IN DORMIVEGLIA

di Elena Ronconi

 

Immerse nell’acqua calda e dall’odor di ferro della mia vasca azzurra, le mie gambe di cera sono un quadro: al centro dell'isoscele d'acqua che ho tra le gambe e sul boschetto del pube, galleggiano i cristalli turchini dei sali.. Bisognerebbe aggiungervi dei pesci tropicali, fluorescenti....

Uscendo, si passa sotto una lampadina gialla e tutt'intorno si diffonde un color cipria perché le pareti dell’atrio sono rosa..

Eppure no, non son nel bagno blu. Sono altrove, non so dove.

Tutta colpa del mio cokctail preferito: whisky e Darkene, senza ghiaccio.

Cosí ora non dormo, né son sveglia; non riposo, mio malgrado

La follia è un orrido in cui pare facile cadere : la pazzia mia , un’elegante figuretta in tacchi altri e gonna stretta, mi passeggia per la testa, in attesa che qualcuno la inviti a bere e a ballare. É un’apparizione grata e opportunista. É un acrobata che passa il tempo ad esibirsi sul filo degli altrui pensieri..

Succede allora che la tua morte mi torni ancora in mente, ma non all’improvviso, come un ricordo qualsiasi o un pensiero laterale, sempre pronti ad aggredirmi alle spalle, ignobilmente : il passato nostro mi risale lento dentro come un grumo amaro, come un singhiozzo a vuoto, da sbornia di vermut.

Oppure rotola per caso verso me (che seduta accanto ad un fuoco placido e domenicale continuo a sentir freddo) come gomitolo intrecciato della nostra vita, insieme dei suoni delle nostre parole e delle nostre grida, che rimbombano ancora, talvolta, lungo il corridoio stretto della nostra vecchia casa.

E penso che anche questa notte é evasa dalle porte lasciate aperte, e dalle finestre. E passata scivolando sulla carta da parati, accarezzando i tavoli, le lampade e le cornici dei quadri.

Le sigarette sono ormai per me un’ unità di tempo, ( sigarette interminabili e amare, sigarette che non durano niente) e di spazio( esse tuttavia marchiano mobili, vestiti, libri).

Forse perchè ti cerco, mi guardo attorno: l'orologio, unico elemento fuori luogo, segna un'ora indifferente a tutto

Vedo quel dizionarietto di russo, dalla copertina rossa, quello fregato in un supermercato indiano, forse il giorno in cui tu moristi e ascolto il disco che comprai, mi pare, lo stesso giorno.

Oggi, giorno di festa, ricordo i tempi peggiori, quando passavo il tempo a letto, con le mani sudate, fingendo di dormire.

Forse, mi dico, era meglio se restavo cosí com'ero: ultima cliente al bar, amante conversazioni erotiche con camerieri cinici. La bella bionda che tornando a casa, passava per vicoli pisciosi, calciando le lattine. Collezionista di innamorati usati.

Vado in cucina, col pensiero: le scaglie di pesce sparse nel lavandino saranno ancora lí, diafane e quadrate, come resti di unghie dei piedi .

I pescivenoli laggiú, dove il sole scolora anche la pelle, erano piccoli indiani sorridenti, perchè tu gli dessi un altro pesce da pulire. Giú al mercato le grandi scaglie bianche rivestivano le cose, grandinate sui capelli, negli spazi neri tra gli interstizi, decoravano i telefoni. Sculture nel sale grosso.

Uscivi per strada, tra le case popolari, o dei quartieri fuori mano, e guardavi in alto, le terrazze : nient'altro che improvvisi tagli nel gesso di casette dal colorino tenue, ingenuo. Balconcini stretti da cui sventola il sorriso a denti radi degli stracci appesi,tutti sbiaditi al bianco sole d’inverno. Che tutto sublima e annulla. Albino paradiso

La mia casa dava su un bordello . Ogni tanto si affacciava la mêtresse : non piú bella, non piú giovane, ma isterica e malevola, come una delle ex amanti di uno dei miei ex amori.

Litigava al telefono, di notte, con la finestra aperta, tanto faceva sempre caldo, e tra l'andirivieni dei vassoi argentati su cui traballavano tazzine verdi e oro, usate anche per le cicche, gridava con frequenza contro l'ombra di una serva, che svelta filava via, da dietro tendaggi spessi e vellutati color cremisi e orlati di nappine .

Al piano superiore invece c’éra un salone di bellezza; la luce al neon che lo pubblicizzava restava accesa anche di giorno: luce fredda sotto la canicola, sí, sempre azzurrina, tremante, tubolare e ronzante

L’estetista era una negra impertinente, sui vent’anni. . Teneva altissimo il volume del mangiacassette dove girava senza tregua un nastro di musica libanese e parlava con le sue amiche in una lingua sconosciuta e sgradevole.

Lá, in quel deserto , le dune di velluto color carne hanno la forma e la grazia di giovani labbra o seni, piene e tiepide, ma quando un vento senza odore ne pettina la sabbia a ondine...ah! . Le dune rosa, le impronte digitali di Dio!.

Guardo fuori, o forse no: una luce luttuosa par filtrare dall’immenso drappo sudicio del cielo.

Da un cespuglio del giardino si offron come bocche vogliose, due boccioli di rose rosse .

 

Sto pensando ad un tuo sguardo, in una certa foto .

Quando mi sveglieró, resteró per tutti il giorno quieta, aspettando il prossimo minuto, con le sigarette giá fumate spente nel fondo del bicchiere e un mezzo sorriso già pronto e in forno palpiterá piano il cuore di un soufflé al formaggio. .

Oggi, lo giuro, voglio uscire per strada, voglio passeggiare in quel quartiere, quello dove le case sono minute e deprimenti e dalla vernice color latte andato a male.

I marciapiedi e la strade butterati da buche e squarci, ogni tanto rallegrati da strani sputi colorati e da grandi scarafaggi bruni, che morti calpestati sembran datteri e da datteri spiaccicati, grandi e rossicci come scarafaggi.

Voglio andare lí, dove tutto é sporco e rotto e invecchiato presto, anche i visi sorridenti dei fanciulli, che giocano a piedi nudi con un pallone sgonfio nei campi incoltivati o negli spiazzi pietrosi dei terreni abbandonati, ricettacoli di topi innoqui e di immondizie cosí povere da puzzare poco.

Voglio tornare sempre lí, nel quartiere dall’aria acidula e dal cielo-soffitto, basso e incolore, cui pure gioverebbe una mano di pittura.

Cielo squallido e miserabile, dove anche di notte le nuvole scorrono deformi e sudicie, come fumi industriali, gli uccelli sono anonimi e si puó dire che non cinguettino.