Di Cinzia Mescolini

 

I volatili del Beato Angelico

di Antonio Tabucchi

Con I volatili del Beato Angelico Antonio Tabucchi regala frammenti di storie che si sciolgono in un vortice di scritture diversificate, o rimangono sospese nella forma dell’incompiuto.

Racconti appena abbozzati, schegge di vita rubate e restituite in forma di epistola, echi di una coscienza che torna su se stessa.

Un vociare ininterrotto, a tratti lucidamente descrittivo, a tratti vibrante e confusa parola dell’emozione che si trasforma in flusso di coscienza.

In I volatili del Beato Angelico la parola narrativa attinge alle storie del passato, inventa trame moderne che poi lascia aperte, tessere di un disegno ancora da tracciare.

La pagina si trasforma in rumore di fondo fatto scrittura, come lo ha definito lo stesso autore.

I volatili del Beato Angelico si compone di schegge impazzite, assemblate con il gusto postmoderno dell’accostamento inconsueto, eppure ciascuna in grado di essere sufficiente a se stessa, di generare una rara intensità di scrittura.

Forse perché, la coscienza di un uomo, quando parla a se stessa, non definisce la sua voce, non la conclude, non scioglie gli intrecci in finali risolutivi.

La narrazione di I volatili del Beato Angelico si nutre di frammenti di scrittura, embrioni di storie, che contengono slanci emotivi, ricordi, emozioni, catturati in una fragile gestualità quotidiana.

Cosi può parlare di vita e di morte, di amore e di malattia, di rancori e paure sotterrate, passioni nascoste, desideri segreti, e di tutto ciò che non necessita di una risposta ma che si accontenta di esistere.

La passione per la cultura portoghese, la pittura, la letteratura, i luoghi di quel mondo, sono il filo rosso della narrazione.

Nell’essere embrionale, incompiuta, capace di formulare domande a se stessa ma altrettanto capace di tacere la risposta, la scrittura de I volatili del Beato Angelico trova la forza di aderire alla vera esistenza.

 

Seta di Alessandro Baricco.

 

In Seta la scrittura si fa lieve e seduce narrando la lenta gestualità dell'eros orientale e viaggi esotici in terre lontane.
Con l'intreccio sapiente del tessuto prezioso, il romanzo racconta una vicenda semplice e insieme singolare. Siamo nella Francia dell'Ottocento e protagonista della storia è Hervé Jancour, piccolo borghese di provincia, dedito al commercio redditizio ma insolito dei bachi da seta.
Tale attività obbliga l'uomo a compiere dei viaggi in Giappone, dove scopre l'amore, che rimane platonico, per una splendida fanciulla. La passione tra Hervé Jancour e questa donna è l'origine dell'intreccio.
Il protagonista, abituato ad assistere alla propria vita, scopre nell'universo nipponico il desiderio e diviene soggetto che lo esprime. In un oriente mitico, dove la seta è impalpabile e tutto, anche l'erotismo, assume la leggerezza del nulla, Hervé Jancour trova se stesso.
La narrazione si consuma in un gioco di apparenze e sostituzioni, di realtà illusorie che assistono e sopravvivono al disfarsi di tutto il resto.
La parola narrativa sfuma, diventa ineffabile, e accompagna un racconto che ha tutto il sapore della fiaba. Il Giappone, icona di uno spazio mitico, diviene allo stesso tempo la dimensione altra in cui è possibile trovare gli ingredienti necessari per una tessitura narrativa pregiata e impalpabile. Seta, dove il titolo è metafora dell'intento stilistico e narrativo del romanzo, scopre il piacere per la velatura preziosa e l'inclinazione per la miniatura elegante.
La semplicità della struttura narrativa è, in realtà, solo apparente: nella pagina che scivola via leggera, si annidano tutte le artificiose tecniche stilistiche che caratterizzano la scrittura di Alessandro Baricco.