualcun
altro, non prescindere mai dalla storia e dalla vita di
ciascuno, ché storia e vita altrettanto giusta e utile e
nobile quanto la mia. Sono stato anch'io a Bologna e più
d'una volta. Quella lapide con quei nomi e quell'orologio
fermo, inchiodato a quell'ora fatale è esattamente
simmetrica all'altra lapide ed all'altro orologio che
scorre e segna il tempo: il tempo del viaggio,
dell'arrivo, della partenza, il tempo del tempo. Quel
tempo non è un monumento alla rassegnazione ché i
monumenti, secondo me, come gli umani, dovrebbero
invecchiare e corrompersi con noi, come noi, come noi
morire e lasciare il posto a nuovi monumenti.
Quell'orologio segna la differenza tra ciò che era e
ciò che è, è un monito, un avviso, una indicazione.
Certamente le 85 vittime incolpevoli, inconsapevoli ci
lasciano eredità e peso della loro vita, qualunque essa
fosse. Ci dicono di vivere anche per loro, ci dicono di
sognare e sperare e lottare anche per loro. Come i morti
incolpevoli, ma consapevoli che da ben altri vagoni
avevano destinazioni altrettanto orrende. Non so, caro
Giampaolo, ma dopo aver letto le lapidi della stazione di
Bologna sono andato a Sabbiuno: era una giornata di
vento, ogni sasso aveva una targa, una lapide ed una
musica ricordava le lotte della popolazione civile contro
la rappresaglia e l'odio nazista. Puntate contro la valle
le mitragliatrici degli esecutori. Mi sono appostato per
un attimo dietro una di queste feritoie, "tanto per
capire", poi sono andato dall'altra parte, con le
spalle al vento ed al burrone, di fronte alla bocca del
mitra ancora simbolicamente minacciosa. Era lì che avrei
preferito scientemente, liberamente stare; se avessi
potuto scegliere tra morire e uccidere avrei preferito
vivere o semplicemente oppormi, come meglio saprei fare,
magari a colpi di libri ed idee. Così per me è Bologna,
Piazza Fontana, Italicus e tutti quei compagni e compagne
e quelle persone morte, uccise, impedite nella vita,
eliminate da semplici rozzi esecutori ed occulti mandanti
che ancora burattinano e complottano contro la nostra
ingenua volontà di giustizia. Volontà, verità e
giustizia. Quanto siamo disposti a dare per esse? La
nostra vita e con essa inevitabilmente quella che
incatena i nostri affetti, la nostra coscienza che
inevitabilmente coinvolge le nostre scelte, la nostra
integrità spesso scomoda e faticosa? Cosa siamo disposti
a mettere in alternativa alla lapide della stazione di
Bologna? Tutto quello che dici e ricordi, una unica
moltitudine, aveva storia e voce, volti. Se potessimo per
ciascuno di noi, per ciascuno di loro tenere sempre a
mente che siamo una storia, una voce, un volto unico,
raro e prezioso, se potessimo insegnarlo ed impararlo
magari attraverso questo mestiere bellissimo, il più
antico del mondo, allora potremmo tranquillamente far
invecchiare i monumenti per sostituirli con altri più
vicini ai nostri tempi. Il monumento a Pasolini
all'Idroscalo, l'albero di Falcone, un monumento alla
biblioteca di Bagdad. Tutte le persone che hai chiamato
alla mente ed i fatti, tutto ciò non era presente
purtroppo nel film di M.T. Giordana. La meglio gioventù
è un bellissimo film di sentimenti e di amore, un
omaggio al grande Basaglia ed ai ragazzi dell'alluvione
di Firenze, un omaggio al potere curativo, costruttivo,
creativo e comunicativo del libro e della musica. Una
figura bellissima è quella della Bibliotecaria. Ma
quanto a storia e testimonianza storica è un perfetto
omaggio al più ferreo revisionismo. Nessuna di quelle
persone citate da te e vissute e riconosciute da me,
nessuna è presente, nessuna, malgrado il film si
prodighi per 6 ore dal 1963 al 2003 a raccontarci
"la meglio gioventù". Non c'è Bologna, piazza
Fontana, Aldo Moro, il muro di Berlino, neanche Genova,
la loggia P2 o la strage di Brescia, Pinelli, Valpreda,
Mambro o i Nar, o Giggi Zanché finito in galera per aver
scritto su una tovaglia di carta frasi a favore della
morte di Calabresi, neanche Andreotti. Non ci siamo né
tu né io, caro Giampaolo e questo è imperdonabile.
Dopo questo ecco un cappello, che in realtà è
addirittura un impermeabile..
"Un'amica del Forum delle Donne di Rifondazione mi
dice che la risposta data a Giampaolo Rossi è
"troppo emotiva, troppo di cuore". Vi invito a
leggere la risposta così come l'ho scritta e la lettera
di Giampaolo Rossi consigliere del C.d.A.
dell'Istituzione nonché esponente di AN (leggi Alleanza
Nazionale) Per anni, per me e per tutti AN era
Avanguardia Nazionale, un partitino di fascisti
picchiatori che per anni, insieme a ON, Ordine Nuovo, MSI
e Civiltà Cristiana, Boia chi Molla, FUAN, (AN
dell'Università) è stata un vero e proprio incubo, una
minaccia, una provocazione, non solo per i compagni e le
compagne, ma anche per tutti gli antifascisti, i
democratici, quelli dell'arco costituzionale e gli
extraparlamentari, i preti operai, le femministe, i
cristiani di base, i socialisti, gli anarchici, i presidi
ed i professori democratici, i magistrati democratici e i
dottori abortisti, i radicali, i disoccupati organizzati.
Gli unici a non preoccuparsene erano gli operai, gli
edili, i metalmeccanici, i proletari di San Basilio e di
San Lorenzo, gli abitanti della parte del Tufello
chiamata Stalingrado, i camalli di Genova e gli operai di
Cornigliano.
È vero, forse il cuore ha parlato più e troppo. Ma è
meglio una incazzatura di cuore che non un freddo
ragionamento perché il cuore dimentica, forse perdona,
forse ridimensiona. Ma il cervello no, quello è lì che
riflette riflette e ricorda e riflette. Oggi, quando si
va in piazza per la Pace, per un nuovo mondo possibile,
quando si cammina per ore tra migliaia e centinaia di
migliaia e milioni di persone ad Assisi o Firenze e
perché no anche a Genova 2001, lo si fa con cuore. E mi
dispiace dirlo, ma quando si votò PCI dopo la scomparsa
del compagno Berlinguer, lo si fece con cuore. Forse in
pochi ricordano quanta difficoltà e ostruzione e
chiusura il PCI aveva nei confronti degli
extraparlamentari. Oggi il Movimento ne ha tanti di extra
ed ex, ma fortunatamente nessun partito egemone. Cambiano
i tempi, ma il cervello ricorda ancora e ancora.
Oggi, dopo gli anni '80, dopo questo vuoto mostruoso e
differito che sono stati quegli anni, dopo gli anni '90
in cui il vuoto è diventato un'emorragia, una
fuoriuscita di pensieri, di scuola di partito, di
cervelli educati, allenati al ragionamento rigoroso e
doloroso, di grande energia, di intellighenzia laica,
marxista, socialista, anarchica e leninista e perché no
sindacale, oggi il cervello gira a vuoto: afferra qualche
labile concetto, qualche assioma fondamentale ma intorno
non trova nulla, come le molecole di sodio in acqua
minerale di certa patetica pubblicità. Allora cosa dire?
Ripartiamo dal cuore, vediamo se è un organo
differenziale. Ma non mi faccio abbindolare ancora una
volta. I morti sono veri, reali e bisogna ricordarseli
tutti. A Portella delle Ginestre, a Avola e Battipaglia,
a Genova 1960 e 2001 i morti di questa Nuova Repubblica,
per questa Nuova Repubblica sono ben diversi da faide
interne tra partitini di destra e Pisanò infame etc.
etc. I servizi segreti, i corpi separati, la Loggia P2,
le Forze Armate, la Magistratura avevano gente iscritta
al MSI, ON, AN, Propaganda Fide, IOR e Vaticano oltre che
DC, PSDI, PLI, PRI etc. Tradire la propria età?
Allora Lidia Menapace, che durante la guerra era una
Universitaria della FUCI ha tradito la propria giovinezza
perché faceva la staffetta, DISARMATA, nella Resistenza
novarese? E così Marisa Musu o i Gruppi di Azione
Patriottica. Forse che per non tradire la propria
giovinezza dovevano marciare ed obbedire, andare ai
raduni in orbace e sahariana e imparare tutto sulla
mistica fascista? Quella sarebbe stata la loro
giovinezza?
E la giovinezza della Mambro e del Fioravanti quale
sarebbe stata? Ragazzi di ottima famiglia borghese,
cresciuti con questo tarlo, questa insoddisfazione,
questa pulsione di morte come avrebbero potuto impegnare
degnamente il loro Tempo? Facendo politica, ovviamente,
non distruggendola a mitragliate. Che Mambro e Fioravanti
siano estranei alla strage di Bologna lo credo anch'io,
ma cambia qualcosa? Invece avrebbe cambiato affermare,
come si fece per anni!, che Valpreda era totalmente
estraneo alla strage di Piazza Fontana. Avrebbe cambiato
eccome! Perché Pietro Valpreda oltre ad essere
totalmente estraneo era anche un galantuomo!
L'unica sua imperdonabile colpa è stata quella di essere
"anarchico. "
Un po' di citazioni sitografiche:
sulla strage di Bologna
http://www.misteriditalia.com/lestragi/bologna/bologna.html
Francesca Mambro/ Valerio Fioravanti
http://www.misteriditalia.com/lestragi/bologna/mambro-fioravanti/
Zavoli intervista Pietro Valpreda
http://www.informagiovani.it/Terrorismo/piazzafontana/comm3.htm
Walter Rossi
http://digilander.libero.it/asswalterrossi/
Valerio Verbano
http://www.geocities.com/Athens/2753/77_00.htm
una intervista a Renato Curcio
http://www.ilbolerodiravel.org/kattivi_maestri/frigidaire/armata_gg.htm
storia della destra in Italia
http://www.ecn.org/inr/caradonna/destra/destra16.htm
il Circolo Azione Giovani "René Guinon"
http://www.geocities.com/CapitolHill/6445/index.html
il sito di Forza Nuova di Ascoli Piceno
http://www.fnap.it/cgi-bin/pw/epap2.pl?pagina=mostra&articolo=ART0410
il Carpediem
http://www.carpe-diem.it/
una interrogazione recente sulla morte di Giorgiana Masi
http://rifondazione75.samizdat.net/Storia_memoria/ieri_oggi/ieri_oggi_domani_12maibis.htm
la lettera di
Giampaolo Rossi
Giustizia per tutti noi
Mambro, Fioravanti e.. l'azzurro degli anni di piombo
Io so.
Io so....di non sapere molto di quegli anni.
Io so di non sapere i nomi dei responsabili delle stragi,
né la natura reale di quegli eventi. Quello che mi
ricordo, quello che mi hanno raccontato, quello che ho
letto......non basta.
Se Pasolini fosse ancora vivo, saprebbe. Aggiungerebbe un
capitolo al suo "Romanzo delle Stragi". Sei
anni prima di Bologna lui lo aveva gridato ad alta voce
in quell'Italia conformista e chiusa: "Io so tutti i
nomi e tutti i fatti (...). Lo so ma non ho le prove e
non ho gli indizi. Lo so perché sono un intellettuale,
uno scrittore che cerca di seguire tutto ciò che
succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive,
d'immaginare tutto ciò che non si sa e che si
tace".
Io non so nulla ma ho come una sensazione: che quella
sentenza, quella sulla strage di Bologna, serva solo a
non far sapere la verità, serva a schiacciare il dolore
e la rabbia sotto migliaia di carte processuali
incoerenti, serva a fermare la storia di questo paese
immobilizzando tempo e memoria. Come quell'orologio
bloccato alle 10,25 e lasciato là come una fotografia
ingiallita. Secondo me è un'idea bislacca quella di
fermare il tempo dentro una stazione che è il luogo dove
il tempo invece scorre con puntualità (più o meno
efficace!!)......... dietro i treni....... dietro le vite
che salgono e scendono da quei treni. In una stazione il
tempo non si può fermare perché c'è sempre un ultimo
treno da prendere e un ultimo treno da perdere.
Quell'orologio lasciato lì, fermo, mentre tutto attorno
ha ricominciato a correre mi dà un'idea di
rassegnazione.
È un'idea bislacca perché anche la memoria va
elaborata....col tempo.
Nel 1980 l'anno del "botto" avevo 14 anni e
poca voglia di capire il mondo; ricordo vagamente il
dolore di mia madre e la sua paura, la rabbia frustrata
di mio padre e le facce spaesate di chi condivideva il
mio quotidiano...... il macellaio della via, la mia
professoressa di scuola, il vicino di casa. S'incontrava
per strada l'incapacità di capire o la stupidità di chi
capiva tutto e troppo in fretta.
È inevitabile il gioco perfido delle vite
parallele.
Io avevo 14 anni ed un certo Luigi Ciavardini tre più di
me; io avevo poca voglia di capire il mondo, lui aveva
cominciato a sparargli. A 17 anni aveva ucciso un agente
di polizia ed un magistrato. Oggi ne ha 40 e 16 li ha
passati in galera per questi omicidi. Si è sposato,
lavora, ha tre figli ed ora ritornerà dentro perché,
secondo i giudici di Bologna, avrebbe lasciato lui
materialmente la valigetta nella sala d'aspetto della
stazione. La minore età che aveva all'epoca lo ha
salvato dall'ergastolo. Se tutto va bene uscirà a 70
anni. Insomma, la più sanguinosa strage d'Italia, quella
fatta su ordine dei Servizi Segreti deviati, della P2,
quella che avrebbe dovuto sovvertire l'ordine democratico
del nostro paese per il consolidamento di un regime
autoritario, sarebbe stata affidata ad un ragazzino
minorenne.
Io so di non sapere molto di quegli anni ma ho come nelle
orecchie un'eco lontana che ancora mi spaventa.
Nei giardinetti di Don Bosco a Roma, dove mio nonno mi
portava a giocare da piccolo, davanti ai casermoni
dell'Ina Casa, quei palazzoni popolari a forma di
alveare, giusta location dei film di De Sica, c'è una
piccola lapide che ricorda Roberto Scialabba. Aveva più
o meno vent'anni quando Fioravanti gli scaricò addosso
un intero caricatore di pistola e poi gli diede il colpo
di grazia alla testa. Aveva due colpe: i suoi capelli
troppo lunghi ed un giornale di sinistra sotto il
braccio. Non c'era nessuna motivazione politica ma solo
la vendetta, l'odio irrazionale e la follia omicida di
gangsters ventenni.
Un mese prima a via Acca Larentia tre ragazzi di destra
erano stati ammazzati davanti alla sede del Msi. Su due
di loro "i compagni" avevano provato il
funzionamento della famigerata mitraglietta Skorpion con
cui tre mesi dopo le BR avrebbero spazzato via la
scorta di Aldo Moro. Un tiro al bersaglio per puro
allenamento come al luna park.
Il terzo, Stefano Recchioni, fu ucciso due ore dopo da un
pistolero vestito da carabiniere. Francesca Mambro, molti
anni dopo, alla domanda di Sergio Zavoli sul colore da
dare a quegli anni di piombo, rispose:
"azzurro....l'azzurro mare degli occhi del primo
amico che mi è morto accanto"...... parlava di
Stefano Recchioni.
A Roma sono decine le lapidi e i murales disseminati per
la città che ricordano i morti ammazzati di quella
guerra mai dichiarata.
Ero già grande quando vidi per la prima volta la foto
del rogo di Primavalle: il 16 aprile 1973 alcuni di
Potere Operaio fecero scivolare la benzina di una tanica
sotto la porta della casa proletaria di un netturbino
missino e dei suoi 6 figli; nell'incendio morirono arsi
vivi il più grande Virgilio e il più piccolo Stefano
che insieme non facevano trent'anni. Ricordo con orrore
la foto di Virgilio affacciato alla finestra del suo
appartamento in fiamme chiedere aiuto inutilmente.
Ricordo il terrore e la disperazione di quello sguardo
mentre il fuoco lo divorava. Li ritrovarono
abbracciati....lui e suo fratello...... sotto quella
finestra.
Quella foto fece il giro del mondo, come quella della
bimba al napalm......ma non era il Vietnam, né la
Cambogia, né il Libano....... era l'Italia democratica e
antifascista. Mi sono sempre domandato come, dopo quella
foto, si potesse ancora scendere in piazza in migliaia e
urlare slogan tipo: "uccidere un fascista non è
reato".
Ma che Italia era quella di quegli anni?
Walter Rossi, Francesco Cecchin, Giorgiana Masi, Paolo Di
Nella, Valerio Verbano, Alberto Giacquinto e tutti quelli
che non mi ricordo.....dove diavolo li abbiamo lasciati?
Io non so se, come scrive Letizia Paolozzi "Mambro e
Fioravanti, sarebbero stati, senza il clima politico
violento di allora, una coppia di Bonnie e Clyde
italiani". Magari lui avrebbe continuato la sua
carriera di star televisiva e lei avrebbe iniziato a
scrivere libri senza aspettare di finire in galera..
chissà.
Oggi mi avvicino a tutti questi morti con una freddezza
colpevole ed ogni volta che mi aggiro per i commenti, le
ricostruzioni storiche, i giudizi politici mi accorgo che
quel dolore lo sto solo ora elaborando......col tempo.
La più piccola dei morti di Bologna aveva tre
anni.......l'età che oggi ha mio figlio e mi domando che
diritto ho io....... che diritto abbiamo noi di entrare
con la ragione e il pensiero dentro un dolore incolmabile
e se invece non sia più giusto accettare una verità
data e mettere con essa a tacere per sempre ciò che urla
dentro; ma poi penso che un pò di quel dolore (diverso
certo, più vicino alla rabbia che alla rassegnazione)
appartiene in fondo ad ognuno di noi e alle ferite che
questo Paese stenta a rimarginare e che cercare quei
pezzi di verità che mancano, che qualcuno ha nascosto
come briciole sotto il divano, spetti ad ognuno di noi.
Io so di non sapere molto di quegli anni, ma penso
che lo spontaneismo armato e l'estremismo politico che
agitava ragazzini di destra e di sinistra avessero ben
poco a che fare con la strategia della tensione perché
nulla aveva di strategico. E penso che per quegli anni in
molti hanno pagato o stanno pagando ma in molti l'hanno
fatta franca e non parlo solo di quelli che sono scappati
o sono riusciti a rimanere nell'ombra dei propri delitti.
Su Bologna, la relazione della Commissione Stragi parla
apertamente di una "zona grigia" mai
individuata. Penso che la verità non stia nella follia
omicida di giovani assassini, confinati nel male di un
protagonismo tragico dal quale non sono riusciti a
fuggire, ma stia in quella "zona grigia" che
ancora oggi nessuno vuole illuminare.
Io so che Fioravanti, Mambro e Ciavardini sono colpevoli
di molti omicidi; hanno ucciso senza pietà, hanno
regalato morte e dolore con una generosità che
accompagna di solito l'egoismo degli sconfitti. So che
sono colpevoli di un reato ancora più grande...quello di
aver tradito la propria età. Ma ho molti dubbi sulla
strage della stazione e quella sentenza disperante me li
accende tutti.
Non so se ci vuole "del buono e del bello per
accettare la distinzione"..forse basterebbe solo un
po' di coraggio e di giustizia e non solo per Bologna.
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